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Michele tre teste e tre candele (e gli oli d'oriente), 5a p.


di sexitraumer
19.02.2013    |    7.949    |    0 9.3
"Venne detto poi ad Olivina che l’argento vivo era metallo invero usato dalle streghe, collo quale loro istesse impazzivano, e convinti tutti che avrebbero..."
La sorella mia Olivina s’improvvisò sarta, onde foderar con delle finissime fette di prosciutto quelle falliche forme di pane. Fece del suo meglio interpretando li desìi del notaro Kalòs, che per sua parte collaborava tagliando fette anche lui fine al meglio che potea. Di tanto in tanto offriva qualche fettina di quel prosciutto di Parma alle amanti sue che gradivano l’assaggio. La fulva amante Giovanna, che avea provato la penetrazione col fallico pane non foderato, dopo l’ovvio goder per l’intrusione, provò due o tre volte del dolore imperocché la sua vagina interna venne lievemente graffiata dalla scorza. Olivina, ch’era già di suo intelligente, capì quel ch’era tosto accaduto e giustamente ne diede la colpa alla ruvidezza della crosta. Ella disse avendo visto lo disagio dell’amica:
“Se vi compiaceste d’attender che abbia finito qui, cara Giovanna potrete deliziarvi a volontà con la liscia e dolce carne di tal prosciutto, che il notaro dic’esser di Parma.”
“Ahnnnn ! Ahnnnn! Forse, ahnnn! Sì, dai ! Sì ! Ahnnnn!”
“Ma che fate dunque Giovanna ? Non potete proprio attender…”
“Cara Olivina, son ninfomane; se mi eccito devo portar comunque ahhnn termine la cosa, o lo prurito mi tende a restareehhhhhh ! Sìiiiiiiiiii !! Ecco ! Ecco è quasi ora ! Antonio vi prego !”
Mancava all’orgasmo clitorideo della rossa femmina probabilmente meno d’un minuto, ma lo notaio, benché nudo, sembrava voler ignorare la donnina accalorata siccome cagnetta, che con lo sguardo implorava una penetrazione. Olivina disse lasciando d’abrupto il travaglio alli pani:
“Guardateci Giovanna ! E toccatevi dove meglio credete, mentre noi si prepara lo spadone per la pugna con la vostra fessa! ”
Giovanna si toccò i piccoli seni, capezzoli, e clitoride nervosamente e rigidamente seduta sul bordo del tavolone, trattenendo e rilasciando il respiro per non goder di solo tocco; sarebbe stato ben poca cosa. In ogni caso come le avea comandato mia sorella osservò il far pronto dell’amica. Olivina si chinò all’improvviso sul membro già grosso del notaio, e dopo averlo distolto dallo taglio d’altre fette, cercò di fargli la sua migliore fellatio…ingoio…lingua…bocca…lingua, lingua, lingua, e tempo quel minuto che ormai stava per scadere, ecco il membro grosso del notaro Kalòs divenne duro nella magica bocca della sorella mia Olivina. Prese d’imperio in mano quel cazzo che, d’ope sua esclusiva, era divenuto un signor cazzo e, portato il notaro con lo spadon schierato a pronta entrata, accompagnò da “madre esperta” con la mano sua istessa la trafittura di quel gentil piccolo sesso della fulva amica. Giovanna che attendeva a gambe già larghe, offrendo lo spacco suo ben roseo e rigonfio non di piacere, ma per l’attesa del piacere ormai prossimo, ebbe un attimo di mancamento durante l’agognata entrata. Le mancò il respiro, e chiuse i suoi stupendi occhi. Non era trascorso che un istante o forse due ?...e la vagina di Giovanna ottenne quel pieno contatto ch’ella avea bramato. Era come se la piccola ma operosa fica di Giovanna lo sentisse la prima volta quanto era grosso. Fortunato quel Kalòs cari moderni a poter far coito con sì stretto buco…che da rosa, rosso divenne…
“Sìiiiiiii ! Ahn ! Grazie ! Ahn ! Lo sento tuttooooooh ! Sì !”
Giovanna, esaltata dalli pieni sensi, baciò subito in bocca l’uomo che prese a muoversi dentro di lei per darle il godere che la ragazza riteneva prossimo. Olivina da dietro carezzava le palle al maschio amatore di Giovanna. Ogni sua più leggera carezza era ben migliore di qualsiasi pur gradita spinta…di quelle che togliean il respiro alla ragazza. Olivina sapea qual parte ricoprire secondo le circostanze; baciava sul collo dietro il notaro, che sapeva di maschio in ogni più piccola parte del corpo, ed intanto ne carezzava le palle. I suoi tocchi eran quelli di un’esperta, ed infatti con le sue mani femminili s’accorse di quanto eran già gonfie le palle di quell’uomo a Giovanna congiunto. Pensò d’inginocchiarsi dietro le gambe del valido ed eretto amatore, quindi prese ad accompagnar gli affondi di quell’uomo con sapienti colpi di lingua leggeri e rapidi sulla pelle de’ coglioni o fra le interne cosce muscolose e statuarie del notaro. Esperta e curiosa delle sensazioni fulminee che dava, delle finissime folgori nervose fecero in guisa che il cazzone del Kalòs facesse sbrodolare senza limite la fica gonfia e ultra rossiccia della giovane ninfetta, soddisfatta sempre di più ad ogni colpo di lui, che riceveva un umido viatico, varie volte ripetuto dalla lingua calda e salivosa di mia sorella. All’improvviso Olivina passò la lingua due volte nell’ano di quell’uomo per poi sfiorargli l’inguine con l’altrettanta rapiditate e leggerezza…Ecco ! Kalòs mandò per lo curioso stimolo un bel colpo, che andò più in fondo de li precedenti…la lubrica ninfetta intravide in sol istante… il vuoto ! Come le fosse mancata l’aria…come si faceva a respirare ? Probabilmente se lo stava chiedendo quando s’accorse d’esser ancora viva, mandando finalmente un urlo strozzato, improvviso, come a rassicurar sé stessa. Aveva raggiunto lo massimo picco del calor del sesso in quell’istante emettendo de plano il sudor di tutta la scopata.
“AH !”
Aveva abbracciato il suo uomo mordendolo, e affondandogli le unghie nella schiena. Lo volea tutto per sé e morte a chi glielo avesse tolto ! Affannando si rese conto di esser sopravvissuta allo spadone ! Stavolta, dovette pensar, proprio in fondo avea colpito…le si era contratto il ventre all’improvviso…
“Ahnnn, hu ! Ahnnn! Vi piace il minestrone amor mio ? Ora ve lo servo ! Più non trattengohhhhh, eccohhhh ! Ero già bagnatahhhhh, ahnnnn ! Grazie amor mio ! Ahnnn ! Ancora ! Ancora ! Venite amor mio ! Venitemi dentro ! Son vostrahhhhh !”
“Ahn ! Ahn! Ah ! Sì ! Ahn !”
“Ditemi che v’appartengo Kalòs ! Ditemi che son vostra ! Godete del mio corpohhhhh ! Sìiiiiiii!”
Antonio Italo Kalòs ignorava la fame di parole della ragazza pensando solo a governare la respirazione da esperto qual era di fisici allenamenti…
“Ahnn ! Ahnnn ! Ahnnn !”
