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Matilde 02-11 - Il ritorno di Debra


di Alex46
27.02.2019    |    5.385    |    0 8.6
"Ma io non mi lascio prendere da questo nervosismo, ho altro cui pensare..."
Siamo così arrivati alla seconda metà di dicembre. Non sono le condizioni migliori per potersi concentrare nel lavoro, perché mancano pochi giorni all’inizio delle vacanze di Natale e, come ogni anno, per noi è questo il periodo più duro.
In ufficio sono tutti presi in modo da non potersi concedere neppure un respiro. Ma io non mi lascio prendere da questo nervosismo, ho altro cui pensare.
Sono infatti circa tre mesi che il nostro trio stupendo si è sciolto. In memoria, negli occhi e nel cuore ho ancora il bellissimo rapporto che Michele, Debra e io avevamo, settimane libere e spensierate nel paradiso dei sensi e dell’amore.
A volte ho l’impressione che senza Debra tutto si sia rimpicciolito a una dimensione quasi provinciale, casalinga, anche se comunque fuori del comune, perché comunque Michele è fuori del comune e io e lui ci amiamo.
Dopo la telefonata fatta da me e Michele insieme in cui ci aveva trattati male, non avevamo più insistito. Poi però le avevamo scritto la lettera.
E, meraviglia, dopo una o due settimane ci è arrivata una cartolina, il che mi ha fatto sospettare che ci fossero dei cambiamenti, lenti ma possibili. Se penso che, dopo il piccolo trasloco fatto da Debra, i due non si erano praticamente più sentiti, questo è già un grosso successo.
Non si manda una cartolina a chi hai appena finito di mandare affanculo se non è cambiata almeno qualcosina.
Allora ho preso il coraggio a quattro mani e ho invitato Debra per un weekend, approfittando dell’assenza per lavoro di Michele. L’ho fatto per e-mail, mi sembrava il sistema più indolore.
Non avrei potuto sopportare due giornate intere in perfetta solitudine, magari dedicandomi agli acquisti natalizi, con il pensiero opprimente della mancanza di Debra.
Con sorpresa lei ha accetta il mio invito, con una e-mail di risposta gentile e premurosa. Se non altro la rivedrò. L’appuntamento è a casa mia, anche se ora io vivo assieme a Michele.
Sabato, di primo pomeriggio, arriva, come fosse la prima volta, quella di agosto. Non è cambiata, mi sembra anzi ancora più bella e il rivederla mi provoca un tuffo al cuore.
- Come stai?
- Bene, e tu? – ma vorrei dirgli “male, senza di te”.
Non abbiamo programmi precisi, il clima tra noi si avvia subito a essere un po’ formale, così distante dalle risate di una volta, ma tutto sommato più cordiale del previsto. Forse ci stiamo annusando.
Abbiamo subito deciso di dormire assieme in camera mia, dopo i complimenti del divano tu, divano io, ma la nostra somiglia a una fuga, un’ultima fuga prima dell’arrivo del freddo.
È pomeriggio, dopo il caffè ci siamo immerse nelle nostre chiacchiere, all’inizio solo qualcosa di più del più e del meno.
In casa fa caldo, il riscaldamento centrale ci da dentro. Con la massima naturalezza Debra si spoglia del golfino e della camicia fino a rimanere in topless, mettendo in mostra un’abbronzatura ancora superba, quasi integrale, con un leggero segno più chiaro in corrispondenza del seno.
Lei a fine settembre si è fatta due settimane di mare, in Calabria, in compagnia di non so bene chi, uno però che a quanto pare non vedeva di buon occhio che lei mostrasse le sue grazie ai bagnanti. Ma lei, certamente non si è fatta mettere i piedi in testa, abituata com’è a dettar legge e stabilire le condizioni entro cui vivere i suoi rapporti. Ci deve aver litigato di brutto, e non ha rinunciato a prendere il sole a tette nude.
Mi accorgo che più che altro ora ci unisce una sorta di cameratismo ‘maschile’, fatto di divertimento ma anche di rispetto della privacy. Ci sono però anche la disponibilità e l’attenzione femminili. Soprattutto non c’è quasi competizione.
Scherziamo su tutte le conoscenze che da quest’estate abbiamo in comune, anche ovviamente sul famoso Franco, soprattutto prendendo in giro le loro immaturità.
Più che altro è lei a insistere sui particolari più personali, senza però andare oltre limiti ben definiti.
Proprio quello che non c’è mai stato tra noi! Quanto vorrei sentirla vicina come un tempo! Io questa donna l’ho amata davvero... e ho un carattere molto più insicuro di quello che vorrei far credere, perché spesso mi capita di desiderare qualcuno con cui aprirmi totalmente e cui affidarmi, senza la minima paura di essere giudicata.
Ha la rara capacità di collegare tutti gli elementi di un discorso in maniera armoniosa, sorridendo spesso e aiutandosi con i gesti. Ed è sempre il suo sorriso, quello voluto dagli occhi e non dai muscoli delle guance.
