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Prime Esperienze

Salve Terra, qui Koona 4a p.


di sexitraumer
27.01.2011    |    9.395    |    0 7.4
"Johanna apprezzò la tecnologia di quei droidi..."
“Ma gli uomini ci leccano proprio lì, da dove facciamo la pipì?”
“Sì, e per circa un quarto d’ora, oh beh, no! Un quarto d’ora forse no, ma cinque minuti pieni sì! Poi si eccitano, gli si ingrossa il pene, diventa turgido -sai che vuol dire turgido Koona?- ed entrano nella vagina con esso. A questo punto inizia il coito.”
“Ma l’odore di pipì non li infastidisce?”
“In quei momenti che i maschi possono cogliere il sapore del frutto proibito, l’odore di urina, purché non di sesso a pulizia trascurata, non ha molta importanza; tanto meno li inibisce. Una certa percentuale di uomini poi adora l’urina, ma è una minoranza.”
“Capisco. Miss Dera?!”
“Sì?!”
“Ma io supponiamo che sia una donna sposata, sono obbligata a prenderlo in bocca a mio marito?”

La mia domanda fece cambiare tono a Miss Dera che divenne più decisa anche se cercava di non apparire brusca; tuttavia gesticolò in segno di diniego:

“Nessuno è obbligato a niente Koona! Né noi, né loro. Oltre tutto non a tutti gli uomini piace assaggiare il sesso femminile.”
“Perché non dice mai leccare la fica Miss Dera?! Si dice così no?!”
“Come insegnante, tua insegnante, non pronuncerò mai parole volgari! Verrei indagata dalle autorità. E saresti pregata di non usarle nemmeno tu quando parli con me!”
“Ma qui ci siamo solo noi due!”
“No, Koona! Tu non hai ancora la maggiore età, anche se hai diritto a sapere alcune cose. Io però ho un mio codice deontologico. E tu, che noi hai incarichi o non ricopri posizioni, un più semplice codice di comportamento!”
“Che vuol dire deontologico?”
“Di comportamento, ma si riferisce a chi ha un titolo abilitativo di una professione. E ciò non si riferisce a te! Però rammentalo! Io sola posso usare la volgarità; anche se solo per superare delle mancanze di significato nelle parole che ne impedirebbero la comprensione.”
“Miss Dera, parleremo mai del rapporto anale?”
“No.”
“Perché?”
“Perché è violenza pura e semplice; e non un vero rapporto. Inoltre non consente la riproduzione, ma solo trasmissione di virus e germi. Le pareti del retto ne sono ricche. Non sono acide e relativamente pulite come quelle della vagina. Di una vagina curata, ben inteso!”
“Lei è sempre così esauriente Miss Dera!”
“Grazie Koona! Per oggi hai imparato abbastanza. Ricorda Koona! Vagina curata! Beh, ora basta! Quindici minuti di ricreazione poi passeremo ad elementi di algebra; intesi?!”
“Intesi!”
“In libertà allora, a tra quindici minuti!”

Curiosamente Miss Dera non si dissolse, la sua immagine restò ferma, irreale, ed un tantino spettrale e per niente buffa, dato che era contornata da una luce verdina, e dato che aveva l’aspetto del volto di quando aveva pronunciato l’ultima sillaba. Dopo la ricreazione che io facevo da sola, vista la mia condizione particolare, riprendemmo l’attività didattica. Sarebbe stata estremamente noiosa se non fosse stato per un’interruzione del Sorvegliante. Dapprima Miss Dera si fermò “congelandosi”, poi il Sorvegliante ci ripensò e ripristinò la continuità delle comunicazioni tra noi tre:

“Koona! Ho una piacevole sorpresa per te …”
“E sarebbe?”
“Mi è giunta una comunicazione dal computer dell’astrocargo Micenea 7. Il computer della nave mi ha informato come di routine che le autorità della compagnia mineraria hanno autorizzato la nave a prolungare l’impulso di un minuto per cui …”

Interruppi il Sorvegliante e gli dissi:

“Che vuol dire spiegati!”
“Devi darmene il tempo Koona! Comunque, come ti stavo dicendo, la compagnia proprietaria della Micenea 7 ha autorizzato il comandante ad usare il combustibile nucleare di riserva. Prolungheranno l’impulso di un minuto in più in luogo dei quaranta secondi pre pianificati anteriormente. S’inseriranno in un’orbita che li porterà qui entro otto mesi invece di quattordici come prima. Accenderanno i propulsori domattina secondo l‘ora locale. Beh, sei contenta Koona?!”
“Dici sul serio?”
“Sì Koona!”
“Cos’è un impulso?”
“Sai che ti dico Koona?!”
“No, dimmi.”
“Meglio che te lo spieghi Miss Dera! Viene pagata apposta.”

S’intromise Miss Dera:

“Koona l’impulso è il prodotto della quantità di moto di un oggetto espressa come il prodotto della massa per la sua velocità che però è equivalente alla forza F di movimento moltiplicata per la durata del tempo in cui la forza si manifesta …”
“Insomma ancora equazioni!”
“Sì Koona, è l’unico sistema razionale per spiegarti l‘impulso. Ma se pazienti trasferiamo la lezione nel laboratorio di fisica elementare, così che ti verranno proiettati gli olomuvj opportuni … che ne dici?!”
“Vada per il laboratorio di fisica!”