“Or vi bagno ! Godete ! Amico mio…godete ! Sìiiii ! ”
Il meato della sua fica avea mandato un paio di schizzi d’urina, trasparente per lo spasmo. La sua vagina aveva abbondantemente bagnato d’umori il grosso cazzo del Kalòs che non era ancora venuto. L’uomo ricevette molti baci dalla fulva ragazza finalmente soddisfatta nel pieno del sesso. Cercava di muoversi, ma la ragazza felicissima, temendo che questi si staccasse, lo teneva a sé chiedendo il rifornimento della sua linfa ! Olivina continuava a carezzare le gonfie palle del notaro da più direzioni per più di un minuto durante la congiunzione bagnatissima dei due amanti. Ignoro l’alchimia dé li liquami d’uomo e donna cari moderni, ma le sapienti carezze della sorella mia Olivina, terza tra li due, terminarono… e come si richinò di nuovo per leccare quelle dure violacee gonfie palle l’uomo diede un copioso travaso di sperma nella fica sfinita di Giovanna che chiuse le gambe quel poco che potea. Ogni goccia di quel maschio dono non avrebbe lasciato il suo corpo, anche se invero dalla sua piccola fica ne cadde un pochino per via del precedente sbrodolo. L’uomo avea appena goduto e Giovanna, estasiata, teneva l’abbraccio contenta. Olivina andò alla tinozza a lavarsi le mani prima che i due amanti vi si recassero a lavare i loro corpi. La scopata improvvisa richiesta da Giovanna era terminata. Il notaro si staccò, e si diresse alla tinozza subito seguito da Giovanna che da innamorata del suo maschio corpo lo baciava da dietro. I due entrarono, e si sedettero entrambi in acqua. Kalòs prese a lavarsi rapidamente come se Giovanna non ci fosse. Finito ch’ebbe di lavarsi davanti, la spugna venne presa da Giovanna, che si mise devotamente a lavargli la schiena. La ragazza gli chiese:
“Mi prendereste a servizio a casa vostra Antonio ?”
“Ben sapete che non posso Giovanna…”
“Mi contenterei di poco:…vitto, alloggio, e qualche ducato ogni tanto !…ohhhh, tanto…”
La ragazza allungò la mano destra a stringere il cazzo immerso in acqua di Kalòs, e pensò di precisargli:
“…tanto è questo che voglio come mercede !”
Kalòs lusingato sorrise dando le spalle a Giovanna, e compiacendosi con sé stesso, ma da uomo razionale ebbe a dirle:
“Giovanna, siete ancora una bella ingenua. Non posso permettermi al momento di pagarvi alcuna mercede, nemmen pro tempore; eppoi se ben si è giaciuto parecchia fame sovviene, e va soddisfatta…in altre parole sareste una bocca in più da sfamare, perdonatemi la franchezza! E poi non crediate che la moglie mia, benché più anziana di voi, giammai manca di pretender il giusto dal membro che stringete…!...ancor vi piace stringerlo, ben vedo !”
“Volete dire Antonio che soddisfate senza indugio vostra moglie quand’ella lo desideri…?”
“Ella, cara Giovanna ne ha pieno diritto, ed io non posso sottrarmi !”
“Ed un posticino per me proprio non potreste trovarlo ? Che so ? Presso una vostra parente cui badare…”
“Non si puote amica mia ! Parenti cui badare qui non ne tengo, mentre a casa mia havvi un nostro equilibrio; eh sì ché la magion che abitiam felicemente rispettosi dè li ruoli nostri di marito e moglie, non è grande abbastanza ! Da ultimo poi rimasi vittima d’una certa male lingua secondo la quale mi faccio pagare in sesso dalle figlie dé clienti poveri…giovanissime in casa, ancorché donne fatte, non posso permettermi d’averne, e tanto meno d’esibirne alli ospiti e curiosi ! Qualora l’inquisizione piombasse su di me o sulla famiglia mia gli affari sarebbero alquanto più difficultosi…”
“Perché non fate punir la male lingua ? Una bella denunzia all’armigeri, no?!”
Kalòs con gentile e rapida fermezza cercò di liberar il membro suo, ancor sott’acqua, dalla gentil presa di Giovanna, che con la conversazione cercava di prolungare quel suo trastullarsi col sesso dell’amante…
“Perché andrebbe dapprima identificata all’origine ! No ! Non vale la pena ribattere, ma neanche il fianco posso offrire; altrimenti ce ne staremmo comodi sul letto, mica adattati qui a studio dove la moglie mia non ama metter piede…contentatevi così amica mia ! Ed or vi chiedo di lasciare il membro che ho del daffare…”
Il notaro uscì dalla profumosa ma fredda tinozza con l’acqua ormai solo scaldata dalla presenza del corpo di Giovanna; si asciugò rapidamente, e finito ch’ebbe di rivestirsi, prese uno scrigno lungo un braccio e largo la metà; lo aprì e ne prese quattro ampolle di vetro di diverso colore tra di loro. L’uomo presentò le ampolle ad Olivina dicendo:
“In queste ampolle havvi degli oli di bellezza provenienti dall’Arabia Felix, credo o forse da una nazione lì vicino…non saprei; le comprai apposta da li mercanti veneti per l’occasione odierna. Fate attenzione a non rompere le preziose ampolle,…ché l’olio giammai havvi ad esser corrotto dallo contatto collo pavimento, poiché poi non abbellirebbe più una volta sporco…in quella rosa havvi l’olio per le vostre vulve; sembra che le ringiovanisca; ne provai un campione di cui mi si fece omaggio su quella della consorte mia, e ne rimasi soddisfatto; rimase rosea vulva, e non semplice patacca v’assicuro, ch’ero incredulo anch’io!…”
Olivina annusando il profumo delle ampolle pensò di dire cose ovvie:
“Ma Antonio, l’olio purifica e pulisce, ma credo che fu lo vostro cazzo a tener giovane la patacca della moglie vostra !”
“… non siete persuasa Olivina ? Non mi credete dunque !”
Olivina sorrise maternamente al notaro, entusiasta dell’acquisto di quelle esotiche ampolline colorate, e variamente profumate. La sua intelligenza pronta le avea suggerito che lo ringiovanimento della patacca muliebre fosse dovuto all’igiene, ed al profumo dell’abbellimento mirato, nonché alla suggestione indotta nel notaro dal furbo mercante veneziano.
Giovanna chiese:
“E noi cosa dobbiam fare con codesti oli dè l’arabi infedeli ? Non è forse peccato usarli ?”
“Siete qui per peccare appunto cara Giovanna…no, non è peccato farne uso.”
“Di quella rosa dobbiamo lasciarne un po’ per la moglie vostra ?”
“Oh, no. Per mia moglie l’ho comprato a parte ! Usatene quanto vi necessita ! Ve lo ordino, tutte e due ! Solo vorrei che faceste atto di rispetto al prezzo che pagai quelle ampolle…non buttatelo né rompetele: usatene acciocché la mia lingua possa ben assaggiare li vostri corpi che diventeran d’argento !”
“…”
“…adesso devo uscire per comperare alcuni ortaggi con cui terminare degnamente lo divertimento nostro signorine…intanto voi lavate i vostri corpi, asciugatevi bene. Riposatevi avvolte nel cotone e tenetevi ben calde; poi cospargetevi con quegli oli e quando sarò tornato cospargerete anche me e si continuerà a far scivolose copule; vi voglio perverse tra di voi, solo un pochino !”
