Lui & Lei
Un Regale Piacere -2- Desiderio Soddisfatto
di giorgal73
26.02.2024 |
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"Quante notti aveva trascorso paventando che non sarebbe mai giunto il momento di averla per sé? Esattamente come in quell’istante?
«Ti voglio..."
Elise aveva un modo tutto suo di prenderlo in giro così amabilmente, pur mantenendo sapientemente le distanze. Non riusciva a capire come avesse potuto pensare a lei come ad una piantagrane, all’inizio della loro superficiale conoscenza. «Sarebbe stato molto più facile se tu avessi ceduto da subito. Molto di questo ti sarebbe stato risparmiato.>>
I folti capelli rossi, pur umidi, le scivolarono da un lato, coprendole appena una parte del bel viso.
«Una in più che le cede, che differenza vuole che faccia? Di certo, non avrei fatto io la differenza!»
Fu un errore. Vide la mascella di Hasef indurirsi visibilmente, trattenendosi a stento. Per un attimo, Elise seppe di aver esagerato.
Il principe capì che lei fu spaventata dalla sua possibile reazione, lo lesse nei profondi occhi blu dove un misto di ansia e di paura trattenuti, andavano mescolandosi, rendendola al tempo stesso indifesa e selvaggia.
«Probabilmente nessuna, o forse molta. Ma tu avresti potuto scoprire se avresti fatto la differenza.»
Elise si era sempre chiesta perché Hasef si divertisse a tormentarla, sin dall’inizio. Erano completamente diversi e più volte lui non aveva affatto nascosto l’antipatia, anzi peggio, l’indifferenza per lei. E lei aveva presto smesso di chiedersene i motivi. Non amava gli uomini rompicapo. Il principe Hasef ne era la quintessenza e lei non sarebbe impazzita nel cercare di risolverlo, quel rompicapo.
Istintivamente, portò le braccia a coprirsi il seno, rendendosi conto d’improvviso che era nuda nonostante la veste e, per la prima volta, nuda davanti a lui. Hasef notò il gesto tardivo e sorrise, compiaciuto.
«Celarsi agli occhi di qualcuno è sintomo del tenere all’opinione di quel qualcuno.»
La denudò con gli occhi, uno sguardo di desiderio e di compiacimento per ciò che vedeva. Nulla di romantico, solo febbrile passione.
«Devo immaginare che tu tenga alla mia opinione, Elise?»
«Vostra Altezza, solo un tardivo senso del pudore. Ma, infine, anche se tardivo, è giunto e lo ringrazio, per questo.»
«Avvicinati.»
Elise non seppe perché gli venne quasi spontaneo obbedire. Non aveva alcun senso ma si avvicinò.
Hasef le afferrò i polsi e le scostò le mani per guardarla. I seni, grossi e visibilmente turgidi, si alzavano e abbassavano per l’ansia che Elise cercò disperatamente di mascherare. La lasciò andare e, a piedi nudi come era entrato, si tolse indumento dopo indumento fino a rimanere nudo, davanti a lei.
Elise cercò di distogliere lo sguardo, avrebbe pagato oro per non mostrargli la vulnerabilità del proprio desiderio. Non in quel momento, non così! Ma l’istinto ebbe la meglio e tornò a guardarlo.
Il suo sguardo accarezzò mentalmente, muscolo dopo muscolo, il corpo di lui; una lenta carezza volò sul suo corpo, scivolando dal collo al petto, dall’addome vibrante, ai bicipiti fino a guardare il suo membro.
Elise non riuscì a trattenere il battito veloce del proprio cuore mentre lo osservava duro e grosso più di quanto si attendesse, davanti a sé. Si chiese come il proprio corpo avrebbe potuto prenderlo dentro di sé, no, di certo non avrebbe potuto farlo senza sentirsi spezzata in due, dolorante. Istintivamente fece un passo indietro tentando di allontanarsi da lui, scioccamente, puerilmente. Come se quel gesto bastasse. Come se quel gesto potesse interrompere quel vibrante e crescente desiderio fra loro che, inesorabilmente, continuava a bruciarli senza scampo, da tempo. Hasef si immerse, muovendosi verso di lei.
«Non puoi farlo … non può farlo!»
Aveva parlato davvero?
Davvero era stata la propria voce, fintamente ferma e sicura di sé a parlare?
Lei stessa non credeva a quelle parole, dunque perché proprio lui avrebbe dovuto farlo?
Hasef alzò un sopracciglio, per lo stupore della fermezza con cui gli aveva parlato, senza smettere di andarle incontro:
«Ah, no? Non vedo nessun buon motivo per cui io non debba farlo.»
Elise si trovò presto contro la parete alta della piscina, le sue spalle la urtarono. Si sentì perduta. Alzò il mento, lo sfidò:
«Non deve esserci un buon motivo per cui debba giustificarle il fatto che io non voglio che si avvicini!»
