Gay & Bisex
Amor che a cor gentil...
di adad
30.10.2022 |
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"”
“Mi chiamo Adolf… Bello il tuo strumento..."
“Tempus transit gelidum, mundus renovatur….” , canticchiava fra sé il giovane Adolf, sentendosi ricreare il cuore allo spettacolo che gli si apriva davanti, mentre si inoltrava nella campagna assolata in quella tiepida mattinata di primavera e con occhi incantati spaziava sui prati, verdi di erba novella, ammirando le grosse gemme ormai sbocciate sui rami degli alberi non più scheletriti.“Verque redit florido… forma rebus datur…”, la sua voce si faceva via via più sicura e stentorea, una bella voce tenorile così apprezzata nei cori sacri della Cattedrale, nel corso delle sontuose liturgie.
Il ricordo della casa paterna appena lasciata gli punse il cuore di una vaga nostalgia e si volse indietro, ma le mura della città erano ormai scomparse dietro i dossi delle colline.
L’immagine della sua casa, il volto dei suoi cari, le loro voci gli scorsero rapidamente nella mente, inducendolo a fermarsi, quasi a tornare indietro. Ma fu solo un momento: la consapevolezza che non c’era niente per lui là, da dove era partito, lo convinse a riportare gli occhi sulla strada sconnessa che gli si allungava davanti. Era giunto il momento di farsi la sua vita, di essere se stesso.
Trasse un profondo respiro, quasi un commiato alla sua vita precedente, e riprese il cammino.
“Ludunt super gramina virgines decore…”
Il sole si era alzato nel cielo incredibilmente azzurro, il caldo cominciava a farsi sentire, così Adolf si tolse il mantello, arrotolandolo e sistemandoselo a tracolla, si lasciò scivolare il cappello dietro il collo, e scosse la testa, quasi a voler ridare aria e volume alle ciocche appiattite dei capelli, che rifulsero al sole come morbidi fili dorati.
Passato quell’attimo di rimpianto, il giovane si sentì invadere da un’energia tutta nuova: le sue gambe snelle avevano voglia di muoversi, di camminare, e ogni volta che spingeva il piede in avanti, sentiva la miriade di muscoli e muscoletti guizzargli sotto la pelle, allungandosi e contraendosi con un piacere quasi erotico.
La vita all’aria aperta e gli esercizi svolti nella milizia cittadina, lo avevano dotato di quel fisico armonioso, ma soprattutto resistente, che sentiva godere ad ogni passo che faceva. Aveva smaniato tutto l’inverno dalla voglia di andare e adesso che il freddo era finalmente passato, adesso che le nevi si erano sciolte e i prati erano tornati a coprirsi di erba novella, niente e nessuno era riuscito a trattenerlo. Neanche la bella Ghiselda che gli faceva gli occhi dolci, ma della quale gli interessava poco o niente. Anche lei gli venne in mente, mentre fischiettando procedeva in questo paesaggio di luce e di colori brillanti, e stranamente, il pensiero di esserne ad ogni passo più lontano, lo colmò di un appagante senso di serenità.
Adolf continuò a camminare immerso in quella sensazione di benessere, che allontanava da lui ogni stanchezza, e stava attraversando un ampio pianoro ai margini della foresta, quando la sua attenzione venne richiamata da alcuni accordi di quinterna, uno strumento che lui conosceva bene, avendo imparato a suonarlo anni prima da un menestrello girovago.
Ma chi stava suonando in quella landa deserta? Si guardò attorno e finalmente lo scorse: un giovane seduto sul prato, ai piedi di una quercia. La schiena appoggiata al tronco rugoso, le gambe incrociate, pizzicava con aria assorta le corde del suo piccolo strumento.
Col cuore che gli batteva, Adolf si diresse verso di lui, mentre gli accordi si ampliavano e il giovane iniziava cantare:
“Can vei la lauzeta mover de joi sas alas contra ’l rai…”
Adolf non capiva le parole, ma la melodia struggente lo sedusse all’istante e si fermò ad ascoltare, temendo che accorgendosi di lui, l’altro smettesse di cantare.
