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Gay & Bisex

La rimpatriata (1° parte)


di crigio
28.08.2013    |    8.544    |    1 9.5
"Un terremoto scuote il mio corpo: la testa mi gira come quando c’è un sisma..."
Navigo svogliato in internet, ripensando al brutto tiro che quei quattro mi hanno tirato: chissà che intenzioni hanno con quei video, soprattutto Andrea. Quel ragazzo diventa più folle e pericoloso ogni giorno che passa. È imprevedibile!
Leggo le e-mail e do un’occhiata alla community gay che frequento per verificare la presenza di eventuali messaggi. Poi, in modo meccanico e quasi senza accorgermene, apro la chat. Scorro le cam accese, ma nessuna sembra attirare la mia attenzione.
D’improvviso, il video mi offre l’immagine di un ragazzo di carnagione e pelo chiari, con i pettorali definiti, che, dopo pochi secondi, da seduto che era si leva in piedi mostrando un pacco niente male sotto uno slip strettissimo, forse proprio per il suo contenuto, che pare premere per uscire fuori. Il tipo sembra alto e sul fianco destro noto quello che dalla distanza tra la cam e il suo corpo appare come una piccola voglia.
Poi il ragazzo si avvicina all’obiettivo afferrandosi il pacco con fare provocante e mi accorgo che non si tratta di una voglia, ma di un tatuaggio: due cuori incrociati? No, no, un momento! Ah, ecco: una farfallina!

Una farfallina??!!

Dove ho già visto una farfallina in quella stessa posizione??

Ma certo! Enrico! Il gigantone della squadra di calcio a 5 conosciuto sulla nave! No, non può essere quel timidone!
Certo che, però, la cam disinibisce molto, soprattutto se fai vedere solo le tue parti migliori, tenendo nascosto il volto.
Quasi quasi provo…
Mi decido: accendo la mia cam, apro la chat privata e lo saluto: “Ciao”, scrivo nella finestra.
Vedo che lui si china sulla tastiera, probabilmente scorre l’elenco degli users per cercarmi e vedermi in video prima di rispondermi. Quindi, nella finestra compare anche il suo “Ciao”.
“Ma sei Enrico?”, oso.
“No”. Pausa. “Ma tu chi sei?”. Ho la conferma: è Enrico. Non avrebbe fatto questa domanda se mi fossi sbagliato. E allora mi faccio riconoscere: “Sono Giò. Ci siamo conosciuti in crociera un paio di settimane fa, ricordi?”.
“Sì, certo! Come no! Come stai?”.
“Bene, grazie! E vedo che anche tu sei in gran forma!”.
“Grazie. Mi tengo in allenamento”.
“Vedo, vedo. E gli altri come stanno? Pino?”.
“Tutti bene. Pino sembra più felice di prima. Sai, si è mollato con Sandro e adesso sta con un tedesco”.
“Oh, mi dispiace. Sandro era carino”.
“Beh, non l’ha presa così male e poi comunque sono rimasti amici”.
“E che fai di bello qua?”, gli chiedo.
“Eh eh! Che vuoi che faccia? Cerco un po’ di divertimento! Sai, con te posso parlare chiaro: con quello che mi ritrovo tra le gambe non è facile trovare qualcuno che mi soddisfi appieno. Gli ultimi che ci sono riusciti siete stati tu e Pino…”.
“Posso capire che è un problema”, lo sfotto.
“E poi Pino, da quando sta con questo nuovo ragazzo non si offre a me più tanto spesso…”.
Avendo conosciuto il biondino la cosa mi puzza: a quella puttanella piacciono i cazzi belli grossi! Questo vuol dire solo una cosa: che il tedesco con cui sta adesso deve avere una dotazione non indifferente.
“Beh, se vuoi ci si può rivedere una volta… tanto se non ho capito male non abitiamo molto distanti, giusto?”. Stavolta ad osare è lui.