Olivina provò una piccola bava di quell’olio sulla pelle del suo braccio sinistro, e s’avvide che quell’olio di bellezza avea qualcosa che le avea indotto l’allerta. Conferiva, se ben spalmato un riflesso argenteo piacevole allo sguardo, ma – dovette pensar Olivina - sinistro nella fama; sembrava argento vivo, molto ben diluito e legato a quell’olio giallo-verdino. Ma l’argento vivo, sapea Olivina una volta da un cerusico erudita, dava li saturnismi, o per meglio dirvi, se non v’avvelenava, certo vi rendeva pazzi. Decisa asportò lo strato di striscio con il polso della mano. Kalòs nel frattempo era già uscito fiducioso, e non avea di certo visto Olivina diventar perplessa o meglio spaventata. Giovanna chiese:
“Cosa vi turbò poc’anzi Olivina ?”
“Codesta ampolla Giovanna ! Tenetevene ben lontana !”
“Perché ?”
“Perché l’olio contiene dell’argento vivo, tal cosa non m’aggrada punto !”
“Che dite mai ? Fate un po’ vedere…”
Giovanna, curiosa assai, ancor nuda prese l’ampolla, e ne fece scendere poco più che un dito dell’olio contenuto. Se lo spalmò sulla mano, e vide che la facea parer lucida, liscia e con li riflessi argentei. Per Giovanna era una gradita novità; per la sorella mia Olivina, che usava confidarsi con li cerusici, taluni clienti suoi “molto personali” ben soddisfatti, avea sentito, da chi poté fare studi classici, che le matrone romane antiche di mill’anni prima morivano giovani, nonché pazze poiché erano use tinger le loro palpebre con tinte fatte d’argento vivo, che assorbito dalli loro corpi con il tempo, li dava un color di fondo blu. Morivano impazzite, e con l’allucinazioni. Venne detto poi ad Olivina che l’argento vivo era metallo invero usato dalle streghe, collo quale loro istesse impazzivano, e convinti tutti che avrebbero fatti impazzire li clienti loro maligni, lo stato usava metterle a morte con il rogo…in parole povere mia sorella sapea che l’argento vivo era pericoloso alquanto. Olivina disse a Giovanna che aveva preso a spalmarsi quell’olio sul seno e la pancia rimirando il riflesso argenteo:
“Datemi retta amica mia ! Toglietevi quell’olio dalla pelle, vi darà solo ruina, ad essa e a voi!”
“Ma che dite ? Non sarete mica invidiosa ?”
“Per voi lo dico che siete più giovane di me…”
“Per una volta non morrò di certo…non datemi pena !”
“Ma che dite Giovanna ? Non volevo darvi pena alcuna, solo avvisarvi de li rischi che correte…è che mi sta a cuore il corpo vostro, e gran peccato sarebbe se lo faceste invecchiare anzitempo; la pelle vostra avrà una macchia blu come questa sul braccio mio, orsù guardate !”
Cari moderni, son digiuno delle leggi d’alchimia, ma era evidente che la pelle tra il braccio e lo polso sinistro d’Olivina avea per cinque dita circa di lunghezza reagito con l’argento, e si vedeva abbastanza bene una macchia lieve blu, sintomo quello del passaggio di quel demoniaco metallo liquido. Olivina disse padrona della propria voce:
“Ci metterà almeno un mese ad andar via ! Vorreste forse ciò per tutto il vostro corpo ?”
“Ma non potete lavarlo meglio ? Provate, che son interessata…!”
Olivina sputò sulla macchia e lavò più con più lena, tuttavia – com’ebbe a dirmi tempo dopo – il risultato non cambiava, e la striscia bluastra rimaneva. Ingenuamente Giovanna cercò una pergamena bianca non usata, e trovatala là sul tavolo, la prese, e la bruciò al candelabro lasciando cader la cenere sul pavimento. Spentasi anche questa la raccolse con la spugna bagnata della tinozza, e cercò di lavare l’avambraccio di Olivina; dapprima sembrò schiarire, poi sciacquando via l’acqua la striscia bluastra tornò ben visibile. La cenere, un antico detergente per via dei fosfati in essa contenuti, avea funzionato poco o punto. Olivina osservò:
“Ma perché perdete tempo con me per così poco ? Voi ve ne siete spalmato molto di più…”
Giovanna rimase interdetta dall’osservazione di Olivina. La pelle sul suo braccio, ove il liquido metallo era stato assorbito aveva un fondo di colore innaturale, come fosse un ematoma. Ci pensò qualche attimo poi disse:
“Avete ragione, meglio toglierlo ! Vado in tinozza immantinente !”
Giovanna si sciacquò nella tinozza abbondantemente ed in modo ostentato, come fosse stata un’oca che si toglieva l’acqua dalle ali. Si pulì freneticamente, mentre Olivina facea scendere delle gocce d’olio da ogni ampolla su una tovaglia bianca, che col colore bianco saturo, avrebbe evidenziato la presenza dell’argento vivo. Tranne l’ampolla rosa, quella con l’olio per la vulva, tutte contenevano quel sinistro metallo…Olivina sentenziò:
“Messer Kalòs sarà anche un ottimo notaro, ma si fa turlupinare dalli mercanti senza li scrupoli ! Ovvio è che la medicina e li veleni non son lo campo suo !”
“Dite ?”
“Dico ! Stà roba è venefica tutta ! Bene avete appena fatto a sciacquarvela di dosso.”
“Morrò cara Olivina ?”
“No, Giovanna, non succederà vedrete. Ve lo siete sciacquato via per tempo.”
“Ne avete versato sul tovagliolo bianco, vedo…”
“Sì Giovanna, ben tre ampolle contengono il metallo che brilla ben disciolto…”
“Già, una no. Quella per la fessa !”
“Per caso volete provarla ?”
“Ora non so più…e poi la vulva mia è bella e carnosa già di suo. E voi Olivina ?”
“Mah, compiacetevi d’aspettare che l’assaggio quest’olio…”
Olivina esitando assaggiò una goccia di quell’olio sulla lingua e si accorse che sapeva d’olio d’oliva, ma con opportune erbe erano stati aggiunti anche altri sapori. Se ne passò sulla lingua altre ditate, poi decise che doveva essere innocuo. Tra le due donne quella con la vulva più spessa, meno carnosa era quella di mia sorella, per via dell’età. Invero la fica di Giovanna non ne avrebbe abbisognato. Olivina allargò le cosce piegando lievemente le gambe a portare il suo culone verso dietro, poi lasciata cadere sulla sua mano destra una buona quantità di quell’olio aromatizzato prese a spalmarsene tutta la patacca compreso il suo pelo. La sua mano unta sui polpastrelli e dita lambì ben bene tutto il sesso compreso lungo lo spacco. La vagina la sentì scivolosa in ogni parte, poi stesasi di schiena sul tavolone d’ebano mise le cosce larghe come a partorire, quindi disse a Giovanna…
“Prendete uno di quei pani col prosciutto avvolto Giovanna…”
Giovanna però, avendola vista spalmarsi quell’olio sul sesso con maestria, le venne voglia d’imitarla e prese il rimanente olio per umettarsi bene la propria vulva ben più giovane. Ovviamente l’olio la rese scivolosa come quella di Olivina. Giovanna chiese ad Olivina di stendersi lungo il tavolo, non al trasverso come s’era messa…quindi con degli agili movimenti salì anche lei sul tavolone e s’assicurò che le reggesse entrambe distese per lungo l’una accanto all’altra. La fulva ninfetta dal piccolo e scivoloso sesso sollevò la caviglia di Olivina e fece avanzare la propria gamba tra quelle di mia sorella. Poi si sistemò meglio e chiese:
“Tocchiamoci, cara Olivina, che prima di penetrarci con quei pani vorrei profittare, se non v’offendete delle nostre fesse umide e così scivolose…avete presente la posa a mò di forbice ?”