Parla con naturalezza e proprietà di linguaggio, senza mai interrompersi o annoiare, sicura di sé, sempre e comunque. Scherzando, Michele le diceva che lei quando parla in italiano traduce dal friulano.
Mi era piaciuto da subito questo suo atteggiamento e spesso mi sono ripromessa di prendere esempio da lei, sotto questo e altri aspetti. Specialmente adesso, in un momento che potrebbe essere di spiacevole imbarazzo. Mi ritrovo quasi senza rendermene conto a guardarla, come giovane donna, non come amica del cuore cui si è sempre detto tutto, anche più del necessario.
Mi sforzo di guardarla con occhi nuovi, come la guarderebbe il suo ragazzo o una persona comune che la osserva passare per strada, non più come amica o come amante.
La sua nudità mi turba, anche se non si contano le occasioni in cui l’ho vista in slip e reggiseno, oppure nuda, oppure urlante sotto le mie leccate o sotto le bordate di Michele. È inutile, quando con una persona ci hai scopato, non può essere come è con gli altri.
Ascoltando i suoi racconti, un po’ vaghi forse volutamente, mi accomodo meglio sul divano e la guardo bene, cercando di esistere il meno possibile.
Ha un viso molto bello; lo sapevo, ma non avevo mai notato certi particolari, come gli zigomi alti che le regalano un’espressione sensuale e superba.
È nera, e gli occhi azzurri le illuminano un viso scurito dal sole come due pietre luminose.
Vedo le sue labbra regolari, ben più sottili delle mie; mentre parla registro l’immagine della sua dentatura perfetta, bianchissima.
Le spalle sono atletiche, ben proporzionate. Mi rendo conto che sto tardando a scendere, come se volessi tergiversare evitando il seno, come se qualcosa me lo impedisse.
Mi vergognerei come una ladra colta in flagrante se lei mi sorprendesse a guardarle le tette con quei capezzoli da sballo.
Si china appena, a raccogliere un salatino che le è caduto. Mi chiede finalmente come va con Michele.
Non vedevo l’ora, perché non vedo l’ora di raccontarle quanto siamo stati incapaci di accettare il suo abbandono. Le rispondo che va bene, benissimo, voglio stare sul vago anch’io.
Ridendo le racconto che una di queste ultime sere abbiamo fatto l’amore portando vicino al letto il video e il computer, facendo proiezione di diapositive proprio con le sue immagini, quelle scattate a lei da un suo ex di qualche anno fa, quando stavano assieme. Erano rimaste qui. Non le dico che quelle immagini ci erano servite anche a rendercela meno lontana. Lei mi ascolta, ma il suo seno è come una calamita. È sodo e compatto. Non so più quasi cosa le sto raccontando. Cosa mi sta succedendo? Tengo gli occhi incollati ai suoi, anche perché voglio che neppure lei li distolga dai miei. Sento infatti che i miei capezzoli si stanno indurendo, spingono contro il tessuto, mi sembra di sentirli con chiarezza.
So però che lei è furba e poi mi conosce troppo bene. Verso le sette e trenta facciamo una pausa, il pomeriggio è volato. Ci adagiamo di schiena sul divano, a occhi chiusi, abbandonate con la radio accesa e una caraffa di aranciata fresca a fianco.
Dev’essere caso mai lei a fare il primo passo, mi ripeto. E, da notare, il discorso Michele è stato appena accennato... in fin dei conti è ancora suo marito!
Da cosa dipendeva quella sottile, insinuante sensazione di ansia che mi bloccava il fiato e aumentava il battito cardiaco? Se ti prendono quelle emozioni è perché siamo in rotta di rapido avvicinamento.
Non ha difetti questa ragazza, i capezzoli non sono da soli ad attirare l’attenzione. Le cosce sono sode, appena separate, sembrano intagliate nel legno, il sertorio appena scolpito. Gli slip presentano un leggero rigonfiamento in prossimità del pube. Mi ritrovo a immaginarla completamente nuda, senza volerlo; quante volte l’ho vista e quanto vorrei rivederla! E ricordo il clitoride, pronunciato, esposto.
Quando si masturbava davanti ai nostri occhi si accarezzava più spesso il clitoride piuttosto che infilarsi le dita fino in fondo. Cara!
La mente vola, scatenata, ogni immagine ne suggerisce un’altra più audace, e poi un’altra ancora.
Ora sento i capezzoli davvero turgidi, premono contro il tessuto, non c’è verso di calmarmi, mi sento di nuovo accalorata, umida tra le cosce...
Le chiedo se, a parte il suo compagno in Calabria, ha avuto altri fidanzati, ma mi devo fare forza.
- Sì – mi risponde – qualcuno, ma niente d’impegnativo. Sai, non è che le storie si possano sostituire così come niente fosse. Sesso è una cosa facile, amore molto meno. C’è gente in giro davvero mediocre...
Riesco di nuovo a rientrare in me, ma non è facile scacciare i fantasmi quando ormai hanno sfondato le linee.
- E tu, sei sempre stata fedele a Michele?