Ma l’altro sembrò sentire la vicinanza di un estraneo e sollevò la testa. Un sorriso di vera gioia gli illuminò il volto già bello e gli disse alcune parole nella sua lingua straniera.
Adolf ricambiò il sorriso e scosse la testa, in segno che non capiva. L’altro allora:
“E’ bello incontrare in terra straniera un volto amichevole. – gli disse in quel latino elementare, che era allora la lingua universale – Sei di queste parti?”
“Di questa terra, sì, - gli rispose Adolf, sedendogli al fianco – ma non di questa zona. La mia città è a quasi mezza giornata di cammino. Tu da dove vieni?”
“Da una città molto più lontana dalla tua, da Avignone… nella bella Provenza… Ho camminato giorni e mesi, prima di arrivare qui. Ho attraversato monti e fiumi…”, e tacque con un’espressione di rimpianto sul volto.
“Di cosa parla la tua canzone?”
“Ti piace?”
“Sì”
“Quando vedo l’allodola, dice, muovere con gioia le ali verso il sole, dimentica di sé e si lascia andare per la dolcezze che le empie il cuore…”, e qui il giovane tacque, abbassando la testa e quasi soffocando un singhiozzo.
Quel canto doveva essere legato ad un ricordo doloroso, che spiazzò Adolf, lasciandolo senza parole.
“Sei un poeta?”, gli chiese poi.
L’altro si volse verso di lui e sorrise.
“No, sono solo un menestrello, recito e canto quello che altri compongono, altri migliori e più bravi di me.”
“Hai una voce davvero incantevole…”, disse allora Adolf, quasi vergognandosi senza sapere neanche lui di cosa.
“Come ti chiami? – gli chiese il menestrello - Io sono Bernart.”
“Mi chiamo Adolf… Bello il tuo strumento.”
“E’ una quinterna…”
“Lo so.”, disse Adolf, allungando la mano.
“La sai suonare?”, si meravigliò Bernart, passandogliela.
Adolf la prese e accennò alcuni accordi.
“Non bene come te,,,”, sospirò.
Ma l’altro non gli diede ascolto e riprese sottovoce la canzone di prima. Adolf ascoltò per un poco, poi cominciò ad accompagnarlo con accordi via via più sicuri, fino ad improvvisare brevi riprese e variazioni fra una strofa e l’altra.
Giunti alla fine, i due giovani si guardarono sorridendo, poi, del tutto inaspettatamente, Bernart si protese verso Adolf e gli diede un bacio sulla guancia. Adolf avvampò.
“Cosa fai?”, gli chiese, ma solo stupito, senza alcuna rimostranza.
Per tutta risposta, Bernart gli si portò davanti e, stando in ginocchio, gli prese la testa fra le mani e lo baciò sulle labbra.
“Desideravo farlo dal primo momento che ti ho visto.”, disse in un soffio.
Adolf lo fissò incantato senza rispondere: chi era questo spirito tentatore, e perché lungi dal turbarlo, le sue parole gli scendevano diritte nel cuore,
smuovendo in lui sentimenti mai neppure sospettati?
“Appena ti ho visto, il mio cuore ha preso il volo, - continuò Bernart, fissandolo negli occhi –ha spiegato le ali verso il sole, colmo di una gioia che non so spiegare… e tutto m’ sembrato insignificante, tutto che non fosse te…” e si piegò verso di lui a dargli una altro bacio, ma stavolta non un soffio sulle labbra: stavolta spingendo avanti la lingua, come ansioso di gustare la dolcezza che avrebbe trovato.
Adolf ebbe un attimo di straniamento, quando lo sentì muoversi nella sua bocca, ma non ebbe nessuna ripulsa, anzi gli sembrò naturale e quasi inevitabile che succedesse. E si chiese come mai avesse aspettato così tanto, come mai non fosse successo prima… e intanto una lingua estranea giocava con la sua, una lingua estranea gustava i suoi sapori segreti.