Io approfitto subito: non posso certo lasciarmi sfuggire un’occasione del genere!
“No, no, direi che saranno al massimo una cinquantina di chilometri! Come no! Volentieri!”.
“Ok. Allora se ci scambiamo il numero, io organizzo e poi ti chiamo, e se sei libero ci vediamo”.
“D’accordo”, e gli scrivo il mio numero nella finestra. Lui mi fa uno squillo di conferma e per farmi avere il suo.
“Arrivato?”, mi scrive. “Sì”, rispondo. “Allora a presto. Un abbraccio!”, aggiunge. “A presto”, lo saluto.

Passano diversi giorni prima che Enrico mi contatti per vederci: avrà avuto da fare, e comunque anch’io sono stato molto impegnato, tanto che l’avevo dimenticato. E poi ho continuato ad arrovellarmi il cervello sui possibili impieghi delle registrazioni fatte sulla nave. “Se non la smetto divento pazzo!”, mi sgrido, “Tanto non posso farci niente. È inutile fasciarsi la testa prima di rompersela!”.
È un sabato sera di fine settembre quando ricevo un sms: “Ciao. Sono Enrico. Ti ricordi ancora di me? Lo so di chiedertelo all’ultimo minuto, ma ti andrebbe di vederci stasera?”.
Ci penso un attimo e, visto che non ho programmi, rispondi di sì. “Bene”, mi fa lui, “allora facciamo che ci vediamo in Piazza Garibaldi verso le 21, ok? Ci facciamo uno squillo quando arriviamo. A più tardi”.

Un’ora prima inizio a prepararmi: indosso dei jeans fit e una t-shirt stretch che evidenzia i miei capezzoli, che strizzo un po’ per farli inturgidire. Metto su un giacchino corto, perché l’autunno comincia a farsi sentire.
Arrivo in Piazza Garibaldi con un po’ di anticipo e aspetto. Alle nove in punto il mio cellulare trilla. “Pronto!”, rispondo.
“Sì, ciao. Sei arrivato?”.
“Sì, sì”.
“E dove sei? Ti raggiungo”.
“Proprio sotto la statua”, così non ci potevamo sbagliare.
“Bene. Arrivo”.
Dopo pochi secondi sento bussare sul finestrino.
“Ehi, ciao, ragazzone!”, lo saluto, “Tutto bene?”.
“Sì, dai! E te?”.
“Anche… tutto sommato…”.
“Qualche problema?”.
“Oh no”, preciso, “niente di che. Allora, andiamo? Ti seguo con la macchina?”.
“Sì, perfetto”, e avvio il motore, lo seguo con lo sguardo per vedere dove ha parcheggiato e poi gli vado dietro finché arriviamo sotto casa sua. Parcheggiamo e saliamo in casa.
“Vuoi qualcosa da bere?”.
“Un analcolico, se ce l’hai”, e mi offre un crodino con una scorza d’arancia e viene a sedersi accanto a me sul divano.
“Ti trovo in gran forma!”, ammicco, e gli palpo il torace, che sembra essere ancora più tosto della scorsa estate.
“Beh, tra gli allenamenti e la palestra è naturale che mi tonifichi”.
Appoggio il bicchiere sul tavolino e riprendo il massaggio del suo petto, questa volta con entrambe le mani. Lui si toglie un raschio dalla gola, forse generato dal nervosismo: è sempre il solito timidone! Poi avvicino il mio viso al suo e iniziamo a limonare. Dopo qualche secondo si allontana e mi dice: “Ascolta. Noi due possiamo parlare chiaro, no? Bene: tu sai che sono particolarmente dotato, no? Io non voglio farti male. Non sono di quei tipi che godono quando vedono il proprio partner soffrire. Anzi mi piace vederlo godere. Però, se tu non ti prepari bene potresti provare molto dolore. So che non sei alle prime armi, ma comunque è meglio non rischiare”.
“E quindi che hai in mente di fare?”, gli chiedo.
