lesbo
Il castelletto
di bube
10.09.2022 |
6.011 |
4
"Lei trema, sussulta, si inarca..."
Io e Giulia siamo amiche 'di ferro' da sempre: siamo nate quasi nello stesso giorno, le nostre mamme sono cugine e hanno sempre abitato vicine di casa, così siamo cresciute insieme come sorelle gemelle.Nella prima adolescenza Giulia ha deciso di essere lesbica e non ha più cambiato idea, ma questo non ha modificato di niente la nostra amicizia. Lei ha le sue storie, che di solito finiscono nel giro di un paio di mesi con scenate tremende, accuse, urla, pianti e minacce di suicidio; per fortuna solo minacce, perché poi il nostro affetto prevale sui dispiaceri e sulle diverse tendenze sessuali; poi, tempo qualche settimana e la storia ricomincia.
Quest'estate abbiamo organizzato io e lei sole una gita particolare: per le nostre mamme andavamo in campeggio, in realtà l'avrei portata a visitare il castelletto: così si chiama una vecchissima proprietà di mamma, un quasi rudere di un palazzetto nobiliare appartenuto non ricordo più a quale bisnonno e lasciato andare lentamente in rovina. Però suggestivo, più volte da bambina mi ero divertita a esplorare le stanze, quasi tutte vuote o con rottami di mobili; e mi inventavo favole, storie terribili a lieto fine. Ne avevo parlato spesso a Giulia, e finalmente era venuta l'occasione buona: autorizzate per la prima volta a una vacanza campeggio noi due sole, il mondo ci sembrava tutto nostro a diciotto anni.
Arrivammo al castelletto; mi ero portata una vecchia chiave che sapevo poteva aprire una porta secondaria, e dopo un po' di sforzi ci riuscimmo. Mi preoccupai di richiudere, poi feci fare il giro delle stanze: alcune suggestive, come il salotto con un camino enorme, la cucina nel seminterrato con ancora qualche tegame e casseruola di coccio, e infine , al primo piano, l'unica camera da letto con ancora un lettone con tanto di baldacchino; il quale era ridotto a stracci, e il materasso tutto fossetti: ma avevamo deciso di dormirci.
L'acqua arrivava in cucina tramite una pompa a leva: era acqua freschissima e buona da bere, il pozzo era interno alla casa e niente l'aveva mai inquinato.
Poi le feci vedere le soffitte. Per arrivarci una volta c'era una comoda scala di legno, che però era stata portata via per altri usi, e al suo posto c'era solo una scala a pioli. Cominciai a salire e a metà quasi cadevo, perché quella stupida di Giulia mi aveva infilato una mano fra le gambe a farmi il solletico.
La insultai, le dissi : "leva 'sta mano sporcacciona", ma lei niente, rideva e diceva: "ma lo sai che hai davvero un bel culo anche visto da sotto?"
Lo sapevo che lei scherzava, ma continuava a tenere la mano là e non potevo far altro che sbuffare simulando noia, per non darle soddisfazione. Finalmente la tolse, e potei completare la scalata per poi aiutare lei a salire.
Le soffitte erano più locali comunicanti, qualcuno con ancora degli armadietti sgangherati e dei pagliericci posati sul pavimento di legno; le spiegai che una volta lì dormivano le donne di servizio,ai tempi in cui ricevevano solo vitto e alloggio, più una piccola mancia a Natale, in cambio del loro lavoro.
Tornammo poi di sotto, nella camera del baldacchino, per mangiare i panini che c'eravamo portati da casa.
E poi mi appisolai, nonostante le buche nel materasso. Feci uno strano sogno, qualcuno mi faceva il solletico ma non era fastidioso, anzi! E quando smetteva io dicevo ancora ancora fammelo ancora...
Poco per volta uscii dal sogno, ma non era solo una fantasia: Giulia mi stava carezzando lieve fra le cosce con una mano, e con l'altra mi aveva sbottonato la camicia e mi solleticava il seno; io non porto reggiseno, solo una canottiera, ma lei l'aveva sollevata e mi stuzzicava i capezzoli...
Mi resi conto della realtà; per un lungo momento non riuscii a fare nulla, poi mi girai e le diedi un violento ceffone.
Tolse le mani; mi guardò sbigottita, poi si mise a piangere balbettando:
" Scusa scusami hai ragione, non so cosa mi ha preso... " Mi fece tanta pena che la abbracciai per consolarla.
"Scusami tu, " le dicevo fra un bacino e l'altro, "sono stata una cafona, in fondo erano solo carezze, no?"