“Come volete Giovanna, volete sfregar le nostre fiche, vero ?”
“Sì amica mia.”
Le due femmine presero a carezzarsi la patacca, e a strofinar leggero per stimolarsi la clitoride. Passarono un po’ di tempo a deliziarsela chiudendo i loro occhi, sì che le dita sapevano cosa stessero facendo. Quando entrambe raggiunsero una certa libidine facendo emergere il roseo delicato piccetto del clitoride, Giovanna avvicinò il proprio bacino a quello d’Olivina, che da parte sua favorì l’incontro delle scivolose vulve. L’olio le avea rese oltre che scivolose anche profumose a tratti. Ogni istante i lor sessi si toccavano; Giovanna adorava la forbice reciproca, Olivina invece si rese conto che anche far incontrare ad una vulva un’altra vulva poteva indurre dei gradevoli sensi anche al proprio ventre che diveniva sempre più caldo. Nemmeno sospettava la sorella mia quanto Saffo potesse soddisfare. Giovanna avea preso le mani di Olivina con le proprie ed entrambe s’impegnarono in quella strana danza da distese, che facea incontrar le loro vulve rispettive. Entrambe ebbero un istante di autentico godere quando i loro cliti si sfiorarono tra di loro, come pure i loro peli. La più agile a mover la vulva era Giovanna, poiché ce l’avea non tanto grande, la più agile a trattenerne l’incontro Olivina, proprio perché ormai era grande. A tutte e due sfuggirono dei rantoli:
“Ahnnn! Ahnnn!”
“Uhnnn! Ahnnn!”
La libidine montava ad entrambe quando ecco ritornare il notaro Kalòs: recava seco degli ortaggi come zucchine, sedani e carote. Vedendo le due donne intente a cercare il brivido del sesso-sesso osservò:
“Oh, vedo che avete anticipato i miei pensieri…”
“Ahnnnn, ahnnnn!”
“Ahhhh, sì, uhhhhhnnnn !”
Il notaro si spogliò, ma poi chiese:
“Vedo che avete usato solo quello per la vulva… e gli altri oli ? Avrei voluto vedervi brillanti, sapete…”
“Ahhhhnnnn, ahnnnn! Non li abbiam messi, contenevano argento vivo…ahnnnn !”
Kalòs portò gli occhi al cielo; era contrariato: le due donne l’avevano deluso.
“Certo, che a voi donne non vi si puote lasciar sole…ma che cri…cribbio ! Che argento vivo, e argento vivo d’Egitto ! Era solo polvere d’argento, di quello normale ! Mica voi si moriva…tanto poi lo lavavamo via, no ?!”
Le due donne, entrambe col clitoride roseo e ritto, smisero di sfregar li sessi scivolosi, e piegaron le ginocchia per conseguire un rilassamento, mentre i loro culi restavano schiacciati sul tavolo. Cercarono entrambe di giustificarsi.
“Perdonate notaro ! Noi si credeva che quella brillanza fosse argento vivo…che si dice velenoso sia !”
“No, semplice e grossa polvere d’argento allungata nell’olio di bellezza. Ce n’è anche una d’oro…onde far brillar siccome bronzee statue li corpi, il mio compreso. Ne avete consumato molto ?”
“No, noi si era appena incomiciato…v’assicuro.”
Fortunatamente il Kalòs non si stava arrabbiando più di tanto. In fondo meglio avrebbe fatto a non lasciarle sole con tali strane ampolle. Kalòs pulì li frutti fallici con un panno, poi ne diede uno, una zucchina verde, a Giovanna, che da parte sua, pronta se lo cacciò nella fica già eccitata. Kalòs la corresse dandole un’altra zucchina ed ordinando:
“Olivina, vi pregherei di mettervi carponi, e di tener le cosce comode…”
Olivina si mise a quattro zampe rivolgendo il culo verso il ventre di Giovanna che attendeva semi distesa con la figa già occupata, ed in via di bagno nuovo; infatti mentre dava spazio alla sorella mia a pecora piazzata, qualche piccola bavetta le cascava dalla fica. Il Kalòs dando un altro zucchino a Giovanna le fece segno dove volea che fosse piazzato. Giovanna con gentilezza chiese:
“Olivina, perdonate un istante, che devo mettervelo qui, sentite ?”
Giovanna mise la punta dello zucchino sull’ano di mia sorella onde farle comprender dove avrebbe spinto. Per il deretano di mia sorella quello zucchino invero abbastanza piccolo sembrava; non le avrebbe indotto un gran dolore ! Olivina chiuse gli occhi, e si mise ad aspettar l’affondo di quel duro, ma non grosso vegetale fallo…per cui: fatte entrare due dita della sua lunghezza, Giovanna attese un paio di secondi per vedere se e come si muoveva da solo dentro il retto, quindi diede una spinta più robusta colle mani, sì che vi entrò quasi tutto. Era quello l’istante che la femmina con angoscia attende di solito. Dopo due eterni secondi di trasalimento, fino a mancar lo respirare, la prima sodomia, quella per adattarlo l’ano, s’era compiuta…
“AHHHHHNN ! Piano Giovanna ! Piano, che ve lo prendo tutto se proprio, ahhhnf ahnnnn volete…uhi ! Lo sento, lo sento…”
“Uhhhmm ! Ne volete ancora ?”
Kalòs s’intromise:
“Basta così Giovanna, anzi toglietene per metà !”
Giovanna estrasse la metà di quello zucchino, e dalla sua movenza ne godette mia sorella.
“Ahnnnn ! Che altro ?”
Kalòs prese uno dei falli di pane foderato del prosciutto, e lo mise dentro la fessa di mia sorella facendo sì che la fica le restasse ben tappata insieme all’altro buco. Olivina chiese imbarazzata:
“E ora ?”
