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Matilde 01-01 - Da sola


di Alex46
14.01.2019    |    17.265    |    3 9.3
"Il culmine dell’ammirazione e del compiacimento però lo raggiungo contemplandomi il seno..."
È dura d’agosto a Milano, amici e amiche quasi tutti via lontano, chi sulle spiagge, chi sui monti, chi all’estero. Ma non mi dispiace essere da sola, al massimo è per una settimana, avevo bisogno di un piccolo periodo di raccoglimento.
Quello stronzo di Franco!
Ci siamo mandati a cagare a vicenda, ma la merda è lui. Non gli ho mai chiesto niente, in quattro mesi. Grande affiatamento quando facevamo l’amore, nessuna promessa reciproca di rapporto duraturo, solo simpatia, complicità e sesso. Chissà, avrei potuto anche innamorarmene, in fin dei conti intelligente lo è, con le donne ci sa fare e con me particolarmente. E poi è simpatico. Ma è uno stronzo, come tutti gli uomini, mi viene da dire. Leggero, vanitoso, dongiovanni. Quale maturità, ma che dico, quale dignità può avere uno che d’improvviso si mette a sbavare per una troia come la Debra e pretende che io faccia finta di niente?
E questo mentre cenavamo in riva al mare a lume di candela, io mi ero fatta già prendere dall’atmosfera e sognavo già una notte di passione con il mio uomo. È passata quella lì e ci ha salutati. Lui immediatamente si è messo a fare lo stupido.
- Cosa fai qui, Debra? Non mi puoi dire che non hai trovato compagnia questa sera...
- Guarda, sono venuta via dal ristorante Al Porto, c’erano Luigi e Anna, poi c’era quell’insopportabile di Giovanni, e piuttosto che stare con loro ho trovato una scusa.
Debra era vestita da killer, con canottierina/top bianca, pancia liscia di fuori con ombelico adorno di pietrina, pantaloni ancora bianchi attillati alla marinara (magari non più tanto di moda, ma su di lei uno schianto), scarpe nere Gucci con tacco alto. Alta più di me, cioè abbastanza, elegante, sexy, una sventola di capelli lunghi e scuri, un seno piccolo ma perfetto, a giudicare dalle forme nascoste dal top. Ma erano gli occhi così azzurri, così vivi che mi agitavano.
Ogni tanto assestava uno sguardo su Franco e quello non aveva neppure il pudore di nascondere il deliquio in cui stava cadendo!
Ho sopportato la cena a tre, ho visto come si sono salutati, perché lei voleva andare in discoteca, io invece volevo andare in albergo, a litigare con Franco. E così è successo, senza tante urla ma con molta rabbia. Alle tre di notte lui se ne è uscito, chiudendo la porta più forte del necessario. Io ho pianto un poco, ancora per rabbia, poi mi sono addormentata.
Il mattino dopo ho fatto il mio valigino, ho pagato il conto per umiliarlo almeno un po’, e con il primo treno sono tornata a Milano, a casa. Il viaggio non è stato lungo, sono arrivata tra mezzogiorno e l’una. Ho fatto un po’ di cose, ho sistemato il bucato, ho messo un po’ d’ordine in una casa abbandonata in fretta, ho letto svogliatamente qualche capitolo di un libro. Non avevo appetito, ho assaggiato solo un po’ di formaggio con i crackers, poi sono andata a dormire, senza provare a telefonare a nessuno.
Ma non riuscivo a trovare pace, continuavo a vedere Franco che si precipitava in discoteca, riagganciava la troia e poi se la portava a letto da qualche parte. M’infastidisce a tal punto che non riesco a prendere sonno, mi costringe a guardare un po’ di televisione tanto per distrarmi. Poi finalmente, verso l’una, mi sono assopita, con la TV accesa.
Nel sonno agitato rivedo Franco, Debra e me in un turbine di situazioni diverse e confuse, sorrisi ammiccanti, frasi poco chiare, anche da parte mia. Una cosa è evidente: la bellezza e la forza seduttiva di Debra, non riesco ad allontanarla dalla mia mente, neanche al mattino alle undici, quando mi alzo e vado diritta in bagno, sperando nel sollievo di un’immersione totale nella schiuma profumata di una vasca di acqua calda.
Ci sto un’ora, decisa a rilassarmi il più possibile, un buon bagno ha sempre virtù magiche. E infatti quasi m’addormento di nuovo, così; emerge solo la testa, i miei capelli biondi per un po’ galleggiano sulla superficie dell’acqua.
Quando mi alzo, risciacquata con la doccia, sono decisamente un’altra, mi sento diversa, ho lasciato dietro di me l’incazzatura: e sono pronta a spendermi in altre situazioni e altre avventure.