Per un po’ mi sarei risparmiata l’attenzione dovuta per le movenze dell’indice di Miss Dera alla lavagna e ci avrei guadagnato qualche animazione molto più facile da comprendere. Dunque sarebbero arrivati qui sei mesi prima del previsto. La lezione si svolse con le animazioni che mi spiegavano l’impulso. Seguivo, ma senza interesse. Provavo distacco per la fisica, per quanto semplice me la facesse propinare Miss Dera. Ero più interessata alle faccende di casa che alle lezioni; anche se la mia proprio una casa non era. Il fatto che il computer centrale mi rivolgesse la parola di rado non mi stava disturbando più di tanto. Per quarantotto ore sapevo di avere una certa libertà prima il computer m’interrogasse su quel da farsi che non sempre facevo. Avevo guardato meglio anche nelle capsule di sussistenza che mi inviavano e fra la verdura liofilizzata avevo trovato anche degli ortaggi fallici come zucchine, carote, e cetrioli. Prima di affidarli ai droidi per la loro conservazione ed impiego nella cucina della base, di nascosto ne trattenevo uno ciascuno ed il pomeriggio nella mia stanza, chiusa la porta, mi ci masturbavo introducendomeli dentro secondo il mio piacere. Intorno a due ore dopo la mezza titaniana mi toglievo la gonna che mi arrivava alle ginocchia e lasciavo cadere sul pavimento le mutandine. La peluria nera del mio sesso faceva capolino da appena sotto la maglietta di cotone. Prendevo la carota e me la cacciavo dentro la vagina avendo cura di ruotarla oltre che di farla avanzare dentro di me. Mi stendevo sul lettino e supina con le ginocchia piegate mi davo da fare per sentire la carota dentro di me. La muovevo per un buon minuto, continuamente e con delicatezza fino poi ad estrarla. Vedevo che si sporcava del mio liquido interno, talvolta trasparente e talvolta bianchiccio. Cambiavo posizione. Mi sedevo sul bordo del lettino e mi toccavo direttamente con le dita la clitoride, lì dove provavo maggior piacere a sfiorarmi col polpastrello più e più volte. Quando sentivo che stavo per venire aumentavo la velocità con le dita per poi afferrare la carota e fermatala in verticale tra il bordo del letto che la tratteneva e la parete del materasso mi auto impalavo in un sol colpo. Se non bastava la introducevo ancora più dentro, e finalmente venivo copiosa. Piccole lacrime di piacere scendevano dalla mia vulva gonfia che si contraeva, stimolata dalla carota quasi tutta dentro, e si rilassava e rigavano il mio interno coscia dandomi anche solletico. Avevo osservato che nei miei liquidi sessuali c’erano anche goccette singole argentee. Poi con la carota ancora dentro la vagina a pancia tutta tesa per trattenerla per quasi tutta la sua lunghezza raggiungevo a piedi l’infermeria continuando a godere durante i passi; e distesami a cosce larghe e piegate nella lettiga chiamavo un paio di droidi acefali, ma con quattro arti con dita a croce, e mostrando loro la vulva che aveva quasi inghiottito la carota ordinavo loro di togliermela da dentro. Facevo la monella: mentre il droide afferrava la testa della carota mi divertivo ad ostacolarlo stringendo le cosce per poi riallargarle e stringevo ancora. Dissi al droide tutta lubrica:

“Ahnnn! Se hai afferrato, muovi l’arto avanti ed indietro. Sì ! Ahnnn! Sìiiiiii! Uh! Ahnnn, ahnnn!”

Per pochi preziosi secondi il droide eseguiva i miei ordini masturbandomi adeguatamente; ma era programmato per riferire al computer di sorveglianza e quest’ammasso di silicio dava dopo pochi secondi l’ordine più appropriato, ed il droide mi toglieva l’ortaggio che portava con sé un bel po’ dei miei tiepidi liquamini. Quando lo toglieva tirava con una certa forza e mi dava altro piacere intimo. Poi prendeva la spugna che imbeveva di antibatterico e mi ripuliva la vulva umidiccia. In quei momenti avrei desiderato una lingua di uomo. Solo che alla base uomini non ce ne erano. Questa masturbazione la facevo ogni due giorni. Né il computer, né Miss Dera me ne chiedevano conto. Intanto da qualche tempo avevo imparato a praticare anche la masturbazione anale ma scoprii molto presto che era dolorosa, e non dava granché piacere a meno di non combinarla con quella vaginale. In genere mettevo la carota nell’ano ed una zucchina nella vagina. Poi muovevo alternativamente entrambe. Mi ero presa una certa abitudine galeotta: provavo con la vagina qualunque cosa fosse fallica e ben dimensionata. Sulla rete Cosmoz quando riuscivo a connettermi per pochissimi minuti potevo trovare qualche porno olomuvj. Avevo imparato a barare sull’età, e se qualcuno si fosse accorto che scaricavo brevi porno sequenze dal cyberspazio cosa mai avrebbero potuto farmi ? Il computer centrale della base aveva degradato alcune funzioni di sorveglianza per risparmiare energia. Non filava sempre tutto liscio. Molte volte la connessione durava solo trenta secondi per poi spegnersi e riaccendersi pochi minuti dopo un’ora. Titano si muoveva e la rete satellitare di trasmissione non copriva tutto il sistema solare. Venere, Terra, Marte e Giove ricevevano con una buona qualità il segnale. Io invece riuscivo a riceverlo solo se qualche astrocargo mercantile agiva da ripetitore per le colonie asteroidali di Saturno. A quanto ne sapevo ero la sola occupante commerciale di Titano satellite di Saturno. Ma per il download utilizzavo nickname e password di mia madre che avevo imparato a recuperare. Il tutto avveniva in pochi istanti nei quali avevo imparato a decidere subito se scaricare o no. Gli olomuvj vietati ai minori erano quelli che m’incuriosivano di più. La rete Cosmoz li trasmetteva per i minatori degli insediamenti asteroidali e per gli equipaggi delle navette mercantili. Duravano una ventina di minuti, scoprii, ed erano a grandezza naturale. Disponendo di almeno una decina di metri quadri con una certa latezza del soffitto il realismo c’era. Due amanti potevano guardare l’olomuvj eccitandosi, per poi provare a riprodurre tra di loro quelle sequenze di sesso; sempre che la donna fosse d’accordo. Mi ero accorta che nel sesso il più delle volte era la donna a dover concedere e l’uomo a beneficiare … Mi ero anche documentata sulla vita nelle astronavi e nelle miniere asteroidali. Le compagnie minerarie spendevano i loro soldi anche per la voce sesso. Una certa percentuale di astronauti erano donne gradevoli, abbastanza belle, bionde, brune, rosse, che per contratto consumavano sesso con gli uomini della nave, o della stazione mineraria, per prevenire devianze omosessuali, e far scaricare ai lavoratori l‘aggressività. Quelle immagini avevo imparato a salvarle su unità di memoria olografiche cristalline per poi proiettarmeli per conto mio nel laboratorio della base dove avevo abbastanza spazio per stendermi comoda durante la proiezione. Vedevo quelle sequenze di sesso, mi eccitavo, mi toccavo e quando avevo goduto, eliminavo il contenuto di quelle unità perché il computer non le trovasse, e finalmente andavo a dormire. Questo aspetto del sesso non era gran che. Tuttavia mi aiutò a trascorrere gli ultimi sei mesi. Avevo imparato a fare le pulizie da sola. Niente droidi. Per la prima volta scoprivo cosa voleva dire dare un senso alla giornata. Masturbarmi con abilità mi aiutava a vincere la solitudine. Rispondevo più educatamente durante le olo lezioni di Miss Dera.
Ero cambiata. Per qualche ragione mia interna mi sentivo una padrona di casa. Sì, dentro di me, ero più adulta. Così almeno credevo io. La mia ultima settimana alla base si era conclusa. Il computer mi aveva avvertito che entro quarantotto ore sarebbe atterrata la missione di soccorso: due uomini ed una donna. Li avevo visti con un’immagine tipo olo identity; una sorta di documento che portava con sé la storia di ognuno di noi fin dalla nascita . Prevedevano di prendere terra su Titano alla mezza di …

