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3a p Olivina; Vanni prese sicuro i miei fian


di sexitraumer
18.12.2008    |    31.022    |    0 5.7
"Anzi eran 4 rate già scadute in conto capitale..."
Alle sette mi svegliò la vescica. Il gallo aveva cantato da un pezzo. Pisciai e mi lavai. Mezz’ora dopo andai a prendere dalla vicina, che avevano una vacca, la mia razione di latte per la colazione. Alle otto e mezza mi recai da Don Grico. Era già sveglio anche lui. Tuttavia aveva gli occhi stanchi. Non era l’età: non aveva dormito proprio. Mi disse che aveva passato la maggior parte della notte a far compagnia al più giovine dei sodomiti che gli chiese in articulo mortis di salvarsi l’anima...le guardie erano venute espressamente a cercarlo alle dieci della sera. Donna Sina chiese al prete di passare la mattina, e lì da lei stavamo andando adesso. L’altro sodomita a quanto pare passò la notte a bestemmiare. Sia Don Grico che le guardie avevano fatto finta di non udire finché vi era stato il tollerante prete. Mi misi gli abiti talari fornitimi da Don Grico e presi l’aspetto di un prete con tanto di zucchetto, eccettuati i miei capelli invero abbastanza lunghi come quelli delle donne...presi la scatola di legno che tenevo sotto braccio e ci recammo attraverso il paese verso il castello. Passati che fummo tra una decina di vicoli di pietra di tufo bianco-giallo, per lo più deserti, arrivammo al Castello. Colà ci saremmo fatti scortare nelle segrete. Per rispetto al paterno Don Grico gli diedi sempre la destra. Onde non farmi riconoscere dai compaesani tenevo lo sguardo fisso a terra. Passammo davanti al patibolo. Notai che stavolta era pronto. Alcuni operai stavano depositando paglia intorno al cippo. Sarebbe servita a far cadere la testa della condannata nel morbido. Anche le corde per gli impiccandi avevano il nodo già pronto. Erano distanti più o meno due braccia. Stavano sistemando gli sgabelli di un pallido legno grigio chiaro che avrebbero tolto da sotto i loro piedi. Le persone ancora non i stavano accalcando. Mancavano più o meno due ore alla mezza a giudicare dal sole in cielo pallido e occultato dalla nuvolaglia. Delle nuvole si stavano addensando. Il loro grigio sempre più scuro marcava meglio il grigio-giallo del tufo con cui erano costruiti i bassi edifici intorno alla piazza. Era come se fosse tutto un’ombra... Chissà, forse, se dovesse piovere forte, -pensavo,- rimanderanno il tutto?... Arrivati al castello ne traversammo il ponte levatoio, e ci identificammo. Parlò solo Don Grico. Sapeva cosa doveva dire; a me nessuno recò disturbo veruno, tantomeno chiesero che aprissi la scatola di legno sottobraccio, quella con le ostie sconsacrate. Dopo due o tre corridoi ed altrettante rampe di scale grigie ci trovammo tra le celle di tufo alquanto umide, nonché fetide. Mi si irritò la gola respirando quell’aria stantia e mai completamente ricambiata. Talvolta avevo la sensazione che mi mancasse l’aria. Da una luce con sbarre in alto però l’aria fresca entrava visto che stamattina c’era anche vento. Se non ti uccidevano con la pena di morte morivi comunque nel giro di cinque-dieci anni. Più cinque però...il cuore mi batteva forte. Ero agitato e se ne era accorto pure Don Grico che mi dissi:
“Calmati!...non è te che devono giustiziare oggi! Resta qui con gli armigeri! Signori se voi acconsentite devo salvare l’anima a quei tre...il cantante come sta?...”
“Il bestemmiatore dite Reverendo?”
“Sì...”
“È calmo adesso. Dopo che ve ne siete andato voi, si è messo proprio ad urlare, tanto che si sarebbe dovuto processarlo a parte, e così noi con un paio di ripassi e...insomma si è calmato!...”
“Lo avete battuto?”
Le guardie sorrisero senza rispondere. Forse gli avevano rotto qualche costola, o fatto saltare qualche dente. Don Grico capì e disse:
“Stai pronto a maledire questi due se mi dovessero disturbare oltremodo. Ora sarà più difficile ricevere la confessione...allora guardie! Inizierò proprio da lui !”- fece indicando proprio la cella del bestemmiatore.-“...e d’ora in poi non lo toccherete! Spero abbiate il buon cuore di dirmi in confessione domenica il mestiere delle vostre povere madri...”-Le guardie capirono la reprimenda (da due soldi...) ed il più anziano, un padre di famiglia, disse:
“Prego Padre andate! Nessuno vi disturberà. Se avete bisogno chiamate e verremo immantinente...”
Don Grico andò a confessarli tutti e tre. La cosa richiese un’ora e mezza che io passai conversando amabilmente con le guardie del carcere. Alcune di quelle le conoscevo di vista, e di saluto, avendole viste in taverna durante le ore di libertà. In passato avevo dato anche loro dei consigli su come rateizzare i loro balzelli...È curioso come il carceriere in fin dei conti non sia libero nemmeno lui, non del tutto almeno. La luce del sole la vedono poco gli sfortunati in carcere, ed altrettanto poco anche le guardie. Barnabito era fortunato a far servizio fuori... All’improvviso uno scampanellio esterno interruppe la nostra conversazione. Le guardie andarono in ogni cella e dissero agli inquilini di prepararsi. La loro “ora” era vicina. Ignoro se Don Grico li avesse informati. Ma mezza clessidra di ora, se non di meno, era tutto quello che restava al primo da giustiziare. Mi venne detto di andare al patibolo, di identificarmi con il boia che era stato informato su di me “come prete”. Minuti dopo ci avrebbe raggiunto il macabro corteo. Arrivai in piazza che iniziava anche a fare freddino nonostante la stagione; decisi di aspettare sotto il patibolo fino a quando non fossero giunti i condannati. Il cuore mi batteva. Disprezzavo le persone curiose che si accalcavano in piazza. Qualcuno si stava gustando pure un’anguria. Alcune giovani donne se la ridevano felici. Alcuni contadini più anziani facevano i cattivi allontanando i monelli. Le donne, ahimè erano le più curiose. Il boia, un giovane muscoloso mi fece cenno di salire. Era quello nuovo: Mastro Giacomo da Jesi, un uomo di trentasei anni, alto, robusto e muscoloso. Indossava una veste nera a pieghe verso il petto e pantaloni aderenti alle gambe. La sua testa aveva i capelli radi e quelli rimasti ben pettinati. Aveva appena riposto la mannaia alta un paio di braccia. La lama era nella parte tagliente lunga un piede e qualcosa. La mise via perché nell’immediato non serviva, e la sua vista faceva solo accalcare altra gente sempre più vicina al ligneo palco. I miei occhi percepirono un movimento; non mi ero sbagliato: stava arrivando qualcuno. Infatti stava arrivando, vidi, il corteo su un carretto di legno dall’aspetto misero trainato da un somaro. Dal campanile poco distante un chierichetto faceva suonare le campane a morto. C’erano i due sodomiti solamente scortati da due armigeri col cimiero e l’alabarda d’ordinanza. Uno aveva il volto tumefatto e gli occhi pesti; manco a dirlo il suo camisaccio sporco di sangue: era il bestemmiatore. Gli armigeri del barone che presidiavano la piazza fecero quadrato intorno al patibolo. Delle giovani puttanelle ridevano divertite; una riuscì a lanciare un sedano smozzicato contro uno dei sodomiti, che a sua volta se la rise visto ch’era stato mancato. Chinò il capo verso di lei in segno di falso ringraziamento. Quindi rialzando il capo le fece una linguaccia che sarebbe stata molto volgare, anche solo per chiedere di leccare una donna di malaffare proprio lì, in quel posto che piaceva ai maschi (e a me in particolare),...riuscì a muovere lingua e testa fino a schifare l’ingenua pulzella che arretrò d’istinto. Non vedevo Donna Sina. Da quello che potei capire si decise di procedere dapprima coi sodomiti iniziando dal più giovane, forse il più spaventato. Vennero prelevati dagli armigeri di guardia al patibolo ridotti in catene, che con la loro ruggine avevano sporcato anche le loro misere camicie sgualcite in guisa di straccio. Solo saliti sul patibolo le catene vennero loro tolte dal boia coi propri chiavistelli; le guardie che li avevano aiutati a scendere dal carretto li accompagnarono fino al macabro sgabello. Poco più di tre passi. Mi sbrigai a salire su una cassetta di legno che il boia aveva preventivamente affiancato allo sgabello per me. C’era spazio per due, il boia dapprima mi ci lasciò solo. Sentivo la puzza di umido dei vestiti di quel poveraccio. Avevo terrore del suo alito di vino (le guardie erano state generose almeno in questo...). Ero sovrappensiero quando mastro Giacomo da dietro mi disse con gentilezza a bassa voce:
“Prego Padre!... è tutto suo...però dobbiamo anche fare presto...lo dico per loro...”