(continua)
Lo vedo che sono bella, giovane. Sui maschi ho un potere naturale, non posso certo lamentarmi. Di Franchi ne trovo quanti ne voglio, quindi su con la vita. Mi asciugo davanti allo specchio, indosso un accappatoio, poi mi passo i capelli con il fon. Sono bella così, naturale, senza trucco: e ora che non sto a dolermi per quel coglione di Franco, sento d’essere innamorata di me stessa, mi piaccio. Mi tolgo l’accappatoio e mi riguardo, nello specchio intero del mio bagno. Matilde, sei proprio carina, mi dico. Ho un’aria proprio sbarazzina, con questi capelli non lunghissimi, ma ognuno per conto suo. Mi ispeziono il corpo, muovo le dita dei piedi, vedo i nervi che le agitano, le unghie dipinte di rosso, pronte a indossare una delle mie tante paia di scarpe. Sono matta per le scarpe, ne ho tante davvero, mi piace cambiarle anche più volte al giorno, perché ho dei bei piedi e me li coltivo come fiori, con mille attenzioni. Calzo un paio di scarpe a tacco altissimo, quelle che metto più che altro quando sono da sola e voglio sedurmi.
Mi soffermo sulle gambe, che ho lunghe per quella che è la mia statura (1,70), abbronzate. Mi volto per guardarmi il culo, vedere che sia sempre al suo posto, sotto la schiena, ma ben alto sulle cosce. Dopo i piedi, d’importante c’è il culo, fiero, nobile, autoportante. Poi mi rigiro e mi guardo il ventre, mi sembra di avere un capolavoro di pancia. Gli uomini adorano la mia pancia, tutti quelli con cui ho avuto a che fare erano capaci di guardarmi la pancia senza dire niente per minuti interi. Liscia, ben incastonata tra due ossa del bacino che la custodiscono come uno scrigno di favolose promesse.
Anche oggi sono soddisfatta della mia pancia, ieri sera ho mangiato poco e niente, stamane come prima cosa sono andata di corpo e ora penso alla mia pancia pulita di fuori e di dentro, d’amore e d’accordo con il buchetto del mio culo, un amore rosa che non riesco a vedermi allo specchio ma che immagino.
Il culmine dell’ammirazione e del compiacimento però lo raggiungo contemplandomi il seno. Non ho tette grandi, taglia seconda, ma sono perfette e ricordano quelle di Debra, che non ho visto bene ma che, da quel che s’indovinava, dovevano essere come le mie, sode, erette, orgogliose dell’inutilità del reggiseno, con due bei capezzoli piccoli ma pronti a indurirsi.
Indosso una canottierina nera e trasparente, a spalline sottili.
Guardare le mie tette allo specchio e innamorarmene è spesso un tutt’uno. Me li accarezzo con le mani, come fossero altrui, con lo stesso esitante rispetto. Un brivido mi corre per la schiena, mi sorvola la zona anale e mi si ferma in forma di languore alla fine della pancia. È bastata una carezza sulle tette per farmi sentire donna nel profondo, per farmi realizzare che non uscirò da questo bagno senza aver goduto almeno una volta. Perché c’è voluto poco a eccitarmi, mi è bastata una carezzina e il pensiero di Debra.
Ma perché lei?
Masturbarmi mi è sempre piaciuto. Lo faccio da sola, me lo faccio fare, lo trovo parte essenziale del sesso e della vita. Agli uomini piace vedere una donna che si masturba, anche se non mi sono mai data un perché. Lo faccio con le dita, lo faccio con il mio dildo, come viene. Meglio se c’è il mio uomo che mi guarda, entrambi ci eccitiamo ancora di più. Ma Debra cosa c’entra? Non ricordo di aver mai avuto fantasie erotiche di questo tipo, ma questa volta mi sembra che lei abbia avuto la sua bella responsabilità nel ridurmi in questo stato di agitazione.
Lentamente, strisciandola sulla pancia come a spingere in basso tutto il languore, scendo con la mano sulla figa, che vedo bene allo specchio, ora che ho allargato un po’ le gambe. Pettino con le dita la peluria, così da vedere meglio la fessura rosa e il bottoncino del piacere. Poi, d’improvviso, mi sorprendo a pensare che Debra sia inginocchiata davanti a me e che abbia preso a leccarmi la figa con decisione. Allora non mi trattengo più e mi sfioro ripetutamente con la punta dell’indice il clitoride.
È così che voglio godere, pensare che Debra mi lecchi e io che mi accarezzo. Nessuna penetrazione, una cosetta tra sole donne, che un po’ si odiano.
Ma questo orgasmo che sta per arrivare ha bisogno di maggior comodità: non posso stare in piedi a farmi, devo correre sul mio letto, sdraiarmi, chiudere gli occhi, aprirli con l’immaginazione su Debra che ha la testa tra le mie gambe, divaricate oscenamente, e mi lecca e mi dice cose sporche, del tipo: - Non ti aspettavi di essere come una lesbica, vero? Ci volevo io per farti capire cosa ti può mandare in paradiso. Toccati, troia, fammi vedere come godi, mentre io ti lecco, ti guardo e ti parlo. Fa quel che ti dico io, godi e basta.
- Leccami, Debra, fammi venire... è vero, fare l’amore con te è stupendo, mi piace che mi odi così, mi piace farti vedere che godo, mi fai sentire una troia lesbica... dai, così, così, succhiami la figa, amore. Guarda come mi sgrilletto per te. È meraviglioso, stupendo, godo, godo, aah, aah, sborro Debra, ti sborro in faccia!
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