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Gay & Bisex

Scoprire il piacere


di Alvertn
25.07.2013    |    12.299    |    1 9.3
"Si, a ripensarci il latino lo insegnavano sia alle scuole tedesche che a quelle olandesi, strano davvero..."
Sono solo
Sdraiato nel letto, con il solo lenzuolo che mi copre, nudo per il caldo, la finestra spalancata ed una leggera brezza rinfresca il locale.
Svegliato da poco, le braccia incrociate sopra la testa e le mani sotto la stessa poggiate al cuscino.
Pensieri che corrono nella mente, in questa fase di risveglio, pensieri che non avevo più ripreso, attimi di vita, momenti che segnano il tuo percorso.
Vago in essi e mi riaffiora un ricordo, un ricordo di tanto tempo fa, si ero un ragazzetto, poco più di bambino a ripensarci oggi.
Si dice che per ricordarsi i sogni o i pensieri si debba o scriverli subito o narrarseli in modo da memorizzarli.
Provo a ripercorrere quei giorni, a raccontarvi …
Era estate, finite le scuole e con tutta la famiglia, il babbo ci portava al mare.
Erano alcuni anni che andavamo in una zona tranquilla, una distesa di campi, una grande stalla con mucche e cavalli, la casa dei contadini e allevatori, poi immerse nel pioppeto vi erano alcune casetta per i villeggianti, poche, 3-4, piccole casette.
Oltre a noi vi erano 3 famiglie di tedeschi, germanici o austriaci non ricordo, ed una olandese.
Tutti avevano figli, chi uno chi due chi più.
Ovvio che fra noi ragazzotti si facesse comunella e si giocasse tutti assieme.
La lingua con cui si comunicava oltre ai gesti ed alle poche parole che reciprocamente ci eravamo insegnati, era il latino che si studiava a scuola. Latino scolastico e pieno di errori che noi facevamo, ma ci si capiva egualmente.
Si, a ripensarci il latino lo insegnavano sia alle scuole tedesche che a quelle olandesi, strano davvero.
Ritorniamo a noi. La mattina passava sempre i carretto tirato da un cavallo che caricava le cose per la spiaggia, distante 7-800 metri dalle case, e spesso caricava anche noi e su questo carretto in legno giocavamo facendoci portare dal cavallino.
Arrivati scaricavamo e ci si piazzavo nella spiaggia, ombrelloni ecc.
La pineta correva alle spalle della duna sabbiosa, con pini marittimi dai grandi ombrelli di chiome che, alla loro ombra, ci potevamo rinfrescare e scappare dal sole troppo caldo.
Si usciva di casa al mattino e si rientrava solo alla sera, quando ripassava il carretto a riprendere le varie cose.
Non sempre perché a volte si rientrava a piedi per stare al fresco della casa o mangiare qualcosa di sostanzioso.
Una mattina, con il sole alto in cielo ed io in ritardo sul passaggio per il mare, sento un rumore strano, un motore e seguendo l’udito osservo in direzione di quel frastuono. In fondo alla retta vicino al casolare dei contadini appare una figura strana, una sagoma nera ma non riesco a mettere a fuoco.
E’ ferma al casolare, la curiosità mi spinge ad andare a vedere. Mi avvio lungo la strada sterrata, passi tranquilli, mica voglio che capiscano che vado a curiosare. Quando sono circa a metà percorso riesco a mettere a fuoco o meglio a capire: è una persona con una moto ed il sidecar affianco il siluro come si diceva una volta. Era davvero difficile capirlo da lontano, e la curiosità di vedere quel mezzo mi fece arrivare al casolare.
Il mezzo era una vecchia moto guzzi proprio quelle post guerra con il siluro affianco carico di bagagli.
Curioso girandoci intorno a circa mezzo metro per non invadere uno spazio teorico di competenza del mezzo.
Da dietro le mie spalle, che davano al casolare, la voce del contadino e di questo signore, con accento strano, che mi salutavano. Subito girato, saluto molto educatamente.
In pantaloncini corti e girocollo di cotone dovevo essere qualcosa di strano.
Il contadino parlava con il signore e gli stava dicendo che poteva piazzarsi nel piazzale dietro il grosso covone di paglia.
La moto si riaccese e si spostò dove era stato indicato. Curioso tergiversavo per capire che succedeva, forse marcavo il territorio.
Il signore, credo che avesse 38-40 anni più o meno, incominciò a scaricare i bagagli, ed appoggiarli a terra. Da un grande sacco fece uscire un rotolo di tessuto color carta da zucchero.
Lo svolse a terra, posizionò alcuni punti e fisso con dei “chiodi” il tessuto al terreno. Poi prese una pompa da bici, non quello piccole da trasporto ma quelle con il tubo verticale e l’asta da terra. Inizio a pompare con un tubo lungo e man mano che pompava si alzava il tessuto. Poi ripetè l’operazione sul lato e si alzò. Era una tenda, una delle prime che vedevo, ma questa era una casetta con la paletteria in tubolare, quindi solo gonfiandola prendeva la forma.