«Ah, Elise, Elise … così sicura di te e indifferente a me, o almeno così mi hai lasciato credere, e così sciocca … vuoi davvero che esca da qui e lasciarti sola?»
«Non mi ha mai dato la possibilità di sentirmi sola. Né prima del suo arrivo … né tantomeno ora!»
Alzò lo sguardo verso Kalos e Ramji, rientrati accanto alla porta di vetro della piscina.
«Non devi curarti di loro. Sono le mie guardie.»
«Teme per sé stesso? Qui? Dovrei essere io a temere, per me stessa! Riderei se … se …».
«Se, cosa? Se non fossi così eccitata?»
L’aveva raggiunta. Oramai se avesse allungato un braccio, l’avrebbe bloccata contro la parete. E lo fece, alzò le braccia all’altezza delle spalle di lei e, come in una invisibile gabbia, la imprigionò. Il tepore dell’acqua li avvolgeva eppure entrambi sapevano che il calore non proveniva solo dall’acqua. Erano essi stessi a scaldarla.
La guardò, febbrilmente, voracemente, e ancora non la sfiorò neppure con un dito. Scese a guardarle le labbra, se le sarebbe prese ma non subito. La desiderava troppo per vedere tutto consumato in un sol bacio.
Scese lungo il collo, Elise deglutì e Hasef resistette contro la voglia di baciarla là, proprio alla gola, nel preciso punto dove l’eccitazione di lei si era manifestata così subitaneamente.
Rimase a guardarla.
Scese ancora lo sguardo, nel solco fra i seni dove la veste incollata al suo corpo lasciava oramai ben poco all’immaginazione: Hasef la guardò come se fosse completamente nuda.
«Non può… non davanti a loro!»
«Loro mi sono fedeli».
Detto questo, le bloccò i polsi e l’avvicinò a sé.
«Pronuncia il mio nome, ora. Voglio sentirti pronunciare il mio nome. E smettila di tenermi a distanza».
La guardò negli occhi azzurro cupo ed Elise attese. Attese che quell’attimo assurdamente appassionato trascorresse, che lei smettesse di sentirsi come una preda, restia ad abbandonare il suo carceriere. Attese quel bacio che non arrivò mai.
«Hasef … non puoi, non lo vuoi davvero … non vuoi me davvero …».
Schiuse le labbra e rimase con gli occhi languidamente aperti. Il bacio di Hasef non arrivò, pure Elise lesse in quegli occhi quella cupa voglia che lei stessa non avrebbe saputo frenare. Invece, le lasciò i polsi appena per allontanarla da sé e spingerla ancora contro la parete calda della piscina, la guardò brevemente poi, con uno strappo, finì di aprirle la veste a scoprirle il seno. L’aveva desiderata così tanto che gli sembrò che ogni nervo del proprio corpo si accorgesse della presenza di lei senza nemmeno doverla guardare. E la guardò. I seni pieni, turgidi ora, finalmente, erano suoi, solo per lui. Ancora uno strappo alla veste che scivolò via lontano da loro ed Elise fu nuda.
La prese per i fianchi e la fece voltare, stringendola contro il proprio petto.
Elise istintivamente puntò le mani contro la parete per sorreggersi ma, al contempo, ottenne un effetto devastante per sé stessa. Era consapevole che non gli avrebbe resistito a lungo. Non così, non in quel momento.
Nello spingere contro la parete, il suo corpo si avvicinò contro quello di lui, la sua schiena contro il petto di lui, fino a sentirne la dura eccitazione. L’aveva guardato, prima, davanti a lei nudo. In passato le era capitato di trovarsi con lui, da sola ma mai nudi.
Hasef la tenne per i fianchi e se la strinse contro il bacino. Poi, poi cominciò con quella lenta tortura. Con le dita, dolcemente, lentamente, le aprì piano le natiche, piano. E lo poggiò, esattamente là, nel dolce calore fra le natiche.
Poggiò il viso tra i capelli di lei ed Elise sentì il suo sospiro caldo. Esattamente nell’istante prima in cui lei stessa, inaspettatamente, si ritrovò a sospirare.
Era in lei, senza essere in lei.
La possedeva come nessuno aveva mai fatto, pur senza prenderla. Si umettò le labbra, era esausta come dopo una lunga corsa, ansimava. Istintivamente allargò le gambe, per poi stringerle cercando di calmare il desiderio umido che si faceva largo dentro di lei. L’acqua e il suo dolce tepore non bastavano a spiegare il lento e copioso piacere che sentiva scorrere dentro e uscire da lei. Ringraziò l’acqua che le permetteva di barare, affermando che fosse l’acqua, l’acqua e non lei a bagnarla e darle quella sensazione di piacevole arrendevolezza. Intanto, le mani di lui le strinsero le natiche intorno al suo membro che sfregava nel mezzo senza neanche cercare di penetrarla. Il suo respiro era corto, provava a calmarsi senza mai riuscire.