Il boia arretrò e prese posizione insieme al giovane aiutante presso la corda; da parte mia avevo la bocca del condannato alla mia portata. Diedi le spalle all’incuriosito pubblico e, coperto dal banditore che leggeva al popolo in latino i capi di imputazione, gli dissi sottovoce in un orecchio:
“Masticala sotto la lingua e vedrai che non ti accorgerai di niente,...andrà tutto bene...coraggio!...ti dissolverai senza dolore...”
Uno dei baldi aiutanti del boia mi salì accanto sulla cassetta scostandomi un po’. Finì di calare il cappuccio di juta e strinse bene il nodo, poi sempre a passo leggero se ne discese per non disturbare quella che credeva la mia fondamentale funzione, ancorché da prete posticcio. Avevo il cuore in gola ed il vuoto nel mio torace. L’altro aiutante del boia tese la corda da dietro di lui. Ero così angosciato di quell’omicidio, ancorché legale davanti ai miei occhi, che non osai muovermi dalla mia cassetta di legno. Le mie cosce mi tenevano in piedi tese fino ai crampi. Contai fino a cinque sulle labbra silenziosamente, e puntuali i due aiuto-boia diedero fecero quanto loro ordinato: uno da poco più sotto, ed uno insieme a mastro Giacomo tirarono vigorosamente la corda in modo da sollevare quel corpo; l’altro diede un calcio deciso allo sgabello per fargli comunque mancare il pavimento sotto i piedi...e il corpo di quell’uomo rimase penzoloni ad un braccio appena dal suolo. Scalciò pochissimo. Segno che l’arsenico aveva fatto effetto. Ero impietrito. Il sacco di juta sulla testa di quel poveretto mi risparmiò le più morbose e dolorose smorfie della morte per strangolamento sotto il proprio peso. Il soffocamento stava facendo il resto. Il pubblico che non volle perdersi l’esecuzione rimase deluso. Quando il Boia mi fece cenno di scendere dalla cassetta ne ebbi un trasalimento, e caddi rovinosamente a terra. I macabri aiutanti di mastro Giacomo si adoprarono per farmi rialzare.
“Padre, mi perdoni, ma devo avvicinare la cassetta all’altro sgabello...”
Non me ne ero reso conto ipnotizzato dalla scena in cui ero uno dei protagonisti anch’io ma il giovane sodomita ormai era morto. Si doveva pensare all’altro:
Il boia, assicuratosi che anch’io fossi pronto, chiamò l’altro. Io salii di nuovo sulla mia cassetta. Avevo ancora due di quelle “ostie”. Il bestemmiatore bestemmiò ancora abbondantemente, ma senza urlare. Frasi irripetibili, e non verbalizzabili per i posteri. Tutti fingemmo di non aver udito. Il banditore ripeté la scena dei capi d’imputazione in latino ai quali il condannato aggiunse una sua bestemmia...in latino...alcuni armigeri risero, subito zittiti da Don Grico con un gesto risoluto. Gli avvicinai l’ostia alla bocca che aveva lui ormai il cappuccio quasi tutto calato. Non poteva vedermi, e gli dissi:
“Scioglila subito sotto la lingua senza perdere tempo. Non sentirai niente. Promesso...coraggio! Solo tanto sonno...dai...”
Il condannato fece quanto da me suggerito. Dove riuscissi a prendere quella voce ferma non so. Avevo il mio cuore a mille...Il solito aiutante salì sulla cassetta. Stavolta mi tremavano le gambe. Calò il cappuccio, strinsero il nodo anche a lui. Contai col pensiero fino a cinque e,...dopo un lunghissimo attimo di vuoto della mia mente, anche lui penzolò da un braccio di distanza con la corda tesa in seguito al solito strattone alla corda. Non si era accorto di niente. Non scalciava. Neanche lui diede molta soddisfazione agli astanti. Ma certo! Questi aspettavano di meglio: veder cadere una testa. Una testa di una donna. Di quei due disgraziati importava poco. Il tempo ormai si era rannuvolato; era grigio scuro. Nessuno si curava degli appesi tranne Don Grico che continuava a pregare per loro. Gli armigeri condussero Donna Sina che doveva essere giunta nel frattempo. Non potei farvi caso. Salì decisa e libera ai piedi sul patibolo ignorando i due impiccati. Una donna grossa, invecchiata, era anche lei in catene, ma aveva le mani libere in avanti. Era pettinata alla meglio. Non le avevano fornito spilli con cui fermare la vecchia capigliatura. Forse a Barnabito avevano raccontato una fandonia con il rasoio affilato..I suoi capelli erano bianco-grigi arruffati sotto. Guardò gli intervenuti alla sua esecuzione con disprezzo. Vedendo il cippo con un piccolo cuscino rosso aspettò alcuni secondi. Se voleva un ultimo minutino di vita la stavano accontentando. Il boia, persona gentile del nord, la lasciò fare. Il banditore stava iniziando con la tiritera del latino dalla pergamena di condanna di Donna Teresina:
“...ad puellam per abortum et nefandissimum intruglium veneficum mortem procuravit et in nomine Caroli quinti Sacri Romani imperatoris...invocato Santissimo Nomine Virginis Mariae,...iudex naturalis eam ad mortem condemnavit...”
Questa disse beffarda ai presenti sul patibolo, quasi ridendo come stesse parlando con delle massaie al mercato:
“Percé nu lla spiccia ku stì fanculibus...nun ci mmieste nnù cazzu kullu latinu ku quisti te la chiazza! Kulla lingua loru l’ìa dicere no?!”- poi urlò risolutamente onde farsi udire dai presenti in piazza-“...naaa ma ce sta faciti?...Stì fessa! ...quiddhi djai...kulli piccinni aqqaui...ha istu?...sta betiti?...”
Don Grico le disse:
“Imu istu Donna Sina...mò nu putimu nienti kulli lluntanamu...”
Donna Sina fece cenno a quella sciagurata madre con i suoi bambini di portarli via, e quest’ultima così fece...non era spettacolo da bambini. Mastro Giacomo, -ignoro perché tanto pieno di rispetto per quella donna-, pur conoscendo di cosa si era macchiata, le disse fermo e cortese:
“Donna Sina, accomodatevi sul cippo, ve ne prego! Si deve procedere...non c’è più tempo...”
“Eh, già! Sta chiòe, no?!...mè! Maniciatibu!...”
Infatti un paio di tuoni in lontananza, e qualche gocciolone sul patibolo annunciarono che stava piovendo. Volevano sbrigarsi tutti, Donna Sina compresa, che ormai cercava di considerarsi dall’altra parte. Mastro Giacomo tagliò con delle grandi forbici nere sia i suoi capelli grigi dietro il collo che il colletto della veste bianca di Donna Sina che indifferente lasciava fare. Il collo ora era completamente scoperto. La pioggia ci stava bagnando un po’, ma si proseguiva. Stava arrivando uno di quei nostri temporaloni. Le si avvicinò Don Grico che le diede il Crocifisso davanti alle labbra. Baciò il Crocifisso. Abbracciò inginocchiata il cippo di legno di un buon braccio di diametro; poi si voltò verso il boia:
“Boia! Se hai mai conosciuto una delle mie...“-Le mancarono le parole, poi ...respirò e disse:
“Non farmi soffrire giovanotto! Non ho denaro con me, i giudici mi hanno preso tutto,... ma se non mi farai soffrire, vai pure a trovare le mie ragazze...ti ricompenseranno loro...”