“Olivina, compiacetevi di restar così se potete…”
Giovanna aveva preso a carezzar le cosce e le natiche di mia sorella onde darle almeno piacevoli e gentili sensazioni; compatibilmente con la postura seduta, tra una carezza e l’altra Giovanna piazzò pure qualche linguoso leggero bacio alla schiena d’Olivina, accompagnato da sfioranti carezze al ventre con le dita. Kalòs prese le ampolle, e cominciò a massaggiare il corpo della sorella mia sospesa a quattro zampe con li pertugi ben occupati. Lo zucchino ed il fallico panino si muovevano spontaneamente, secondo le movenze interne delle carni di Olivina tinta ed oleata d’argento dalle mani del fantasioso notaio. Olivina godea degli stupendi tocchi leggeri di Giovanna accompagnati dalle oleose mani tingenti di Antonio Italo. Trascorse un buon quarto d’ora, e mia sorella debitamente eccitata fremeva tutta riflettendo di rosa e d’argento come venisse da un mondo esotico, o addirittura alieno. Il Kalòs disse:
“Giovanna, piazzatevi sotto ad Olivina, come a far sessantanove…”
Olivina si spostò quanto bastava per consentire a Giovanna di cambiar posizione sotto di lei, prima però che Olivina si mettesse di nuovo sopra, il notaro le diede un’altra ampolla colla quale tingere il corpo di Giovanna. Quell’olio aromatico come il primo però tingeva d’oro il corpo dove veniva spalmato. La cosa non avveniva all’istante, ci voleva un pochino di frizione delle dita. Le due donne videro quanto meravigliosa era cosmesi del lontano oriente. Aromi, profumi, sapori e colori…l’olio sulla pelle ben più giovane della fulva amica del notaio diede un risultato migliore che su quella di Olivina. Quest’ultima, distesa di fianco, nonostante li pertugi occupati che la imbarazzavano, si mise a tingere Giovanna di quell’olio. Quand’ebbe terminato con sapienti ditate e manate (gradite) su quel corpo Kalòs le fece cenno di piazzarsi sopra di controbordo. Ora le due femmine eran pronte per il sessantanove. Kalòs si unse con sapienza anche lui di ambo quegli oli così misteriosi, chè le ampolle rimaste non avrebbero permesso un’altra sessione. Tutto era stato consumato in quella. Giovanna ed Olivina aveano iniziato a darsi da fare. La punta calda del naso di Giovanna carezzava di continuo il clitoride di Olivina, che da parte sua leccava il clito della fulva amante piazzata sotto. Di lì a poco le loro mani rispettive avrebbero iniziato a muovere i rispettivi falli dentro le loro vagine; nel frattempo lo statuario Kalòs, ben tinto da tutti gli unguenti prese il suo cazzo e lo portò alla bocca di Olivina che alternava perciò leccate di clitoride alla ragazza, con robuste prese in bocca ed insalivamenti del grosso cazzo del notaro. Quei tre corpi dagli irreali colori rosa, argento, oro, e misto presero a darsi reciprocamente delle sensazioni. Kalòs raggiunse presto l’erezione, ed Olivina se ne accorse mordendo l’asta con i denti un paio di volte. Il normale sapore amaro del cazzo era mitigato da quello dell’olio spalmato su di esso; unguento che Olivina asportò succhiandolo ed insalivandolo, e manco a dirlo re-ingoiando il tutto…Il notaro presoselo in mano salì sul tavolo dietro ad Olivina, e toltole lo zucchino dal retto, eccitato dal colore roseo del buco interno della donna che si ricontraeva riprendendo le abituali dimensioni, le introdusse immediatamente il proprio cazzo. Vi scivolò dentro come fosse un ospite gradito. Ogni affondo del cazzo del Kalòs faceva muovere anche il pane fallico nella fica vezzeggiata dalla lingua di Giovanna lì sul clitoride, l’unico organo di senso raggiungibile dalla lingua della ragazza. L’uomo iniziò gli affondi con regolarità ed efficienza. Olivina veniva aperta nel di dietro da quell’enorme cazzo ben più grosso dello zucchino, la cui introduzione da parte di Giovanna aveva poco prima debitamente eccitato Kalòs. Olivina, mi disse tempo dopo, che in quei momenti era come prigioniera; e le sembrava che avesse poca o nessuna consapevolezza dell’ambiente fuori dal proprio corpo. Le stava piacendo di più tenere gli occhi chiusi, poiché quando li apriva si sentiva prigioniera. Avere quell’enorme cazzo nel suo retto le faceva sembrare che anche lei ne avesse uno dentro le gentili carni dell’amica. Durante quella scopata le era sembrato per ben due volte di staccarsi dal corpo argentato, e volare poco sopra, vedendo il suo corpo impalato dal Kalòs, e sotto Giovanna che a colpi di lingua si sforzava di tener ben viva la vulva di Olivina, o meglio del corpo di Olivina, poiché Olivina, o meglio la sua anima, stavano viaggiando per la stanza-ufficio movendosi volando e contemplando dalla raggiunta terza dimensione. Il Kalòs le appariva come se avesse una testa di toro, un ben dotato minotauro che sembrava aver legato le mani dietro la schiena a quel corpo di Olivina…quel flessuoso e ormai tondo corpo era tenuto ben fermo dal cazzo taurino del Kalòs minotauro ben piantato nel retto e dalle ginocchia sul tavolo d’ebano. All’improvviso mentre il corpo di mia sorella restava in quella posizione tenendo gli occhi chiusi, Giovanna in guisa di farfalla volteggiò sopra il collo di Olivina prendendole in mano la testa e carezzandone il collo. Olivina-anima vide Olivina-corpo, la cui testa venne letteralmente ingoiata dall’enorme e rosso sesso di Giovanna ingranditosi d’abrupto, che volando via avea mozzato la testa dal collo siccome mantide. Olivina-anima si ritrovò smarrita senza validi riferimenti…e senza sentir fiato veruno. Il minotauro Kalòs era tornato un uomo che ignorava Olivina-anima tenendo gli occhi fissi, e sembrava non compier più movenza alcuna. Kalòs era…no, Olivina-anima non aveva il coraggio di dirlo, ed infatti le sembrava di soffocare, più urlava, più le sembrava di venir soffocata, e sempre più sorda, non sentiva più nemmeno la sua voce. Kalòs era fermo con gli occhi fissi e sembrava non avere più nemmeno le pupille, Kalòs era morto, o non era mai stato vivo…no il moto era relativo: non era Kalòs, era il mondo che si era fermato ! Sì era questa la soluzione!…il mondo semplicemente non andava più. Olivina volando fuori dalla stanza provò ad uscire all’esterno e a chiedere aiuto, ma nessuno c’era che potesse aiutarla. Era tutto giallo e nero con un debole chiarore azzurro nel lontanissimo orizzonte; sembrava che il paese gli abitanti non li avesse mai posseduti. Era tutto giallo: il debole baluginare del cielo era ancora più irreale. Ad una certa distanza in fondo alla via c’erano due persone più o meno familiari: erano il figlio Aymone ed il padre, suo marito Ranuccio che contemplavano il tutto senza dir niente; non era necessario: loro due si capivano, ma Olivina veniva ignorata; una ragazza con i capelli neri lunghi sembrava pulire la strada con la scopa; Olivina l’avea riconosciuta: era Filomena e non staccava mai lo sguardo da terra, ma Olivina non era nemmeno sicura che avesse uno sguardo; aveva intravisto solo i capelli lunghi…la sensazione di disagio di Olivina scomparve, quando ricevette una carezza piacevole tra le caviglie interne: un esserino caldo e peloso, bianco e nero, fece la sua comparsa, invitandola a seguirlo: era Chiodino, il gatto della sua infanzia che salutò quando andò in sposa a Ranuccio; Chiodino, il