incesto
…poi mamma si inginocchiò sul pareo sporco e
di sexitraumer
14.09.2009 |
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"Era un giorno lavorativo dopotutto..."
Eccovi la mia vicenda personale cari amici: mi chiamo Pierluigi; ed oggi sono un uomo che ha da poco oltrepassato la trentina: conobbi il sesso, anzi il “primo sesso” ed il piacere (- e quanto piacere! -) all’età di quindici anni o poco meno. Dalla mia nascita viviamo in un paesello di meno di diecimila abitanti in una florida provincia del sud Italia bagnata da due mari e dove non siamo bagnati dai mari, abbiamo un‘ottima campagna pianeggiante coltivata quasi tutta a olivo o a vigneto. Siamo fortunati qui; possiamo avere un mare stupendo e vario per spiagge e scogli: a patto di sapere dove andare. Un profano la nostra regione non saprebbe come godersela. Per me che mi sposto con una station wagon diesel per motivi di lavoro in quasi tutta l’Italia meridionale (Sicilia esclusa) andare al mare azzurro qui da noi è una formalità che quasi compio inconsapevolmente. Semplicemente la strada la conosco a memoria; e se non me la ricordo io, se la ricorda la macchina … no ! Scherzavo! State attenti per strada! Beh, nella vita civile sono il figlio di un geometra comunale nel paese vicino al nostro, e mia madre invece era all’epoca del fatto quella che oggi è una giudice di pace del tribunale del luogo, dove dopo il lavoro, mi portava al mare tre ore il pomeriggio nei mesi di luglio e agosto. Come si chiamavano all’epoca quei giudici non togati dei reati minori non me lo ricordo: forse onorari ma non ci giurerei; comunque oggi se lavorasse ancora sarebbe una giudice di pace … Poi rientravamo a casa dove papà aveva già preparato la cena. Una famiglia, se vista da fuori, serena come tante. Questa serenità non era gratis; comportava dei piccoli sacrifici; il meno gravoso dei quali era che il più delle volte, i miei genitori, secondo i rispettivi orari, i ruoli dovevano scambiarseli. Un giorno mia madre fidandosi poco a lasciarmi da solo per via del fatto che era venuta a sapere che alcuni miei compagni di scuola (che mi aveva fatto invitare al mare in passato) avevano preso ad accettare “certa roba” ceduta loro da non ben determinati “amici” fuori della nostra classe mi aveva portato con sé al tribunale affidandomi poi al simpatico Salvio, un carabiniere di vent’anni che sorvegliava i vari andirivieni di avvocati ed imputati e con il quale aveva un certo livello di confidenza. Lo scopo dell’appuntato Salvio, rappresentante della forza pubblica, era di sedare le possibili risse la mattina presto, verso le otto e trenta, quando si distribuivano i numerini per la richiesta copie sentenze, e qualche ora più tardi calmare gli imputati o le imputate più - come dire? - nervosi o schizofrenici che scambiavano spesso la figura del giudice non togato per una sorta di proprio estremo consulente; e questo nonostante precisi cartelli “imponessero” di non disturbare inutilmente il giudice per tale ruolo! Più di una volta il comprensivo Salvio ha dovuto accompagnarne fuori qualcuna che non si fidava del proprio avvocato … orbene quel giorno di quindici anni fa alle tre del pomeriggio mia madre aveva potuto finalmente lasciare il lavoro e portarmi al mare; dal tribunale al mare c’era soltanto mezzora di cammino in discesa; e sì perché quella ridente e storica cittadina, cinquecentesca per lo più, con porto e baia rendeva la vita difficile a chi si muoveva in macchina. Era meglio andare a piedi fino al lido. Quel giorno galeotto di quindici anni fa mia madre, che si era cambiata al bagno del tribunale, indossava un bikini nero che aveva coperto con un prendisole marrone mogano scuro a riflessi dorati aderente. Era ben avvolta e teoricamente avrebbe pure potuto entrarci in Chiesa … mia madre all’epoca aveva meno di quarant’anni ed era una bella donna ancora snella di nome Angela. A sentire i suoi ricordi avrebbe potuto anche fare la modella fin dai 16 anni; tuttavia preferì ripiegare sullo studio e credo che abbia fatto bene. Aveva un aspetto molto curato, e mi era capitato delle volte di sentire qualche commento maschio, ma anche cafone su di lei quando andavamo insieme al mercato. Il più delle volte ci restava divertita, e non dava mai soddisfazione voltandosi verso il molestatore verbale, o ammiratore momentaneo che fosse. Dietro i suoi occhiali scuri non era riconoscibile, e nella toilette del tribunale al momento di uscire cambiava anche pettinatura raccogliendo i suoi capelli nerissimi che, lasciati liberi con la fascetta come alle udienze, le arrivavano all’altezza delle scapole. Di seno portava ancora la quarta e le zinne le sono sempre state abbastanza su. Non era molto alta: appena un metro e sessantasei; anche se le misure di girovita e sedere non me le ricordo; aspettate un po’?! No! Non ricordo neppure di avergliele mai prese. Non aveva un solo filino di pancia ed io stesso, mi venne detto, venni al mondo col taglio cesareo. Una bella donna così l’avrebbe desiderata chiunque. Di me che vi posso dire? A quindici anni ero alto un metro e cinquantadue, anch’io ho i capelli neri un po’ brizzolati e le pippe le avevo scoperte già da due anni. All’epoca delle prime pulsioni la guardavo di nascosto spogliarsi in camera da letto da fuori la stanza. Oggi posso dirvi che credo che lo sapesse o lo intuisse; dava sempre le spalle all’uscio. Io appoggiandomi in punta di piedi me la “scopavo” con gli occhi. Si lasciava guardare. In casa sono sempre stato