“… domani? Hai detto?!”
“Sì Koona. Ormai ho i dati definitivi per l’atterraggio. Tra sei ore ci sarà il distacco dall‘orbiter.”
“Bene. Chi sono?”
“Astronauta, Ingegner Gregory Yakin, 56 anni, caucasico, specialista di missione.”
“Poi …”
“Astronauta dottor Mario Van Brenner, 27 anni, caucasico, navigatore.”
“Poi …”
“Sei ansiosa di conoscerli Koona?!”
“Sono i primi uomini che vedo dopo anni di solitudine, ammasso di silicio!”
“Hai ragione Koona.”
“Sono tre, no?! Chi è l’ultimo?”
“Non riesco a capire la professione dalla banca dati che hanno inviato, comunque è anche lei un’astronauta; mi dicono si chiami S. Johanna, 34 anni, caucasica, una donna. Non sei contenta Koona?!”
“Sì, finalmente viene qualcuno.”
“Tornerai sulla Terra Koona.”
“Già.”
“Che vuol dire caucasico, ammasso di circuiti marci?”
“Bianco. Inoltre i miei circuiti non sono marci. Li tengo sotto costante controllo.”
“Era una battuta, non ti offendere!”
“Cos’è una battuta signorina Karydu?”
“Una battuta è quando uno gli va di fare ironia … come spiegartelo ?! …”
“Studierò questa cosa Koona. La curiosità fa parte della mia programmazione. Non so se tu sei contenta, ma io apprezzo che stiano venendo altre persone. Potrò imparare molto da loro.”

Me ne andai nella mia stanza e mi guardai le stampe delle loro immagini. Mario mi piacque fin da subito, ed anche S. Johanna mi era simpatica. L’ingegner Yakin non mi diceva niente. Un volto anziano, semicalvo, come tanti stando alle immagini dei miei olomuvj. Per quanto ne sapevo poteva essere mio nonno, anche se io non ho mai avuto nonni, come le mie coetanee sulla Terra. La Terra era lontana ed ero curiosa di conoscerla. Ero però più curiosa di conoscere l’equipaggio della nave di soccorso. In special modo Mario che somigliava molto ad un uomo del periodo pre spaziale che mi aveva colpito. Un tale “Ice Man” protagonista di una lunga sequenza di pellicola chimica intitolata come non ricordo, ma era l’attore preferito di mamma. Mi fece vedere la sequenza chiamata film. Non era più un film intero, che pare risalisse nientemeno che al 1987. Cinque secoli prima. Ne mancavano diversi pezzi. Non era stato possibile vederlo tutto, né mamma mi lasciava libera di disporre dei suoi files dove lo aveva pre registrato. Da quello che avevamo capito era un pilota di un aeromobile armato di metallo chiamato per come ricordo io F-14 che decollava da una grossa nave marina della Terra che lanciava i suoi aeromobili contro i nemici che venivano abbattuti da dardi chiamati missili … il nome dell’attore non me lo ricordo, ma il suo fisico mi piaceva, anzi ci piaceva. Abbiamo visto quel vecchio film una sola volta e i suoi frammenti ci piacquero. Mi addormentai mentre pensavo al film visto da piccola con mamma. Dormii bene, ma non sognai. Quando mi svegliai andai in soggiorno e vidi che mancavano nove ore all’appuntamento. Interrogai il computer:

“Che mi dici?”
“Mi hanno comunicato che il lander ha preso terra a trenta km da qui, due ore fa. Ho preferito lasciarti dormire. Ora sono bloccati nel lander a terra da una pioggia. Ma appena smette di piovere verranno qui con un piccolo rover quadriposto. Il rover lo lasceranno qui. Quando lascerai la base con loro tre userete il TM.”
“Già, perché non appronti il TM? Potrei andare loro incontro …”
“No, Koona! Assolutamente escluso. A questo punto non ti permetterò di mettere a repentaglio la tua vita. Poi ti ricordo che tu non mi hai permesso di manutenere il TM. Hai usato i droidi per i tuoi egoismi.”
“Ma dai …”
“Escluso. Attenderai qui con pazienza. Questo prevede la procedura.”
“Ma guadagneremmo tempo ! Dai approntami il TM che andrò loro incontro ! Neppure si aspetteranno fino a che punto posso …”

Venni interrotta dal computer che aveva ripristinato le piene funzioni di Sorvegliante. Quest’ammasso di silicio e grafene che funzionava con i principi della meccanica quantistica del tale vattelapesca mi disse:

“Ecco, ho appena sigillato la base.”