A Donna Sina inginocchiata vennero prese le mani e le vennero legate tra i polsi dietro la schiena; legate unitamente ai piedi uniti legati dagli aiutanti alle caviglie: Mastro Giacomo da Jesi era meticoloso; non oppose resistenza; ma da adesso non si sarebbe più potuta voltare; erano i suoi ultimi istanti: la raggiunsi e dopo essermi inginocchiato per venirle incontro le dissi sottovoce:
“Donna Sina ora la benderanno, credetemi è necessario, poi le darò un’ostia; scioglietela sotto la lingua subito, e non sentirete niente ve lo prometto.”
Mi guardò e mi disse prima che le mettessero la benda nera:
“Ma tu non sei Toraldo...? Sta bene tuo padre?”
“Sì, sono Toraldo, mio padre mi portò da una delle sue ragazze tredici anni fa...sì posso dirvi che sta bene,...ecco prendete e chiudetela subito la bocca...! Brava...appoggiate la testa qui, sul cuscino adesso. Ecco così... di fianco va bene...tutto bene...andrà tutto bene...”
“To..ra...l...”
“Sì donna Sina...”
Appoggiò la testa al cuscino sul cippo e non fiatò più. Le gocce d’acqua che battevano rapide sul volto erano il commiato che in quel giorno il mondo materiale prendeva da lei. Vidi un rivoletto di acqua scendere dai capelli sulle guance. Mi allontanai di quattro passi circa. Ora l’arsenico l’aveva immobilizzata comunque. Doveva però sbrigarsi anche mastro Giacomo visto che l’arsenico le avrebbe presto provocato qualche contrazione. Quell’uomo era già in posizione con la mannaia. Donna Sina non si muoveva. Una bava bianca stava uscendo dalle sue labbra sciacquata dalla pioggia. Forse era già incosciente... Il boia prese la mira e vibrò il colpo; tagliò in due il suo collo. Si udì un rumore...un tonfo sordo. Vedevo la cosa da un paio di metri dietro. Anche un tuono in lontananza era arrivato fino a noi. Maledizione! Obbrobrio! La testa non si era separata...ecco un lampo! La lama era penetrata solo per metà nelle carni del collo. Altra pioggia; più rapida stavolta. Il pubblico cercava lo stesso di cogliere qualche cosa. Non trovava che pioggia. Che coglione di boia! Donna Sina non fiatò restando ferma con il collo squarciato; mastro Giacomo dovette alzare la scure rapidamente da quelle carni bianche e rosse deformate dal taglio in maniera indicibile, e tirare un altro colpo...Il secondo, mirato meglio: Il corpo finalmente cadde dietro al cippo sputando sangue sulla paglia già bagnata. La testa, il cui taglio sul collo non era stato netto, rimase sul cippo, e formò di fianco un laghetto di sangue rosso scuro che coprì la bava bianca causata dal veleno e si mescolò con la pioggia battente. Il boia la prese per i capelli con la destra; sollevò quella testa mozzata che buttava sangue ormai solo a gocce, quindi tolse la benda con la mano sinistra. Gli occhi di Donna Sina erano chiusi. Don Grico ed il cerusico, loro sì avevano fatto un buon lavoro. Nessuno di quei tre aveva sofferto. Il popolo non ebbe la soddisfazione che cercava negli occhi stralunati della condannata decapitata, negati alla gente dalla benda, ora tolta, e dal veleno. Il boia fece due volte il giro del patibolo per mostrare quella testa poi tutto finì. Il boia ripose la testa nella bara di legno, e gli aiutanti vi misero il corpo insanguinato dopo essersi accertati che non buttasse più sangue. Quello sul patibolo poteva ammontare a tre litri o giù di lì in parte assorbito dalla paglia e sciacquato dall’acqua che lo aveva diffuso tutto intorno. La gente cominciava a disperdersi delusa e zuppa mentre la pioggia lavava di suo ciò che restava di quel macabro rito di giustizia, giustizia degli uomini. Gli impiccati vennero lasciati, anche se bagnati, fino all’ora nona appesi per ordine del barone avendo questi commesso un delitto contra Deum per sodomia. Come (sterile) monito. Andai da Don Grico e ci avviammo verso casa e gli chiesi:
“Ma in Paradiso i sodomiti entrano subito...o per loro ci sarebbe prima il Purgatorio?...”
Come al solito ogni volta che gli chiedevo del Paradiso dopo un’esecuzione capitale non mi rispondeva mai. La pioggia continuava ed io mi riparavo la testa alla meglio con i paramenti posticci che mi aveva fornito il mio aio di un tempo. Questi mi disse:
“Ho speso gli ultimi scudi per pagare la tumulazione e la cura di...quei tre. I due ragazzi sono stati sconfessati anche dai propri parenti. Il boia pulirà i loro corpi e li vestirà di abiti decenti...oggi pomeriggio laverà Donna Sina, corpo e testa, e domani i due disgraziati; poi verranno seppelliti tutti e tre in zona sconsacrata. Io però in segreto pregherò lo stesso per loro.”
“Anche se i sodomiti commisero delitto contra Deum?”
“Perché Donna Sina no forse?”
“Nei nostri tempi sodomiti, assassini e ...incestuosi vanno a morte! Anche gli incestuosi Toraldo! Non c’è salvezza! Hai visto?”
“Non si salvano in Paradiso...”
“Non si salvano qui sulla terra, qui da noi! Spero tu oggi abbia capito qualcosa...”
“Don Grico...io...”
“Mi inviteresti a cena Toraldo?...”
“Certo Padre...nessun problema...sbrighiamoci o ci prenderà una polmonite!”
A casa ci asciugammo al camino. A cena parlammo di tutto fuorché dell’esecuzione. Sapeva di avermi chiesto veramente troppo. Non so se lo intuisse; io però mi sarei rivolto ad Olivina, mia sorella Olivina per sfogare le mie angosce dell’esecuzione; di Olivina non chiedeva mai per approfondire: si accontentava delle mie vaghe risposte. Mi chiese anche del mio comportamento con le schiave del barone. Non era un comportamento diverso da quello di mio padre suo amico, o da quello suo con nostra madre a tempi andati...mi consigliava prudenza, la mia abitudine amatoria era ormai nota. Del pari era pure probabile che Don Grico fosse stato informato in confessione da queste, da poco cristianizzate dopo la cattura o l’acquisto, della mia passione per il retto delle schiave negre del padrone. Più erano alte e statuarie, più mi piaceva far loro anche sodomia. Era strano come né l’Inquisizione, né Carlo V punissero qualunque uomo uso a praticare sodomia alla propria, o ad altre donne purché donne grandi, si capisce. L’influenza dei miei anziani genitori ormai era relativa. Se avessi fatto torto a qualcheduno non era detto che potessero ancora proteggermi. Non vivevo neppure con loro. In realtà le stalle del barone per mio padre erano state tutto il suo universo. Io invece preferivo vivere presso il borgo del nostro paese. Don Grico viveva delle elemosine dei fedeli ed io congedandomi da lui all’ora terza, conoscendo il suo stato di difficoltà momentanea, gli diedi a regalo cinque scudi dei miei risparmi recenti. Andai in ufficio con un po’ di mal di testa e raffreddato a sbrigare il lavoro della mattina. Finì ch’era notte tardi. Chiesi ed ottenni ospitalità al castello visto ch’era giunta l’ora del copri-fuoco. Per la notte avevo già progettato di sfogarmi per le emozioni morbose provate durante la giornata. Cercai di andare a trovare qualche schiava del barone, ma sorpreso nelle vicinanze delle cucine, mi venne perentoriamente impedito da due armigeri di lasciare i locali per andare vicino alle stanze della servitù femminile. Mi trattennero in uno stanzone per una buona mezzora; alla fine mi venne a trovare il capo del personale, messer Vezio, che conoscendo le mie inclinazioni per le negre formose mi disse:
“Cosa facevate da queste parti a quest’ora ragioniere?”