“Vieni con me”. Mi prende per mano e mi porta in camera sua. “Spogliati e mettiti carponi sul letto”, mi dice. Mentre mi levo i vestiti, lui apre un cassetto del comodino e tira fuori una confezione sigillata di quello che sembra un giochino erotico.
“Cos’è quello?”, gli chiedo, osservando quell’oggetto di forma conica, di almeno sette/otto centimetri di diametro alla base e con una specie di tappo all’estremità inferiore che dovrebbe servire da impugnatura.
“E’ un plug. L’hai mai usato?”.
“No, mai”.
“Non fa male, perché è perfettamente levigato, però aiuta molto la dilatazione dello sfintere. Se lo tieni una mezzoretta prima del rapporto sessuale, dopo il tuo ano sarà più dilatato e dovrebbe essere più facile che io riesca a scoparti senza problemi”. Mi posiziono come da lui richiesto. Lui si inginocchia ai piedi del letto, mi lubrifica bene con un prodotto apposito, che spalma anche sul dildo, e poi punta l’attrezzo al mio buco cominciando a spingere. Lo prendo quasi fino a metà, poi la penetrazione diventa più difficile: senza un minimo di eccitazione come pretende che possiamo riuscirci?
Poi, però, lui ci aggiunge dell’altro lubrificante e il plug scivola ancora un po’ dentro di me. Continua così finché arriva quasi alla base: qualche goccia di lube ancora, una spinta decisa e il dildo si incastra nel mio sfintere, lasciando fuori solo l’impugnatura. Non appena lo ingoio definitivamente mi prende un brivido: “Oh, wow! Che sensazione strana!”.
“Sta’ tranquillo”, mi rassicura, “ è solo per divertirci di più. Tu tienilo così per un po’ e vedrai dopo…!”, e mi fa l’occhiolino.
Non appena si tira su suona il citofono. “Oh cazzo! Ma aspettavi qualcuno?”, gli chiedo.
“Ehm… veramente sì…”, ed esce dalla stanza. “Come sì… ma che…!”, provo a protestare, ma lui è già alla porta ad aprire a chissà chi, lasciandomi sul letto a culo per aria.
Un minuto dopo sento provenire dal corridoio una voce che mi pare familiare: “Ehi, ciao gigantone! Allora, dov’è?”.
“In camera da letto”, risponde Enrico.
“Oh porca puttana! Ma… e ora dove mi nascondo? Ma che si fa così?”, mi agito.
Non faccio in tempo a girarmi che dalla porta entra Pino.
“Ma ciao puttanella Giò”, mi saluta goliardico.
“Ah… ehm… chi si vede…”, ricambio imbarazzato, per la posizione e la situazione.
“Mmmmmm, vedo che Enrico si è portato avanti con il lavoro, proprio come gli avevo detto io!”. Ah, quindi quella del plug è stata un’idea sua!
Tra l’altro, con quell’affare su per il culo comincio a sentire un gran calore al viso. Che strano: ora che lo guardo meglio anche Pino ha il viso rosso!
“Sai, anch’io ne ho uno dentro”, mi sussurra. “È uno strumento miracoloso”, prosegue, “Se non l’avessero inventato io non potrei prendere i cazzoni grossi che mi piacciono tanto”, ridacchia.
Un attimo dopo entra in camera anche un colosso di ragazzo alto quando Enrico ma molto più muscoloso: che manzo spettacolare!
“Lui è Knut, il mio ragazzo”, dice Pino, presentandomelo. “Knut, questo è Giò, la troietta di cui ti ho parlato, ricordi?”. “Sì”, risponde l’energumeno, con un tono nordeuropeo.
“Knut è tedesco. Ti piace?”.
“Ambè! Vorrei vedere chi ha il coraggio di dire che non è un bel ragazzo!”, gli rispondo, tradendo forse una certa eccitazione. Knut mi si avvicina, si china sul mio culo e, voltandosi verso Enrico, si complimenta con lui per l’inserimento del dildo nel mio sfintere: “Ottimo lavoro, amico!”.
