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Festa di maturità


di bube
15.11.2024    |    17    |    0 6.0
"Le prendo quella mano, la tiro via, le succhio quelle dita, gocciolanti del miele acre del suo piacere; e ricomincio a leccare, ma adesso sono io che le..."

Bei tempi! La festa l'aveva organizzata Inge, la nostra simpaticissima capoclasse 'ad honorem'; l'avevamo nominata noi così, perché in realtà, pur essendo una ragazza intelligente, non aveva nessuna voglia di studiare, e si era diplomata col minimo dei voti. Le volevamo bene tutti e tutte, perché era generosa, allegra, e perché si innamorava e si concedeva senza preferenze ai ragazzi come alle ragazze. La festa l'aveva preparata al suo 'casotto rustico', come lo definiva lei: un grande chalet, posto in una deliziosa conca di montagna che d'estate era frequentata dalle mandrie in alpeggio, al confine fra il Trentino e l'Alto Adige. L'invito imponeva a tutti di passare lassù almeno la notte della festa, e per chi volesse anche un paio di giorni dopo.

Non sto a raccontare della festa, perfetta bolgia di allegria e d'amore: Inge aveva fatto sparire dallo chalet ogni oggetto fragile, ben sapendo come andava a finire la faccenda quando tutti saremmo stati fin troppo allegri: il vino dell'Alto Adige non finiva mai, e lei era stata ben attenta a controllare chi non era capace di contenersi.

La musica, anche se molti protestavano, era più adatta ai balli lenti: lei aveva premesso che non avrebbe fatto diventare lo chalet una discoteca, e alla fine tutti ci eravamo adattati volentieri. Ogni tanto una coppia spariva al piano di sopra, alcuni si erano addirittura imboscati nel fienile, ma tutto sommato eravamo tutti soddisfatti.
Era mattino, e le cime dei monti intorno erano già toccate dal sole, quando quasi tutti se n'erano andati a dormire. Inge, dopo una rapida riassettata, era venuta a invitarmi a ballare con lei; c'erano anche altre due ragazze impegnate in un molto tenero lento. Io ero un po' brilla, non solo per il vino, ma perché qualcuno mi aveva quasi costretta a tirare un po' da una canna, e Inge, conoscendomi bene, mi stava amorevolmente sgridando.
"Ma dai Inge," protestavo; "una volta tanto, no? Che sarà mai una canna?"
"Una canna è quasi niente, d'accordo; ma chi te l'ha offerta, non sai dopo dove vorrà ancora spingerti."
"Va bene mammina, non lo farò più."
"Dai, sfottimi anche anziché ringraziarmi."
"Ma insomma, una trasgressione ogni tanto, no?"
"Se davvero la vuoi una trasgressione, te ne propongo una molto piacevole che per di più non porta nessun danno alla salute."
"Ma non esiste!"
"Esiste sì, non crea assuefazione e non ha effetti negativi."
E mentre balliamo sempre più lente, sempre più abbracciate, ecco le sue mani che scendono a palparmi le natiche tenendomi stretta a sé, facendomi sentire il contatto del pube che descrive piccole rotazioni lente: e poi ecco la sua bocca che dopo avermi sussurrato le ultime parole si è spinta a baciarmi il collo, proprio lì dove mi vengono certi brividi.
"Inge, smettila… Inge cosa fai, non voglio…"
Ma sono parole appena sussurrate, non faccio nulla per impedirle di continuare, e quando sento la sua bocca sulla mia rispondo al bacio senza esitare, anzi golosamente: è tutta la sera che desidero almeno un bacio; sì che io non sono da buttar via, ma i maschi nella nostra classe sono una minoranza, e tutti già marcati stretti.

Intanto Inge si è fermata. Tenendomi per una mano si stacca; mi sorride; "ti faccio assaggiare qualcosa che forse non hai mai provato. Vieni con me."
Si avvia su per le scale, fino a un uscio chiuso a chiave; lo apre, c'è una scaletta ripida che porta al sottotetto. E io la seguo sempre tenuta per mano, col cuore in subbuglio ma senza la forza di rifiutarmi. C'é una porticina, e dietro questa una stanzetta che pare quella di Heidi: una scatola di legno con un abbaino che guarda ai monti, e un grande saccone che copre quasi tutto il pavimento.
Inge tira il chiavistello.
Sorridendo, senza una parola, mi abbassa la lampo del vestito che scivola giù.
Mi sgancia il reggiseno e me lo sfila via.
Sono rimasta con indosso solo le mutandine.
Lei si spoglia tutta con pochi veloci movimenti e mi spinge a sdraiarmi sul saccone, che è imbottito di foglie secche di granturco.
Non ho mai dormito su un materasso simile, è morbido, elastico, frusciante e profumato.
"Inge ti prego io non…" Mi chiude la bocca con un bacio, poi mi bacia nel collo, mi morde appena un lobo e mi sussurra: "non pensare a nulla. Lasciati andare, lasciati fare… Voglio solo amarti. E togliti le mutandine." Siccome resto ferma, si dà da fare e me le sfila lei.

