incesto
Il sogno di scopare mia cognata Gis


26.04.2025 |
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"Colpi pieni, violenti, in un ritmo che sembrava quello di due animali in calore..."
PrefazioneA volte ci sono desideri che covano silenziosi per anni, nascosti dietro sguardi innocenti e sorrisi familiari.
Desideri proibiti, sporchi, impossibili da confessare.
Eppure, basta un attimo, un solo istante di debolezza, perché tutto esploda, travolgendo ogni cosa.
Questa è la storia di una complicità che ha smesso di essere solo sguardi e risate, per diventare carne, sudore e ossessione.
Una storia senza freni, dove il proibito diventa inevitabile.
⸻
E venne il giorno che scopai mia cognata Gis
Non era mai stato programmato.
Tra me e Gis c’era sempre stata una complicità particolare, quella specie di tensione nascosta che non osa mai spingersi oltre i sorrisi, gli sguardi, le battute a mezza voce.
Lei era bellissima. Un corpo sinuoso, morbido, naturale. Occhi pieni di vita e di qualcosa di pericoloso, anche se mascherato bene dietro il suo ruolo di “cognata”.
Io non ci avevo mai seriamente pensato. O forse sì, ma mi ero sempre imposto di non andare oltre.
Successe tutto per caso, una sera d’estate.
Eravamo a casa di amici comuni, una cena improvvisata finita in risate, vino e chiacchiere buttate su un terrazzo tiepido.
Gli altri erano andati a dormire, o almeno si erano ritirati da qualche parte.
Io e Gis eravamo rimasti lì fuori, da soli, a parlare fitto. Di tutto, di niente. Ogni tanto i nostri sguardi si incrociavano più a lungo del necessario, come se ci sfidassimo in silenzio.
Quando si alzò per rientrare, barcollò leggermente.
Le afferrai la mano, d’istinto.
La sua pelle era calda, il contatto fu come una scossa.
Non mollò la presa.
Ci guardammo. Non un sorriso, non una parola. Solo quella tensione che fino a quel momento avevamo sempre ignorato.
E capii che bastava un niente.
La attirai piano verso di me.
Non oppose resistenza.
Anzi, fu lei a colmare la distanza, a premere il suo corpo contro il mio, a cercarmi con una fame trattenuta troppo a lungo.
La baciai. Un bacio profondo, affamato, disperato.
La sua lingua cercò la mia con un’avidità che non aveva più niente di familiare.
In pochi secondi ci ritrovammo in una stanza buia, chiusa alle spalle in silenzio.
Le mani ovunque, i respiri corti, i vestiti che cadevano a terra pezzo dopo pezzo.
Gis era bellissima nuda. Più di quanto avessi mai osato immaginare.
I suoi seni sodi premevano contro di me, le sue cosce mi stringevano, la sua bocca cercava la mia senza tregua.
La presi lì, in piedi, contro il muro, con una fame che non pensavo di avere.
Lei gemeva piano, con un misto di sorpresa e desiderio trattenuto troppo a lungo.
Ogni colpo era una liberazione, una dichiarazione.
Non eravamo più cognato e cognata.
Eravamo solo due corpi che si erano voluti da sempre senza dirselo.
Quando venni dentro di lei, stringendola forte contro il mio petto, sentii il suo corpo tremare insieme al mio.
Rimanemmo abbracciati a lungo, senza parlare, senza nemmeno guardarci.
Sapevamo entrambi che qualcosa era cambiato per sempre.
Ma in quel momento non importava.
In quel momento c’eravamo solo noi.
Finalmente.
⸻
Come se niente fosse
La mattina dopo fu surreale.
Il sole era già alto quando ci svegliammo sparsi un po’ ovunque nella casa.
Ognuno tornò naturalmente al proprio posto: io al fianco della mia compagna, lei al fianco del suo uomo.
Come se niente fosse successo.
Come se quella notte non avesse mai strappato via ogni barriera tra me e lei.
Eppure, ogni volta che incrociavo lo sguardo di Gis, sapevo che anche lei ricordava.
Ricordava il modo in cui l’avevo presa.
Ricordava la mia bocca sulla sua pelle, le mie mani che la possedevano senza pudore.
E soprattutto, sapeva quello che forse non avevo mai detto nemmeno a me stesso: il suo culo era sempre stato il mio sogno proibito.
Mentre facevamo colazione, seduti attorno a quel tavolo come una grande famiglia felice, lei si muoveva con naturalezza.
Rideva, scherzava, sfiorava distrattamente il suo uomo.
Ma ogni tanto, quando sapeva che nessun altro poteva vederla, si piegava in avanti in modo appena più provocante.
O si chinava a raccogliere qualcosa, lasciando che il suo jeans aderente disegnasse perfettamente le curve che avevo stretto la notte prima.
Mi stava provocando.
Lo faceva senza parole, senza gesti espliciti.
Era un gioco sporco, silenzioso, eccitante.
E io?
Io cercavo di restare normale, di parlare, di sorridere.
Ma sotto il tavolo, il mio cazzo pulsava ogni volta che la vedevo muoversi.
Sapevo che quel culo, quel dannato culo, era stato mio.
E che ora non avrei più potuto farne a meno.
Quando mi alzai per andarmene, passando vicino a lei, Gis si voltò appena.
Un sorriso rapido, sfuggente.
E un sussurro impercettibile, quasi senza muovere le labbra:
“Lo vuoi ancora, vero?”
Mi si gelò il sangue.
Sorrisi senza risponderle, ma i nostri occhi si promisero molto più di quanto le parole avrebbero mai potuto dire.
Quella era solo l’inizio.
⸻
Una seconda notte di fuoco
La sera dopo cena, la situazione si ripeté quasi identica.
