Gay & Bisex
L’incontro al Belvedere


24.04.2025 |
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"E se ne andò, lasciandomi nudo, svuotato, euforico… ma affamato di più..."
(Racconto completo) di pura fantasia Conobbi Luca grazie a un vecchio catalogo erotico che un cliente dell’atelier fotografico dove lavoravo aveva dimenticato sul banco. Era uno di quei fascicoli patinati, con immagini di uomini e donne seminudi che cercavano incontri “piccanti”, dichiarandosi bisex solo per ampliare il ventaglio di fantasie.
L’annuncio che mi rapì mostrava un ragazzo disteso su un lettino da spiaggia, cosce spalancate, mentre impugnava un cazzo eretto e notevole, che sembrava quasi sfidare l’obiettivo. Il viso era tagliato dall’inquadratura, ma il corpo parlava da solo. Trentaquattro anni, si leggeva. Disponibile per coppie e singoli. La dicitura “anche mariti bisex” mi fece sobbalzare. Per me era un chiaro invito a osare.
Scrissi senza pensarci troppo: gli confessai che ero gay e che la sua foto mi aveva colpito come una scarica elettrica. Gli chiesi se fosse possibile incontrarlo per fotografarlo. Chiusi la lettera con il mio numero. E la spedii. Certo che non mi avrebbe mai risposto.
Passarono un paio di settimane. Poi, una domenica pomeriggio, mentre stavo leggendo svogliatamente su un lettino in terrazza, il telefono squillò.
— «Pronto?»
— «Parlo con Matteo?» chiese una voce calda, virile.
— «Sì, sono io.»
— «Hai risposto a un mio annuncio… su Oblò Magazine…»
Mi si gelò il sangue per un attimo. Era lui. E mentre parlava, il mio cazzo si gonfiava in silenzio dentro i pantaloni del pigiama.
— «Sì… certo che ricordo.» cercai di tenere un tono naturale. «Diamoci pure del tu, se ti va.»
— «Volentieri.» Rispose con una risata morbida.
— «Senti… sei davvero tu quello in foto?» chiesi, senza girarci troppo attorno.
— «Certo.» Rise ancora. Era sicuro, rilassato. E dentro quella voce c’era un’ironia che sapeva di pelle esposta e orgoglio maschio.
— «Hai un cazzo spettacolare…» dissi.
— «Grazie. Me lo dicono in molti.» Nessun imbarazzo. Solo la soddisfazione semplice di chi sa d’essere ben dotato e non ha paura di mostrarlo.
Concordammo di vederci qualche giorno dopo, in un hotel discreto che conoscevo bene, il Belvedere di Cernobbio. Una villa ristrutturata, affacciata sul lago, con camere spaziose, parquet lucido e tende bianche che danzavano leggere alla brezza.
Quando arrivò, lo vidi scendere da una berlina grigia e attraversare il vialetto con passo sicuro. Alto, fisico asciutto, capelli castani corti, pizzetto curato. Lo salutai. Si presentò con una stretta di mano ferma, virile, da cui traspariva tutta la sua naturale dominanza.
Appena entrati in camera, lasciò cadere la giacca sul letto e si tolse le scarpe. Gli offrii dell’acqua, parlammo un po’ delle solite cose – foto, viaggi, lavoro – e poi gli chiesi se fosse pronto.
— «Vuoi che cominci a spogliarmi?» domandò con un mezzo sorriso. Lo disse come se lo avesse già fatto cento volte.
— «Solo quando ti senti a tuo agio.»
In pochi minuti era rimasto in slip. Gambe forti, pelose, piene di vene e muscoli. Il cazzo, sotto il tessuto bianco, premeva già visibilmente. Era pronto per farsi guardare.
— «Accidenti…» sussurrai.
— «Lo vuoi vedere bene?» chiese, malizioso.
— «Sì.»
Sfilò lentamente gli slip. Apparve una bellezza rude, carnosa, che sembrava sorridere con la pelle lucida. Lo presi in mano per sistemarglielo, e lui lasciò fare. Il suo respiro era calmo, ma gli occhi lucidi.
Feci diverse foto, mentre lui si sedeva, si allungava, apriva le gambe. Ad ogni scatto, la mia eccitazione saliva, fino a farsi insopportabile.
— «Posso chiederti una foto… un po’ più esplicita?»
— «Che tipo?»
— «Una… mentre ti faccio un pompino.»
Luca mi guardò serio, poi sorrise.
— «Hai un preservativo?»
Il cuore mi martellava. Tirai fuori una bustina dal portafoglio. Se lo mise con cura, si sedette, si aprì le gambe.
— «Vieni.»
Mi inginocchiai e mi infilai quel cazzo gommato in bocca. Il gusto era amaro, ma l’atto mi travolse. Scattai una foto con l’autoscatto, la mia testa tra le sue cosce, mentre lo tenevo in bocca con adorazione.
Dopo, mi chiese se poteva segarsi.
— «Certo. Vuoi un video?»
— «No… ma se ti va di guardare…»
Lo osservai a pochi centimetri mentre si masturbava, lentamente, gustandosi il momento. Gli palpeggiai le palle, e lui lasciò fare. Quando stava per venire, chiese un asciugamano. Lo prese, si coprì e si lasciò andare, il viso contratto nel piacere.
Dopo si vestì in silenzio. Io presi l’asciugamano, e non appena uscì, lo portai al viso. Lo annusai. Profumava di lui. Di sperma giovane e caldo. Di un desiderio che avevo toccato, ma che non era mai stato del tutto mio.