Non appena finì di pronunciare quelle parole i droidi si animarono simultaneamente e si misero a fare le pulizie che da qualche tempo facevo io. Rasputin abituato a ignorare i droidi si decise a svegliarsi, e mi venne incontro per incassare la sua parte di carezze visto che le unità acefale multiruolo lo avevano svegliato, e sgomberato dal pavimento che dovevano pulire. Sentivo anche il ricircolo dell’aria. Il Sorvegliante evidentemente voleva presentare una base efficiente al cento per cento. Di risparmiare energia non era più il caso. Entro una giornata avrei finalmente lasciato questo posto. Il movimento dei droidi mi fece ricordare che entro una buona mezzora si sarebbero recati nella mia stanza, il mio micro regno e avrebbero trovato il fallo di pietra che ero riuscita a nascondere, nonché i miei ortaggi tra le lenzuola. Mi recai di buona lena a far sparire tutto. Portai i miei tre ortaggi del momento nelle cucine, e li misi tra i rifiuti. Per il mio fallo di pietra sul momento non sapevo cosa farne. Poi mi venne un’idea. Lo andai a mettere avvolto in una maglietta sporca nelle valigie della manutenzione. Tanto in quelle non avrebbero guardato. Il Sorvegliante prese la parola:

“Koona!”
“Che c’è?”
“Da quanto tempo non fai la doccia?”
“Saranno una sessantina di ore, perché?!”
“E allora ti suggerisco di farla. O vuoi che ti trovino sporca ?!”
“No, hai ragione. Tra qualche minuto andrò a farla. Grazie.”

Mi recai in bagno a fare la doccia. Mi spogliai durante il tragitto lasciando cadere sul pavimento maglietta, reggiseno, e i pantaloncini dopo averli sfilati. Non appena chiusi la porta in bagno dietro di me abbandonai anche le mutandine. Il computer aveva ragione. Erano abbastanza sporche. Rasputin grattò dietro la porta a scorrimento. Aprii con un gesto noncurante com’ero abituata a fare (anche i sensori di parete mi riconoscevano). Un droide aspettava fermo fuori dalla porta con la biancheria di ricambio per me in una delle sue quattro articolazioni a quattro dita meccaniche. Poi tornò a marcia indietro a raccogliere quello che avevo lasciato cadere in terra. Strano. Di solito prima raccolgono, poi solo dopo, mi avrebbero portato gli abiti intimi di ricambio. Evidentemente questo era stato prontamente mandato dal Sorvegliante. Posai maglietta e mutande pulite sopra lo stipetto ed entrai nella doccia, un parallelepipedo largo un metro circa con i vetri plastici opacizzati semitrasparenti al verde. Ero completamente nuda. Rasputin come gli avevo insegnato aspettava fuori pronto a segnalarmi qualunque anomalia. Era inutile. Era il Sorvegliante a sorvegliare. Ma il mio cane lo avevo addestrato così. Aprii i diffusori di acqua. Il mio corpo adolescente di color nocciola venne investito da una decina di getti da tutte le direzioni. Un paio di quei gentili spruzzi d’acqua colpirono il mio basso ventre bagnandomi subito la vulva pelosetta (era da un po’ che non tagliavo i peli superflui) La schiuma contenuta negli spruzzi macchiò di un bianco strato di sapone molte porzioni del mio corpo. Scelsi l’auto pulizia. Per cui afferrai una delle spugne appese alla parete e cominciai a strofinare il mio corpo. Nel frattempo anche gli spruzzi di acqua e schiuma erano cessati. Stava a me lavarmi. Iniziai dai seni facendo movimenti a cerchio su ciascuno di essi per poi salire sul mio collo, quindi mento, viso. Pensavo tra me che non dovevo dimenticarmi di fare una cosa, ma non ricordavo cosa continuando a lavarmi viso e collo. Poi ebbi l’illuminazione: passare la spugna schiumosa sotto le ascelle. Evidentemente i droidi che mi portavano le fusciacche da soggiorno le avevano esaminate prima di lavarle ed informato il Sorvegliante che mi aveva suggerito la doccia … Lavai bene anche le braccia, il sotto braccia e le ascelle. Poi scesi a strofinare la pancia ed il basso ventre. Una lavata decisa ai peli della vulva che di sopra crescevano bene ed un po’ meno sotto quindi passai la spugna sullo spacco della vulva strofinando delicatamente sopra. Un piacevole solletico deliziò il mio clitoride. Quel misterioso cappuccetto del mio piacere che avevo imparato a “coccolare“. Libera come mi sentivo nel corpo presi la decisione di toccarmi. Maledizione! Avevo lasciato il fallo nella valigia attrezzi e buttato via gli ortaggi. Che fretta c’era dopo tutto?! Continuai a masturbarmi con le mani. Col medio leggero della mano destra carezzavo la vulva e il mio clitoride. Con la sinistra la prendevo per intero. I miei capezzoli si drizzarono diventando carnosi e turgidi in un istante. Ah se qualcuno me li mordesse, proprio adesso! Con le labbra! Ahnnnn! Continuai a toccarmi. Introdussi pure due dita dentro con la mano destra e spremevo il mio seno destro con la sinistra. Non avevo abbastanza seno per cui non riuscii ad auto succhiare il mio capezzolo irrigidito al pari del seno. Nel frattempo avevo preso ad esplorare la mia vagina all’interno. Il pollice sfiorava il clitoride con lievi rotazioni, senza premere troppo, indice e medio toccavano in un aggancio contemporaneo le pareti interne della mia vagina che ora cominciava a bagnarsi e qualche rigagnolino andò a solcare lo strato di schiuma non ancora assorbito dalla mia coscia sinistra. Godevo, godevo, più entravo con il mio doppietto di dita dentro più godevo. Poi quando il piacere stava montando, mentre stringevo all’inverosimile il mio seno sinistro massaggiavo le grandi labbra della vulva ad una tale velocità che il mio respiro si era fatto affannoso, venni. Tutto il mio sesso si rilasciò. Il cuore cominciò a rallentare. Il mio respiro divenne più regolare. Continuai a massaggiare delicatamente il mio sesso. Volevo che rilasciasse tutto. Se avessi avuto il fallo sarebbe stato diverso. Quando mi calmai inserii il lavaggio automatico e le spugne, dei cilindretti rotanti, si estesero fino a toccare il mio corpo. Mi feci lavare passivamente dal computerino del bagno; e mentre intanto mi lavavo io i lunghi capelli neri Rasputin abbaiò:

“Bau, bau!”