Annuiva singhiozzando, poi riuscì a smettere e mi disse:
"Devi perdonarmi se puoi... lo sai come sono io... No, sta' zitta se no non riesco... il guaio è che io sono innamorata di te, da sempre capisci; e ora che sei diventata una ragazza bellissima e piena di fascino, non faccio altro che sognare di far l'amore con te!"
"Ma Giugiu " (la chiamavo così da bambina)," lo sai che io non sono... ti voglio tantissimo bene anch'io, ma non riesco, no potrei mai, sai..."
"Ma perchè?" Insisteva lei; "perché no, sono solo baci e carezze! Non solo, io sento che ti piacerebbero, che è solo un pregiudizio il tuo rifiuto..."
Poco per volta poi si calmò.
"Senti, mi disse allora, facciamo così: io farò di tutto per convincere mamma a cambiare casa...
"Non lo farà mai, lei e la mia sono troppo legate."
" E allora... farò in modo da iscrivermi a un'università lontana, così dovrò per forza trasferirmi."
"Ma no, Giugiu, cosa dici! Io non voglio che ci separiamo! "
"E come vuoi che possa vivere io? Ora che lo sai, e tutte le volte che mi vedrai piangere... E non potremo più dormire assieme come abbiamo fatto tante volte... No, guarda, sarà la cosa migliore; e ti dico di più, faremmo bene a tornarcene subito a casa, inventiamo una balla qualsiasi."
Era talmente abbattuta, occhi gonfi e lacrime che ogni tanto tornavano a scorrere, che mi fece tenerezza e pena; la abbracciai stretta, basta adesso le sussurravo, troveremo il modo, ma adesso basta piangere; ti faccio un bacio d'amore se la smetti!
Il bacio d'amore era un gioco che facevamo da bambine: copiavamo gli attori dei film, avevamo capito come si faceva, e ci baciavamo proprio con la lingua. Mi guardò a occhi spalancati:
"Stai dicendo davvero? "
"Ma certo, Giugiu."
" E non te ne pentirai? Non te la prenderai con me? Non ti farò schifo?"
"Ma piantala, stupida! Tu non mi farai mai schifo, qualunque cosa accada!"
E la baciai sulla bocca. Fu proprio un bacio d'amore, ma non un gioco di bambine: mi venero in mente i pochi baci scambiati con qualche ragazzo, e mi resi conto che era lo stesso, anzi meglio, perché i ragazzi avevano sempre l'alito che sapeva di fumo o peggio; la bocca di Giulia invece era profumata, calda, morbida, e non riuscivo quasi a smettere. Poi ci guardammo sorridendo.
"Però, " dissi sottovoce sentendomi arrossire; "sai che forse hai ragione? E' meglio baciare te che non un ragazzo! Eppure mica sono lesbica..." Accostai lentamente la bocca alla sua e ci baciammo ancora. Poi uno spiritello malefico mi fece dire:
"Se ti fa piacere puoi anche carezzarmi il seno come facevi prima. "
Mi sentii arrossire. Lei restò un momento interdetta, poi finì di sbottonarmi la camicia, la sfilò dalla gonna me la tolse. Poi sorridendomi in silenzio, mi sfilò la canottiera.
Io non porto reggiseno, mi dà fastidio: ho due tettine piccole ma sode, non ne ho nessun bisogno.
Chiusi gli occhi arrossendo, forse ero andata troppo oltre con la consolazione... Quando sentii le sue dita lievi solleticarmi un seno, e la sua bocca impadronirsi dell'altro capezzolo, mi prese una vampata di calore e respirando veloce mi abbandonai alle sue carezze a ai suoi baci; che erano deliziosi, che mi procuravano brividi di piacere mai provati e mai immaginati, e improvvisamente credetti di capire le lesbiche: l'intesa, la complicità, nessun pericolo, libertà di sesso senza limiti...
Con le mani tremanti cercai di sfilarle la maglia, lei si tirò a sedere e in un attimo era seminuda: via la maglia, via la canottiera, via la gonna, aveva indosso solo una mutandina molto sexy, ridotta, sgambata, che dietro ( questo lo scoprii dopo) si perdeva in un filo fra le natiche. Non contenta, mi strappò quasi di dosso la gonna; ora eravamo ambedue praticamente nude...
"Lasciati andare amore," mi sussurrò fra un bacio e l'altro; "lasciati andare,non pensare a nulla, pensa solo che ti amo..."