“Dovevo incontrarmi con una persona...”
“Chi?”
“Una donna di qui...ha eseguito male alcuni lavori che il barone mi ha incaricato di sorvegliare...sapete...”
“E perché non me l’avete detto prima? Di loro al barone rispondo io...”
Un uomo normale di corporatura, né bello né brutto, tuttavia capace di farsi rispettare. Di una certa anzianità aveva da poco passato la cinquantina. Il suo punto di forza erano i suoi occhi neri. Portava la barba grigia, curata, corta col pizzetto. Alla luce delle torce il suo viso aveva un tocco d’inferno, ma anche una sensazione di caldo che lo faceva apparire umano. Credo fosse uno dei pochi che si lavava regolarmente al castello. Anni prima era stato un uomo d’arme, e si dice avesse ucciso il suo primo saraceno a quindici anni; per quell’azione ebbe il permesso di arruolarsi nell’armata imperiale lasciando i lavori paterni presso il manso; le pene del contadino non gli si addicevano per la sua indole. In attesa della vecchiaia poté accasarsi col barone: vitto e alloggio in cambio delle sue attitudini al comando per mandare avanti la servitù. Mi aveva letteralmente fatto prendere in castagna. Era meno alto di me; tuttavia poteva uccidermi con un solo pugno. Questi infatti, benché non più giovine, non disdegnava ancora far esercizio con i pesi...ai suoi muscoli teneva! Cosa potevo dire a questo qui ?
“Sono lavori, diciamo...delicati...bisogna essere discreti, capite...?”
“Ah! Delicati certo!...Discrezione...voi Toraldo siete nella ragioneria del barone...”- Quell’uomo fingeva di annuire. Ero angosciato per il suo sorridere. Era chiaramente ironico. Non era un buon segno. Scoprì le proprie carte. Cambiò subito il tono dall’ironico all’arrabbiato:
“Signor Toraldo, quelle donne sono le donne del barone...”
“Messer Vezio possibile che siate di così corta veduta?... intendevo solo far presente ad una di quelle donne la loro resa su un determinato lavoro...io lavoro per il barone, lo sapete...passo il mio tempo a travagliare di concetto, e devo spiegarmi con coloro che, volenterose ma poco pratiche, non sanno leggere...”
“Siete una gran faccia tosta giovanotto! Il vostro tono lo sto trovando infantile ed arrogante... e forse è giunto il momento di dimostrarvi che la simpatia che ha per voi il barone è mal riposta...”
“Io...”
Ad un suo cenno un armigero mi diede un colpo di manico di alabarda nello stomaco. Mi accasciai a terra in ginocchio.
“...capite giovinotto...?! All’ultima, pagata 100 ducati, la verginità davanti gliela avete tolta voi pare...spero che ve la siate goduta, perché il barone non è rimasto contento...”
“...non era vergine che dite ?!...Messer Vezio...io...”
Ricevetti un altro colpo. La precisazione non era stata gradita. Rimasi a terra steso di fianco contorto dal dolore. Messer Vezio mandò via gli armigeri, e mi disse avvicinandosi a me senza chinarsi mentre ero a terra come umiliato come un verme:
“Vi lamentate per due colpetti Toraldo?!...Non eravate un uomo di concetto?! Allora vi suggerisco di riflettere un po’!...Alla povera Lia ho dovuto dare trenta, e dico trenta, nerbate”:
“...dieci alla schiena”... - e mi diede un calcio nello stomaco;
”...dieci alle cosce dietro,...”- e me lo diede sullo stinco destro;
“... e dieci alle natiche!...che voi sembrate tanto prediligere!...” e ricevetti un calcio dietro al mio di culo.
Forse si riferiva a quella di verginità...infatti che io ricordi: davanti non le trovai imene veruno...poi concluse:
”...era un ordine del barone! E l’ho dovuto eseguire... Ma la colpa è vostra! Siete stato voi a sedurla...vorrei rompervi quel muso da bravo ragazzo del mio stracazzo. Non avete idea...piccolo fellone, come piange una donnina di ventun anni quando ti ordinano di frustarla a nerbate su tutto il corpo! Per fortuna che erano solo trenta! Quella poveretta ha sofferto per colpa vostra! L’avete fatta soffrire voi! Solo voi!”
“Vaffanculo porco...!”
Mi sollevò da terra prendendomi per il colletto della camicia e guardandomi dritto negli occhi disse:
“Porco sarete voi Toraldo! Altrimenti vi sareste accasato da un pezzo. Siete il più porco tra i maiali del Barone, e non meritereste di dividere la stalla neppure con loro! Non fatevi pescare più Toraldo! Mettevi ritto!... ed andatevene a dormire che domattina alle dieci il buon avvocato Sanfedele vi aspetta! Vi è andata anche abbastanza bene!”
“...”
“Ah stavo dimenticando...pagherete voi i cento ducati della verginità di Lia...in ragione di tre ducati al mese decurtati dalla vostra paga fino a concorrenza della somma...gli interessi a quanto ne so li avete pagati ora...avete compreso giovinotto?...”


“...e questo è tutto sorellina.”
“Toraldo! Ascoltate il mio di racconto e vorrete darmela voi qualche nerbata...”
“Orsù ditemi sorella Olivina...son tutt’orecchi...”
Barnabito, mi ricordo, mi aveva dato un’idea: andai al paese di mia sorella Olivina. Ufficialmente per far visita a mia sorella e a mio cognato. Ebbi, non appena arrivato una buona notizia: si era (momentaneamente) riusciti a far smettere di bere Ranuccio, che ora il pomeriggio lavorava in quello che fu lo studio del padre notaio ormai solo ex proprietario terriero. I suoceri se ne andarono a vivere i loro ultimi anni in un convento vicino il paese per lasciare un po’ di intimità ai due sposi, e per non esser loro di peso. Il notaio svolgeva ancora qualche lavoro di consulenza per il convento, ma non aveva più la fiducia delle banche avendo dovuto coprire i troppi debiti fatti dal figlio con il gioco dei dadi. La casa paterna dalle numerose stanze su due piani venne trasformata in locanda. Fu un’idea di Olivina per pagare i debiti, dato che Ranuccio stilava solo piccoli atti di poco significato. Io e mia sorella non ci vedevamo da mesi; ma nel “senso nostro” del termine erano anni che non facevamo del sesso tra noi due sfidando le nostre leggi o meglio il patibolo. Per noi sì sarebbe stato ben meritato... Ce ne andammo in campagna con il carretto trainato da un asinello che il notaio suocero di mia sorella ci aveva lasciato. Certo che la carrozza con i cavalli dovette venderla...Ci prendemmo una licenza per la mattina portandoci il nostro desinare da casa. Ranuccio aveva accompagnato a scuola, e poi a dottrina il loro figlio Aymone, quindi si sarebbe recato a studio a lavorare. Noi due saremmo rientrati per la cena. Protetti dall’erba alta, e dal calore del nostro sole ci eravamo spogliati e seduti l’uno a contatto con l’altro. Non eravamo cambiati molto. Eravamo ancora entrambi nel fiore degli anni. Tuttavia il basso ventre di mia sorella mostrava la traccia del parto di Aymone. Mia sorella mi carezzava il pisello; io le toccavo le zinne baciando le sue splendide guance di tanto in tanto. Chi non ci conosceva ci avrebbe presi per due normalissimi amanti. Olivina teneva la presa sul mio cazzo, e mi raccontava quanto le era accaduto. Io ascoltavo massaggiando amorevolmente le sue sise. Aggiungerei che non ero minimamente geloso; ma curioso sì! Olivina attaccò:
“Fu una quindicina di giorni fa quando dovetti recarmi in banca a chiedere una proroga per 40 ducati in scadenza...anzi eran 4 rate già scadute in conto capitale...”
“In conto capitale ?!”