figlio unico purtroppo! Avrei gradito una sorella, e non per farci cose turpi ! A me le donne lo drizzano mature! -ma i miei genitori, sembra, si siano voluti fermare con me. Avevo un amico alla scuola del paese, un tale di nome Luca che a casa era ben dotato di giornali pornografici per via del fratello maggiore. Me ne regalò uno sottoforma di fascicolo omaggio. Era in bianco e nero, ma poco importava. Fotoromanzo con i fumetti. Su quelle pagine mi feci fior di sborrate fino a innamorarmi del titolo, e provare poi a comprarlo da solo; cosa che la maggioranza delle volte mi riusciva. Frequentavo un paio di volte al mese un’edicola dove l’edicolante badava più al soldo che all’età. Crescendo col tempo vidi che era disponibile anche sottoforma di raccolta anche se il prezzo era maggiore e l‘ingombro altrettanto. Con la paghetta ci riuscivo a comprarlo quasi sempre. Sotto il mio letto i miei facevano finta di non riuscire a trovare i miei giornali pornografici più piccoli che avevo in abbondanza nonostante la mia minore età. Erano il classico specchietto per le allodole; edizioni pocket a colori di nessun interesse; quelli veri, che sentivo più miei, erano i fotoromanzi in bianco e nero che tenevo in un posto segreto che nemmeno ora voglio rivelare. Le mie scene porno preferite che mi davano l’erezione di maggiore durata e durezza erano quelle con donne quarantenni scopate da maschi più giovani, che sembravano nella finzione di quelle scene in bianco e nero, portarle ad orgasmi cosmici e del pari sembrava che quelle donne in via di stagionatura ma curatissime, nonché altère, dapprima in tailleur, poi in guepière collant e mutandine, ed infine nude e ben penetrate quanto a posizioni e tutto il resto davanti all’obiettivo fossero delle superbe professoresse del sesso. A scuola non sono stato fortunato; tutte insegnanti vecchie. Non le vorrei neppure per una sodomia punitiva dovuta a qualche votaccio! Direi che sono protette dalla natura … mentre qualche pensierino potevo farlo su qualche mia compagna che di bello come quelle pornoattrici non aveva niente; invece quelle dei miei fotoromanzi porno che oggi ancora custodisco in un posto segreto di casa mia erano le “mie” donne più belle del mondo; per il mio cazzo, per le mie pallette, ed il mio cervello … scoparne una di loro per me avrebbe significato il Paradiso, quello con la P maiuscola! Vito, un altro mio amico, dopo averle viste (l’unica persona a cui li ho mostrati) ha cercato di farmi capire che essendo stampate in bianco e nero i loro difetti non si sarebbero mai visti anche se le donne erano comunque carine anche secondo lui. Col colore e l’uso abbondante di luci invece viene fuori di tutto ! - mi disse.- Vito, da esperto di fotografia può dire quello che vuole, ma per me quelle donne erano superbe: per niente irrealistiche e rifatte come quelle odierne. Sembravano avere ed impegnare culi veri anche se non perfetti: era proprio questo a rendermele così attraenti. Diamine com’è facile oggi apparire donne impossibili! Amavo e amo tuttora quei fotoromanzi in bianco e nero. Solo che oggi è più difficile trovarli e questo proprio grazie al web … Erano realizzati con donne comuni (credevo all’epoca) ed invece -direste voi- erano professioniste pure loro! Certo, oggi sono più maturo e mi rendo conto che erano professioniste, ma a me sembravano così vere, così donne della porta accanto … Ricordo con nostalgia il tempo in cui avevo imparato a risparmiarmi la paghetta per comprarmi l’edizione mensile diciamo volumata, la cosiddetta “raccolta da otto fotoromanzi“ che poi passavo ben due ore la notte a leggere. Oggi invece si sta, se va bene, due ore a scaricare dal web e due minuti a masturbarsi davanti al video. Non c’è paragone. Quei giornali li potevi leggere e non leggere, ma leggerli faceva piacere: era il sale della scena. Era un’esperienza intima che non condividevi con altri, ma al contrario ti apparteneva tutta. Un’unica edizione da otto era la mia preferita: era spessa ben due cm e pesava pure. Sotto la maglietta non si poteva nascondere. Mi ricordo che all’epoca costavano ottomila lire: la mia paghetta di due giorni; ma meglio dire di quattro perché dovevano comunque uscirci i soldi per la merenda a scuola! Una volta al mese dovevo risparmiare quattro giorni: duemila lire al giorno di non gelati, di non bibite, di non penne, e non quaderni e … dei giornali sportivi o dei fumetti non me ne è mai fregato niente. Nemmeno i rasoi da barba mi compravo: eh sì! Lo facevo apposta! Mi facevo crescere i baffi per apparire diciottenne al giornalaio del paese lontano dal nostro nove km, che raggiungevo dopo la scuola con la littorina della ferrovia. I miei sembravano non sospettare nulla perché una volta al mese tornavo a casa alle quindici invece che alle quattordici. Mi mettevo i ray ban di mio padre per non farmi riconoscere troppo. Lo compravo velocemente prima che chiudesse per riaprire alle sedici, lo mettevo in cartella, e via di corsa a casa prendendo la coincidenza opposta della littorina; cinque minuti per prendere il treno camminando di fretta dall’edicola della piazza fino alla stazione, dieci di tragitto, e dieci fino a casa mia a nasconderlo giusto un quarto d’ora prima che arrivasse mio padre, se non era di servizio di pomeriggio. Naturalmente dovevo anche ricordarmi di restituire i ray ban senza che si accorgesse della sottrazione. Questo era il mio background quando ci provai nientemeno che con mia madre. E guardate non era strano: su quei