I baci si facevano più intensi: erano leccate veloci sui capezzoli, erano succhiotti, e mi sentivo strana, molle, tenera... Non pensavo ad altro che a quei baci, la mia mente era solo lì; e i baci ora correvano in basso, si fermavano sul tenero dei fianchi, poi sull'ombelico, poi giù giù giù....
Trattenni il fiato quando sentii una sua mano infilarsi nello slip e cercare il mio centro del piacere, carezzarlo, stuzzicarlo. E poi fui nuda del tutto, mi aveva tolto anche l'ultima esigua protezione. Il resto fu di nuovo come un sogno: la paura di essermi sporta troppo su un baratro, il calore, le sue dita che trovavano infallibili il centro del piacere; e finalmente come una discesa precipitosa, e il piacere che mi travolgeva in scosse, tremiti, vampate di sensazioni mai provate prima...
Finalmente ho il coraggio di aprire gli occhi: Giulia è qui accanto, sdraiata su un fianco, poggiata su un gomito; mi guarda e sorride.
"E' stato bello? " Mi chiede poi sottovoce. Arrossisco, chiudo gli occhi, faccio cenno di sì più volte.
"E... lo rifaresti, con me? " Domanda a voce bassa. Arrossisco di nuovo,chiudo gli occhi, nascondo il viso nel suo grembo. Mi carezza lentamente i capelli, il collo, la schiena. Rabbrividisco quando le sue dita, le sue unghie, mi solleticano lievi le reni, e poi scendono leggere sulle natiche, scivolano nelle pieghe. Mi giro di colpo, la guardo come per sfidarla. Anche lei è nuda. Mi sorride.
"Mi piacerebbe che mi carezzassi tu, mi dice tranquilla.
"Ma cosa dici! Io no... Non sarei capace...
"Perché no? Tu te le fai, quelle carezze, no? Devi solo farle a me; mi piacerebbe tanto, ma tanto, sai?
Si distende lentamente, guardandomi con un lieve sorriso; solleva una gamba e la scosta dall'altra, mi mostra la sua vulva nuda, liscia, levigata.
"Non c'è niente di male, sai? Siamo uguali, io e te; siamo fatte allo stesso modo; quello che piace a te piace anche a me, e in più ci vogliamo bene... Ti prego Ciccina, ti prego...
Mi accosto a lei, fino a toccarla; anch'io mi sollevo su un fianco; guardo il suo seno, piccolo, tenerissimo, di bimba viziosa... Guardo più giù, mi pare quasi che la sua vulva palpiti lievemente... Perché no, mi dico, siamo fatte uguali, ci piacciono le stesse cose, le stesse carezze...
La bacio sulla bocca, lentamente, teneramente; mi fa sentire la sua lingua, giochiamo con le lingue; mi eccita questo gioco, ho voglia di più; e mi stacco dalla sua bocca per posarla sul suo seno: le lecco lentamente un capezzolo, poi l'altro; glielo succhio e lei geme, i capezzoli le sono diventati duri, irti; la sto eccitando, penso, e l'idea mi da' un senso di potere. Così non ho più remore, cerco con la mano la sua fica, la palpo, la seguo nelle sue tenere pieghe, insinuo le dita...
E' tutta bagnata: addirittura le cola lungo la fica fino al buchino dell'ano, poi si perde sul vecchio materasso...E mi viene voglia di baciargliela, di leccarla, di sentire il sapore del suo piacere. Grida e sussulta mentre glielo faccio: ha un sapore acre, forte, eccitante, lecco e ingoio, bacio e lecco; ecco, il clitoride fa capolino dal suo nido di pelle tenera, glielo riempio di saliva e lo succhio dolcemente, ma non mi basta, la masturbo con due dita infilate nella vagina...
Lei trema, sussulta, si inarca. Sta per godere credo, forse si trattiene, vorrà prolungare il piacere; e senza pensarci mi viene un'idea malandrina: il pollice nella vagina e il medio nel culetto, che è madido del suo succo e rende facile la penetrazione...
Si scatena la sua tempesta ormonale: gode, grida, trema, guizza col bacino su e giù ma non la mollo, sono in lei con le dita a tenaglia e le succhio il clitoride mentre muovo le dita... Un grido, un lungo gemito, e dopo un ultimo guizzo crolla sfinita. Occhi chiusi, ansima; ogni tanto un brivido... Sfilo lentamente le dita, lei mugola qualcosa. Salgo fino a lei e unisco la bocca alla sua in un bacio lento, lungo, tenerissimo...
Alla fine ci stacchiamo, mi sorride.
"Sei mia adesso," le dico sottovoce; lei fa cenno di sì, e lo ripete a me:
"E tu sei mia..."
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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