suo unico vero balocco da piccola, visse altri due anni poi dipartì anch’esso. Adesso, in quello stranissimo adesso ove non sembrava ad Olivina-anima che il tempo volesse veramente scorrere, il gatto rappresentò la guida verso il ritorno; il gatto la riguidò nuovamente nello studio del notaro: di nuovo quelle grigie pareti con i quadri al muro, il tavolone d’ebano, e la tinozza; rieccola nella stanza dove Olivina-corpo era stata distesa sul tavolo, e senza rendersene conto stava abbondantemente leccando la vulva di Giovanna ormai libera dallo zucchino, seduta sulle ginocchia poco sopra la sua testa. Un arco di trionfo con due cosce, e comprese Olivina-anima un trionfo di sensi per la fulva amante. Olivina non avrebbe mai immaginato di veder sé stessa leccare una vulva con sì tanto metodo; le labbra della vulva di Giovanna apparivano ben aperte, languenti, ed inumidite da lunghe ed irreali bave di saliva a forma di uno di quei tendini dei muscoli animali che si vedevano nelle carni ancor crude, come cruda era la maniera apparente con cui Giovanna, che avea nel viso assunto le sembianze d’un cervo che chinava flessuosamente avanti ed indietro la testa descrivendo ampi semicerchi, possedeva la testa di Olivina-corpo, schiava di quella fica da soddisfare. Kalòs invece leccava il clitoride di Olivina-corpo movendo avanti ed indietro il panino fallico col prosciutto sopra. La vulva di Olivina-corpo si deformava e s’allargava, ed un attimo dopo tornava a chiudersi facendo scomparire il panino. Mentre la lingua del minotauro Kalòs stimolava il clitoride d’Olivina-corpo, senza che Olivina-anima potesse percepirne alcun appagamento, quest’organo piccolo ed intenso ingrandì di una decina di volte almeno fino a diventare un vero e proprio cazzo con tanto di cappella. Su di esso vi si abbassò Giovanna che da testa di cervo si era tramutata in una testa di biscia, che dopo aver leccato quell’irreale cazzo sorto da un piccolo clitoride, lo ingoiò e apparentemente lo mangiò d’un solo succhio. Al che il minotauro Kalòs con le dita delle mani dalla forma animalesca con delle unghie nere e lunghissime cominciò ad asportare il pelo dalla vulva di Olivina-corpo togliendo lembi di pelle come se boia la stesse squartando; Olivina-anima soffriva di quella scene soffocando senza che le fosse consentito d’urlare; il minotauro Kalòs sembrava che le avesse asportato il sesso per intero, tuttavia dopo aver mangiato il panino fallico col prosciutto ben inumidito dalla fica di Olivina-corpo, gliela stava di nuovo masturbandola, dopo averle introdotto un pacifico verde sedano, esplorandola da molti diversi angoli di entrata ed uscita. Quel sedano sempre più bagnato stava facendo godere Olivina-corpo che non accennava ad aprire gli occhi, ma del resto sembrava quasi che non li avesse, anche se a tratti le lacrimavano per la fatica estrema; all’improvviso Olivina-corpo smise di leccare l’inguine e la vulva di Giovanna, che si era fatta più avanti, e prese in bocca la carota che, in un istante indefinito e di cui non avea memoria alcuna, era stata introdotta nel retto di Giovanna, che adesso veniva sodomizzata dai colpi della carota addentata da Olivina corpo onde esplorar il retto della fulva indemoniata. La visione di Olivina-anima era parecchio ingrigita, ed i movimenti dei corpi di Kalòs e Giovanna li percepiva, sì, ma parecchio rallentati alla sola visione. Si godeva la scena dall’alto, volando, e reggendo Chiodino in mano carezzandolo; il contatto delle mani con Chiodino la rendeva felice, tanto che anche Kalòs avea perso l’aspetto taurino. Il sedano venne tolto dalla fica di Olivina-corpo, e Giovanna lo mangiò di gusto; nemmeno la carota era più nel culo di Giovanna: adesso quel gentil retto veniva riempito dal cazzone del Kalòs, mentre la rossa ninfetta provocava nella fica di Olivina-corpo degli schizzi d’urina, dopo averle leccato il meato e sfiorato l’interno coscia sinistra con le dita. Giovanna era un’esperta di carezze, ed Olivina-corpo ne stava godendo l’abilità…Il piacevole e statuario Kalòs continuava a squassare il retto della giovane amante metodica nel trasferire affetto sul corpo della compagna. Le carezze di Olivina-anima a Chiodino non sembravano terminare…erano in piedi adesso; almeno due persone…la terza chi lo sa dove fosse, ed in fondo non era tanto importante…era così bello carezzare Chiodino, così caldo e col pelo così vaporoso di pulito. Di nuovo l’odore di…sì, Olivina si accorse che non volava più. Avea di nuovo un peso, come se all’improvviso ripreso possesso del suo corpo, sentiva di nuovo il ritorno del tatto, dell’odorato, del sapore, tuttavia non avrebbe saputo dire dove fosse; il suo sguardo era vitreo. Non movea la testa, ma sentiva ch’era bagnata fino alla gamba, poco sotto il ginocchio, e sentiva freddo; era la prima volta da qualche ora che se ne accorgeva, stava fissando un volto dipinto in un quadro al muro senza ricordare chi fosse, e nemmen che cosa fosse; non riusciva ad accendere quella parte di cervello, o della sua mente, deputata alla memoria o alle definizioni da dare alle cose. Non vide Kalòs avvicinarsi, ma il violento contatto con la mano di lui sulla guancia le aveva riattivato la circolazione sanguigna; finalmente la sua mente avea ripreso a funzionare. Uno schiaffo l’avea risvegliata del tutto. Quello al muro era un quadro, scoprì dentro di sé, che quadro era la parola che cercava; il gatto che credeva di accarezzare ovviamente era la testa di Giovanna china a lavarle la vulva e le cosce dal residuo di quell’olio infido d’erbe ed argento. Sentiva d’aver traspirato parecchio, se non proprio sudato…si sentiva scarica e priva di forze; preferì sedersi e Giovanna si spostò di spalle a lavarle tosto la schiena ed il collo dal pigmento azzurrino residuo che avea assunto il suo corpo, nonché quello dei due suoi amici. Kalòs le offrì un bicchiere d’acqua arancione che Olivina bevve rapidamente…era del succo d’arancia; Olivina ne avea riconosciuto il sapore; era di nuovo in sé; chiese quindi all’uomo accanto a lei, nudo, lievemente sporco del residuo degli unguenti, ma sempre statuario ed elegante nel portamento come sempre:
“C’era qualcosa in quegli oli, vero Kalòs ?”
“Sì Olivina, avevate pensato giusto. Qualcosa c’era...anche se non era argento vivo, tranquillizzatevi ! Ma non chiedetemi come si chiamasse ! Erano erbe e pozioni provenienti non dall’Arabia, bensì dalla più lontana Persia !”
“Beh, ma sapete Kalòs, non credo che questa Persia saprei trovarla sulla mappa, un giorno di questi mi direte dov’è…ora, non so voi, ma io mi sento vuota ! Svuotata ! Svuotata !”
“Vi passerà comunque...sarò felice di dirvi dove sia la Persia; un giorno di questi mi deciderò ad acquistare uno di questi novissimi globi terracquei con l’impero di Carlo quinto, e vi prometto d’indicarvela. Spero, con l’occasione, che mi racconterete le allucinazioni che deve avervi indotto…mentre eravate ancora stupefatta e vi stavamo lavando, Giovanna mi ha raccontato le proprie…mentre voi le carezzavate ancora affettuosamente la testa…”
“Sapete Kalòs, io non avevo più li sensi: ho lasciato il corpo, questo me lo ricordo, e vi ho visti da qui sopra fare delle cose, ma non ho goduto !”