giornali donne dalla bellezza comune, come mia madre che però era più bella, erano tutt’altro che rare. Tutto avrei sospettato meno che mia madre quel giorno cedesse così facilmente. Dalla sezione distaccata del tribunale alla spiaggia c’era mezz’ora di cammino che avevo impiegato osservando il corpo eretto e formoso di mia madre mentre andavamo a piedi verso la spiaggia. Il suo prendisole marrone con sfumature dorate le lasciava scoperto il collo ed il petto sul davanti con decenza per poi coprirle tutto il corpo fino alle ginocchia. Mezzora prima indossava il suo tailleur crema col quale esercitava il suo mestiere di giudice dei reati minori, tamponamenti, e liti di condominio. Usavo guardarla elegantissima da fuori in compagnia dell’appuntato Salvio che passava tra le varie aule udienza dove esercitavano i colleghi di mia madre. Se volevo potevo fare il giro con lui. Era un favore che facevano a mia madre conoscendo la sua serietà: da minorenne non dovevo proprio varcare le aule d’udienza. Mi limitavo a sedermi fuori dove nessuno faceva caso a me leggendo un quotidiano senza una preferenza particolare per le notizie. Durante le udienze non disturbavo mai, né dicevo ad alcuno che quella giudice bella e sorridente era mia madre. Anche il cancelliere (quando c’era) non mi permetteva di assistere alle udienze; se volevo potevo andare in cancelleria a leggere tutti i quotidiani che trovavo fuorché quei voluminosi faldoni che consultavano gli avvocati. Ed io dico: ma chi ha mai avuto voglia di leggerli? Anche oggi mica faccio l’avvocato! Questo mi consentiva di ascoltare i loro commenti. Del resto neanche i frequentatori del tribunale cercavano di parlare con me. In compagnia del carabiniere Salvio ascoltavamo assieme, scambiandoci risatine, i commenti non sempre giuridici che alcuni avvocati facevano su mia madre. Il più delle volte erano commenti non proprio benevoli da parte di giovani avvocati (e non poche avvocatesse) cui mia madre doveva aver dato torto. Parole forti, ma a voce bassa come “quella stronza della giudice”, “ma tu guarda questa troia qui!“ “Ma che devo fare? Portarla in cassazione?! So io dove la porterei quella lì!“ , “Quella lecca il culo a quelli della prefettura! Ha sempre carabinieri intorno!“ erano tutt’altro che rare. Il libero accesso tra quei corridoi fu secondo me un errore strategico di mia madre: sentivo i commenti delle persone su mia madre e lei da parte sua non me li chiedeva mai ritenendosi superiore ad essi, ignorando completamente quelli sessuali. Dopo un paio di volte non gliele riferivo neanche più. Mia madre vi era avvezza. Tuttavia è singolare dover sentire degli avvocati più ingenui dire, spettegolando tra di loro, come ed in che modo si sarebbero fatti mia madre. Immaginarsela alla pecorina sbattuta da questo o quello era un pensiero irreale a cui non avrei mai creduto. Anche io avevo solo potuto sognare non poche volte di farmela: mi sarebbe piaciuto piombare in camera da letto mentre si metteva o toglieva la sottoveste di pizzo e farmela sul posto! Un paio di volte l’ho spiata a mettersi le calze nere per le sue gambe impeccabili. Solo alla depilazione delle gambe non mi permetteva assolutamente di assistere: mi obbligava a restare nella mia stanza. Per non parlare di quei pomeriggi con erezioni improvvise da sfogare con una sega; solo che poi la concentrazione andava via e addio pure lo studio ! Da parte mia, dopo il tribunale vedevo per strada molte donne che sembravano pari pari quelle dei miei giornali. E questo causò la mia eccitazione di quel pomeriggio. Sia chiaro non avevo mai visto neppure una pallida sosia delle mie eroine porno più intime. Solo molte donne comuni somiglianti in qualche particolare. Donne comuni che guardavo con interesse senza ovviamente essere ricambiato. Però, - avevo riflettuto forse a causa di un colpo di sole o dello stress -, se mia madre sopportava quei commenti da caserma su di lei al punto di non riferirli neppure a mio padre suo marito, ho pensato, allora perché non provarci comunque? Tanto che mi può fare ? Uno schiaffo?! Certo, forse. Tuttavia ero ragionevolmente sicuro di no. Al militare non mi avrebbe mandato con la costrizione perché alle punizioni non ha mai creduto. Ha sempre preferito la persuasione. Mi dissi: - “E io ci provo! Come va, va!” - Arrivati al lido non c’era molta gente a causa di uno scirocco abbastanza forte da rendere mosso il mare, e ventosa la spiaggia, ed al tempo stesso abbastanza caldo da lasciare calda anche l’acqua del mare. Mamma mi disse di andare per primo in cabina a cambiarmi visto che non mi piaceva mettermi il costume al bagno che usava lei in tribunale: esigevo una mia privacy (singolare) e non mi veniva negata. Mamma guadagnava bene a seconda delle cause che era chiamata a decidere, e potevamo permetterci la cabina venti giorni almeno durante il mese di luglio. Mentre mi cambiavo mi toccai il pisello, un gesto istintivo che facevo più o meno da un paio d‘anni, e scoprii che si stava indurendo. Avevo ripensato a quelle donne dei miei fotoromanzi, ma osservato anche il vento che aveva in parte scoperto le cosce a mia madre. In una rivista di glamour, come le chiamano oggi, non avrebbe sfigurato! Ci fosse stato 15 anni fa il fotofonino! Una donna molto bella ed ammirata, che stava prendendo vento e sole seduta semistesa poco prima del bagnasciuga. Il vento ormai sembrava volesse strapparle il prendisole adattato a pareo da qualche manciata di secondi nei quali avevo osservato attentamente