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Gay & Bisex

Tanto va la gatta al lardo - 1


di adad
18.10.2024    |    8.310    |    20 9.8
"A quella vista, Giulio cercò di scappare, ma il muratore fu lesto ad afferrarlo per un braccio..."
Che ci lascia lo zampino, recita il proverbio ed è appunto quello che successe un bel giorno all’eroe della nostra storia: parliamo di Giulio, un giovane che aveva il pessimo vizio di ficcare il naso dappertutto, anche e soprattutto dove non avrebbe dovuto. Che, poi, quello sia stato veramente un bel giorno per il nostro eroe è tutto da verificare, anche perché lui ci lasciò ben altro che lo zampino.
Ma non apparecchiamo la tavola, prima che il pranzo sia pronto, come diceva sempre la nonna… La nonna di chi? Non importa, ce ne sono un sacco, pronte a insegnarci ricette di cucina o a suggerirci frasi celebri e arguti proverbi. Che squallido sarebbe il mondo, se non ci fossero le nonne!
Giulio, dunque. Giulio era un giovane, che all’epoca del misfatto (sempre che tale sia stato) doveva essere sui vent’anni: un pivellino, dunque. Era un bel ragazzo, dal fisico armonioso e dal volto intelligente. Non ci sarebbe niente da dire su di lui, se non fosse che era affetto da una curiosità insaziabile, ma una curiosità malsana, purtroppo, che lo portava a ficcare il naso dappertutto.
Tolto questo, era un ragazzo davvero squisito, divertente e spiritoso, come potevano attestare i suoi innumerevoli amici… beh, e anche le amiche, ovvio.

Ma veniamo ai fatti. Dovete sapere che il nostro eroe abitava, ovviamente con la famiglia, in una villetta alla periferia della città, praticamente confinante con la campagna: dalla finestra della sua cameretta mansardata al secondo piano, Giulio aveva una visuale perfetta, fra le altre cose, su un condominio che stavano costruendo dall’altra parte della strada.
Il che, col passare dei mesi era diventato uno dei suoi passatempi preferiti: stare pomeriggi interi affacciato alla finestra ad osservare gli operai al lavoro. Non che fosse interessato ai giovani manovali seminudi, come qualche pervertito potrebbe sospettare, ma semplicemente perché lo divertiva vederli lavorare, discutere coi mastri muratori o coi carpentieri e inventarsi mille scuse per allontanarsi un momento a fumarsi una sigaretta dietro qualche riparo.
Un giorno, però, sul fare dell’estate, i lavori si interruppero e scomparvero tutti gli operai, lasciando il palazzo da rifinire, con le finestre aperte ai quattro venti e una recinzione attorno al fabbricato, che andò via via arrugginendosi ogni giorno che passava. Insomma, una desolazione unica. Le erbacce fecero in fretta a ricrescere sul terreno non più calpestato e a fagocitare con la loro voracità mezzo palazzo.
Giulio ne fu contrariato, ovviamente, non perché avesse degli interessi particolari nella prosecuzione dei lavori, ma solo perché si vedeva privato del suo personale divertimento. Così invece di passare i pomeriggi affacciato alla finestra della sua mansarda a spiare i giovani manovali, che con l’estate sarebbero stati ancora più seminudi, ma la cosa come abbiamo detto non gli importava, il nostro eroe, prese l’abitudine di trascorrere le calde ore pomeridiane disteso sul lettino a leggere qualcosa nella fresca penombra delle imposte accostate.
Un giorno, però, mentre si rilassava sfogliando una rivista che non si può dire, una di quelle che teneva nascoste in fondo all’armadio, sotto un mucchio di vecchi vestiti, avvertì all’esterno uno scricchiolio strano, un rumore soffocato, come qualcuno che cercasse di aprire un cancello bloccato. Sul momento non ci fece caso, ma quando il rumore si ripeté, accompagnato da uno stizzoso: “E apriti, cazzo!”, Giulio chiuse la rivista, spingendola sotto il letto, e si alzò, andando a spiare nella fessura delle persiane accostate.
E cosa vide? Vide uno dei mastri muratori, un tipo quarantenne con una camicia a quadri svolazzante fuori dai pantaloni stazzonati, che cercava di aprire un cancelletto bloccato dalla ruggine e dalle erbacce.
All’ennesimo strattone, riuscì ad aprire uno spiraglio, bastevole per farlo sgusciare dentro; così entrò e scomparve nell’edificio in costruzione. Cosa diavolo era venuto a fare? Forse a prendere qualcosa, qualcuno dei suoi arnesi, che si era dimenticato a suo tempo.
Giulio aspettò un po’, ma il muratore non ricompariva e lui stava per ritirarsi, quando con la coda dell’occhio scorse un movimento in fondo alla strada. Allargò leggermente le imposte per guardare meglio e cosa vide? vide uno dei giovani manovali che si avvicinava guardingo: arrivò al cancelletto, sgusciò pure lui attraverso la stretta apertura e scomparve nell’edificio abbandonato.
Ce n’era abbastanza per stuzzicare la fervida curiosità del nostro Giulio, che rimase a lungo alla finestra, aspettando di vederli venir fuori; aspettò una buona mezzora e altro ancora avrebbe aspettato, se la madre non lo avesse chiamato dal piano di sotto per farsi aiutare in certi lavoretti.
Quando riuscì a tornare alla finestra, Giulio vide subito il cancelletto chiuso: segno che i due erano andati via.