⸻
Passarono due giorni. Poi un messaggio:
Luca: «Ci sono altre foto che vuoi fare?»
Io: «Sempre. Quando vuoi.»
Luca: «Venerdì. Stessa stanza?»
Io: «Sì. Ma stavolta… voglio anche che tu mi comandi.»
Luca: «Vedremo.»
Venerdì arrivò con la precisione di una condanna e la dolcezza di una promessa.
Luca entrò tardi, con camicia nera aperta sul petto e jeans scuri. Non parlò. Appena chiuse la porta dietro di sé, ordinò:
— «Spogliati. Tutto.»
Mi denudai in silenzio. Lui si sedette, gambe aperte, e mi fissò.
— «Inginocchiati.»
Lo feci.
— «Sai perché ti ho richiamato? Perché voglio che qualcuno mi adori. E tu… sembri fatto per questo.»
Tirò fuori dalla borsa un cockring, un laccio e del lubrificante. Me lo legò stretto attorno al cazzo, poi mi fece stendere sul letto.
— «Oggi scatto io. E tu obbedisci.»
Cominciò a fotografarmi mentre mi accarezzavo solo le palle, il mio cazzo duro come un tubo d’acciaio. Poi si avvicinò, se lo tirò fuori, se lo coprì con un preservativo e si mise seduto.
— «Solo la punta. Voglio vedere come tremi mentre ti trattieni.»
Mi chinai. Gli succhiai il glande, la lingua vibrava sotto la plastica. Lui scattava foto, sussurrando:
— «Adesso ti faccio venire. Ma non tocchi il cazzo. Solo le palle.»
E poi…
— «Quando godo io, vieni anche tu. Chiaro?»
Annuii.
Luca cominciò a segarsi davanti a me. La sua mano salda, il cazzo turgido e lucido. I suoi gemiti profondi. Finché…
Un getto caldo mi colpì sul petto. E il mio corpo esplose. Un orgasmo senza mani, violento, rovente. Mi sentii svuotare fino al midollo.
Rimanemmo lì, ansimanti, nel silenzio saturo dell’hotel.
Luca si rivestì. Prima di uscire, si voltò:
— «Lunedì torno. Prepara la stanza. E prepara il culo.»
⸻
Passai il weekend in uno stato d’eccitazione perpetua. Ogni gesto quotidiano era un’eco di quell’ordine. Prepara il culo. La frase mi rimbombava dentro come una litania sessuale, spingendomi a esplorare me stesso, a lubrificarmi, ad allargarmi, a fantasticare.
Lunedì arrivò con un’aria carica di pioggia e elettricità. Feci il check-in al Belvedere un’ora prima del previsto. Portai con me tutto il necessario: lubrificanti, asciugamani, un plug che avevo imparato ad amare e temere.
Alle 17:15 bussarono. Aprii.
Luca era lì, impermeabile scuro e lo stesso sguardo fermo. Entrò senza dire una parola. Posò la borsa sul letto, si tolse il cappotto e si girò verso di me.
— «Hai fatto il bravo?»
Annuii.
— «Fammi vedere.»
Mi abbassai lentamente i pantaloni, poi gli slip. Il plug nero sporgeva tra le chiappe, lucido, caldo. Luca sorrise per la prima volta.
— «Sei proprio una brava troia.»
Mi fece inginocchiare davanti a lui. Mi spogliò con calma, lentamente, come se volesse gustarsi ogni passaggio, e poi tirò fuori il cazzo già mezzo duro.
— «Sfilati il plug. Lentamente. Fammi vedere il tuo buco.»
Lo feci, e quando la testa del plug uscì con uno schioc, lui si toccò le palle con un sospiro.
— «A pancia in giù sul letto. Gambe divaricate. Non parlare.»
Sentii il letto affondare mentre saliva sopra di me. Il suono del preservativo srotolato. Le dita che mi spalancavano. Il suo cazzo contro il mio ingresso, che spingeva.
— «Rilassati.»
Entrò con un solo colpo.
Mi morse il collo e cominciò a muoversi. Lentamente all’inizio, come a testarmi, poi con colpi sempre più secchi. Le sue mani mi afferravano i fianchi. Ogni spinta era un’esplosione, il letto sbatteva contro la parete.
— «Lo senti? Questo è quello che sei venuto a cercare.»
Lo sentivo. Dio se lo sentivo. Mi riempiva. Mi possedeva. Mi frantumava e mi ricomponeva.
Poi mi fece girare. Mi ordinò di masturbarmi mentre mi prendeva di nuovo, in faccia, con gli occhi piantati nei miei.
— «Guarda come godi mentre ti scopo. Guarda che razza di puttanella sei.»
Ero fuori controllo. Mi segavo disperatamente, il cazzo rigido, violaceo, mentre lui mi sfondeva, più a fondo, più forte. Il respiro rotto, i suoi gemiti mescolati ai miei.
— «Voglio che vieni adesso. Spruzza mentre ti riempio. Fallo!»
Con un urlo, venni. Uno schizzo potente che mi colpì il petto e il mento. Sentii il suo cazzo fremere dentro di me, e il calore del suo sperma nel preservativo, le sue dita che mi stringevano come artigli.
Restammo così, sudati, stesi, un groviglio di membra e fiato. Dopo qualche minuto si alzò, si sfilò il preservativo, lo gettò e si rimise i pantaloni.
— «La prossima volta… porto anche un amico.»
Mi guardò. Mi fece l’occhiolino.
E se ne andò, lasciandomi nudo, svuotato, euforico… ma affamato di più.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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