Avevo lasciato la porta aperta. Un droide entrò ignorando il cane che intanto abbaiava da fuori. Era lì per me. Mi aveva portato l’accappatoio pulito ripiegato su sé stesso. Il droide aspettava ad un metro da me fuori dal comparto doccia. Lo ignorai e continuai a strofinare i capelli, quindi premetti i pulsanti del risciacquo con sola acqua. Cinque piacevoli minuti di carezze con acqua tiepida per tutto il mio corpo. Poi uscii dalla doccia felice, scarica e rinnovata. I miei seni stavano su da soli che erano una meraviglia. Afferrai subito l’accappatoio. Il droide non essendo più necessario fece per uscire, ma non poteva. Dovette fermarsi perché Rasputin gli sbarrava la strada. Dissi a Rasputin di togliersi a gesti, ma non mi obbediva. Il droide intanto provava a muoversi di un cm o due, ma si fermava non appena Rasputin lo puntava ringhiando.

“Grrrrrrrrr, wuuuuufff, grrrrrrrrrrr!”

Il droide allora stese uno dei suoi arti snodati con le dita metalliche a forcella verso il cane fermandolo a tre, quattro cm dalla bocca dell’animale che continuò a ringhiare. Poi ritrasse l’arto di qualche centimetro, lo sollevò, e con un gesto rapido l’arto snodato tramite le proprie dita meccaniche afferrò Rasputin per il guinzaglio. Il mio cane venne sollevato d’autorità dal droide senza testa, e scostato senza troppa gentilezza facendogli descrivere un bel cerchio verso dietro. Il droide fece per andarsene dopo aver posato Rasputin sul pavimento, e ritratto l‘arto in posizione di ripiego. Il cane lo avrebbe voluto inseguire, ma lo chiamai prontamente.

“Rasputin! Qui subito.”
“Grrrrrrrr, wuuuuf! Grrrrrrrrr….urhhhhh wuuuuffff!”
“Qui subito ! Ho detto!”
“Wuuuaaaauuuuuu!”

Il cane ringhiò ancora qualcosa al droide che era già lontano cinque o sei metri nel corridoio e si acquattò guaendo sotto la mia gamba destra. Non lo carezzai perché, mi aveva insegnato mia madre, una carezza dopo una marachella era un’approvazione per il gesto dl cane. Il quale doveva imparare quella cosa che non si doveva fare. Ignorai il cane dirigendomi verso la mia stanza per i vestiti di ricambio. Puliti non ce ne erano. Non avevo programmato la pulizia degli abiti, per cui mi tenni l’accappatoio e mi diressi in soggiorno a vedere a che punto erano le pulizie automatiche dei droidi. Avevano spolverato, lavato, e sterilizzato l’ambiente. C’era il profumo del prodotto liquido usato. Il Sorvegliante una mezzora dopo mi disse:

“Sarà il caso che ti togli l’accappatoio. A quest’ora sarà già umido.”
“Sì, hai ragione. Ora vado.”

Andai in bagno e toltomi l’accappatoio indossai la biancheria intima. Poi andai nella mia stanza dove già mi attendeva il droide che l’aveva pulita e arrivata lì gli diedi delle vesti da lavare. Se non c’erano altre incombenze la cosa non avrebbe richiesto più di un’ora al massimo. Qui da noi non pioveva. Ma nessuno poteva dire cosa stava succedendo a trenta km. Mentre stavo annullando le procedure per la didattica di oggi venni interrotta da un suono. Lo riconoscevo era quello di allarme. Mi recai in mutandine e maglietta in soggiorno e il Sorvegliante mi disse:

“La missione di soccorso è arrivata Koona! I tuoi tre soccorritori sono là fuori. Ecco guarda attendono di entrare. Ora stanno digitando la richiesta. Naturalmente le porte resteranno chiuse.”
“Che aspetti apri la porta no?!”
“Koona! Non sei in condizioni di ricevere gente vestita in quel modo. Sei, come dite voi umani? Provocante, ecco!”
“Ma cosa vuoi che finiscano l’ossigeno? Dai apri maledetto ammasso di silicio! Apri porco Saturno!!”
“Devi vestirti Koona!”
“Non ho abiti puliti. Ci vorrà ancora un’ora! Apri!”
“Devi vestirti Koona! Tua madre non consentiva che tu girassi così.”

Mi venne un’idea. Abbandonai il soggiorno ed andai ad indossare una delle tute di esplorazione esterna, poi dopo un quarto d’ora tornai in soggiorno con la tuta senza il casco.

“Sono vestita. Apri, forza!”

Per il Sorvegliante ero vestita. Aprì le porte esterne del braccio Uno e la squadra di soccorso poté entrare nella camera di compensazione. Ripulita l’atmosfera interna la porta a pannello si aprì e quelle tre persone si svitarono i loro caschi. Decisi di andare loro incontro per scusarmi del piccolo contrattempo. Raggiunsi il corridoio del braccio Uno, e sportami dalla porta, vidi che avanzavano lentamente. Mi mossi anch’io camminando verso di loro. Nessuno di noi correva. Neppure io. Il corridoio era grigio, debolmente illuminato dato che non vi si trascorreva che il poco tempo del transito. A metà corridoio ci fermammo tenendo un paio di metri di distanza. Il più anziano, alla mia sinistra, prese la parola per primo. Le prime tre persone che vedevo in carne ed ossa dalla morte di mia madre. Il cuore mi batteva e mi ero irrigidita. L’uomo più anziano alzò la mano destra in segno di saluto. Indossavano tutti una cuffia bianca aderente sul capo. E disse con voce pacata:

“Salve, sono l’ingegner Gregory Yakin, sei Koona Karydu?! L‘unica abitante di Titano Uno?”

Risposi subito senza pensare:

“Sì.”

Mi tese la mano. Avanzai verso di lui e gliela strinsi. La prima mano umana da molto tempo. Era calda e gradii la presa. La donna la centro disse salutandomi, e porgendomi la sua:

“Io sono l’ausiliaria Sorella Johanna, ma puoi chiamarmi Johanna. Miss Dera mi ha parlato di te.”
“Benvenuta … Johanna. Lei per caso, è la sorella del signore che ha parlato ? ”
“Ma no! Sono sorella Johanna. Sono una suora.”
“Cosa è una suora?”
“Avremo modo di parlarne durante il viaggio, stai tranquilla e chiamami Johanna e basta, va bene?!”