il corpo di mia madre in costume e rafforzato la mia erezione con le toccate giuste sull’asta e sul prepuzio e sul glande. Che potenza sapere di poterlo scappellare! Sapete perché? Non ho mai cercato di spiare mia madre e mio padre che scopavano. Chissà, forse non volevo vedere che la penetrava … Ma lei da sola più la guardavo più desideravo scappellarmelo. A malincuore cercai il costume e lo indossai. Il cazzo però, trattenuto dal costume, cominciava a farmi male: l’erezione perdurava. Provai a prenderlo a pugni sull’asta e lo indurivo ancora di più … che fare? La soluzione era semplice: farsi una sega e via! Invece no! Mi tenni quell’erezione sperando che andasse via da sola … non mi ero accorto che i minuti stavano passando, e adesso mamma stava preoccupandosi. Fu un colpo di fortuna! Venne proprio verso la cabina. Pensai dapprima di coprirmi il cazzo eretto ( ma con cosa?) poi il mio “cattivo consigliere” mi suggerì di lasciare tutto com’era. I secondi passarono e mamma bussò dicendo:“Tutto bene?! Pierluigi? Stai bene?”
“No.”
“Allora cos’hai? “
“Io…”
“Insomma Pierluigi!”
“E- en - entra mam-ma!”
“Ti senti male per caso?”
Io le aprii la porta e mia madre entrò. Feci a bella posta l’infantile e simulai disagio. Subito vide la mia erezione nonché il mio imbarazzo; e mi chiese:
“Ah! ”
“…” - rimasi in silenzio. Ma la prima parte di quello che volevo fare l’avevo fatta. Volevo mostrarle quel piccolo capolavoro dei miei ormoni. Mamma provò a sdrammatizzare la cosa senza farci dell’ironia:
“Non mi dire, sei preoccupato per quella? É normale alla tua età. Dai che mò passa … magari esco e fai da solo …”
“Mamma chiudi!”
Fece per uscire, ma io la bloccai, e le ripetei:
“Mamma chiudi la porta. Tu re-res-ta!”
Mamma rise. Era una donna bellissima quando rideva; oltretutto rideva con affetto senza cercare di offendermi.
“Devo restare? Ma si può sapere che ti prende Pierluigi? Stai solo avendo un picco di testosterone, mica devo rianimarti. Cosa sei ? Un bambino?”
“E-e- chiudi!”
“Oh!”
Mia madre chiuse la porta. Avevo quello che volevo. Eravamo dentro tutti e due all’interno di un quadrato di un metro e mezzo di lato. Forse mia madre aveva intuito il motivo, e mi disse tranquilla:
“Dai, ma che vuoi? Sono tua madre! Non essere ridicolo! Vuoi scoparmi, l’ho capito. Non sono stupida. Lo sai che non puoi congiungerti con me! Trovati la ragazza. Non sei mica brutto.”
Non dissi nulla, ma le baciai subito quel suo seno caldo e dolce che avevo conosciuto da neonato. Non mi stava proprio respingendo, ma cercava ancora di persuadermi a resistere, ed ovviamente a desistere. Nessuno poteva impedirle di tirarmi un meritato ceffone; mi avrebbe di sicuro ridimensionato ed adesso queste righe che leggete non esisterebbero. No! Non me lo tirò. Il problema era che i suoi capelli fluenti ed i suoi magnifici occhi neri remavano contro. Il suo viso in generale era di una bellezza fine. Non avevo mai visto occhi neri così luminosi! Non so mio padre come facesse a non aver paura che qualche bell’uomo di avvocato ci provasse con lei! Non era uno di quei giudici togati che entravano per concorso, e che per correttezza gli avvocati non frequentavano in pubblico! Era nel fiore dei suoi anni una donna attraente (e devo proprio ammetterlo: molto più bella di quelle dei miei fotoromanzi). A 38 anni, il giorno della mia cresima era la più bella ed invidiata della Chiesa; aveva le cosce sode, e le tette su. A 40 e passa una libera professionista bellissima ed inappuntabile sul lavoro. Solo ogni tanto osavo ascoltare da fuori l’auletta ciò che diceva con la massima sicurezza di sé davanti a stimatissimi e più anziani avvocati, di valore pari al suo se non maggiore; era bellissimo per il mio animo vederla ascoltata mentre parlava in terza persona; ad esempio: -“ il giudice ammette i mezzi di prova proposti dalle parti e rinvia per la discussione all’udienza del 4 marzo millenovecentonovan … e via dicendo”- oppure “il giudice respinge l’istanza e fissa il termine del 10 ottobre corrente anno per l’integrazione del contraddittorio a cura della parte.”- e gli avvocati, pendenti per il loro lavoro da quelle labbra che amavo tanto, diligentemente scrivevano sul verbale. Poi con un sorriso passava ad altre cause. Colei che avevo davanti a me però era senza il tailleur, senza la fascia sui capelli e senza il cancelliere scassacazzi (poverino, non lui, ma mia madre che gli dava ordini in merito alla mia persona); no, non c’era neppure quel pazientissimo cuscino in divisa della Benemerita di Salvio a dirmi: “No Pierluigi, non puoi scopare con tua madre”. Ed io in quei momenti immaginavo di rispondergli: “Caro Salvio, di che t’impicci? Credi che non lo so che te la faresti anche tu? … Tu, che commettesti l’errore di presentarla alla tua fidanzata? Cosa credi carabiniere Salvio ? Io ho visto! Proprio perché mi tenevo fuori, dietro le quinte, che faccia ha fatto la tua fidanzata quando gliel’hai mostrata al lavoro … ih, ih, ih. Accidenti! Stavo dimenticando papà: beh non prendertela tanto! Non vi ho mai voluto spiare mentre scopavate. Non te la porto via. Torniamo a casa, cosa credi? Congedai rapidamente i miei testi a carico. Sentendo la vicinanza ed il calore del suo corpo iniziai a muovermi un po’ contro il suo corpo fingendo che lo spazio della cabina (ampia in realtà) non bastasse per due:
“Insomma Pierluigi! Si può sapere che hai in mente?! Ehi! Che fai? Lo stai strusciando su di me! Ti rendi conto? Via il pistolino! Rimettilo nel fodero cow boy!”