Poi montò una piccola canadese a fianco.
Preparò la tenda e depositò le cose nella canadese.
Finita l’operazione, essendo li che gironzolavo, mi venne incontro e si presentò. “Ciao sono George, sono inglese ma vivo in Italia da tanto” il tutto con accento strano.
Ricambia la presentazione. Mi raccontò un po di storie varie e io lo ascoltai perdendomi nei suoi racconti.
Era passato troppo tempo e decisi di salutare e rientrare, poi al mare.
La sera dopo cena si era fuori a giocare, a rincorrere le lucciole o a guardare il mare.
Mentre si giocava, lungo la strada arrivò lui, George, salutò tutti e prosegui verso la spiaggia. In alcun andammo in spiaggia e con lui vicino ci raccontava delle piante, degli animali del bosco.
Si rientrò tutti insieme e a dormire.
Nel primo pomeriggio se ricordo bene io, decisi di ritornare alla casa, lasciando tutti alla spiaggia, normale andare da soli, non vi è nessun pericolo.
A casa mangio qualcosa poi decido di andare da George, chissà che altre storie interessanti mi racconterà pensai, e mi avvia senza rivestirmi, in costumino da bagno.
Arrivai, ma nel piazzale vi era la moto e le tende chiuse. Penso che sia in giro, mi fermo un attimo e decido di tornare indietro. Pochi passi ho fatto quando sento la cerniera della tenda scorrere, il rumore sottile del tessuto che si sposta, lui che mi chiamo con voce sottile, da gentleman.
Mi giro e torno sui miei passi. Lo saluto dico che passavo per caso e ne ho approfittato per vedere se c’era e salutarlo.
Sorridendo mi chiese so volevo qualcosa da bere o mangiare. Mi offri delle pesche sciroppate, uscite da una scatola che apri davanti me, dolcissime e fresche.
Mi stava raccontando storie diverse, di piaceri e fatiche. Il sole picchiava e decise di andare all’ombra della tenda.
Per terra aveva dei materassini ad aria gonfiabili, e pur togliendo i sandali e sedendomi a gambe incrociate, restare in posizione era difficile. Al minimo movimento si barcollava. Dapprima si distese lui. Ricordo un bermuda beige con maglietta in tinta, nulla sotto (la maglietta).
Poi vedendomi in difficoltà di equilibrio mi propose di distendermi. Felice di abbandonare quella posizione scomoda mi distesi, ero al suo fianco a 10-20 cm da lui. George proseguì con i suoi racconti. Mentre parlava giocava con il mio braccio, prendeva la mano, ed io un po’ giocavo con lui.
Sedutosi al mio fianco, continuando a raccontare dell’amicizia e dell’amore, mi accarezzava piacevolmente il corpo, ed io disteso ascoltavo gradendo l’attenzione.
Mi chiese se giocavo con il pisellino, ed io sorpreso dalla domanda, risposi subito no. Sorridendo mi disse che mi avrebbe fatto un bel gioco, attese risposta da me che annuii con la testa e piano con delicatamente mi sfila il costume e lo pone di lato.
Mi osserva, sorride, mi dice che sono bello, ben fatto. Le carezze proseguono come prima, poi si soffermano sul mio sesso. Dice che se mi dessero fastidio le carezze di dirglielo subito.
Subito dopo palpeggia le palle impugna il cazzetto e mi inizia a masturbare, ma è moscio.
Io stranamente immobile rilassato fermo.
George si abbassa, lo prende in bocca e lo succhia menandolo. Per me uno scoppio di sensazione, il cazzo cresce e diventa duro in un attimo, piano lo scappella e la lecca delicatamente, poi riprende a masturbarmi e ogni tanto a succhiare.
Infine si posiziona fra le mie gambe che tiene divaricate e piegate, abbassa il viso sul cazzo succhia dolcemente e masturba.
E’ la prima volta che mi succede, sono stordito, perplesso, non capisco che succede e resto immobile, ma mi piace e sento sensazioni nuove mai provate.
E alla fine vengo sospirando con caldi getti che avidamente beve, si stacca e pulisce e risucchia la cappella sino all’ultima goccia, non deve lasciare traccia.
Si solleva e sorridendomi mi di che il liquido bianco (non credo sapesse che in italiano si dice sborra) è buono.
Faccio per alzarmi e mi dice di aspettare che il pisellino torni giù, altrimenti si noterebbe subito e di non dire nulla a nessuno altrimenti non si sarebbe potuto ripetere.
Aveva capito benissimo che mi era piaciuto un sacco e che probabilmente sarei tornato.
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