Poi mi rivolsi al terzo del gruppo. Quello che avrei voluto salutare per primo … avevo incrociato il suo sguardo ed i suoi occhi grigio verdi solo per qualche istante prima di salutare Yakin. Aveva la cuffia, ma da quello che potevo vedere era biondo.

“E tu ?”

Il terzo si presentò. Era un giovane bello e prestante, come quelli dei miei olomuvj.

“Io sono Mario, il navigatore. Ciao, piacere di conoscerti.”

Presi anche a lui la mano. Poi esauriti i convenevoli il “vecchio”, Yakin, si accorse che c’era un’altra creatura biologica: il mio pelosissimo Rasputin. Aspettava ritto a guardia della porta del soggiorno. Pensai di avvertire il cane voltandomi verso di lui. Gli dissi:

“Wuuuuuffff, bau, bau, bau!”
“Sono amici Raputin. Buono!”

La parola amici non la conosceva, a quella di “buono” sì. Il cane si acquietò.

“Non preoccupatevi è buono.”
“Nessuno può avere cani su una stazione mineraria. Se non altro perché non ci sono veterinari!”
“Questo non se lo portò mio papà dalla Terra. Si tratta di un suo clone nato qui.”
“Mah …”

Johanna ci fece passare ad entrambi l’imbarazzo dicendo:

“Beh, se non altro non ha patito troppa solitudine ! Dai Greg non è il caso di fare i formalisti!”
“Io volevo dire che … “
“Ne parleremo più tardi Greg ! Ci mostri la base Koona ?!”
“Certo venite. Il Sorvegliante vi sta aspettando. Parla sempre dal soggiorno.”
“Eri pronta ad uscire all’esterno Koona?”- Mi chiese Yakin.
“No. Il Sorvegliante rifiutava di aprirvi perché non ero vestita. Allora, non avendo abiti puliti ho pensato di indossare la tuta.”
“Hai fatto bene.”- disse Johanna.

Giunti che fummo in soggiorno l’ingegner Yakin andò davanti alla telecamera-occhio del Computer e presentò le sue credenziali, impronta retinica, identificazione, scopo della visita. In parole povere si presentò al Sorvegliante. Interagirono per conto loro. Mario rimase un passo dietro l’ingegner Yakin. I droidi rimasero appoggiati alle pareti pronti ad accorrere se chiamati. Johanna s’interessò a me. Mentre si toglieva i guanti dalla tuta spaziale abbandonandoli in soggiorno mi chiese della toilette. Gliela indicai. Un droide la precedette. Passando vicino alla porta del bagno la luce si accese da sola. Poi il droide andò ad aderire alla parete sempre in stand by. Johanna apprezzò la tecnologia di quei droidi. Disse prima di entrare:

“Vorrei averne un paio sulla Terra di questi qui!”

Johanna andò alla toilette. Io rimasi in corridoio a spiare cosa stavano facendo Greg e Mario. Rasputin mi annusava la tuta. Dieci minuti dopo Johanna uscì senza tuta. Portava i capelli abbastanza corti. Aveva solo una veste grigia aderente con un colletto bianco e nessun distintivo di grado. Tuttavia all’altezza del seno aveva una losanga bianca bordata rosso: il simbolo universale di un’istituzione medica che una volta si chiamava croce rossa internazionale, mi spiegò Johanna quando vide che le guardavo quel simbolo. Adesso che la Terra non era più divisa in singole nazioni, bensì in “blocchi economici coordinati” si era pensato già dal ventunesimo secolo di abolire la Croce che offendeva i paesi islamici, che da parte loro non adottavano la Mezza Luna Rossa per non offendere i paesi cristiani … insomma, mi spiegò, ci si mise d’accordo per la losanga neutrale, che non offendeva nessuno. Dopo quella rapida spiegazione mentre finiva di svestirsi, si era tolta anche la cuffietta bianca aderente alla testa, mi domandò con naturalezza:

“Koona, che ne dici di mostrami l’infermeria?”

Da perfetta padrona di casa ce la portai. Chiudemmo la porta dietro. Qui, dopo essersi guardata intorno cercò un cassetto che doveva conoscere per tipo. Lo aprì, ne prese dei guanti sterili di lattice, e li indossò. Mi chiese di togliermi la tuta. Ci vollero due minuti nei quali Johanna restò a mani alzate davanti al petto senza toccarmi. Rimasi in maglietta e mutande davanti a lei.

“Koona, sali sul lettino e solleva la maglietta.”
“Perché?”
“Una visita generale, prima di partire. Preferisco farla tranquillamente qui che sull’astro cargo! Lì c‘è molta gente che va e viene. Dei curiosi che vorrebbero vederti nuda anche solo con una qualunque scusa …”

Prese uno stetoscopio e se lo portò alle orecchie. Mi auscultò il la schiena, poi il petto, poi mi prese la temperatura con un termometro portatile sotto l’ascella. Mi sentì il polso, e mi prese la pressione personalmente. Mi chiese di stendermi e mi palpeggiò dappertutto premendo anche sul fegato e la milza. Presa una siringa, mi prese del sangue dal braccio destro, e prontamente infilò la provetta nello scanner dell’infermeria per avere i risultati. Poi mi valutò il riflesso, sia quello plantare, che quello del ginocchio. Poi passò all’esame della bocca. Dovevo dire ahhhhh con la lingua di fuori. Valutò la lingua, la bocca e le gengive; quindi guardò la dentatura, e non notò che una carie su un molare, che toccò con garbo con uno strumentino di metallo. Sentii quel tocco.

“Questo non tarderà a farti male. Già cariato. Dovremo otturarlo. Fortuna che sulla Micenea abbiamo il dentista! Signorina, i denti vanno spazzolati! Almeno due minuti!”

Prese una lucetta, e mi valutò gli occhi. Un quarto d’ora dopo, non appena finito l’esame della vista in generale mi disse:

“Ti trovo abbastanza in ordine Koona!”
“Sto bene allora.”
“Sì, puoi intraprendere il viaggio fino alla Micenea però adesso … ”
“Adesso …”
“Vedi, Miss Dera mi ha parlato del tuo interesse verso il sesso, ed il Sorvegliante ti ha studiata discretamente nei tuoi comportamenti. Secondo Miss Dera ti sei costruito un qualche aggeggio con cui ti sei … come dire ?! - ecco- esplorata o meglio masturbata, suppongo tu sappia che vuol dire masturbarsi … io adesso dovrei visitarti per assicurarmi che non ti sei fatta troppo male. Abbiamo motivo di ritenere che tu abbia scoperto il sesso da sola.”
“E allora ?!”
“Considerata la situazione stenderò un rapporto favorevole, ma devo visitarti più a fondo.”