“Sì fratello Toraldo, mio marito Ranuccio fa pochi soldi stilando gli atti di poco conto, e quando non beve...io gli interessi sul mutuo contratto da papà, cioè il mio augusto suocero Giuseppe Maria Tresoldini che or vive con la mia cara suocera ospiti di un convento, riesco a pagarli con l’attività di locandiera...io e mio marito dormiamo sul retro. Le stanze migliori sono affittate. Per questo ho preferito venire qui oggi.”
“Fate tutto questo da sola?”
“No, si capisce...il convento che ospita i miei suoceri mi ha mandato un ragazzo di quattordici anni, e sua sorella di diciannove, che mi danno una mano con le pulizie; non hanno più nessuno al mondo morta la loro madre; il padre non hanno mai saputo chi fosse...vedete fratello sono entrambi ad apprendistato...si contentano di vitto ed alloggio soltanto...poi forse come dice la nostra gilda mi farà da aiutante, e dovrò dargli uno stipendio, sarà circa tra sette anni, poi dopo altri tre anni se vorrà potrà diventare anche lui un mastro locandiere...per ora faccio pure che badi e difenda il piccolo Aymone...che lo accompagni a dottrina e a messa quando non può Ranuccio...se ci fossimo chiusi in una camera della mia locanda a quest’ora saremmo sulla bocca di tutti.”
“Ho capito vi siete organizzata Olivina...”
“...come vi stavo dicendo non appena arrivai in banca chiesi di conferire con il vecchio direttore. Ero preparata alla solita tiritera sulla situazione del debito che in verità stiamo pur pagando...quando uno dei suoi dipendenti che avevo notato anche in passato,...beh ho scoperto, non era che uno dei suoi soci, che però non disdegnava fargli anche da segretario...mi disse :”
“Salve, sono mastro Vanni da Siena, il segretario di codesta banca
; il direttore adesso non può ricevervi. Ora non sta bene...”
“Cos’ha...?”
“Riposa signorina, riposa...”
“Riposa?...”
“Sì madamigella. Detto confidenzialmente trovo che le vostre seppur gentilissime attenzioni che usavate praticargli ad ogni vostro incontro gli siano state nefaste ultimamente...”


“Ovviamente fratello Toraldo, quel mastro Vanni ci aveva sempre visto e lasciato fare...lo soddisfacevo con cautela, e lui, il vecchio diciamo, della mia mano si accontentava; ogni tanto mi toccava anche lì..da dietro mentre ero contro il tavolo...oh!... vedo che ora la mano l’avete messa voi fratello,...vi piace ancora? Ahnnnnnnn!”
“Sono sempre stato pazzo di voi Olivina! Com’era questo Vanni, sorella?”
“Era un tipo sui trent’anni, ma parlandoci mi resi conto che doveva averne di più...”
...Era un castano rosso che portava i capelli non corti ed una curata barba corta. Un viso gentile, ma in realtà i muscoli della faccia sapeva tenerli ben fermi quando si faceva serio. Vestiva bene con vesti molto colorate. Usava portare anche un bel cappello di piume. Che dire?... Era una persona elegante, ma del nobiluomo ricco aveva solo il sembiante. Non ostentava nemmeno anelli troppo grandi né bracciali. Io feci in tempo a notargli la fede matrimoniale. Era dunque sposato, ma non aveva la faccia felice. I suoi occhi marroni piccolini emanavano gentilezza, e pensavi che fosse sempre un tipo ben disposto. Ho pensato istantaneamente che se non era felice con sua moglie avrebbe gradito una gita nel mio corpo. Il suo ampio torace del resto avrebbe attratto qualunque donna. Era un uomo prestante più alto di me, e di voi fratello Toraldo, ma direi che ci teneva a non apparire troppo. Iniziai una conversazione con lui. Del resto la porta che portava nell’ufficio del direttore era tenuta ben chiusa...gli dissi:
“E quando posso tornare...mastro Vanni?”
“Onestamente non lo so, ...temo che dobbiate dire a me, se potete,...”
Giocai il tutto e per tutto avendo saputo che non avrei potuto uscirmene con la solita manovella al vecchio direttore gli dissi: “mi sono scadute 4 rate da dieci ducati l’una, e ora ho in cassa solo i dodici che ho portato qui con me...vi chiedo umilmente una proroga messere...”
Mastro Vanni esaminò il sacchetto che gli diedi e disse senza scomporsi:
“Signorina Olivina il debito è di 40 e quaranta hanno da essere...e poi a che proroga pensavate?...non ne avete già avute di proroghe?...”
“Almeno dieci giorni...e troverò la restante somma...”
“E lui cosa fece?”
E lui, fratello Toraldo, si prese i dodici e li mise subito in un cassetto richiudendolo subito...sapete ebbi la proroga, è solo che cinque giorni fa potei aggiungere solo otto ducati...
“E lui?”
“E lui...mi disse: Olivina siete sempre sotto...- ma io sapevo che non stava premendo veramente. Voleva solo anche lui qualche attenzione di quelle che praticavo al vecchio direttore...per cui gli dichiarai: ”
“Mastro Vanni! Non potevate dire meglio! La mia ricchezza è anche sotto, se permettete. Gradireste una parte del pagamento in natura?”
“Di tutto il debito? ...Mi sembra irrealistico...”
“No, si capisce!... di questi restanti benedetti 20 ducati...sapete Mastro Vanni, vedo che state ammirando la mia balconata, vi piace? Ebbene se volete sarò vostra,...la mia carne, ed il mio calore, anzi Mastro Vanni! Se volete toccatemi!...”
“...”
“Toccarvi Olivina?”
“Si prendetevi il mio sesso sulla vostra mano, prego Mastro Vanni ora che non c’è nessuno... so che siete uomo accorto di queste cose...”- fu lui stesso a farmelo capire fratello Toraldo...
“E lui vi toccò sorella?”
Alzai la gonna davanti a lui, e vista la mia fessa col pelo insieme al mio basso ventre che già voi ebbe ad eccitare, mi saggiò subito la fessa di presa con una certa veemenza, quella mano avrebbe anche potuto far di lui un uomo d’arme...io gli dissi:
“Ahnnnn...è calda,... se volete sarà tutta per voi, cosa preferite Mastro Vanni? Acqua di rose o lavanda...?”- e lui mi disse che preferiva la lavanda; al che io gli dissi:
“La profumerò alla lavanda, e lo stesso chiedo che ve lo laviate voi che siete così giovane...”
“Ma io voglio prendervi adesso Olivina...”
“No, adesso no...in un luogo riparato stanotte...”
“Nella vostra locanda Olivina?”
“No, ahnnn,...ehi che foga!...vi prego togliete la mano ora, o mi bagnerò qui...uhhhhh, ahnnnn!”
“E lui?”
“Bagnatevi Olivina...bagnatevi!...Sì! Sì! Sì!”
“Smettetela. Non qui. Potrebbero vederci...ahnnnnn...dovevate,...ahnnn,...solo toccare un po’...”
“Sì e io vi tocco! Olivina vi tocco!”
“Mastro Vanni! Stasera recatevi in chiesa. La chiesa qui vicino! Alle otto il sagrestano la chiuderà. Si chiama Paolo. Si tratta, ahnnnnnn! ...dicevo...maledette le vostre mani!...ancora !...ahnnnnn!...ahnnnn! Avrete Finito spero?...insomma dicevo recatevi da Paolo, e trovate una scusa per far conversazione; poi offritegli dell’acquavite così avrà il suo alcool e andrà presto nel mondo dei sogni...”
“Paolo dite?”
“Sì un ometto di una quarantina d’anni rosso come una carota, una specie di mal pelo, anche un po’ finocchio forse, ma non temete! Con voi così prestante non ci proverà... tiene la faccia da pretino, ma ultimamente si è auto nominato sagrestano...stravede per i preti e le chiese! Se non si consiglia con un prete non la tocca una donna nemmeno con i guanti...ma è anche dedito alla grappa...Che volete che vi dica? Avete finito con la mia bernarda ? ...potrebbero vederci ...adesso ci guardano Mastro Vanni! Smettetela!...è arrivata gente, insomma! Oh grazie...”
“Poi ?”
