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Il paggio della regina - 1


di adad
17.02.2020    |    9.049    |    4 8.7
"“E vorrei vedere… - ghignò l’altro – è la tua..."
Armand prestava servizio a Corte fin da bambino, allorché era stato notato dalla regina, durante una visita reale al castello di suo padre, il marchese De La Tour, e la Sovrana lo aveva preso con sé quale suo paggio personale.
Da allora erano passati più di dieci anni e Armand era diventato un bellissimo giovane, che impreziosiva ancora di più, con la sua virile avvenenza, il corteggio di paggi e damigelle della regina. Le quali nobili damigelle non si lasciavano sfuggire l’occasione di fargli gli occhi languidi e parecchie, quasi a gara, gli avevano offerto il proprio letto per una notte di passione; ma Armand si era dimostrato incorruttibile, tanto che ormai tutte lo chiamavano con una punta di acidità “il bello dal cuore di pietra.”
In realtà, le cose stavano in modo un po’ diverso, altrimenti non staremmo qui ad occuparcene. E già immagino le ghignate che qualcuno si starà facendo, immaginando l’animo del giovane agitato da chissà quali turpitudini. Niente di più falso! Il giovane marchese de La Tour era effettivamente uno specchio d’onestà a cui tutti dovremmo ispirarci.
Quella notte, Armand scivolava silenziosamente per i bui corridoi del Louvre, procedendo pressoché a tastoni e orientandosi alla fievole luce delle stelle che ogni tanto filtrava da qualche finestra. Scese la scaletta segreta che dagli appartamenti della regina portava all’ala destinata al personale di corte, svoltò a sinistra, e aveva appena imboccato uno stretto passaggio, quando si sentì afferrare per un braccio e tirare in una nicchia: subito dopo due labbra morbide e carnose si poggiarono sulle sue in un lungo bacio appassionato.
“Finalmente sei venuto…”, mormorò una voce alle sue orecchie.
“Amore…”, sospirò Armand, rinnovando il bacio e l’abbraccio.
“Vieni... andiamo…”
“No, - fece Armand – la regina ha chiesto di te, venivo appunto a chiamarti.”
“Accidenti, no!”, esclamò contrariato il cavaliere di Mont-Mercin, perché proprio di lui si trattava, l’amante della regina.
“Mi dispiace, amore… devi andare da lei.”
“Aspetta…”
Si scambiarono un altro lungo bacio, poi Armand lo guidò nel tortuoso percorso verso gli appartamenti della regina. Introdottolo nell’anticamera:
“Ti aspetto qui”, gli bisbigliò all’orecchio, prima di grattare all’uscio della camera e affidarlo alla damigella che fece capolino e, presolo per mano, lo condusse dove la regina lo attendeva.
Armand si sentì stringere il cuore, vedendo la porta richiudersi, e si sentì soffocare al pensiero del suo amante nudo fra le braccia di quella donna; ma che poteva farci? Essere chiamati al talamo reale era un onore e un dovere a cui non ci si poteva sottrarre in alcun modo, pena punizioni severe e sanguinose vendette.
Ecco dunque fatta chiarezza sul cuore di pietra, con cui Armand de La Tour teneva a bada le profferte delle damigelle della corte: lui amava appassionatamente il cavaliere di Mont-Mercin, amante della regina e non c’era spazio per altro nel suo cuore. E il cavaliere? Il cavaliere lo amava con altrettanta passione, ma per la sicurezza di entrambi doveva giocoforza sottostare ai favori e ai voleri della sovrana.
Era un gioco alquanto intricato e pericoloso in cui bisognava disimpegnarsi con estrema cautela, essendo la regina notoriamente suscettibile e vendicativa.
Era quasi l’alba, quando la porta della camera tornò a socchiudersi e il cavaliere ne scivolò fuori visibilmente stremato.
Al primo leggero cigolio dei cardini, Armand era già saltato in piedi e dovette farsi forza per impedirsi di correre ad abbracciarlo. Aspettò che la porta si richiudesse, che Mont-Mercin attraversasse con passo malfermo lo spazio che li separava, poi con un cenno della testa lo invitò a seguirlo. Sulle scale, lo prese per mano, quasi a guidarlo nell’oscurità che li avvolgeva, ma fu solo quando furono al sicuro nell’alloggio del cavaliere, che Armand gli gettò le braccia al collo e lo strinse in un abbraccio disperato.
Il cavaliere lo baciò, poi:
“Vieni”, gli disse.
Raggiunsero il letto, tirarono le cortine e si spogliarono, infilandosi sotto le coperte. Furono subito l’uno fra le braccia dell’altro, scambiandosi baci spasmodici e spasmodiche carezze. Armand era eccitatissimo: bastava già il contatto col suo amante ad infiammarlo. Il cavaliere gli sfilò la camicia e prese a baciare il suo petto glabro. Il calore e l’aroma di quel corpo virile lo facevano impazzire e lui lo manifestava straziando i suoi capezzoli di baci e morsi leggeri. Dopo un istante di tenero compiacimento, Armand ricambiò quelle attenzioni e in breve furono nudi entrambi ed avvinghiati in un groviglio di pulsante passione.