Sì, me ne rendevo conto, e non me ne importava: provai a sfiorarle le cosce calde e lisce con la mia cappella dura. Cercai un piccolo “fracosce”; tuttavia mamma indietreggiò; mi venne rifiutato. Quella singolare forma di carezza passiva non mi sarebbe dispiaciuta. Lei si irrigidì e si mise a guardarmi. Non ci riusciva ad essere una donna decisamente ostile:
“Sì e allora?!”
Cominciai a cercare di afferrarle il tanga sotto il pareo avvolto sulla vita, ma mamma mi afferrò la mano per allontanarla, sempre col sorriso. Così due o tre volte; poi cercai di portarle almeno la mano sulla mia asta, ma con mio grande disappunto, dopo averla quasi forzata al tocco, non me lo strinse. Ricordo che il suo palmo appena me lo sfiorò. Quella fu una grandissima sensazione di delusione: ce lo avevo durissimo, e avevo un gran desiderio di una mano calda femminile. Volevo che me lo prendesse; almeno che me lo prendesse. Mi tenne ben saldo il polso. Cercò ancora di parlarmi per convincermi:
“Senti Pierluigi! Ho avuto pazienza. Non c’è niente di male considerando la tua età, ma non devi provarci con me! Devi andare da una ragazza della tua età per fare queste cose … dai non ci provare! Ti ho capito: volevi scherzare e ci sono stata! Abbiamo solo scherzato!… uhi! Che tocchi?! Dai, può capitare, lo so che il pomeriggio ti vengono erezioni improvvise! Ora però basta! Fermati! É stato solo un momento di debolezza. Sei normale figlio mio, stai tranquillo! Ora basta però! Dobbiamo fermarci qui!”
Riuscii a focalizzare meglio per un istante: se mi doveva respingere, ogni secondo che passava ne avrebbe avuto sempre meno voglia di mandarmi a quel paese; istintivamente sapevo che avevo il cinquanta per cento delle probabilità: mia madre cominciava a cedere; tollerò due bei pizzicotti al suo culo divino dati con l‘altra mano. Le sue parole, che mi giustificavano e mi deludevano, mia madre le pronunciò dandomi dei baci sulle guance come avevamo fatto tante volte in vita nostra nella più assoluta normalità.
“Mamma io … insomma io credo che … ecco! T-Ti voglio!”
“Sì lo so! Ma con me non puoi … adesso la finiamo?! Potrebbero sentirci la fuori!”
“No. Non c‘è nessuno. Oggi siamo quasi soli.”
“Non significa nulla! Dobbiamo essere corretti tra di n… che fai Pierluigi ?!… insomma!…”
Mia madre mi aveva finalmente lasciato il polso. Ne approfittai immediatamente. Le scoprii lo stesso seno che le avevo baciato, il destro, e mi avventai sul suo capezzolo e succhiai con tutta la foga che mi riuscii a farmi venire. Lei sospirò:
“Va bene ! Gioca un po’ col seno, e nel frattempo fatti una pippa ! Poi però basta, andiamo via!”
“Uhmmmffff ! Sluuuuuuur… uhmmmffffff.”
“Pierluigi! Succhia, va bene! Ahnnnn! Però ti prego fatti stà pippa! Scaricati!”
Succhiavo il suo capezzolo ormai turgidissimo ignorando i suoi suggerimenti.
“Vuoi che te la faccio io? Non sarebbe corretto, ma è meglio che …Ahnnnn!”
“Uhmmmfffff, sluuurrrrr, no! Uhmmmfffff!”
“Ahnnnn! Ma hai proprio fame piccolo mio! Ehi! Uh! Ma che ci prende a tutti e due?! Basta Pierluigi! Un po’ di serietà! Dai fermati che ci sentono … ahnnnn! Come succhi! Manco tuo padre! Fermati maledizione! Ahnnn! Fermati!”- L’altro errore di mia madre fu di ridere in quei momenti di imbarazzo più suo che mio. Io poco a poco abbandonavo i miei ultimi complessi inibitori.