Capii, e mi tolsi le mutande, quindi salii sulla lettiga e attesi le sue richieste con la sola maglietta indosso. La mia vulva era a disposizione di Johanna. Me la toccò con gentilezza, me la dilatò delicatamente aiutandosi con una sorta di piccola paletta foderata di pellicola sterile. Poi mi chiese di allargare le gambe nella posizione del parto. Eseguii continuando a guardare il soffitto. Mi disse:

“Adesso ti introduco un divaricatore. Abbi pazienza qualche minuto, che poi abbiamo finito.”

Mi introdusse l’oggetto che si aprì secondo i movimenti delle dita di Johanna. Aiutandosi con una luce tubolare Johanna guardò l’interno della mia vagina, e vide che avevo l’imene parecchio lacerato.

“Respira e trattieni!”

Passò qualche mezzo minuto poi mi tolse il divaricatore e mi fece:

“Puoi rivestirti Koona.”
“Johanna … ”
“Sì Koona ?!”

Non ero più vergine e non sapevo cosa dire. Nemmeno Johanna disse nulla.

“Posso rivestirmi allora … ”
“Sì, ho detto che puoi …”

Mi reinfilai le mutandine. Poi scesi dalla lettiga, e feci cenno al droide di avvicinarsi. Il droide mi raggiunse e gli diedi delle istruzioni con la naturalezza della padrona di casa.

“I vestiti puliti, ormai saranno pronti, reparto lavanderia.”

Il droide andò a prenderli inseguito da Rasputin. Johanna approfittò per chiedermi:

“Prima o poi dovremo parlarne! Tanto vale farlo subito, per cui te lo chiedo: con cosa ti sei deflorata Koona? O sei stata deflorata da qualcuno qui della base ?!”

Vinsi l’imbarazzo, anche se stavo arrossendo. Scossi la testa per dirle risoluta:

“Con un fallo costruito da me ! Scolpendo da sola un pezzo di roccia titaniana … ”

Pensai di confidarmi con Johanna dato che era anche un medico. Gli parlai delle pulsioni, della scoperta del mio sesso, della scolpitura e del pupazzo patetico di Ted Sky Fox. Gli dissi anche della serra personale dove andavo a stendermi nuda. Avevo praticamente allestito una serra climatizzata con l’aiuto dei droidi, ma questo a Johanna non sembrava interessare. Mi chiese della roccia che avevo usato.

“Che roccia era ?!”
“Alcuni pezzi di roccia presi da mio padre tempo fa a scopo di ricerca …”
“Ma la roccia poteva essere tagliente … ”
“No, l’avevo levigata per bene. Lo so cosa è la sbozzatura, la scultura, e la rifinitura.”
“Hai imparato da sola quindi!”
“Mi sono fatta proiettare alcuni olomuvj di didattica. Miss Dera ed il Sorvegliante me li hanno fatti scaricare dalla rete Cosmoz … ”

“Ah ! Cosmoz, certo, certo. Senti, hai misurato la radioattività di quella roccia prima di scolpirla ?”
“No.”
“E dove lo tieni quell’arnese …”
“Nella valigia di manutenzione. Avvolto in una maglietta sporca.”
“Zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz …”
“Ah! La stampante ci sta dando i risultati delle tue analisi … vediamo un po’…”

Johanna strappò il foglietto dalla stampante e lo lesse.

“Beh, direi che qui almeno è tutto in ordine. Bene!”

Il droide mi portò i vestiti. Li indossai ed uscii dall’infermeria. Johanna mi disse :

“Andiamo a prendere l’aggeggio. Lo analizzerò al multiscanner. Qui alla base ce ne deve essere per forza uno. Se non trovo niente lo distruggerò io stessa. Nessuno saprà niente.”
“Sì Johanna, vieni, è da questa parte!”

Andammo nel locale officina a prenderlo. Nessuno ci seguì. Mario e Greg continuavano ad interagire con il computer di sorveglianza. Nessuno di loro due poteva udirci. Nel frattempo Rasputin ci raggiunse. Andò ad annusare il piede destro di Johanna, che lo ignorò. Diedi il contenitore a Johanna che lo aprì, e notò l’involto; lo svolse dalla maglietta, e lo guardò. Rimase sorpresa vedendo la grossezza e la forma strana che ero riuscita a scolpire. Un pene eretto, e stortignaccolo. Lo esaminò con l’occhio del medico, e vide che era predisposto per il travaso dei liquidi. Johanna, spaventata immaginando cosa ci avevo fatto, afferratolo con due mani come a romperlo, mi disse:

“Posso ?!”
“… s-sì, credo di sì …”

Lo gettò in terra con violenza lontano da Rasputin. Ma non si ruppe. Cercò un martello, e trovatolo s’inginocchiò per terra, e prese a colpire il mio fallo con decisione. Sei colpi, e si ruppe in due pezzi. Johanna li raccolse, e cercò il multiscanner. Ci mise una ventina di minuti a trovarlo tra la dotazione della base. Passò alla scansione entrambi i pezzi. Poi dopo cinque minuti mi disse:

“Radioattività nella norma a quanto pare. Sei stata fortunata Koona.”
“…”

Una voce lievemente urlata ci arrivò:

“Ehi voi due! ”
“Vedi cosa vogliono Koona! Io intanto faccio sparire questi pezzi.”

Andai a vedere. Era Gregory Yakin, l‘anziano del gruppo di soccorso. Non cercò di indagare cosa facessimo in officina. Mi disse solo:

“Dì a Johanna che il pranzo sarà pronto fra pochi minuti. Mangeremo nella sala riunioni. I droidi stanno distribuendo le posate sul tavolo.”