Il bacio fu lungo e appassionato, intanto che i due si erano rovesciati a terra abbracciati. L’erba novella e i fiori della primavera erano per loro un morbido, quanto profumato materasso. Le labbra esitavano a staccarsi e già i due giovani erano seminudi, già le loro mani si infilavano sotto i vestiti, scivolavano sulla pelle levigata e febbricitante dei loro corpi.
Forse è vero che i cuori si riconoscono al primo apparire, forse è vero, come dicono i poeti, che l’amore non esita a ghermire due cuori affini e a colmarli d’ogni tenerezza.
Sta di fatto che i due giovani non riuscivano a staccarsi dal bacio, né riuscivano a districarsi dall’abbraccio: ogni volta che ci provavano, era come se si sentissero privati di qualcosa a cui non potevano rinunciare.
Quando finalmente riuscirono a separarsi, si ritrovarono a fissarsi con occhi invasati, mentre le loro mani si muovevano da sole a strapparsi i vestiti, l’uno di dosso dell’altro. E furono nudi.
Per Adolf fu una scoperta: era la prima volta che vedeva un uomo in tutta la sua magnifica nudità e ne rimase affascinato. Era abituato dalle canzoni dei poeti a considerare belle solo le donne, né immaginava che la nudità maschile, finora conosciuta solo nelle pudiche e frettolose immagini di Adamo negli affreschi della Cattedrale, potesse risultargli tanto seducente. Ma non fu solo la vista del corpo nudo di Bernart a conquistarlo, con le sue forme morbide e il candore niveo della carnagione, così in contrasto con il volto colorito dal sole; fu anche il calore e la levigatezza della pelle, che sentiva sotto le dita, fu la morbida peluria sul petto; e poi il profumo e quell’aura generale di mistero e di peccaminosità che lo pervadeva. In particolare, fu il cazzo ad attrarre la sua attenzione, il cazzo duro, che non aveva mai visto, a parte il suo. Preso da una smania, che avrebbe stupito lui per primo, se fosse stato del tutto presente a se stesso, Adolf allungò la mano a prenderlo, lo strinse nella mano, assorbendone la forza e il calore, mentre con l’altra ne soppesava i due grossi coglioni, questi sì pelosi, che si contrassero con un brivido a quel contatto.
Ma Bernart non era da meno. Forse non era la prima volta che veniva a contatto con la nudità maschile, non lo sapremo mai: possiamo dire però, che non appena ebbe fra le mani e sotto gli occhi il corpo nudo di Adolf, si sentì invadere come da una febbre, una febbre finora sconosciuta, una smania di prenderne possesso, di farlo suo, di penetrarlo con tutto se stesso, fino a diventare una sola entità palpitante di piacere. Cominciò a percorrere con le mani quelle forme seducenti con carezze via via più frenetiche, più lubriche, più appassionate. E poi seguirono le labbra, baciando quelle carni delicate, leccando ogni piega del corpo e accendendovi un fuoco incontenibile di lussuria, tale che ben presto Adolf vinse ogni freno e si abbandonò a quelle effusioni, ricambiandole con pari ardore e pari spudorata lussuria. Sembrava che fosse un demone a possederli, mentre si rotolavano sul prato, avvinghiati, a pascersi freneticamente l’uno del corpo dell’altro con le mani con le labbra.
La conclusione giunse nello stesso momento per entrambi, quando ai loro cazzi, premuti fra i bassi ventri, bastò un mezzo strofinio di troppo per superare il limite e sborrarono, infradiciando ad entrambi la pancia fino al petto.
Rimasero abbracciati anche dopo, mentre il loro respiro si placava e la mente gli si schiariva.
“Cosa abbiamo fatto?”, bisbigliò Adolf all’orecchio di Bernart, ma non c’era rammarico nella sua voce, solo meraviglia.
“Non lo so, - rispose Bernart, ed era sincero – so solo che non l’ho deciso io ed è stato… Oh Dio, non lo so… non riesco a dirlo…”
“Non nominare Dio… - disse Adolf, stringendolo a sé con un brivido – abbiamo commesso un atto proibito…”
Cresciuto nella luminosa Provenza, crogiuolo di mille culture, ed educato ad un pensiero più libero:
“Come può essere proibito – mormorò Bernart con un sorriso – qualcosa che ci ha dato tanto piacere e tanta felicità?”