La sorella mia Olivina indicò ai presenti da quale altezza ella divenuta spirito immateriale avea osservato l’orgia di sensi.
“Strano cara amica, vi assicuro che avete goduto e parecchio. Ho lavato e parecchio la faccia mia con ciò che ho visto e sentito schizzare dalla vulva vostra.”
Intervenne Giovanna:
“Olivina, voi non potete immaginare, ma siete stata divina nel leccare la mia fica; ci vogliono mesi assai d’amor saffico per essere così abili; della vostra sola lingua godetti tre volte almeno…”
All’improvviso Olivina si abbassò scostando Giovanna di lato, dopo aver gridato:
“Scostatevi che salta ! Huuuuuuu ! No ! Aiuto, aiuto !”
“Che c’è Olivina ? Che vi succede ?”- chiese Kalòs. Olivina tremando rispose:
“…lì, lì,...c’è un serpente ! Guardate lì notaio ! Un serpente verde e nero ! C’è…un serpente ! Aiuto ! State attenti !”
Si rannicchiò ignuda di fianco tremando, proteggendosi col legno della tinozza, e timorosa di riveder il serpente di nuovo. Naturalmente alcun serpente c’era in quella stanza. Mia sorella era ancora sotto l’effetto di quelle strane polveri; quando Giovanna si chinò verso di lei, Olivina le sembrò di vedere di nuovo una testa di serpente che poi svaniva così all’improvviso, com’era comparsa. Aiutarono Olivina a rivestirsi con qualche difficoltà, e Giovanna la accompagnò nelle vicinanze della locanda…

Cari moderni, la sorella mia giammai dimenticò quel pomeriggio di sesso estremo ed esotico; troppo esotico…le era andata piuttosto bene, sapete…ebbe allucinazioni di strani animali per i tre giorni successivi. La più angosciosa di quelle era quella del serpente che, uscendo dalla bocca del piccolo Aymone ne avvolgeva il collo e ne ingoiava la piccola testa bionda… Kalòs si era sentito in parte responsabile: lui conosceva quei postumi; solo che credeva che andavano via in un paio d’ore, come nel suo caso. Dopo un giorno ed una notte nel dubbio, Kalòs ritenendo Olivina un’amica da tenersi da conto, pensò di mandarle a casa alla locanda lo cerusico Amodei, che sentito dal Kalòs per sommi capi cosa avevano assunto s’irò assai con il notaro, sì che questi credea che l’avrebbe denunziato ! Onde sottrarsi all’eventuale cattura ed alli ceppi, che a lui pubblico funzionario poco s’addicevano, tornò per qualche tempo a Soleto per stare un po’ collo padre suo Parmenydes…comunque lo coscienzioso Amodei, recatosi a casa d’Olivina, la trovò nella stanza privata, distesa sul lettone catatonica e spaventata; Ranuccio, non sapendo cosa fare, né osando avvicinarsi alla povera moglie gli fu grato della visita.
“Ecco dottore, sta qui sul lettone dall’ora sesta, rifiuta il cibo e vede serpi un po’ dovunque quando fissa le cose…uno oggi si sarebbe ingoiato la testa del piccolo di casa…”
“Le cose eh ?!”
“Sì, dottore…”
“Ranuccio vi prego…”
“Comandate dottore !”
“Portatemi tutte le candele accese che avete in casa, che qui la luce invero è poca…e cambiate l’acqua alla bacinella accanto.”
Ranuccio portò due candelabri a tre bracci, ed un lumicino ad olio onde far luce al cerusico, poi non appena Filomena addetta anche alla persona d’Olivina portò una nuova bacinella con l’acqua pulita e qualche petalo di rosa, se ne uscì; Ranuccio attese altre istruzioni:
“Vi prego adesso andate, chiudete l’uscio e lasciatemi solo con la paziente ! Vi chiamerò io. E dite alla servitù di non origliare alla porta ! Sù, extra omnes ! Come dice il Camerlengo a Roma…!”
L’Amodei, il cerusico, che conosceva Olivina di vista fino a quel giorno si presentò cordialmente:
“Olivina, sono il dottore ! Come vi sentite ? Mi dicono che vediate serpi, è vero ? Avete febbre ?”
“No, credo di no. Sì, vedo serpi dottore, e non ho il coraggio di guardare alcuno, che quando lo fisso, vedo serpenti…”
“Su voltatevi che proverete a guardarmi, almeno a me. Coraggio amica mia, voltatevi !”
Olivina si voltò, e guardato in faccia l’Amodei, fu rassicurata dal suo viso pacioso, e dai suoi numerosi grigi capelli. Gli occhi suoi eran gentili. Gli chiese il polso ed Olivina glielo diede. Si mise a contare a mente. Poi le sentì le tempie contro le proprie onde assicurarsi che non avesse la febbre, quindi le disse:
“Olivina, vi prego, ora dovete spogliarvi, potete farlo da sola, o devo chiamare la vostra serva ?”
“Io…no, faccio da sola, tutto ?!”
“Tutto, come vostra madre vi fece, io mi volto, poi mi direte quando sarete pronta.”
Olivina si spogliò da sola, come del resto era abituata a fare. Poi voltando le spalle in piedi all’Amodei disse:
“Son pronta, potete voltarvi…”
Il cerusico, voltatosi, vide quanto bella fosse Olivina vista di schiena, e che bel culo che avea ! Ancora un fior di donna. Il dottore le auscultò le spalle con lo stetoscopio. Poi, dopo averla fatta voltare e accomodare sul letto le vide il corpo sul davanti, compreso il pelo. Il dottore uomo di coscienza non vi fece troppo caso limitandosi ad auscultarla di nuovo. Poi le prese ambo i seni, e glieli palpeggiò sperando di non trovare noduli o cisti che davano comunque sospetto. Anche i seni superarono l’esame. Regolari e caldi. Il medico provò piacere a sfiorarne la pelle più volte. Prese quindi a palpeggiarle pienamente il ventre da ambo i lati, milza e fegato in cerca di gonfiori. Disse ad Olivina di respirare mentre premeva e non ne ottenne alcun dolore. Peccato – dovette pensare – il pallore d’Olivina avrebbe suggerito di qualche patologia epatica, magari un ingrossamento che ne aveva fatto perdere l’efficienza. Passò quindi al basso ventre di lei che palpeggiò senza reazione veruna neanche stavolta…si fermò e disse:
“Cara amica, adesso debbo chiedervi di piazzare i piedi qui, e di allargare le gambe, debbo ispezionarvi il sesso; cercherò di non imbarazzarvi punto al massimo che potrò.”
Olivina non avea problemi a porgere il proprio sesso della cui funzione andava giustamente orgogliosa. Il medico avvicinò il lumicino ad olio per far più luce localmente, quindi, allargatole i lembi della pelle ne ispezionò il sesso in cerca di tracce di sifilide o di gonorrea…le ispezionò pure il meato sfiorandoglielo con gentilezza. Olivina ne ebbe un rantolo:
“Ahn !”
“Perdonate, mia cara.”
“Di niente dottore, che vi occorre ?”
"Mah cercavo tracce di qualche malattia venerea, ma vedo non è il vostro caso. Del resto la sifilide fa scimunire solo poco prima della fine..."