Il pomeriggio successivo era lì a spiare avidamente la strada, che rimase però deserta; e così i giorni seguenti, finché, quando stava per perdere le speranze, ecco tornare il muratore, che strattonò il cancelletto, si insinuò nell’apertura e scomparve nell’edificio, non senza essersi guardato un paio di volte attorno. Non passò molto che ecco arrivare anche il giovane manovale.
Che diavolo venivano a fare? Forse a fare qualche lavoretto, in attesa della riapertura cantiere? Ma allora perché si fermavano solo un’oretta o poco più? come ebbe modo di constatare i pomeriggi successivi, quando l’andirivieni divenne più frequente. E perché arrivavano e ripartivano sempre ognuno per conto suo, prima il manovale furtivamente e poi il muratore?
Ma quando li vide giungere perfino una domenica pomeriggio, la curiosità divenne incontenibile, talmente incontenibile, che Giulio scivolò fuori dalla sua cameretta mansardata, scese le scale senza far rumore, aprì il portone e uscì nella luce accecante del sole. Non appena gli occhi si furono abituati al riverbero, il giovane si avvicinò al cancelletto, lasciato aperto, e penetrò anche lui nei recessi del palazzo abbandonato.
Muovendosi piano fra il pietrisco e altro materiale che ingombrava il pavimento, Giulio avanzò cautamente cercando di scoprire dove erano finiti quei due e cosa stavano facendo. Esplorò tutto il piano terra, salì le scale fino al primo, al secondo e al terzo piano, si affacciò ad ogni stanza sfinestrata… niente e nessuno. Non sentiva nemmeno voci o altri suoni che potessero dargli indicazioni. Che fossero andati via, senza che lui se ne fosse accorto?
Era arrivato al quarto piano e aveva preso il corridoio alla sua destra, per esplorare quegli appartamenti, quando:
“Anvedi chi ci abbiamo qui!”, si sentì dire alle spalle da una voce profonda e divertita.
Giulio si voltò di scatto col cuore in gola: davanti a lui c’era il muratore, a torso nudo e con i pantaloni malamente abbottonati.
“Sergio! – chiamò l’uomo – vieni a vedere chi è venuto a farci visita.”
A quelle parole, il manovale sbucò da dietro un angolo: aveva i pantaloni calati e l’uccello di fuori gli sventolava duro ad ogni passo.
“Lo conosco, - disse – abita nella villetta dall’altra parte della strada. L’ho visto spesso che ci guardava dalla finestra, quando lavoravamo.”
“Ma non mi dire…”, ghignò l’uomo, facendoglisi più vicino.
L’afrore acido e caldo di ascelle sudate e di corpi sovraeccitati lo raggiunse e lo avvolse, via via che il muratore il giovane amico gli si avvicinavano. Giulio cominciò a rendersi conto del pasticcio in cui si era cacciato: gli fu chiaro finalmente che tipo di lavoro i due stavano facendo.
“Scusate… - balbettò – non volevo disturbarvi… non immaginavo… Me ne vado, me ne vado subito.”, e fece per sgusciare via.
“Hai sentito? – fece il muratore, piazzandoglisi davanti – non voleva disturbare, l’amico… non immaginava…”
“Per favore… - balbettò Giulio – non lo dirò a nessuno… lo giuro.”
“Cosa non dirai a nessuno? Che io e Sergio veniamo qui a fare le porcherie? Lo sai cosa stava facendo quel frocetto, quando ci hai disturbato? Mi stava succhiando il cazzo! questo cazzo! – fece, estraendoselo dalla patta malchiusa e mostrandoglielo duro e scappellato – E fra poco me lo sarei inculato, non è vero, Sergio?”
“E come no, Arturo.”, rispose il manovale, avvicinandosi e chinandosi a slinguazzare la cappella paonazza.
“Al mio frocetto, gli piace il cazzo, non immagini quanto, – proseguì Arturo – e io gliene stavo giusto dando una buona dose, quando sei arrivato tu. Non volevi disturbare? Ma invece lo hai fatto… ero lì lì per sborrargli in bocca, quando ti abbiamo sentito e hai mandato tutto a puttane.”
“Secondo me, bisogna dargli una buona lezione.”, disse il manovale, guardandosi attorno e raccogliendo il manico smozzicato di un badile.
A quella vista, Giulio cercò di scappare, ma il muratore fu lesto ad afferrarlo per un braccio. Poi, ridendo:
“Che fai? - disse a Sergio – Butta via quel bastone, non è questa la lezione che ho in mente. Io dico che possiamo dargliene un’altra a questo pollastrello, una che difficilmente dimenticherà. In fondo, anche tu hai diritto al tuo risarcimento.”