“Il demonio…”
“Il demonio non può arrivare a tanto, amore mio. Le sue azioni sono sordide, sono tese all’inganno e alla malvagità. Ti sembra malvagio quello che abbiamo fatto, ti sembra che abbiamo arrecato del male a qualcuno?”
“Abbiamo distrutto questo povero prato…”, scherzò Adolf.
“L’erba ricrescerà, come ricrescerà anche il tuo fiore, affinché possa amarlo…”, disse Bernart, tornando a baciarlo, mentre insinuava la mano fra le loro pance appiccicaticce di sperma per raggiungerne il pisello.
Lo trovò, nel groviglio di peli fradici, lo impugnò e immediatamente quel grumo di carne viscida e molle, riprese vita, tornando ad essere turgido e fremente, come del resto il suo, raggiunto nel frattempo dalla mano impaziente di Adolf.
Stavolta furono loro a darsi piacere, manipolando l’uno l’uccello dell’altro e godendo doppiamente col cazzo e con la mano.
Il sole stava tramontando, quando finalmente giacquero sui loro mantelli stesi a terra, stanchi, come si dice, ma non certo saziati. La brezza leggera asciugava i loro corpi bagnati di sudore e di sperma, facendoli rabbrividire. Allora si fecero un giaciglio fra due radici sporgenti della grande quercia, che aveva assistito alla loro passione. Si avvolsero nei mantelli, nudi com’erano, e rimasero a guardare il cielo che si scuriva lentamente e le stelle che si accendevano una dopo l’altra nello sfondo sempre più buio, fino a diventare una miriade palpitante di lucciole. I loro cuori battevano all’unisono e nel silenzio della sera gli sembrava quasi di sentirne il rimbombo.
“Che facciamo adesso?”, mormorò Adolf, riscuotendosi dall’incantamento.
“Io direi di tirar fuori dalla sacca qualcosa da mettere sotto i denti.”, scherzò prosaicamente Bernart.
“Non prendermi in giro. Volevo…”
“Lo so cosa volevi dire, - lo interruppe Bernart, stavolta serio – ho fatto tutta questa strada per trovarti, credi che abbia intenzione di lasciarti andare?
Credi che lascerei volare via la mia piccola allodola, che le permetterei di portarsi via il mio cuore?”
“Chiedimelo, allora…”, disse Adolf con un filo di voce.
“Ce n’è davvero bisogno?”
“No, ma ho bisogno di sentirtelo dire.”
Bernart lo fissò negli occhi e gli carezzò dolcemente la guancia.
“In questo momento, - disse – ho come la sensazione d’avere fatto il mio lungo viaggio solo per incontrare te, piccola allodola, perché eri tu quello che il mio cuore stava cercando: le stelle hanno incrociato le nostre strade e io non voglio che esse si separino. Ho tante cose da insegnarti e da imparare da te… ho tanti baci da darti e da ricevere… tante cose da darci, che non ci basteranno i giorni della vita. Voglio che tu sia mio e che io sia tuo. Chiediamo agli spiriti della notte, chiediamo alle stelle di esser testimoni del nostro voto. Lo vuoi anche tu?
Per tutta risposta Adolf, lo strinse a sé e lo baciò.
“Dove andremo?”, disse poi.
“Dove ci porterà la strada, amore mio.”
“Verso sud, allora, dove splende il sole?”
“E dove mormora il mare…”
Era notte fonda, quando tornarono a separarsi, i grilli avevano ormai smesso di frinire. Il mondo dormiva in una quiete profonda.
“Hai la pancia che brontola…”, disse Adolf, arruffandogli i capelli umidi di rugiada.
“Mettiamo qualcosa sotto i denti, – fece Bernart, allungando il braccio a prendere la sua sacca – domani… fra poco comincia il nostro lungo viaggio.”.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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