Lui & Lei
– Il regalo di compleanno (versione spinta)]


24.04.2025 |
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"Mi accarezzò il petto con la punta delle dita, poi sussurrò:
— «Voglio che ogni anno tu me lo ricordi..."
Quando il primo amplesso si placò, Enrica non sembrava affatto stanca. Al contrario, nei suoi occhi si accese una luce nuova, quella fame che solo le vere dominatrici del desiderio conoscono.Mi guardò con la bocca ancora umida di piacere, poi mi prese per i polsi e mi spinse sul letto, cavalcandomi lentamente. Il suo sguardo si abbassò su di me, mentre si faceva scivolare giù, senza usare le mani: solo i suoi fianchi, flessibili e consapevoli.
— «Ora comando io…» — sussurrò, mordendosi il labbro.
Il mio sesso tornava dentro di lei, e iniziò a muoversi con un controllo chirurgico, alternando colpi profondi a rotazioni lussuriose del bacino. Le sue mani mi afferravano le spalle. I capezzoli duri sfioravano il mio petto, mentre i capelli le cadevano sul volto come una pioggia profumata. Ogni volta che scendeva, mi stritolava, come se volesse trattenermi dentro di lei per sempre.
Poi si sollevò lentamente, lasciandomi uscire. Mi guardò, si inginocchiò tra le mie gambe e mi prese in bocca. Calda. Vorace. Affondata fino in fondo. Le labbra strette, la lingua che accarezzava ogni nervatura, gli occhi piantati nei miei mentre mi succhiava con una precisione assassina.
Gemetti. Non riuscivo più a trattenermi.
La sollevai di colpo, la girai contro la parete. Le afferrai i polsi e li bloccai contro il muro, mentre il suo culo rotondo e provocante si offriva con spudorata perfezione. La penetrai da dietro con una forza primordiale. Lei si piegò in avanti, gridando il mio nome, spingendosi contro di me, sbattendo la fronte sul muro a ogni colpo.
— «Sì… sì… così… sfondami…»
Le mie mani la accarezzavano ovunque: sul ventre, sui seni che ballavano sotto la pressione, sul clitoride pulsante che stimolavo con dita umide e veloci. Volevo farla esplodere. Farle dimenticare ogni compleanno precedente. E ci riuscii.
Quando venne di nuovo, si piegò sulle ginocchia, tremante, completamente sottomessa. La presi per i capelli, la tirai indietro e le baciai il collo sudato, mentre venivo anche io, con una scarica che mi attraversò come un fulmine.
Rimanemmo così, crollati sul pavimento. Lei appoggiata su di me, col fiato spezzato e le cosce ancora tremanti. Mi accarezzò il petto con la punta delle dita, poi sussurrò:
— «Voglio che ogni anno tu me lo ricordi. Così. Selvaggio. Tuo.»
E io promisi.
Perché certi regali non si scartano. Si celebrano.
E si ripetono, finché ci sarà carne, desiderio, e un letto su cui peccare.
Quando i corpi si calmarono e il silenzio si distese attorno a noi come un lenzuolo umido, Enrica si alzò lentamente. Le gambe ancora molli, gli occhi brucianti. Si avvicinò alla grande vetrata che dava sulla città e, senza voltarsi, mi disse:
— «C’è ancora qualcosa che voglio. Il vero regalo. Quello che non ho mai chiesto a nessuno.»
La raggiunsi. Il suo corpo nudo si stagliava contro la luce delle insegne notturne. Si voltò, prese le mie mani e le portò sulle sue natiche, aprendosi lentamente per me. Il gesto era semplice, crudo, diretto. Ma nel suo sguardo c’era tutta la solennità di una confessione.
— «Prendimi qui. Ora. Voglio sentirmi completamente tua… ovunque.»
Le parole furono un’implosione.
La baciai con furore, poi le sussurrai all’orecchio:
— «Girati. Appoggiati al vetro.»
Lei obbedì. Si piegò leggermente, le mani aperte sul vetro freddo. Io mi inginocchiai dietro di lei, preparandola con lentezza, rispetto… ma anche con una fame carnale che mi bruciava il petto.
Il suo respiro accelerava mentre la esploravo con le dita, poi con la lingua, finché il suo corpo si aprì del tutto. Solo allora la presi, con decisione.
La sua bocca si spalancò in un grido strozzato mentre entravo in lei. Lentamente. Profondamente. Le tenevo i fianchi, la guidavo dentro quel piacere nuovo, assoluto. Lei si muoveva con me, si abbandonava, si lasciava invadere da tutto il mio desiderio.
— «Sì… così… riempimi… voglio sentirmi tua dentro, fino in fondo…»
Le mie spinte diventarono più decise, più selvagge. Il vetro tremava sotto i suoi palmi. La città ai suoi piedi diventava un palcoscenico muto, spettatrice silenziosa del nostro atto più intimo.
Quando venne, urlò.
Non fu un orgasmo. Fu una resa. Totale. Animale.
E mentre io la raggiungevo, con un colpo finale che sembrò scavarle l’anima, sentii che quel regalo non era solo suo.
Era anche mio.
Perché Enrica si era aperta a me in ogni senso.
E io l’avevo presa. Tutta.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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