"Dottore non ho preso malattie, fino ad oggi almeno..."
“E ditemi cara Olivina, avete urinato ?”
“Sì, è nel vaso sotto il letto.”
“…uhm, mi sono rimaste nelle dita due goccette, e della polvere, e mi chiedo…uhmm…dov’è il vaso ?”
“Qui, sotto il letto.”
Il dottore si chinò e preso il vaso ne osservò il fondo oltre che il colore delle urine. Poi, avendo visto ciò che sospettava, chiese ad Olivina di voltarsi, e lei lo fece subito mettendosi di fianco a lui; questi la sistemò a pancia sotto. Poi cominciò a tirare colpetti con la mano a mò di lama sui reni, ed Olivina non manifestò alcun fastidio. Il dottore le chiese:
“Non vi sto facendo male al rene ?” – tirò due colpi robusti al rene destro. Olivina disse:
“No, non mi avete fatto male !”
Ripeté l’operazione col sinistro e neanche stavolta. Le toccò i fianchi e le chiese:
“Non vi sto facendo male ? Non vi fa male qui quando urinate ?”
“Nemmeno quando andate di corpo ?”
“No.”
Olivina si rivoltò mostrandogli seno e pelo. Il medico continuò ignorando l’aspetto erotico di lei:
“Ho visto le vostre urine ed il meato della vostra vulva, state espellendo una specie di renella, e non vi fanno male i reni ?”
“No, dottore !”
“Da quel che mi ha detto Kalòs, quel vostro – diciamo – discutibile amico, avete il corpo pieno di metalli, e di strane polverine che avete assorbito con quegli oli di quelle ampolle che sfortunatamente il Kalòs mi ha detto d’aver buttato…Olivina, mi rimostrate il polso che ho preso prima ? Quello mancino.”
“Ecco !”
Olivina gli diede il proprio polso, il sinistro, ed egli analizzato da vicino l’apparente ematoma oblungo di color bluastro sentenziò:
“Vedete Olivina, questo non è un ematoma; qui avete assorbito qualcosa, adesso sono abbastanza certo, avete assorbito del veleno, dei metalli ! Leccandoli dal corpo del vostro amico per esempio li avete assunti direttamente…ed il resto attraverso i pori…”
“Le allucinazioni ?”
“Sono un effetto di quei metalli, non posso escludere che potrebbero non andarsene mai, tuttavia finché non espellerete quei metalli strani sarete esposta, ritengo. Siete stata fortunata a non morirne ! Per cui…”
“Per cui…?”
“Qui sul polso metteteci sanguisughe, spero che giovi ! Voi invece rimettevi in forze ! Mangiate sano, da stasera stessa. Cose magre, debbo chiedervi. All’ora settima domattina, se mi aprirete l'uscio, ripasserò, e mi farete assaggiar la vostra urina non appena fatta; poi vi dedicherete al lavoro con regolarità, questo è importante. Molto, molto lavoro manuale, dovete sudare parecchio! E bere anche parecchia acqua per espeller le scorie con la pipì. A cena niente birra assolutamente ! E niente vino ! Latte solo al mattino !”
“E per le allucinazioni ?”
“Andranno via speriamo, ma voi non fissate gli oggetti ! Ah, un’ultima cosa…”
“Ditemi !”
“Prendete dei fazzoletti puliti di cotone, e metteteli sopra il vaso a far da filtro. Terrete la renella da parte per una settimana, poi me la consegnerete perché dovrò studiarla, non si sa mai ! Passerò io stesso a ritirarla quando avrete finito d'espellerla. Ma se non volete farlo per me, fatelo per voi: state lontana da quel Kalòs ! Alcune cose me le ha dette, e su altre ha preferito tacere…spero che mi direte voi qualcosa in più…quando c’è di mezzo la salute non nascondetemi nulla !”
“Ecco vedete, io…”
Lo cerusico Amodei, che avea appena visitato Olivina tutta ignuda con la dovuta attenzione senza tentare di sedurla, ascoltò i ricordi di Olivina. La rimproverò per la sua leggerezza colle pozioni, poi la rassicurò: se non era morta fino a quel momento…qui a dir la verità le mentì un poco; di norma non avrebbe sciolto così facilmente la prognosi, tuttavia ritenne di dover infondere in Olivina almeno un poco di ottimismo: le prescrisse una cura di lavoro, e lavaggi del corpo con l’acqua financo con le purghe, ma più di tutto tanto lavoro manuale, affinché Olivina, sudando, espellesse dal corpo quelle strane sostanze che ancora erano dentro di esso. Alla sera riposo, ma la mattina ed il pomeriggio lavoro, lavoro, ed ancora lavoro…finché durava la cura Ranuccio era pregato di non tirar fuori il cazzo con la moglie sua, e di rimandar il sesso a tempi migliori. Il figlio Aymone era pregato di non fissar la madre sua, e di scostarsi se veniva da ella fissato, ma solo per precauzione, onde non complicare il quadro clinico. Fortunatamente Olivina, s'accorse il cerusico, le stava espellendo quelle strane polveri che non somigliavano che poco alla renella; gli era sembrata fosse renella; ma quelli erano metalli belli e buoni; restava solo da vedere quali. Tempo dopo l’Amodei, che avea trattenuto quelle polveri raccolte da Olivina per una settimana nel fazzoletto, una volta secche, le portò da un alchimista onde saper se contenevano metalli, e quali, e specialmente mercurio sospettava l’Amodei. Ranuccio gli avea pagato la visita con i denari del Kalòs, trattandosi della salute della moglie. E il cerusico Amodei, trattenuto per il suo onorario quanto ritenea gli competesse, investì la restante somma in una consulenza d’un alchimista. La scienza all’epoca molto poco potea, e quella renella era troppo poca, osservò l’alchimista, per trovarvi quantità apprezzabili di qualsivoglia metallo.E sì che sulla bilancina i micropesini, i semi di carruba, li carati non mancavano...Olivina pensò di lavare continuamente vesti e lenzuola, anche se di tanto in tanto le sembrava di vedere teste di bambino affiorare dall’acqua del lavaggio, come pure dei serpenti avvoltolati ovunque ci fossero cordami; si auto impose d'ignorare quelle allucinazioni; ad un certo punto i serpenti divennero grigi e con l’occhio benevolo, e dopo un giorno ancora andarono via del tutto. L’Amodei la rimise in guardia redarguendo anche l’innocente Ranuccio perché vigilasse di più in futuro; quindi si recò a Messa presso la Chiesa Matrice a ringraziare Iddio per la fine degli incubi. Ignorai se si confessò; seppi però che assunse la comunione. Giovanna era uscita dalla sua vita come vi era entrata, scomparendo e partendo per il florido Veneto. Anche Kalòs si limitò ai soli rapporti professionali, e di cortesia col di lei marito fin quando Olivina l’avesse ritenuto opportuno. Per un paio di mesi mia sorella Olivina disdisse i suoi appuntamenti particolari e giacque con suo marito come una fedele moglie. Poi quando io l’andai a trovare…


…oh, ma questa è un’altra storia !

































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Commenti per Michele tre teste e tre candele (e gli oli d'oriente), 5a p.:

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