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Nel Retro, Senza Freni


di Membro VIP di Annunci69.it Angel1965
28.04.2025    |    10    |    0 6.0
"La lingua spuntò tra le labbra socchiuse, lenta, studiata, e senza mai staccare gli occhi dai miei iniziò a ripulirmi..."
Non avevo mai creduto alle leggende su Gaia.
Dicevano che fosse diversa, che bastasse un suo sguardo per farti perdere la testa.
Ma quella sera, nel retro della gelateria chiusa, imparai che quelle voci non solo erano vere: erano ancora troppo gentili.

Era appoggiata al muro, la maglietta sporca di un filo di gelato sciolto che le colava lungo il seno.
Rideva, sfrontata, mentre il suo sguardo mi trapassava come una lama.
Un invito e una sfida, tutto insieme.

Mi avvicinai senza pensare.
Le mani le cinsero i fianchi stretti, poi scivolarono a stringerle quel culo diabolico che sembrava solo aspettare di essere preso.
Lei non si ritrasse.
Anzi, sollevò il mento, sfidandomi ancora di più, e con un movimento lento, quasi teatrale, fece scivolare una mano tra le mie gambe, accarezzandomi sopra i jeans.

Persi ogni freno.

La sollevai di peso, sbattendola contro il muro, mentre le nostre bocche si cercavano in un bacio sporco, vorace, che sapeva di desiderio represso e promesse infrante.
Il gelato appiccicoso fra di noi, la pelle che si incollava, il respiro che si spezzava.

Le mani strapparono via ogni barriera: pantaloncini, mutandine, tutto cadde a terra senza grazia.
Lei aprì le gambe senza vergogna, affondandomi le unghie nelle spalle, tirandomi a sé.
Era calda, bagnata, pulsante di vita e voglia.

Entrai in lei con una spinta decisa, rabbiosa.

Gaia gettò la testa all’indietro, emettendo un gemito soffocato che mi fece perdere la testa.
Si muoveva contro di me come se avesse aspettato quel momento da sempre: fiera, indomabile, completamente mia.

Ogni colpo era un colpo di vita, un colpo di morte.
Il muro tremava sotto i nostri corpi.
Il retro della gelateria divenne il nostro mondo: il nostro inferno, il nostro paradiso.

Le baciavo il collo, le mordevo la spalla, mentre lei mi sussurrava all’orecchio frasi impudiche, parole sporche che accendevano ancora di più il fuoco che ci stava consumando.
Il tempo si piegava, si dissolgeva.
Esistevamo solo noi: sudore, pelle, gemiti soffocati, il sapore dolciastro del gelato sciolto sulla sua pelle calda.

Accelerai il ritmo, accecato dalla voglia di farla urlare, di sentirla spezzarsi contro di me.
E Gaia non si trattenne: venne con un urlo soffocato, tremando tutta attorno a me, stringendomi così forte da trascinarmi dietro di lei nell’abisso.

Restammo lì, senza fiato, abbracciati, sporchi di sudore e zucchero, le labbra ancora appoggiate alla pelle bollente.

Ma Gaia non aveva finito.

Con una lentezza quasi crudele, scivolò giù.
Si inginocchiò davanti a me, gli occhi accesi di una luce maledetta.
Mi guardò da sotto, il sorriso sporco e fiero di chi sa esattamente cosa vuole.
La lingua spuntò tra le labbra socchiuse, lenta, studiata, e senza mai staccare gli occhi dai miei iniziò a ripulirmi.

Ogni leccata era un atto di dominio.
Ogni gemito soffocato un’implosione di piacere che mi faceva barcollare.

Mi prese in bocca senza esitazione, affamata, decisa a non lasciarmi scampo.
Le mani aggrappate ai miei fianchi, la testa che si muoveva con un ritmo perfetto: crudele, sensuale, assassino.
Un’alternanza di suzione e carezze di lingua che mi mandava fuori di testa.

Non era solo un pompino.
Era un rito.
Un’iniziazione.

La guardavo mentre si sporcava ancora di più, mentre si abbandonava al piacere di farmi godere, mentre i suoi occhi mi imploravano e mi sfidavano allo stesso tempo.

Quando sentì che stavo per esplodere, rallentò.
Si staccò appena, un filo di saliva che ci collegava ancora.

«Non pensare di venire adesso,» sussurrò, la voce roca, impastata di lussuria.
«Prima voglio sentirti tremare dentro di me. Ancora.»

Mi spinse indietro, mi fece sedere su una cassa di gelati chiusa, e senza mai perdere quel sorriso peccaminoso, si montò sopra di me.
Si infilò da sola, lentamente, godendosi ogni centimetro, mentre io le stringevo i fianchi e sentivo il mio autocontrollo frantumarsi.

Gaia iniziò a muoversi.
Prima lenta, poi più veloce, una danza oscena di carne e desiderio.
Mi cavalcava senza pudore, il corpo inarcato all’indietro, le mani che stringevano i miei polsi, dominandomi completamente.

Le sue urla soffocate si mescolavano ai miei grugniti, le spinte diventavano sempre più disperate, più violente.
Sudore, saliva, succhi: tutto si mescolava in un delirio perfetto.

E quando venne di nuovo, strillando il mio nome come una preghiera e una bestemmia insieme, fu la fine.

La presi per i capelli, la strinsi a me e venni dentro di lei con una forza che mi tolse la vista per un istante.
Il corpo scosso da spasmi incontrollabili, mentre Gaia rideva, rideva come una dannata appagata.

Rimanemmo abbracciati, esausti, le pelli appiccicate, i cuori fuori controllo.
I nostri respiri erano un unico suono spezzato.

Quella sera, nel retro della gelateria, avevo scoperto che Gaia non era solo un piacere proibito.
Era la maledizione più dolce, più irresistibile, più distruttiva che avessi mai incontrato.

E sapevo già che avrei fatto qualsiasi cosa per essere divorato da lei ancora.
E ancora.
E ancora.

Avevo appena assaggiato la prima, dolcissima, dannatissima leccornia proibita.
Ed era solo l’inizio.
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