Poi, le labbra di Hasef pronunciarono quelle parole, con un tono talmente basso che Elise stentò a comprendere ogni singola parola:
«Vorrei cancellare il tuo ricordo di tutti quelli che ti hanno avuta così. Se solo conoscessi il modo, lo farei».
«Non puoi cancellare ciò che non esiste …».
Elise non udì nessuna risposta, nulla. Sentì solo un attimo di esitazione, la presa sui fianchi allentarsi. ‘Non mi crede’ – pensò Elise. E si accorse che nulla le faceva più male, in quell’istante, di lui che non le credeva. E inaspettatamente, lui la fece voltare di nuovo, la bloccò, la guardò dritta negli occhi.
«Ciò che non esiste?...>>. Elise lo fissò a sua volta.
«Sì, ciò che non esiste».
«Tu sai che io ti avrò eppure ancora non comprendo davvero ciò che vuoi».
«Parli come se tutto questo fosse colpa mia».
«Non parlo di colpe, solo di desideri non detti».
«Desideri non detti? Finora hai parlato solo in termini di avere o possedere! Credi che io possa parlarti di desiderio?»
«Non avrei fatto tutto questo, se non ti desiderassi».
«Ma lasci che loro guardino!»
Hasef non staccò un attimo gli occhi dai suoi e si avvicinò fino a sfiorarle le labbra senza baciarla:
«Voglio che ti guardino mentre mi desideri, come mai hai desiderato altri. Voglio che mi guardino mentre ti desidero, come non ho mai desiderato alcuna».
Così dicendo, la sollevò prendendola per le natiche, le fece allacciare le gambe intorno ai propri fianchi mentre Elise si resse sulle sue spalle. La spinse contro la parete.
«Desiderio è possedere. Possedere è desiderio soddisfatto».
E, dicendolo, con estrema lentezza prese ad affondare in lei. Assaporò ogni istante, ogni emozione che vide attraversare il volto di lei mentre lo faceva. Elise si morse il labbro inferiore, gli afferrò i capelli alla nuca e li tirò con la violenza del desiderio che la stava inondando, poi schiuse le labbra per un gemito. Hasef provò a ricordare l’ultima volta in cui giacere dentro una donna l’aveva reso così folle e appagato. Non riuscì a ricordare un altro istante che somigliasse a quello poiché non c’erano emozioni simili da ricordare. Quello sarebbe stato il primo ricordo. Elise credette di averlo già completamente dentro per quanto si sentì già colma di lui, i suoi gemiti brevi, continui, ansimanti.
Kalos, Ramji, il mondo intero, esistevano davvero intorno a loro? In quel momento, che esistessero o scomparissero o che intorno a loro scoppiasse una battaglia, lei non sarebbe riuscita a darvi alcun peso. L’unica cosa che desiderava era che lui non uscisse da lei, che potesse continuare a stringerlo dentro di sé, ancora e ancora, nel proprio calore bagnato nel quale lei stessa temette di perdersi e di annegare.
Poi.
Poi si accorse che si era sbagliata. Che il godimento che provava era solo all’inizio. Lo guardò, trovò i suoi occhi, cupi di desiderio.
«Vuoi ancora che mi allontani?»
E così dicendo le catturò un capezzolo e poi l’altro. Elise gli fece affondare le dita nella pelle dolce e scura delle sue spalle. Lo fissò, negli occhi colmi di desiderio appena soddisfatto.
«Prima. Prima avrei potuto fermarmi. Prima era solo ansia».
Ansimò per la fatica del rispondere.
«Ansia … e ora?»
«Solo voglia».
Hasef la guardò. Quante notti aveva trascorso paventando che non sarebbe mai giunto il momento di averla per sé? Esattamente come in quell’istante?
«Ti voglio. Ora».
E in un ultimo, profondo affondo, la penetrò, spingendosi fino all’inverosimile dentro di lei.
Elise urlò.
Di un doloroso piacere invadente, irrefrenabile. E cominciò a muoversi contro di lui, e godette, godette lasciandolo annegare dentro di lei. Lasciò che il suo nome riempisse le sue labbra perché le sembrava l’unico modo per non impazzire o perdersi in quell’assurdo piacere che rischiava di dominarla.
Gli affondò il volto tra il collo e la spalla lasciando che durante il piacere, l’odore penetrante della pelle di lui le rimanesse nella memoria del proprio olfatto, ancora per ogni giorno a venire. Gli affondò le labbra a succhiarlo e un dolce morso per segnarlo della sua voglia. Lo sentì sbatterle dentro e non riuscì a dirgli di smettere. Se avesse smesso, sarebbe morta o impazzita. Ne era certa.
Alzò il viso, lo guardò e non disse nulla.
Si limitò a stringerlo e a godere ogni volta che affondava dentro di lei a martoriarla di piacere. E fino a sentire il caldo seme di lui invaderla, riempirla, per molti istanti ancora, prima di tornare calma, a respirare contro di lui, labbra sopra le labbra, in quell’unico, lungo bacio.
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