Continuai a succhiare ignorando la sua protesta. Sulla spiaggia non c’era nessuno nel raggio di cento metri e noi eravamo chiusi in cabina. Era un giorno lavorativo dopotutto. Ero già in paradiso! Pisello e palle carichi, e poggiavo le guance anche sull’altro seno. Dunque quello era il punto debole di mamma. Quel suo seno caldo sulle guance mi stava facendo sentire più gradito, più sicuro, per cui abbassai la mano destra dalla zinna che succhiavo famelico, e mia madre non mi deviò la mano. La abbassavo indugiando sulla sua pancia calda ed asciutta sulla quale lasciai tutto il mio palmo in una carezza immobile che mi dava calore; e poi lentamente e con cautela giù fino alle cosce e, continuando a succhiare quel suo povero capezzolo stremato dalla mia foga, feci mano morta sulla sua coscia interna mentre il suo pareo mi solleticava il dorso della mano. No non successe nulla. La mano non mi venne allontanata. Era il “segnale di conferma” che aspettavo: ci sarebbe stata. Presi a carezzarle la coscia e mamma, catturata da non so cosa, ormai respirava con un certo rumore, respirava profondo, intenso a giudicare da come si contraeva e gonfiava il seno. Anche la sua coscia la sentivo calda e liscia. Il tutto mi eccitava. Decisi di correre il rischio di venire respinto in un attimo di lucidità che non ci fu. Mi staccai dal capezzolo, e utilizzando entrambe le mani la liberai deciso dal pareo lasciandolo cadere in terra; con tutto che io ero poco meno della statura di mamma. Le abbassai anche il tanga, e vidi quello che cercavo e che avevo visto innumerevoli volte nei miei giornali porno: la sua fica pelosa dal pelo nerissimo ed il resto del suo bacino dove non battendo il sole non c‘era l‘abbronzatura. La mia testa arrivava parecchio sopra l’ombelico, per cui cominciai ad inginocchiarmi davanti ad essa per leccarla come avevo visto fare su quei giornali: cazzo ! Puzzava pure un po’! Ovviamente, dopo essere stata ferma in un ambiente chiuso, condizionatori a singhiozzo, per sei ore, con il caldo poi! Mica le avevo dato il tempo di lavarsela prima! Non appena poggiai il mio naso contro il pelo, sentii che era già umida e molto presto si sarebbe bagnata. L’odore non invitava. Sembrava sapesse di sudato. Mi feci coraggio con me stesso e confortato dal mio cazzo ancora dritto iniziai a leccare senza guardarla troppo in una penombra come l’interno della cabina. Leccai su tutto il pelo. Lei restò ferma e rigida a subire per dei minuti dominando la respirazione, ma a tratti sentivo qualche rantolo di godimento anche se la mia relativamente piccola lingua colpiva per lo più il pelo in generale, e le grandi labbra fuori. Sentivo sulla lingua solo i suoi peli umidi ed irritanti. Lei mi disse:
“Accidenti a te! Ci sei riuscito alla fine! Lecchi famelico! Bene già … ahnnn!… solo stavolta accidenti! Ok, ok va bene, aprila piano! Con le tue mani ci riesci ?!… ahnnnn … io ad aprirtela non ci riesco! Aprimela tu, se proprio la vuoi! ”
“Co-così?”
Le scostai i lembi delle grandi labbra in alto con delicatezza e provocai anche l’evidenza della clitoride. La luce che entrava da sopra la porta trenta centimetri avanti a noi era poca, ma abbastanza perché distinguessi il cappuccetto roseo. Mia madre incredibilmente mi stava concedendo tutta la sua vulva. O meglio accettava passivamente che cercassi di prendermela; purché non fosse lei ad aprirmela. Un oggetto che avevo sempre e solo osato sognare quando mi accontentavo di vederla spogliarsi o cambiarsi d’abito in camera da letto.
“Così bravo!… Ecco ! Ma non ti puzza? Neppure un po’?”
“Forse, uhhmmmmffff, ma mi piace!”
“Ehi! Lo vedi là sopra quel piccolo picciolo?!”
Risposi avvicinando il viso con un’annusatina su di esso: era profumato di non so cosa, ma mi piaceva. Era la sua clitoride: uno dei centri del suo piacere: lo avevo imparato sui porno. Avevo anche iniziato a baciarle la vulva tra quelle pieghe che portavano lì su al clito, ma la lingua lavorava meglio e lì il sapore era dolce, gradevole, ed anche la carne era morbida -come dire?- gentile.
“Beh! Accidenti a te! Leccalo! Lecca là sopra! Piano ! Lecca lì … ti piacerà … ahnnnn … ti piacerà credo!”
Cominciai a leccarle le carni e le pieghe del clitoride dapprima incerto e tremante, poi a mano a mano che lei mi carezzava la testa sempre più sicuro. Infatti mi premeva anche la nuca contro la sua fica. Quello era un segno di affetto e gradimento. Sentivo un sapore fine di pesce bollito, poi di bianco d’uovo, poi qualcosa di dolce che non saprei definire, forse vaniglia amara, ma era quell’odore di pesce che stimolava le mie nari e sentendolo a tratti più intenso leccavo ancora più servizievole, quasi caninamente. E dire che di pesce neppure ci vado matto! Provavo anche a scendere più sotto, nel canaletto rosa d’ingresso, ed il respiro di mia madre si fece più affannoso quando la mia lingua entrò proprio dentro la sua fica; lì sì che mi sembrava di aver violato la sua intimità. Sentii che avevo leccato bene dato che ormai era tutta bagnata anche dentro. Dunque l’avevo eccitata a dovere! Era la stessa fica dalla quale sarei dovuto uscire nascendo, ed invece fu taglio cesareo! Sulla mia lingua in punta scese improvvisamente qualcosa di piacevole: per un breve istante feci in tempo a focalizzare una goccetta argentea lunga un centimetro forse, una sorta di miele appiccicoso al sapore di sale. Ne cercai altre di quelle goccette leccando dappertutto, ma la vulva di mia madre con mia grande sorpresa che avevo la libidine nella stratosfera, non ne emise più … ormai lei si era arresa, e mi diede un suggerimento proponendomi tra i rantoli di godimento:
“Ahnnn, uhnnnn! Stringimi le zinne!”