“Restate con lui a parlare, a voce sempre più bassa...è un uomo infantile che subisce il fascino di coloro che sono più sapienti di lui...gli racconterete una favola, e vedrete da voi che chiuderà gli occhi davanti ai vostri. Una volta che si è addormentato accompagnatelo sul letto e raggiungete la sagrestia: sulla vostra sinistra dopo un grande quadro troverete una scaletta stretta: percorretela tutta: è a scendere. Purtroppo è al buio. Portatevi una lanterna se volete...lì nell’archivio della parrocchia potremo giacere come si conviene...è un posto molto riparato...il prete nuovo ancora non arriva, e quello di prima riposa in pace da tre settimane! ”
“Voi come lo sapete Olivina?”
“Non potete chiedermi questo Mastro Vanni...io non vi ho mica chiesto del segreto bancario...e visto ora anche voi vi siete già servito...”
“Va bene! A che ora?”
“All’ora settima della sera raggiungete Paolo dalla chiesa; se mi vedrete già lì ignoratemi!...io rimarrò in chiesa come se ci fosse messa, poi dopo che lo avrete addormentato, verrete di sotto... non badate a me! Io la strada la conosco...un paio di cose Mastro Vanni: mi raccomando:”
“Cosa?”
“Giacerò con voi ,e vi darò la possibilità di infilare il biscotto nel forno che preferite voi...ma queste due rate rimaste le cancellerete...d’accordo...?”
“In verità voglio venirvi incontro Olivina! Ve ne posso cancellare una!”
“Due !...prendere o lasciare Mastro Vanni! Altrimenti portatemi in tribunale! Vi conviene rinunciare a questa?... non volevate mollarla poc’anzi! Allora due rate ?”
“E sia!”
“Ad ogni modo devo dar da mangiare anche al piccolo Aymone ed ai lavoranti vitto e alloggio che ho preso presso di me...quindi siccome vi pago in natura...in natura mi aggiungerete qualcosa di vostro.”
“Cos’altro volete Olivina?”
“Due capponi,...oppure tre fagiani, basta che sia cacciagione! Sono tre settimane che da noi si mangia solo polenta...e poi sì, poi un po’ di formaggio...che i clienti me lo chiedono...”
Toraldo s’intromise e chiese ad Olivina:
“Stavate così male sorella?”
“No, grullo! La mamma, mia suocera dal convento, ci manda un paio di salami l’anno, ma li devo nascondere a Ranuccio...mangia di nascosto la notte...e fingo di non vedere quando posso...”
“E come andò sorella?”
“Mi feci scopare da lui...ma voi siete già eccitato Toraldo? Per caso fratello gradite una manovella più decisa ?”
“Prendetelo, tenetelo, muovetelo in mano Olivina, ve ne prego! E raccontate...muovete, e raccontate...”
...Andai in chiesa con Fabio il nostro garzone e Aymone. All’ora settima li mandai a casa con le istruzioni per la serata. Sapete fratello, quando Paolo mi vide mi salutò, e mi lasciò stare conoscendomi da tempo...e mentre ramazzava verso l’ingresso principale mi diressi verso l’altare per improvvisare una preghiera e quando mi accorsi che non mi poteva vedere mi recai in sagrestia in punta di piedi sollevando la gonna. Discesi le scale rapida, e giunta nello stanzone dell’archivio mi nascosi sotto un tavolo. La bernarda me l’ero lavata bene da casa perché profumasse di lavanda. Tuttavia passai il mio tempo a solleticarmi almeno il pelo, ma pure il clito, con una rosa fresca che tenevo nascosta nel seno..., aspettavo che Mastro Vanni si recasse da Paolo con l’acquavite. L’archivio è molto isolato ed i rumori della sagrestia si sentono poco...per la verità lì in quell’umido archivio vi era un silenzio che paralizzava; provai a respirare, ma era aria vecchia. Lì il sagrestano da strapazzo non passava a pulire da un pezzo...beh dovevo solo aspettare e vedendo che sotto l’ampio tavolo vi era una certa pulizia mi stesi per non farmi vedere casomai fosse disceso; intanto continuavo a titillarmi la vulva con la rosa...in attesa del mio amante mi feci pure un piccolo ditalino. Mentre mi divertivo a sfiorare il mio basso ventre con i petali della rosa pregustando il rapporto con quell’uomo così prestante, circa il doppio di Ranuccio, ed una volta e mezzo voi fratello Toraldo, venni interrotta da un inciampo del Vanni che per poco non si faceva scoprire...quando, uscii da sotto il tavolo, realizzai gli andai subito incontro illuminata dal debole chiarore della lanterna che si era portata. Poggiai la lanterna in terra dopo averla tolta al Vanni che imprecava a bassa voce per il dolore. Dovetti dirgli di smetterla e di stendersi. Se non era grave sarebbe passato subito...per non farlo pensare al dolore gli chiesi dove fosse la cacciagione. Mi indicò un sacco che teneva dietro di sé: era stato di parola: due bei capponi morti da spennare e una forma di cacio. Benissimo. Me li diede e gli feci una carezza onde dargli il benvenuto. Poi iniziai a spogliarmi davanti al lui...rapidamente mi slacciai la vita e mi lasciai cadere la gonna perché mi vedesse tutta la fessa in intimità; poi mi tolsi anche la camicetta restando in breve tempo completamente nuda le mie sise stavano ancora su pensate fratello Toraldo...
“Uh...!...che vi succede Toraldo? Ce l’avete già duro? “
“Sorella, mi immedesimai nel racconto, sluuuuuuuppp...”
“Ohhhh....mi state succhiando il mio capezzolo fratello? Posso continuare?”
“Oh ve ne prego sorella, sluuuuuppp! L’ultimo!... sluuuuupppp.”
“Uhmmmmm, ahnnn! Io continuo con la manovella fratello, piano, piano...”
Insomma, quando mi sedetti accanto a lui, ci accomodammo alla meglio e finimmo tutti e due stesi sulla mia gonna che ci riparava dal freddo e umido pavimento, invero anche polveroso...si spogliò anche lui in pochi istanti e senza che potessi ammirarlo nudo per saggiargli le natiche ed i muscoli si mise subito a cingermi ed a baciarmi sulle labbra; ci mise poco a tirar fuori la sua lingua mentre io mi apprestavo a cercargli l’arnese da soddisfare. Del suo arnese ero curiosa. Glielo volevo prendere in mano per sapere se era proporzionato al suo corpo. La verità è che mi ero innamorata di lui a prima vista! Speravo tanto che fosse lui a volermi scopare. Ve lo dico in confidenza Toraldo: il prete che mancava tanto al Paolo malpelo lo avevo mandato io all’altro mondo. Era un vecchio simpatico che mi aveva preso in simpatia; io lo tentai un paio di volte... Cadde nella tentazione, sapete fratello !... Ed alla fine mi offrì un po’ di denaro. Come sapete fratello di denaro si è sempre al corto... Una notte avevo abbandonato la locanda ed il talamo di nascosto per venire qui e giacere con il prete nel letto dove oggi dorme Paolo malpelo; avevo quel prete tra le mie cosce; ce lo avevo dentro di me, non era granché prestante; ero un po’ delusa, ma come potevo credere che potesse darmi l’orgasmo alla sua età...così per farlo venire lo baciai rapidamente in volto; beh non ci crederete... sborrò subito! Poi si accasciò e dormimmo. Io ero stanca perché fargli raggiungere l’erezione era stato faticoso. Il suo pisello mi venne dentro, e poi uscì da solo; mi poggiò la testa sui seni e non disse più nulla, né si mosse...la mattina dopo quando era sorto il sole già da un’ora mi ero svegliata e, nello svegliare lui per correttezza prima di andare via, vidi che gli occhi non li apriva. Accanto a lui provai ad aprirglieli io sperando che luce del giorno lo svegliasse e vidi che erano sbarrati, vitrei! Era stato chiaramente il cuore: aveva ceduto. Era morto o nel sonno, o tra le mie braccia. Mi ero prostituita con quel religioso che una scopata vera chissà da quanto non se la faceva. Pensai di sistemarlo bene nel letto e di andarmene perché molto presto sarebbe arrivato il malpelo. Questi erano i miei pensieri quando venni aggredita dalla foga amorosa mia per Mastro Vanni, un uomo giovane con la lettera maiuscola; la nostra foga, dicevo, ci mise altrettanto poco a darci il fuoco dentro. Ci sciabolavamo l’uno con l’altro la lingua con abbondanti scambi di saliva calda. Gli aprii io stessa le sue vesti e mi misi a baciargli sfiorandolo continuamente fino all’ombelico il suo petto caldo e peloso...poi scesi sul suo cazzo e baciatagli due volte l’asta per saggiarne il risveglio glielo scappellai decisa, un attimo dopo ce l’avevo in bocca. I lobi amari della sua cappella mi stimolavano lingua e palato...era un sapore nuovo; diverso da quello alcoolico di Ranuccio...