Intanto Pino, come al solito, non perde tempo e inizia a spogliarsi. “Allora, voi due bei ragazzoni, sedetevi là sulle poltrone, ché io e Giò lesbichiamo un po’ per il piacere dei vostri occhi… e anche dei vostri cazzi!”.
Quando si è levato tutto, salta in ginocchio sul letto, mi tira su di fronte a lui e comincia a baciarmi muovendo la lingua in ogni angolo del mio cavo orale. Ci strusciamo uno contro l’altro e ci accarezziamo la schiena, scendendo fino alle chiappe, che palpiamo energicamente. Lui allunga una mano fino al mio plug e lo spinge in dentro, scopandomi. “MMMMMMMM!!!”, mugolo io di piacere.
“Visto, Knut! Te l’avevo detto che è una gran puttanella!”, dice al suo uomo, ammiccando verso di lui. Allora, per vendicarmi, faccio lo stesso: metto una mano sul tappo del suo plug e spingo tre/ quattro volte dentro il suo sfintere. “Oh, sì! Scopami, dai!”, geme. “E poi la puttana sarei io!”, lo riprendo.
Continuiamo a limonare ancora un po’, poi Pino si sdraia sulla schiena e tira su le gambe, mentre io mi metto a 69 sopra di lui. Cominciamo e leccarci gli anellini, che così dilatati ci regalano delle sensazioni amplificate. La camera si riempie di mugolii. Mentre sono lì a darci dentro con la mia lingua, mi volto verso Enrico: si è sfilato i jeans e la sua bestia svetta imponente tra le sue cosce. Lui la percorre dalla base al glande in una sega lenta ed intensa. Lo ricordavo grosso e lungo, ma oggi mi sembra ancora più grande. Sarà che la mia eccitazione comincia a farsi sentire…!
Knut, invece, si accarezza la patta con la mano, ma non svela ancora la sua dotazione, pur fissando con lussuria evidente me e Pino che ci diamo dentro in una lesbicata sempre più coinvolgente.
Ad un tratto Pino afferra il tappo del mio plug e comincia a tirare in fuori, ma quello, incastrato nel mio sfintere, non ha intenzione di uscire. Allora il biondino, sputa sul mio buco dilatato, spalma bene la saliva e riprova ad estrarre. Uno strappo secco e l’aggeggio si scastra. Io gemo mentre lui continua liberare il mio ano. Quando è tutto fuori, sospira di meraviglia per la mia sorprendente dilatazione, poi valuta il plug e dice: “Bene, nessuna traccia di sangue né di feci. Perfetto!”. Quindi, allunga un braccio verso Enrico e con un gesto della mano lo invita a portarsi dietro di me: “Dai, che la tua troietta è pronta!”, lo esorta. Io lancio uno sguardo infoiato al gigantone mentre lui si tira su, si leva la t-shirt e si precipita verso il bordo del letto.
Enrico inizia a strusciarmi la sua enorme verga tra le chiappe e a me sembra quasi un braccio più che un cazzo. Poi punta la cappella al mio buco e con un colpo secco dei suoi mi pianta dentro quel palo spaventoso. Vengo proiettato in avanti, ma in realtà non mi muovo perché Enrico mi tiene per i fianchi. Un terremoto scuote il mio corpo: la testa mi gira come quando c’è un sisma. Lui adotta la sua solita tecnica: improvvisamente estrae tutta la mazza e stavolta vengo tirato indietro, ché quasi cado dal letto. Poi di nuovo un affondo e la mia schiena si inarca scattosa.