“Che vuoi dire?”
“Che possiamo cucinarcelo come piace a noi, che te ne pare ? E ce lo dividiamo da buoni amici: tu ti prendi il davanti e io mi prendo il didietro.”
“Siete impazziti? Che volete farmi?”, cercò di divincolarsi Giulio, terrorizzato alla prospettiva di finire in pasto a quei due depravati.
“Sta fermo! – grugnì, però, Arturo, immobilizzandogli le braccia dietro la schiena – Sergio, prendi la mia camicia e strappa una manica, così lo imbavagliamo, sennò questo rischia di svegliare tutto il vicinato.”
In un attimo, il povero Giulio si ritrovò bloccato col muratore che lo teneva saldamente da dietro, mentre Sergio strappava una manica della camicia e si avvicinava per imbavagliarlo. Provò a scalciare, ma lo scappellotto che gli arrivò assieme all’intimazione “Sta fermo!”, valse a ridurlo a più miti consigli.
Il terrore di quello che potevano fargli gli tolse le forze e tremava con gli occhi sbarrati, mentre cominciava finalmente a rammaricarsi per la sua imbecillità. Cosa gli era passato per la testa di andarsi a ficcare in quel pasticcio? Immagini terrorizzanti gli passarono velocemente per la testa, si vide violentato e steso a terra con la testa fracassata in un lago di sangue… Si vide gettato in un angolo, legato e imbavagliato a morire di inedia, perché nessuno sarebbe venuto a cercarlo… Vide con un tuffo al cuore il volto disperato di sua madre che lo cercava…
“Per favore… - mormorò con voce tremante – non fatemi del male… Sto zitto, ve lo giuro… non grido… Fate quello che volete, ma poi lasciatemi andare, non lo dirò a nessuno.”
Il muratore dovette cogliere la sincerità in quelle parole, perché con un cenno della testa allontanò il manovale che si avvicinava per imbavagliarlo.
“Starà buono, - disse, senza però allentare la presa – togligli i pantaloni, vediamo cosa ha lì sotto questo bel ragazzo.”
Ghignando di soddisfazione, Sergio si avvicinò, sbottonò i pantaloni di Giulio e glieli sfilò assieme alle mutande, sollevandogli prima una gamba e poi l’altra.
“Accidenti, che bel paperotto!”, esclamò prendendogli in mano il cannolo carnoso. E senza perdere tempo, si inginocchiò e ingoiò interamente il cazzo ancora molle. Giulio sentì un fremito involontario al contatto con la calda mucosa orale del giovane manovale, alla lingua che vorticava attorno all’arnese, al risucchio famelico. Era la prima volta che glielo succhiavano e, volente o nolente, il sangue cominciò ad affluire nelle apposite cavità, provocando un turgore e uno spurgo, accolto da Sergio con uno sguaiolio voluttuoso.
“Tutto bene lì davanti?”, chiese il muratore.
“Altroché! – grugnì Sergio – E chi l’avrebbe detto!”
“Cosa?”
“Che c’avesse una tale bestia.”
“Meglio della mia?”
“Della tua no, ma quasi…”
Vedendo ormai calmo e rassegnato, Arturo liberò le braccia di Giulio, che non si mosse, e si chinò per esaminare la sua parte di preda. Lisciò a lungo, con bramosia i globi vellutati delle natiche:
“Niente male, - mormorava intanto – davvero niente male.”
Poi gli si inginocchiò dietro e affondando il volto nel solco delle natiche, ne aspirò a pieni polmoni l’afrore asprigno, allungando nel contempo la lingua per raggiungere l’orificio. Non riuscendoci, gli allargò le chiappe con le mani e fissò quasi con emozione il buchetto tremolante.
“È vergine… - constatò con voce carica di emozione – da quanto tempo non mi capitava un culetto vergine!”
“Il mio lo era…”, mugugnò Sergio con la bocca piena di cazzo.
“Lo era…”, rispose il muratore e poggiò le labbra sulle tenere grinze, affondando la lingua in profondità.
“Oh!”, fu la reazione di Giulio, già fuori di testa per il magistrale pompino che il manovale gli stava facendo.
“Ti piace, porcellino? – anfanò il muratore – vedrai fra poco cosa ti combino!”, e con queste parole, minacciose e promettenti nel contempo, si diede a grufolargli nello spacco del culo, leccando, baciando e salivando quelle vergini carni, penetrandole fin dove poteva con la sua lingua vorace.

(continua)
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