Prime Esperienze
“Nel Cuore di Como”


24.04.2025 |
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"I colpi erano lenti e profondi, poi sempre più violenti, il suono della carne che sbatteva contro la carne che si mescolava all’eco della cantina..."
Ginevra era una donna divorata da un desiderio costante, una brama profonda che le ardeva tra le cosce ogni ora del giorno. Lavorava come sommelier per un famoso ristorante stellato nel centro storico di Como, elegante e raffinato, ma dietro quella facciata composta si nascondeva una fame che non si placava mai. Quella sera indossava una gonna nera attillata, camicetta di seta color champagne, trasparente quanto basta da rivelare il pizzo color vinaccia del reggiseno. Ai piedi, tacchi sottili che facevano tintinnare il pavimento antico.Doveva scendere in cantina per una selezione di bottiglie da mostrare a un cliente esigente. Mentre si avviava giù per la scala in pietra, al fresco silenzioso della zona vinicola, incrociò Raul, un giovane chef da poco arrivato. Alto, abbronzato, braccia forti che trasparivano dalla casacca bianca, occhi chiari come il lago e un profumo speziato che la colpì come uno schiaffo sensuale.
Appena lui le rivolse un sorriso, Ginevra sentì la fitta tra le gambe. Il tanga le si inzuppò in un istante. Si fermò, lo guardò, e poi finse di perdere l’equilibrio sui gradini umidi. Cadde tra le sue braccia. “Tutto bene?” chiese Raul, preoccupato, ma Ginevra gli afferrò l’avambraccio, poi gli sfiorò l’inguine con una carezza decisa. Sotto i pantaloni da cucina, il suo cazzo era già in tensione.
“Scusa, sono scivolata…” disse lei con voce roca, mentre lo guardava dritto negli occhi.
Il giovane non oppose resistenza. Ginevra, senza esitazione, gli sbottonò i pantaloni e tirò fuori il cazzo, spesso, caldo, profumato di pelle e desiderio. Si inginocchiò sul pavimento in pietra, tra casse di Barolo e bottiglie di Amarone, e lo prese in bocca. La lingua guizzava sul glande, le labbra lo ingoiavano con avidità, il rumore osceno dei suoi succhi che lo ingoiavano riecheggiava nella cantina. Succhiava con foga, il pensiero che qualcuno potesse scendere da un momento all’altro la faceva fremere.
“Porca…” sussurrò Raul, mentre lei lo faceva impazzire, il cazzo che le scivolava fin quasi in gola.
Quando lui stava per venire, Ginevra si fermò, si alzò e lo trascinò tra due grandi botti. Si sollevò la gonna, il tanga fradicio che cadeva ai piedi, e si appoggiò con le mani contro il muro in pietra. “Scopami qui,” sussurrò. Il giovane non perse tempo: la penetrò con forza, la fica zuppa che lo accolse in un solo colpo. I colpi erano lenti e profondi, poi sempre più violenti, il suono della carne che sbatteva contro la carne che si mescolava all’eco della cantina.
Ginevra gemeva forte, si mordeva il polso per non urlare, e poi venne, tremando tutta, uno squirt improvviso che inzuppò il pavimento. Ma non era sazia.
“Voglio sentirtelo nel culo, adesso,” ansimò, offrendosi. Raul le sputò sull’ano e la penetrò, un affondo deciso, il culo stretto che lo stringeva. Lei gridava piano, il piacere che superava ogni limite, mentre lui la scopava sempre più forte, una bestia. Quando Ginevra venne di nuovo, squirtando anche da dietro, sembrava impazzita.
“Sborra in bocca, ti prego,” disse alla fine, inginocchiandosi di nuovo. Raul si masturbò, il cazzo lucido e teso, e venne con uno scatto, una colata di sborra calda che le inondò le labbra, il mento, la lingua che raccoglieva tutto, leccava, ingoiava. Lei sorrise, soddisfatta.
Poi si sistemò i vestiti, prese un perizoma di scorta dalla borsa che lasciava sempre in cantina “per emergenze”, e si avvicinò a lui con sguardo malizioso. “La prossima volta fammelo venire dentro. Prendo la pillola.”
Gli diede un ultimo bacio umido, mentre già pensava a quando avrebbe potuto farlo di nuovo. La cantina, impregnate di vino e di sesso, era diventata il suo tempio. Passarono solo due giorni prima che Ginevra trovasse una nuova scusa per scendere in cantina. Era un venerdì sera, il ristorante era pieno, ma lei non riusciva a pensare ad altro. Aveva indossato un body di pizzo nero sotto un tailleur elegante, senza reggiseno e senza tanga. Voleva sentire l’aria fredda accarezzarle il sesso nudo, stimolarla mentre scendeva quei gradini che ormai associava solo al piacere.
Appena messo piede in cantina, il suo cuore accelerò: Raul era già lì, intento a sistemare delle bottiglie su uno scaffale. Si girò quando la sentì arrivare e le sorrise, quel sorriso che Ginevra sentiva direttamente tra le cosce. Lei non disse nulla, si avvicinò e si inginocchiò subito, aprendo la zip dei suoi pantaloni con una lentezza crudele.
“Stasera cominciamo da dove avevamo finito,” sussurrò, e gli leccò le palle con dolcezza prima di ingoiare il cazzo completamente, fino a sentirselo in gola. Raul gemette, poggiando le mani sulla sua testa, muovendole i capelli come se fosse una cavalla da cavalcare.
Ma Ginevra non si fermò lì. Si alzò, si girò e si piegò in avanti su una barrique, aprendo le cosce e mostrando il culo nudo e lucido di voglia. “Fammi male stasera,” lo provocò. Raul la prese subito per i fianchi e la penetrò con un colpo secco, violentissimo, che la fece gridare. I colpi erano martellanti, il suono della sua carne contro la sua rimbombava tra le botti.
“Schiacciami, scopami come una troia,” gemeva lei, mentre lui la prendeva da dietro, tirandole i capelli, facendole sentire la forza delle sue braccia. Poi la sollevò in braccio come una bambola e la fece sedere su un tavolo da degustazione. Ginevra spalancò le gambe, e lui la leccò con foga, la lingua che le entrava dentro, il naso contro il clitoride, fino a farla urlare e squirtare ancora.
“Ancora!” ordinò lei, spingendolo a terra e montandolo. Si calò sul suo cazzo come una dea impazzita, cavalcandolo con movimenti circolari, le mani sulle sue spalle, il seno che saltava sotto il body aperto. Si muoveva con ferocia, con fame, con una voglia animale. Venne di nuovo, in un’esplosione di piacere che le piegò le gambe. Ma non si fermò.
Gli si voltò sopra, e si fece prendere di nuovo nel culo, stavolta con lui seduto, lei che scendeva lentamente su quell’asta dura, facendosela entrare tutta. Il dolore e il piacere si confondevano, e mentre si muoveva su di lui, Raul le succhiava i capezzoli, le mordeva il collo, la stringeva come se volesse fonderla al suo corpo.
Alla fine, lo sentì fremere sotto di lei. Si alzò, si inginocchiò per l’ultima volta, e lo guardò mentre si masturbava, gli occhi nei suoi. Quando lui venne, le inondò la faccia ancora una volta, il liquido che le colava sul petto, tra le tette, sulle labbra. Lei lo raccolse con le dita e lo leccò piano, godendo di ogni stilla.
“Domani porto una coperta,” sussurrò, con il respiro ancora spezzato. “Resto qui tutta la notte.”
La cantina era ormai il suo rifugio, il suo inferno, il suo paradiso. E Raul, il suo diavolo personale
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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