E poi è come una tempesta, che si annuncia prima con un vento leggero, che presto si rinforza, dopo ecco le gocce di pioggia, ecco il rumore dei tuoni, ecco la paura ma anche la sensazione di essere al sicuro, protetta, calda.
Ci baciamo a lungo; non ho mai baciato così una femmina, e mi rendo conto di quanto sia piacevole, tenero, eccitante.
Poi lei stacca la bocca dalla mia e scende a baciarmi un'ascella. Vorrei dirle no, cosa fai, forse ho sudato, forse… E invece mi abbandono a quei baci che diventano sempre più intimi, eccitanti: perché adesso mi sta succhiando un capezzolo mentre stuzzica l'altro con le dita.
Non so come ha fatto ma adesso abbiamo incrociato le gambe, e lei si dimena lentamente strofinando la 'sua' con la 'mia': non ho nemmeno il coraggio di pensarle, le parole che descrivono quel che mi sta capitando; ma è lei che rompe il tabù: "hai la fica calda e bagnata, amore… Sto per venire, sto per godere, strofinati anche tu… Oh che bello amore mio, sì sì sìììì!"
Guizza contro di me, si dimena ansimando, mi lecca il collo, mi stringe spasmodica una natica, e sì, mi fa godere! Si sta spalancando una finestra su un panorama appena immaginato, mai provato; fino a un minuto fa provavo sì eccitazione, ma anche vergogna, addirittura paura delle sensazioni nuove, incredibili, che Inge mi stimolava. L'amore con un ragazzo l'avevo già fatto; certo, piacevole, eccitante; ma per niente paragonabile a questo: un misto di paura, vergogna, ma soprattutto desiderio, piacere animalesco, senza pensieri ma solo la voglia di provarlo ancora, e la meraviglia che questo paradiso di goduria fosse nascosto in me, e che una ragazza come me fosse stata capace di farmelo scoprire.

Ci rilassiamo un momento, mentre lentamente il respiro mi torna normale; Inge mi tiene un braccio dietro le spalle, io le poso la testa sul seno e ogni tanto giro il viso e le faccio un bacino, una timida leccatina, su un capezzolo. Lei ride: "tutto lì quel che sei capace di fare?"
"Ma Inge!... Io non avevo mai…"
"Ora però sì. Sai cosa vorrei da te adesso?"
"No, cosa?"
"Vorrei che mi baciassi la fica, che me la leccassi, che mi facessi godere con la tua bella bocca morbida."
Mi sento arrossire tutta, mi viene addirittura la pelle d'oca. "Inge, io… Come faccio, non sono capace!"
"Sei capacissima invece. Tu ti carezzi da sola, no?"
"Beh, sì, ma..."
"Quindi lo sai benissimo dove e come stuzzicare il tuo piacere." Mi tappa la bocca perché sto tentando di protestare. "Coraggio angioletto… Fammelo, lo desidero tanto, voglio sentire la tua bocca, la tua lingua… Ma non lo senti che voglia ne ho?" E mi prende una mano, se la porta fra le cosce, dove avverto tutto il calore bagnato del suo piacere e del suo desiderio.
Non mi lascio pregare ancora: ma sì, mi dico, perché no? Un bacio è un bacio, glie ne ho dati tanti perché mi piaceva ma soprattutto perché sentivo che piaceva molto anche a lei; e così, fiato sospeso e rossore che sento, scivolo giù, fermandomi solo ogni tanto a succhiarle i capezzoli, a leccarle le ascelle, a morderle dolcemente i fianchi mentre godo a sentirla tremare, sussultare, mugolare di voglia.
Poi ecco la sua fica: lei apre le gambe e le solleva; è tutta aperta per me; la sua fica gocciola ed emette quell'odore intimo così eccitante, che conosco in me, e che in lei è molto più intenso. Un ultimo pensiero razionale mi attraversa la mente: e se mi viene la nausea? E se, e se: coraggio!
Poi poso la bocca alla sommità del suo eccitante nido. Allungo timidamente la lingua. E scopro che quel sapore mi piace, mi eccita, e che dare piacere può essere altrettanto godurioso che riceverlo.
Inge ora si sta dimenando mollemente, geme, si inarca; una specie di miagolio represso ad ognuna delle mie leccate, dapprima timide poi sempre più, come dire?, convinte. E assaporo il piacere riflesso di dare piacere, il godimento nel sentire quanta e quale sensazione si riesce a provocare con un bacio.
Lei sussultando si infila due dita nella fica. Le prendo quella mano, la tiro via, le succhio quelle dita, gocciolanti del miele acre del suo piacere; e ricomincio a leccare, ma adesso sono io che le infilo le dita dentro la vagina calda, febbricitante, bagnata e gocciolante.
Poi lei con un lungo gemito solleva il bacino. Poso la bocca alla sommità della sua vagina, succhio voracemente il clitoride, e Inge gode, gode, gode.
Poi si rilassa appena, ansimando.
La frugo lentamente; addirittura, non me ne sarei sentita capace, ma mi diverto a infilarle un dito nel buchino del culo, che è madido del liquore colato giù un momento fa. Inge sospira. Senza togliere il dito, salgo da lei, la bacio in bocca, poi le sussurro: "ti piace così, porcellina?"
Ride appena. "Porcellina io? E tu allora?"
"Come te. Almeno credo."
"Oh sì, eccome! Sono felice, sai amore? Non speravo tanto, invece…"
"Ma io non sono lesbica, non ti illudere!"
"Certo, lo so: è lì il bello, capisci?"
Non so come ribattere, la bacio ancora, ed è un bacio lungo, succoso, tenero, mentre le nostre mani scivolano, palpano, si insinuano dovunque.
Chissà se lo rifaremo ancora, mi chiedo; chissà se mi piacerà ancora, o addirittura se mi piacerà farlo con un'altra ragazza? Per esempio la barista del caffè sotto casa; lei che mi saluta sempre con quella risatina e facendomi l'occhietto, che io non ho mai capito davvero?
O la commessa di Zara che mi sta sempre accanto, soprattutto se mi provo dei leggins o delle magliette attillate.
O la zia Agnese, che mi saluta sempre con un tenero sculaccione, e che talvolta si attarda con la mano sul mio sedere.
Oppure l'amica del nuoto, sempre nella stessa corsia della piscina, e sempre insieme a me a farci la doccia dopo la nuotata.
Povera me, si sta spalancando un mondo nuovo!
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