Io chiesi:

“Mario dov’è ?”
“É andato fuori a controllare il TM ! Dovremo fare un viaggio di trenta km e bisogna che le batterie siano ben cariche. Tornerà fra un quarto d’ora. Quando abbiamo visto il TM venendo qui sembrava che ci fosse bisogno di una controllata al mezzo. Il computer di Sorveglianza dice che è in ordine, ma Mario è un esperto pilota navigatore, e vuole sincerarsene di persona.”
“Allora vado a dirlo a Johanna.”

Johanna aveva messo in ordine. Anche lo spavento le era passato. Quello strumento di peccato carnale era stato fatto sparire. Ci recammo alla toilette a lavarci le mani. Quindi ci accomodammo a tavola. I droidi ci servirono il pranzo liofilizzato delle riserve di sussistenza. Greg disse di iniziare a mangiare senza aspettare Mario che però doveva essere di ritorno da un momento all’altro. Mentre mangiavamo mi accorsi che il TM era stato messo in movimento. Mario stava facendo un giro di prova intorno alla base. Potevamo vederlo anche dalla finestra di vetro spesso. Johanna mi chiese del cane:

“Dobbiamo parlare di Rasputin Koona!”
“Sì. Dimmi.”
“Non potrà venire con noi, tanto meno può essere lasciato qui a soffrire la solitudine. La base resterà abbandonata almeno due anni, e le scorte di cibo non dureranno tanto. Spero non ti opporrai quando lo sopprimeremo, prima di partire.”
“Intende dire ucciderlo ?”
“Diciamo che lo metteremo a dormire.”
“Rasputin verrà con noi!”

Intervenne Greg col tono del bravo nonno:

“Sii ragionevole Koona. Come faresti a portarlo fino all’astronave ?”
“C’è la gabbietta pressurizzata. La costruì appositamente mio padre che era un ingegnere …”
“Ma la gabbietta quanta autonomia ha ?”
“Che vuol dire quanta autonomia ha ?”
“Quanto dura l’ossigeno ?”
“Io quando lo porto con me sul TM gli collego la bombola da due ore.”
“Già, ma dalla base al TM si tratta di un paio di minuti Koona! ”

Intervenne Johanna:

“Fino all’orbita di lancio verso la Micenea ce ne vogliono sei! Il modulo con cui partiremo, il Pegaso 3, ha posto per garantire la sopravvivenza di sole quattro persone. Dove pensi di poterlo mettere Koona?!”
“Lo terrò nella capsula, e gli cambierò io stessa la bombola …”
“Questione di spazio Koona! Il Pegaso 3 va anche pilotato. Non c’è posto:”
“Terrò su di me la gabbietta pressurizzata; e se necessario gli collegherò la mia di bombola!”
“E al filtraggio dell’anidride carbonica ci hai pensato ? I polmoni del cane la producono al pari dei nostri. Sei sicura che la capsula ha il filtro per il ci-o-due ? ”

Johanna si reintromise:

“Non soffrirà Koona. Sarà una cosa rapida.”

M’impuntai:

“Nessuno toccherà Rasputin!”

Presi il cane che ci aveva aspettato acquattato sotto il tavolo, e mi ritirai nella mia stanza senza finire di mangiare e senza salutare i miei ospiti. Ero arrabbiata.

“Mah, lasciamola col cane per ora! Poi però dovrà decidersi.”

Chiusi Rasputin nella mia stanzetta cambiando la combinazione della porta. E mi avvicinai silenziosamente per ascoltare i loro discorsi. Johanna stava scrivendo il suo rapporto su un foglio elettronico, e non si curava troppo degli avanzi del pranzo. Nel frattempo vidi che era tornato anche Mario. Si sedette accanto al collega. Fece rapporto a Greg. Sentivo le loro parole:

“Direi che possiamo partire tra quarantotto ore!”
“Così tanto ?!”
“Le batterie erano quasi andate. Il riciclo dell’elettricità funziona, ma funziona male! Non ha avuto manutenzione. La ricarica delle batterie, che sono poco efficienti, deve essere totale. Inoltre non possiamo superare i quindici orari visto lo stato delle ruote. Sento i rumori dei cuscinetti. Saranno in pessimo stato. Dubito che la bambina possa aver detto ai droidi di lubrificare i cuscinetti. Nella sala dell‘officina non credo che siano mai stati usati i lubrificanti. In realtà, sapendo da dove aprire i condotti si poteva fare dall‘interno …”
“Va bene, ho capito. Due ore di viaggio allora … mangia qualcosa Mario! Avrai fame no?!”
“Grazie. Ma c’è anche un’altra cosa!”
“Dimmi Mario.”
“Dovremo rimorchiare con noi il rover. Ci serve come unità mobile di salvataggio nel caso il TM dovesse cedere per strada. Non so da quanto tempo viene usato senza lubrificazione.”
“Rimorchiarlo lo escludo. Ho capito Mario. Stai tranquillo! Tu porterai la bambina con Johanna sul TM. Io vi affiancherò col rover. Viaggeremo affiancati a quindici orari.”
“Grazie. Non osavo chiedertelo.”
“Lo sai, abbiamo un altro problema: il cane! La bambina non ne vuole sapere di farlo sopprimere. Naturalmente lo farebbe Johanna, che si è portata dietro il necessario, ma la bambina ci è diventata subito ostile! Pensa ha pure una capsula di salvataggio per il cane, ma è questo il punto. Il cane occuperebbe poco posto; mentre la capsula è più grande …”
“Mah, le diremo qual è lo spazio reale nel Pegaso così se ne renderà conto da sola! Dovrà farsene una ragione! E poi il comandante della Micenea 7 dubito che glielo lascerebbe tenere a bordo. Questo Koona non lo calcola.”
“Per la seconda volta Mario: Mangia!”


-continua-

Cari Lettori,
il racconto, per ora, deve fermarsi qui.

La parte 5a è stata RESPINTA dalla Redazione ed io intendo osservare quanto deciso da Annunci 69. Troverei ingiusto proseguire con le altre. Inoltre stando al ranking ed al numero dei lettori i racconti di fantascienza non sembrano incontrare il Vostro favore. Per cui nell’immediato il racconto non proseguirà. Ci vorrà un po' di tempo prima che ne scriva un altro. I miei saluti a tutti Voi.
A presto(speriamo).




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Commenti per Salve Terra, qui Koona 4a p.:

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