- Sì, sempre – è la mia netta risposta. E avrei voluto aggiungere “e anche a te”.
Di colpo mi alzo, si è fatto tardi. Dico a Debra di continuare pure nel relax, che io faccio una doccia e poi preparo qualcosa da mangiare.
Lei annuisce, senza aprire gli occhi, abbandonata languidamente sul divano con chissà quali pensieri.
Entro in bagno, chiudo la porta; mi guardo allo specchio. Forse non è così eclatante ma decisamente l’agitazione traspare dai lineamenti del mio viso. I seni si sono induriti, i capezzoli spuntano fuori, turgidi, quasi dolenti. Li sfioro appena con le dita, vorrei calmarmi con il dolore e invece è un sottile piacere.
Le domande si seguono nella mente, ma le risposte sfuggono a ogni ordine. Mi guardo allo specchio, tentando di respirare fondo. Mi piaccio. Piacciono i miei capelli biondi e lucenti, il mio viso non acqua e sapone ma fresco, il mio fondoschiena. I miei seni sono ben delineati, non grandi ma ben proporzionati al mio aspetto generale, sportivo, dinamico e scattante.
Li sfioro più volte, ancora cercando dolore e ottenendo piacere, immaginando che le mani che vedo riflesse nello specchio siano... le sue, Debra che mi si avvicina, dietro le spalle, e lascia scivolare le braccia intorno a me, mi accarezza dolce e ferma. Mi abbasso il costume, piano, arrotolando il tessuto.
Quando la stoffa si stacca dall’incavo del pube in cui era leggermente sprofondata posso vedere una macchiolina umida. Sono inequivocabilmente bagnata, l’eccitazione delle grandi occasioni.
Mi sgancio gli orecchini, il mio indice sinistro scende quasi meccanicamente, sfiora le labbra, raccoglie una leggera bava biancastra. Ora sono nuda, pronta per mettermi sotto la doccia.
Il getto caldo non ha alcun effetto calmante. Lascio che l’acqua scorra su tutto il corpo, voglio «purificarmi» e ritornare «quella di prima».
In fondo prevale ancora il senso di timore e di vergogna per quello che le ho fatto a suo tempo.
Mi strofino con delicatezza, soffermandomi sui seni, indugiando sulla pancia, come se volessi rinnegare il mio stesso corpo, ripulirmi dalle prove tangibili delle sue reazioni improvvise, potenti, ma al contrario la stimolazione provoca un effetto dirompente, di sbalorditiva eccitazione.
A quel punto sento la voce di Debra che ha spalancato l’anta scorrevole della doccia.
– Ah... sei qui! - mi dice, con la massima spontaneità, come non l’avesse saputo; rimango di sasso, irrigidita a causa di quella intrusione, impreparata come sono; non credo abbia dimenticato come sono da nuda.
- Sai, sono cotta - continua, - troppo riposo oggi! mi faccio una bella doccia anch’io, poi.
Detto questo, si dirige verso il water.
I miei occhi restano incollati all’agilità di movimento delle sue gambe, lunghe, fino all’attaccatura di natiche messe ancor più in evidenza dal costume sottile che le è rientrato in parte nel solco.
Sfila gli slip, si siede sulla tazza. Ho chiuso la doccia e sento gorgogliare la pipì. I miei capezzoli, lavorati anche dall’acqua bollente, sono lunghi e duri come due bulloni: se ne sarà accorta?
Cerco di asciugarmi in fretta per uscire da questa situazione per me di grande imbarazzo.
Ad agosto era tutto diverso, ora posso dire di avere paura di Debra. Ho sofferto troppo del suo allontanamento, non potrei sopportare un bis in questa storia.
Esco dalla doccia, in parte ricomposta, mentre Debra completamente nuda prende il mio posto. Mi sorride, io la ricambio: mi sto sforzando di non buttarmi ai suoi piedi.
Mi dirigo verso lo specchio per sistemarmi e asciugarmi i capelli.
Davanti al water sono rimaste le mutandine del costume di Debra, abbandonate, invitanti.
Cerco di ignorarle, ma la tentazione è troppo forte, e io ormai sono molto indebolita da quella girandola improvvisa di emozioni.
Mi guardo intorno per controllare che non mi veda, ascoltando il getto d’acqua che scorre nella doccia: allora le prendo in mano furtivamente e le annuso.
Sono usate di un giorno, ma il lieve odore subito agisce da afrodisiaco per me. È sempre il suo odore e mi sento quasi svenire; mi stacco dall’indumento perché mi sa d’essere malata di perversione, ma non riesco a impedirmi di avvicinarmelo di nuovo al volto, mi scopro a strofinarmi contro il tessuto, «come una cagna», penso, inalando quel profumo così lieve ma potente da farmi piegare le gambe.
Poi di colpo capisco la gravità della situazione. Lascio cadere gli slip, prendo il phon e la spazzola e scappo via di corsa in camera, tesissima, infuriata contro me stessa, contro Debra, non so neppure per cosa.
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