Nel frattempo, Pino mi porta una mano al suo plug: vuole che glielo estragga. Allora cerco, per quanto sia possibile mentre vengo sbattuto dalla potenza inesauribile di Enrico, di fare esattamente come ha fatto lui un momento fa: sputo sul suo buco, lubrifico bene, tiro e l’affare viene fuori. Quindi lo estraggo tutto lentamente. Lo guardo: “Anche tu niente cacca niente sangue”, sospiro con un filo di voce, mentre Enrico mi estirpa il suo cazzone dal culo. Poi, Pino, allungando di nuovo il braccio, invita Knut a raggiungerci. L’energumeno è ancora completamente vestito. Quando arriva all’altra sponda del letto, di fronte a me, comincia a spogliarsi: si toglie prima la t-shirt e i suoi muscoli si mostrano prepotenti ai miei occhi curiosi. Mentre sbottona i pantaloni il mio sguardo cade alla sua patta: qualcosa di importante preme per venire fuori, ma solo quando tira giù le braghe e si rialza, rimanendo in boxer, inizio a percepire di che dotazione si può trattare. Uno tubo di carne spinge da sotto il cotone e si prolunga verso destra. Knut tira giù con un colpo secco anche i boxer e, mentre la mia bocca si spalanca lentamente, sbavando, e i miei occhi si sgranano per lo stupore, il suo cazzo grosso, ma veramente grosso, punta minaccioso al mio viso. Lui monta in ginocchio sul letto, mi afferra la testa per le orecchie e mi assesta un affondo nella mia cavità orale proprio mentre Enrico mi sta perforando il culo per l’ennesima volta.
Mi sento come un maialino allo spiedo, arrossato dal calore del fuoco. Solo che in questo caso il fuoco non è sotto, ma dentro di me.
Mentre vengo sbattuto come un baldracca in entrambi i miei pertugi, Knut infila due dita nel culo ancora ben dilatato di Pino e, con due dita dell’altra mano, percuote quelle che ha inserito nello sfintere del suo amante, così trasmettendo delle vibrazioni dentro gli intestini di Pino. Deve essere un trattamento particolarmente efficace, perché quella puttanella inizia a gemere e a contorcersi, mentre continua a lappare il mio anellino da sotto.
Velocemente, Knut tira fuori la sua proboscide dalle mie fauci, che sbrodolano abbondantemente, e dopo aver estratto le sue dita dal culo di Pino, allarga un po’ le cosce abbassandosi all’altezza delle chiappe del biondino e con un colpo da maestro lo trapana fino in fondo, mentre Enrico mi strattona indietro con la sua verga. Poi, sento Pino tossire: Enrico gli sta violentando la gola mentre il suo amante lo fotte, proprio come i due hanno fatto un attimo fa con me. Dopo qualche secondo, gli stalloni escono da Pino con forza e il suo corpo ha un sussulto che mi sbalza verso l’alto. Quando ritorno giù, Knut ed Enrico sono già pronti a penetrarmi di nuovo nella bocca e nel culo, ed ancora mi ritrovo come su un girarrosto. E poi, per l’ennesima volta, fuori da me e dentro Pino.
Knut ed Enrico continuano ad alternarsi tra noi due fino a farci raggiungere l’orgasmo: quando però il mio corpo e quello di Pino cominciano a vibrare per le convulsioni, l’energumeno rimane piantato nel culo del suo amante ed Enrico nel mio, in modo che il nostro piacere possa esplodere bene e completamente. Solo nel momento in cui gli spasmi iniziano a cessare, i due stalloni estraggono le loro mazze da noi, stavolta dolcemente e lentamente, e vanno a riaccomodarsi sulle poltrone, accarezzando le loro aste come se nulla fosse successo.
Io mi accascio su un fianco. Pino mi monta su, faccia a faccia, strusciandosi come una gatta in calore, e, con il poco fiato che gli rimane, mi chiede: “Allora: hai goduto bene, troietta?”. “Oh sì, puttanella.”, rispondo, “e tu?”. “Mmmmmm, da morire!”.
Quando ci siamo un po’ ripresi mi fa: “Dai, andiamo in bagno a rinfrescarci un po’!”, e mi tira giù dal letto, praticamente trascinandomi per il corridoio.
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