“...ohi...State per venire fratello,...oh qui faccio io adesso,... grosso e duro...uh! Ecco il bianco!...Eh sì!...state venendo...”
“Sì...in bocca sorella , ahnnnnn...in bocca! Voglio venire...”
“Slummm! Uapppp! Uhmmm! Uhmmmm! Uhmmmm! Sluuuuuupppp!“
“Succhiate sì Olivina, succhiate!”
“Uhmmmmmm!”
“AHHHHHHHHNNNNNNN!...”
“...Uhmmmmm, venite fratello, venite!... che ne avete tanto!...uhmmmm, buono!”
“Ahnnn, ahnnn, ahnnn. Non siete cambiata Olivina, beato il Vanni! Ahnnnn!”
“Che dite! Beato voi fratello! Allora Toraldo...se volete che prosegua:...”
“Dite sorella, dite...”
Gli praticai il lavoro con la mia bocca, e ormai l’uccello gli stava svettando imperioso come la spada di un Re. Stava scappellato da solo. Stava su che era una colonna di carne dura. Gli dissi di stendersi su di me, ma lui mi disse : -“Facciamo un numero diabolico, il 69, lo conoscete Olivina?” - Gli dissi di sì, e mi sistemai con la fica sopra la sua bocca famelica dietro, e continuammo congiunti con l’oralità. Gli stringevo la base dell’asta e mandavo la bocca avanti indietro sull’asta. La sua cappella mi toccava il palato superiore e ad un tempo sentivo la sua lingua dentro di me nella fica. La mia manina non riusciva a tenere tutti i suoi coglioni, grossi e duri. Pensai, ma quando mi ricapita un maschione così?!..E che linguista! Me la stava leccando ben bene tutta, quando mi passò all’improvviso il naso sull’inguine trasmettendomi una scossetta fino alle mie labbra ch’erano sul suo cazzo ultra felice. Poi mi ficcò la lingua in quell’ano che tanto piacque anche a voi fratello Toraldo quando avevo 18 anni...e cominciò a scavare come un picchio su un tronco d’albero. Mi sentivo esplorata ed inumidita convenientemente. E davanti a me un fior di cannone con le munizioni! Non avrei resistito ancora a lungo senza venirgli sul viso. Era più porco di quanto avevo mai immaginato. Più porco anche di noi due in quella locanda anni fa fratello Toraldo...
“...dite Olivina?!...”
“Lo implorai di penetrarmi, ma lui continuò a giocare di lingua, ano, inguine, e dentro la fica, poi di nuovo inguine, fica, ano, veloce, senza dominarsi. Mi stava stringendo i fianchi così tanto che avevo paura di defecargli addosso con quei dolci stimoli al retto...ad ogni modo non accadde!... Vedo che si è ingrossato di nuovo Toraldo...il vostro uccello intendo...”
“Sì mia Olivina!...Abbracciatemi...”
Abbracciai mio fratello dopo averlo baciato con un sorriso; lo abbracciai sopra; seno contro seno, e sotto incastrai il suo cazzo nella mia fica incrociando anche le gambe comodi seduti dapprima aprendole poi chiudendo l’abbraccio fra le mie cosce. Una volta che mio fratello fu dentro di me con il suo cazzo, in indurimento al caldo della mia bernarda, ripresi il racconto guancia contro guancia della mia congiunzione con il prestante Vanni:
“Vi prego Vanni penetratemi o mi sciolgo qui! Fate presto non resisto Vanni ! Voglio il vostro cazzo!”
“Eccolo Olivina dentro di voi nella vostra fica...ahnnnn!”
Mi stese per terra e piazzatosi sopra di me mi scese dentro con lo spadone. Trafitta come volevo! Si mosse e si rimosse, ed io godevo ad ogni colpo! Cercavo di abbracciarlo, non mi bastava mai, e cercavo di divorare ogni palmo del suo corpo a tiro della mia lingua... e finivo sempre per aggrapparmi a lui! Strinsi l’abbraccio come ora stringo voi fratello Toraldo! La mia fica schizzava dappertutto su quel suo cazzone dentro di me a spadroneggiare duro e della grossa. Sette o dieci colpi, che dico ?!...come fossero stati cinquanta! Uno più affondato dell’altro...mi afferrò un capezzolo con la sinistra e me lo strinse. Era già duro di suo...ed ecco che la piccola stretta alla ciliegina di carne mi fece sciogliere; una scossa viaggiò dal capezzolo alla passera poi di nuovo nella mia testa: tutto piacere intenso; io ebbi il mio orgasmo: venni copiosa bagnando il suo cazzo e la mia gonna su cui giacevamo. Respiravo a malapena, e gli leccavo il viso con la barba ruvida ad ogni colpo di godimento. Il suo sperma bollente si fece strada dentro di me...
“Continuate Olivina...vi prego...sto così bene dentro voi, mia peccaminosa sorella!”
“Fate piano Toraldo o ci sentiranno...ohnnnn, ahnnnn, ohhhhhhh!...pciù...pciù...Ehiiiiii!”
...sentii dentro di me sei schizzi vitali. Bollenti solo i primi due, comunque abbondanti gli altri...ne avrei preso dentro un mare...gli restai abbracciata non so quanto tempo. Lui rimase dentro di me. Gli sussurrai di riposarsi, poi avremmo tentato di nuovo. Dormimmo un’oretta forse. Tra quell’aria consumata non era difficile perdere conoscenza. Non potevo sentire le campane del campanile poco distante perché eravamo sotto terra. Venni svegliata dal suo cazzo che batteva tra le mie natiche. Aprii gli occhi, e gli chiesi che cosa volesse fare. Ero di nuovo infoiata anch’io una volta sveglia. Mi disse:
”Voglio mettervelo nel culo Olivina!”
Ed io gli dissi:
”Accomodatevi messere...sono vostra anche qui!”
Mi inginocchiai alzando bene il mio culo e le sue rotondità perché potesse prendermi i fianchi e trafiggermi a piacere. Il suo cazzo era anche tornato grosso. Mi scostò le natiche con le dita, e dopo aver provato ad allargare il mio ano con i polpastrelli delle dita, lasciò le mezze misure ed affondò il cazzo. Mi sentii aperta e mi fece anche male! La cappella il mio culetto dovette ingoiarla in un istante. Per l’asta ci volle di più. Poi però fratello Toraldo quando il suo bastone di carne dura entrò tutto, il male come d’incanto cessò, e cominciò a muoversi dentro i miei intestini invasi a dismisura...soffrivo e godevo ad un tempo! Avrei voluto che il suo carotone di carne fosse anche una frenetica talpa! Desideravo sentirlo fino alla pancia!
“Ahnnn! Ahi! Ahnnnn, ahnnnn! Ci sapete fare col cazzo Mastro Vanni!...”
“Che bel culo mia Olivina...siete tutta ...ahnnnn...un fiore...un nettare di gioventù...ahnnn, ahnnn, ahnnn...”
Gli chiesi se ci arrivava di prendermi le zinne e stringerle. Era meraviglioso sentirsele stringere mentre ero congiunta con lui fortemente.
“Sìiiiii, prendetemi le zinne! ...dentro Vanni ! Ancora UHHHH! Ahnnnn, ahnnnn!”
Mi massaggiavo la bernarda trascurata, ed ottenevo un po’di godimento in più; non tanto però. Ohhhh!...vedo che siete venuto Toraldo! Bravo!... pciù, pciù, pciù...