Ma se l’uccello di Armand era teso e urlava tutto il suo desiderio, quello del cavaliere rimaneva viscido e molle, appena percorso da qualche brivido quasi inavvertibile. Appena se ne accorse:
“Sei stanco, amore, - gli bisbigliò Armand – dormiamo, dai.”
“Stanco? - ridacchiò il cavaliere – Certo lo sei tu che mi hai aspettato tutta la notte. Dormi pure, se vuoi… io ho ancora qualcosa da fare.”
E dicendo questo, strinse nella mano con grato piacere il cazzo pulsante dell’amico, quindi scivolò sotto le lenzuola, dopo un’infinità di baci raggiungendo finalmente la meta. Appena fu giunto, accostò le labbra alla cappella bagnata e prese a leccare golosamente la bava che la ricopriva, poi se la fece scivolare in bocca e iniziò a succhiarla.
Pensando che era stato fino a qualche minuto prima nel letto della regina, dove l’aveva presumibilmente soddisfatta, qualcuno si chiederà come fosse possibile che si ritrovasse adesso a succhiare con tanta passione l’uccello dell’amante. Beh, l’animo umano ha mille sfaccettature, lo sappiamo tutti: per quanto ne so quella con la regina era una faccenda puramente fisica che il cavaliere era obbligato a portare avanti per prudenza e convenienza; questa invece trascendeva la pura fisicità: era l’unione spirituale di due anime innamorate, che godevano le gioie dell’amore tramite l’uno il corpo dell’altro.
Sentendo le labbra del cavaliere serrarsi attorno al proprio pene, Armand gemette di piacere a quell’umido contatto così caldo e vellutato. La prima volta che Mont-Mercin glielo aveva fatto, Armand era rimasto sconvolto: non riusciva a concepire come si potesse prendere in bocca l’organo di un altro uomo e goderne entrambi con tanta completezza. Vada per la reciproca manipolazione dei genitali, vada anche per l’inserimento nel vergognoso pertugio: era l’istinto animale a guidarli, un istinto animale nel loro caso purificato dall’amore; ma questo? Questo era qualcosa che trascendeva l’istinto animale: era quasi il bisogno di nutrirsi dell’essenza più vitale della persona amata.
Armand ricordava sempre con un brivido quella prima volta: ricordava la sua ritrosia, la sua vergogna e poi l’accettazione di quel dono d’amore e infine la sconvolgente piacevolezza di depositargli nella bocca, sulla lingua il proprio seme… e poi il fremito di raccapricciante libidine quando aveva scoperto che, lungi dall’essere sputato fuori con disgusto, quel liquido peccaminoso era stato invece ingoiato con tanta delirante ingordigia.
E ora stava per succedere di nuovo… Ancora una volta il piacere crebbe dentro di lui fino al parossismo; ancora una volta tutto il suo corpo prese a vibrare, mentre lui gemeva senza posa e ancora una volta, serrando ancor le labbra attorno al pomello pulsante, il suo amante degustò il denso succo d’amore.
Armand boccheggiò, mentre il cavaliere lappava le sue ultime gocce di miele. Poi, Mont-Mercin riemerse da sotto le coperte e, stringendolo nuovamente a sé, lo baciò con rinnovata passione.
“Sai di sborra.”, gli sussurrò Armand all’orecchio.
“E vorrei vedere… - ghignò l’altro – è la tua.”
La mezzora successiva passò come possiamo facilmente immaginare; Armand avanzò più volte la mano vogliosa a cercare il bigolo dell’amante, trovandolo però ogni volta molle e senza vita.
“No… - gli disse alla fine Mont-Mercin, mezzo addormentato – lascia perdere… Sono davvero stanco…”
“Ti ha prosciugato quella puttana!”, esclamò Armand, ma senza risentimento.
“Come sempre… lo sai…”
“E’ quasi giorno, amore, - disse allora Armand – vado, prima che i servi comincino a svegliarsi.”
“Sì… stai attento…”, fece il cavaliere, e già dormiva.
Armand scostò le lenzuola e si alzò, si infilò la calzabraca, terminò di vestirsi e, deposto un bacio leggero sulla fonte dell’amato, andò a socchiudere silenziosamente l’uscio; sbirciò fuori, che non ci fosse nessuno nelle vicinanze, quindi scivolò rapido per scale e corridoi ormai in penombra, finché raggiunse la sua camera. Si spogliò, gettando i suoi panni in giro, si infilò a letto e finse di dormire, in attesa che qualcuno venisse a svegliarlo.

(continua)
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