Tutti sfiniti dalla giornata, chi steso sui divani, chi chiuso in camera a dormire.
La casa sembrava immersa in un silenzio irreale, rotto solo da qualche porta che cigolava e il rumore leggero del vento.
Io mi aggiravo in cucina, fingendo di cercare dell’acqua.
Ma in realtà aspettavo.
Sapevo che sarebbe venuta.
Non sapevo come, non sapevo quando, ma dentro di me ero certo che Gis non avrebbe resistito.
E nemmeno io.
E infatti eccola lì.
Si affacciò in cucina come per caso, con addosso solo una maglietta larga e un paio di shorts così corti che lasciavano scoperti quasi del tutto le sue cosce tornite.
Senza reggiseno.
Senza vergogna.
Mi guardò senza dire una parola.
Io posai il bicchiere sul tavolo.
In quell’attimo non c’era più nessuna barriera.
Si avvicinò piano, sfiorandomi col fianco, lasciando che il suo profumo mi invadesse.
Mi voltai, la presi per i fianchi, e la tirai a me.
Lei rise piano, un suono rauco e sporco, prima di voltarsi e poggiare le mani sul tavolo, offrendomi il suo culo come una promessa.
Non persi tempo.
Mi inginocchiai dietro di lei, facendo scivolare gli shorts lungo le sue gambe.
Il suo culo era perfetto, sodo, irresistibile.
Mi ci persi, baciandolo, mordendolo, accarezzandolo con una fame che mi faceva tremare le mani.
Gis ansimava piano, guardando di lato verso il corridoio, sapendo che chiunque avrebbe potuto sorprenderci.
E forse era proprio questo a eccitarla di più.
Mi alzai e liberai il mio cazzo, duro come non mai.
Glielo strofinai contro, godendomi la pelle calda che si tendeva sotto i miei tocchi.
Senza una parola, la presi.
Le affondai dentro con un unico colpo deciso, facendola gemere sorda.
Era stretta, calda, viva.
Spingevo forte, senza pietà, sentendo il rumore sordo dei nostri corpi che si univano nel silenzio della notte.
Le mani le stringevano i fianchi, i polsi, le braccia, come a volerla marchiare, a ricordarle che era mia, solo mia.
Lei si mordeva le labbra per non urlare, si lasciava andare contro il tavolo, mentre io affondavo ogni volta più in fondo.
Fino a sentire il suo corpo tremare, cedere, arrendersi completamente.
Venni dentro di lei, stringendola forte, sentendo il suo culo premuto contro il mio bacino in un’ultima spinta disperata.
Rimanemmo così, ansimanti, sudati, uniti, sporchi.
Poi lentamente ci ricomponemmo.
Uno sguardo veloce, un sorriso complice.
E ognuno tornò nel proprio letto.
Come se niente fosse.
⸻
Una mattina senza freni
La mattina dopo, il sole filtrava pigramente dalle finestre.
La casa era ancora immersa nel sonno.
Solo il silenzio, interrotto ogni tanto dal cigolio di un letto lontano o da un colpo di tosse.
Quando attraversai il corridoio, la vidi.
Era lì, appoggiata contro la porta della cucina, con addosso solo una maglietta bianca lunga abbastanza da coprire a malapena il culo.
Niente reggiseno, niente mutande.
Mi guardò con quel sorriso sporco che ormai conoscevo troppo bene.
Non servivano parole.
Mi avvicinai, e lei fece un passo indietro, trascinandomi dentro la cucina, chiudendo la porta dietro di noi.
Le presi il viso tra le mani e la baciai con tutta la rabbia, la fame e il desiderio accumulati.
Le mani mi scivolarono subito sotto la maglietta, trovando la pelle calda e nuda che aspettavo.
Lei si sporse all’indietro contro il tavolo, spalancando le gambe senza pudore, chiamandomi, offrendosi.
Infilai una mano tra le sue cosce: era già bagnata, pronta, caldissima.
Tirai fuori il cazzo, duro e pulsante, e senza esitare glielo infilai dentro.
Un solo gemito le scappò dalle labbra, poi si aggrappò a me, stringendomi come se volesse trascinarmi ancora più in fondo.
La scopai forte, senza ritegno, senza controllo.
Colpi pieni, violenti, in un ritmo che sembrava quello di due animali in calore.
Ogni spinta faceva sbattere il tavolo contro il muro, ma non ci importava più niente.
Gis mi graffiava la schiena, mordendomi le spalle per non urlare.
Mi cavalcava con tutta la furia che aveva dentro, ansimando contro il mio orecchio parole sporche, parole che mi facevano impazzire.
Cambiammo posizione, la sollevai di peso e la portai contro il muro, tenendola sollevata mentre continuavo a spingerle dentro senza pietà.
Le gambe avvinghiate alla mia vita, le mani tra i miei capelli a tirarmi, a guidarmi.
Venni dentro di lei una prima volta, senza nemmeno rallentare.
E subito ricominciammo, come se il nostro bisogno fosse infinito.
La seconda volta fu ancora più forte.
Mi piegai sopra di lei, facendola piegare a quattro zampe sul tavolo, e la presi così, spingendo con tutta la forza che avevo, sentendo il suo culo sodo premere contro il mio ventre ad ogni colpo.
Quando venimmo insieme, urlando piano contro le nostre mani per soffocare i gemiti, fu come esplodere.
Un’onda che ci travolse, ci svuotò, ci lasciò senza fiato.
Rimanemmo lì, sudati, tremanti, esausti.
Sapevamo che da quel momento in avanti non avremmo più potuto tornare indietro.
Ma in quel momento, stesi uno sull’altro su quel tavolo, non ci importava di niente.
Solo di averci avuti.
Fino in fondo.
Come se non ci fosse stato un domani.
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