I miei baci insieme al racconto fecero venire di nuovo mio fratello che mi schizzò lo sperma la seconda volta. Non ne sentivo tanto. Mi poggiai contro di lui guancia a guancia, e aspettai che finisse. Poi, con un’ovvia domanda di mio fratello ripresi il mio racconto.
“Vi venne nel retto Olivina?”
“Venne Fratello, venne! Venne talmente tanto...”
... che mi pisciò dentro il mazzo non riuscendo più a trattenersi. Un clistere caldo e lungo che mi diede una nuova sensazione, anche se non pari allo sperma bollente nella vagina...forse avrebbe dovuto urinare dopo il primo rapporto, ma aveva dormito su di me, dentro di me, evidentemente si era tenuta contratta la vescica. Io dopo il clistere dovetti stringere il culo ch’era tutto un prurito, allontanarmi, e salire in superficie, e purtroppo passai davanti a quello scemo avvinazzato di Paolo il sagrestano che dormiva della grossa, credevo io. Di lì fui costretta ad uscire in strada se non volevo insudiciare la sagrestia... strada che raggiunsi di notte, nuda, dopo aver scostato la porta. Era deserta. Dormivano tutti nelle loro case. Silenzio. Mi accucciai dietro una murata di una corte accanto, e dovendo pisciare ne approfittai e liberai il retto irritato da tutto. Lasciai un laghetto unitamente ad un po’ di cacca. Ne era uscita per il lavoro fatto da Vanni con quel suo spadone implacabile. Poi di corsa prima che mi vedesse una ronda notturna, reimboccata la porta discesi di nuovo dabbasso. Vanni si stava tenendo il cazzo tra le mani per un’altra scopata quando all’improvviso ecco un imprevisto: Paolo, il sagrestano si era svegliato ed era sceso anche lui dabbasso: vedendomi nuda al chiarore della lanterna quasi fioca non realizzò completamente, e puzzava anche di acquavite. Vanni restava in penombra. Non era stato notato, per fortuna. Abbassai il livello della fiamma della lanterna. Se giocavo bene le mie carte poteva darsi che...
“...una donna?... nuda qui in archivio? Che ?.... Sogno o son desto?”
Ne approfittai spudoratamente dicendogli con dolcezza e a bassa voce:
“...è un sogno Paolo, è un sogno, altrimenti non sarei qui nuda solo per te in sagrestia,...è un sogno, un bel sogno...non svegliarti Paolo! Quando lo rifai un sogno così...?”
“Ma tu... dolce donz...el...la che fai qui? Son morto in paradiso per caso? Qui ci si vede poco...”
“È un sogno, no? Non è importante vedere...continua a sognare Paolo...”
“Ah sì l’hai già detto...come sei bella...”
Gli dissi piano piano di venire verso di me, e di stendersi accanto a me. Una volta coricato prima lo carezzai poi gli misi il mio seno sul viso, quindi un dolce capezzolo materno (più sogno di così...) tra le labbra; e col calore del mio seno sul muso gli ri-conciliai il sonno. Si riaddormentò per fortuna. Si pisciò anche sotto...fra poco avremmo sentito la puzza. Feci segno a Vanni di prendere le nostre cose, e di andare al piano di sopra a farci un’altra comoda scopata nel letto di quel cretino. Ubriaco com’era, fratello Toraldo, al mattino non avrebbe ricordato alcunché. Vedendo che c’era anche dell’acqua in una brocca mi lavai il buco del culo alla meglio più volte vuotandola sulla mano. Per asciugarmi usai le lenzuola dove aveva dormito il malpelo. Quindi come una vacca che aveva raggiunto la propria stalla mi misi contro il letto, e il mio Vanni mi scopò ancora una volta da dietro, come faceste voi la mia ultima notte a casa prima delle mie nozze ricordate?
“Come potrei dimenticare Olivina la vostra disponibilità di quell’ultima notte a casa con noi?”
Prese sicuro i miei fianchi senza curarsi della mia passione per la presa alle zinne. Si mise a baciare e sfiorare la mia schiena tutta. Sentivo l’invadenza della sua lingua. Sembrava non andasse con una donna da mesi. E sì che mi aveva avuta poco prima...altro che mesi! La sua lingua riprese a raspare sulle mie natiche e scese anche nell’ano che avevo appena ripulito alla meglio con un po’ d’acqua dopo la defecazione improvvisa dietro la corte. Mi preparò bene il buchino ormai ben disposto, e debitamente solleticato dalla sua saliva e dai guizzi duri della sua lingua. Il suo cazzo affondò di nuovo senza ostacolo visto che era riconosciuto dal mio retto ancora un po’ largo forse. Si mise a caricarmi per dei minuti...mugolavo per dargli piacere,
“Ahnnn! Ah ! Ah! Sì...uhhhhhh! Ahnnn! Che male ! Dai!...lo voglio! ...lo voglio! Cazzo! Dai....”
“Ahnn!...ahnnn!...ahnnnn!”
...ma aveva il cazzo talmente grosso che il piacere lo volevo io nella mia fica. Gli dissi:
“Uscite dal culo, vi prego...uhi!...finché è duro lo vorrei ahnnnn...ncora un po’ nella mia micinahhhhh!... bollente...vi prego Vanni!...sento che è calda, ora, ora!...non indugiate oltre! Lo voglio dentro!...”
Vanni dopo una breve imprecazione uscì dal mio culo permettendomi di respirare meglio, e come mi impalò la fica di nuovo, mi apprestavo a godere. Le mie sensazioni, fratello Toraldo, furono però di gran lunga minori. Sentivo bene quel cazzo, in verità ben grosso e teneva pure! Venivo sbattuta, ma senza troppo interesse. Aveva pure rallentato; oh qui devo essere onesta io : aveva rallentato per farmi godere un po’ di più... Godevo e mi ero pure riscaldata di nuovo essendo tornata infreddolita dalla pisciata fuori. Il punto è che ormai però eravamo spenti, e il contrattempo con quel coglione del sagrestano ci aveva fatto passare la voglia di sesso. Io volli essere ospitale egualmente. Quando il suo cazzo accidentalmente uscì gli dissi:
“Mettelo nel culo se vi fa piacere messere...per me ora è lo stesso...mi piacque il vostro clistere!”
Trafisse il mio fiorellino di dietro di nuovo. Lo sentivo duro e implacabile quel cazzone stretto dai miei intestini. Sentirselo stretto! Era questo che voleva! Sentivo che mi smuoveva i visceri. Avevo una paura di restare squarciata, e al tempo stesso ci provavo soddisfazione. Avevo iniziato io stessa a muovermi di concerto col suo palo caldo ormai tutto dentro...nel mio...di dietro. Non ci vedevo più dalla fatica. Ora però non poteva lasciarmi senza niente. Doveva riempirmi!
“Aspetto la vostra linfa mastro Vanni...ahnnnn, ahi! Ahnnnnn, Ahnnnnn...”
“Dai Olivina!...uhn! Ahnnnn! Ah! ...uhhhhhhhhhh,...ecco ! Prendete!...”
Lo feci venire ancora una volta nel culo. Me lo sentii sparato dentro con foga il seme caldo dei suoi coglioni. Restò a infilarmi cinque buoni colpetti di crema. Quando tolse il cazzo (anche se troppo presto) era spompato. Io invece ero delusa perché avrei desiderato più sperma per come mi ero sacrificata il culetto. Mi sarei prese anche le goccette piccole, ma voltandomi, intravidi che di quelle si pulì lui stesso sul mio inguine e sulle natiche. Sentivo la sua cappellona carezzarmi e sfiorarmi umidiccia. Oramai però il suo sperma glielo avevo preso tutto. Eravamo ambedue quasi del tutto stanchi e doloranti alle ossa per via dell’umidità notturna; ci rivestimmo senza dirci più niente, e ce ne andammo che erano le cinque della mattina a giudicare dalla luce dell’alba. Speravamo entrambi di non beccare le ronde se no...beh Toraldo che ne dite? Volete scoparmi ancora ?

-continua-

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