Eseguii all’istante alzandomi e stringendole i seni: erano duri e tesi. I capezzoli che avevo succhiato altrettanto.
“Le hai sentite? Così ! Sì!”
“Sì, sono dure e turgide! Te le devo baciare?”
“Ecco, io se vuoi entrare, sa-sar-sarei pronta! Se no la finiamo qui e basta? Io comincio a sentirmi sporca …”
Non l’avesse mai detta quella parola magica! “Sentirmi sporca”: proprio quello che volevo. Ignorai la sua richiesta, e mi riabbassai a leccare quell’ostrica di carne così dolce e così grande per la mia lingua, e così calda. Ne sentivo il calore anche senza toccarla con la punta del naso. L’aria che giaceva o si staccava da quella vulva entrava comunque nelle mie narici. Non sentivo un odore particolare. Però in quel momento capivo cosa celava mia madre, e come lei qualunque altra femmina sotto la sua gonna. Quante volte avevo immaginato di poter togliere la gonna e le mutande ad un elegantissima fotomodella, o donna comunque di un certo aspetto, e leccarle la fica! La fica che mia madre mi stava concedendo in quegli istanti quasi irreali erano il pagamento degli arretrati. La fica avrei voluto leccarla fin dai dodici anni qualche mese prima di scoprire la prima sega. Ovviamente mi era proibito.
“Se continui a leccare mi fai go-oooo-oodere troppo presto, ahnnn! Basta lingua tesorino mio! Ahnnn! Si vede che ti piace ! Senti! Ti faccio io una pippa ! Dà qua! É meglio che ci fermiamo qui! Ahnnnnn! Niente eh?! La vuoi proprio assaporare! Ti piace calda la minestrina ?!”
“Ancora no! Lasciami uhmmmmm, uhmmmmfffff, fare!”
Continuai altri cinque o dieci minuti leccando lentamente e servizievolmente. Ero un vero cagnolino. Il calore umido della pelle della sua vulva mi compensava abbondantemente del sapore poco gradevole del pelo. L’oggetto del mio desiderio infantile mi stava bagnando e sporcando labbra e lingua, e non me ne importava. Mamma si sforzava di non esplodere. In quell’ambiente chiuso non poteva nemmeno urlare perché le nostre voci si sarebbero sentite all’esterno. Ormai si era lasciato cadere anche il sopra del bikini, e ce l’avevo nuda tutta per me. Le leccavo la fica, le esploravo l’ano col dito sinistro ogni tanto. Poi mi disse:
“Basta con la lingua! Basta! Allora se è proprio inevitabile, facciamolo! Fatti in là! Fammi posto, cazzo! Che madre scema che hai Pierluigi! ”
“Insomma io sì volevo farlo, ma ti ho vista col tailleur e mi hai fatto venire voglia dopo che ti sei messa il costume ed il pareo …”
“Pierluigi! Il Cielo ci perdoni, accidenti a noi due! Maledizione! Devi guardare le ragazze, non me!”
“Io non so cosa…”
”Sai che ti dico ?! Mi hai proprio fatto venire la voglia! Anche tuo padre le guarda le altre donne nonostante il suo pezzo di gnocca! Faremo il peccato, e dovrai darti da fare veramente! Il porco lecchino sa farlo qualunque maschio! L’uomo è una cosa diversa! Mi scoperai! Dovrai farmela godere sai! Sborrarmela tutta! Una donna non s’accontenta di due goccette. Chissà da quanto ci provavi! Dai mettiti comodo e rilassati! Ora tocca a me!”
Da poco! Ci provavo solo da poco! Per quanto lei fosse bella, e lo era, in lei vedevo le eroine eleganti dei miei fotoromanzi. Certo che la mia generosa mamma una sforbiciatina ai peli poteva anche darla! Ne sputai parecchi in quei lunghi istanti di pausa e paura (ormai ingiustificata dopo le sue ultime parole) che tutto finisse. Indietreggiai di mezzo metro. La schiena mi aderiva al muro della cabina. Temevo che lei se ne andasse, invece sedendosi alla meglio sul quel povero pareo a terra mi fece un bel pompino mentre me la godevo in piedi, e lei seduta. Cazzo, mi sarei voluto bagnare il viso con quella sua fregna bagnata di saliva e umori vari che invece si stava asciugando a contatto col cotone del pareo. Accidenti! L’avrei leccata ancora! Anche a costo che mi pisciasse contro! La sua bocca, che qualche ora prima aveva zittito imputati maleducati, avvocati insistenti, pronunciato sentenze, precipitò sul mio pisello, e mi praticò un’imprevista piacevolissima fellatio. Sentii la sua lingua calda sul mio cazzo di dimensioni certo non eccelse, ma questo al mondo non doveva interessare! Il mio cazzo era duro e quello era l’importante. Tutta la decina e passa di cm della mia asta era scomparsa oltre le sue labbra chiuse. La sua bocca mi stava regalando nella penombra della cabina sensazioni di piacere indescrivibili su tutto il glande facendomi trasalire come a toccare l’universo quando per un brevissimo istante sentivo il piacere della punta della sua lingua sulla punta del mio cazzo e dei suoi denti a mordicchiare la mia asta pulsante. Stavolta ero io ad affannare! E di brutto pure! Ero convinto che sarei morto di cuore! Mamma mi saggiò le pallette con le carezze giuste, poi dopo una decina di secondi in cui sentivo quanto era fredda l’aria sul glande quando lei allontanava la bocca dalla cappella violacea dallo spasmo, si fermò e mi disse sorridendo con tenerezza:
“Stai per godere figlio mio! Meglio che entri dentro se la vuoi, la fica maialino mio!…”
Non dissi nulla. Ero paralizzato dal piacere provato oltre ogni aspettativa. Mamma cominciò a baciarmi le palle, il bacino, e l’asta, poi mi diede una leccata fino ai miei capezzoli e mi tolse da quel mio stato di tilt dopo avermi tolto e restituito il mio respiro. A posto del cuore avevo un motore d’aereo che dopo essersi quasi fermato era ripartito! Appoggiò già seduta la schiena alla porta e portando le ginocchia al petto mi offrì come poté tutta la sua vulva rosea, pelosa, pronta, e già abbastanza aperta. Lo spacchetto era umido già a vedersi, e avrei voluto leccarla ancora. Presi in mano il mio cazzo, mi abbassai, e mi feci tutto in avanti tremando incerto nonostante fossero un paio d’anni che aspettavo quel momento in cui sarei entrato dentro di lei. Il cazzo reggeva da solo: le presi le gambe per tenergliele larghe anche se non era necessario visto che io non ero così ingombrante; e appoggiata la mia cappella sulle sue grandi labbra feci entrare il mio pisello drizzato. Mi lasciai andare contro. Scivolò dentro subito, quasi senza resistenza. Lo misi dentro tutto rammaricandomi che non fosse poi tanto lungo. Le mie ginocchia stavano facendo pressione sulle sue cosce. Ero dentro: sentivo piacere, dolcezza ed il singolare calore avvolgente e solleticante della fica. Mia madre vedendomi incerto mi rassicurò dicendomi:
“Muoviti! Dentro non puoi restare fermo! Muoviti dai!”
“Mamma non è lungo! Ecco è tutto dentro! ”
“Ahnnn! Dai Pierluigi! Scopa! Volevi scoparmi, no?! Sbattimi le palle contro l‘inguine!”
“Uh, com‘è bella dentro mamma! Ehi! Ahnnnn! Che bella la tua fica dentro! Ahnnnn! Non ce l‘ho lungo mamma! Ahnnn! Non ti dispiace, vero? Ahnnnn!”
“Non importa; ahnnnn! L’importante è che sia duro! Dai, colpiscila! Devi colpirla con la tua carne dura per farmela godere. Finiscila con le stronzate! Uh! Sei dentro la ahnnnn! fica adesso! Ahnnn! La stai scopando bene! Concentrati! ”
“Avanti e ahnnnnn, indietro?!”
“Sì dai, che godiamo tutti e due! Coraggio! Dai muoviti!”
Ero dentro e mi muovevo incoraggiato dalla sua voce sicura. Mamma cominciò a rantolare di nuovo per farmi esaltare. Ad ogni mio affondo sentivo il cazzo sempre più bagnato dalla sua sorca calda e scivolosa. Il suo petto si gonfiava e si contraeva. Era come se assaggiassi la minestrina pronta a bollire col glande e la punta. Uno stimolo continuo sempre più vario. Mamma mi baciò sulle labbra una decina di volte: sentivo il bisogno di aprirla tutta, di esplodere dentro di lei. Continuavo con gli affondi deliziandomi ogni istante di più nel farmi bagnare la cappella dai suoi caldi liquami interni, e dopo che mia madre mi prese il viso e mi diede decisa due slinguate sulle guance, mi sentii di non dominare più le mie palle. Il mio bacino diede da solo un unico sbattimento contro il suo. Partì una velocissima onda nervosa: ero convinto che mi si fosse deformato l’inguine poi un ondata dentro l’asta e dalla punta della mia cappella un calore al culmine ed un prurito piacevole; ecco mi rendevo conto che stavo espellendo velocemente una sorta di sparo liquido; sentii il piacere della liberazione! Mi sembrava incredibile: due, tre, quattro spari! Io non li comandavo; li volevo e palle e pisello sparavano! Eiaculavo dentro di lei. Dentro mamma. Chiuse gli occhi fintanto che le diedi fino all’ultima goccia della mia sborra. Perché aveva chiuso gli occhi ?! Si vergognava, o voleva rendere più intimo il coito? Cercò anche di chiudere un po’ le cosce per non mandarla dispersa, poi ebbe nel viso una smorfia di dolore. Col pisello che si stava consumando dentro di lei le chiesi affannando:
“Che succede mamma?”
“Niente Pierluigi! Un crampo! ”
“Vuoi che esco?!”
“No! Dai, vieni tutto, ne hai ancora di seme! Dammelo! Ahnnn! Uhhhhh! Sta passando ahi! Uh! Godi amore mio, godi!”
Finii di eiaculare l’ultima goccia poi, rimpicciolendosi il mio pisello, uscii a malincuore dalla sua fica ancora tiepida e piacevole. Gliela avevo sborrata in abbondanza. Potei vedere dal poco sole che entrava nella penombra della cabina che il buco d’ingresso aveva una colatina biancastra che in parte almeno, rimaneva attaccata al pelo. Mamma cambiò posizione mi spinse gentilmente all’indietro e si sedette sulle caviglie dolorando ancora di più; poi facendo dei piegamenti davanti a me i crampi le passarono. Era l’unico modo di combattere quegli insidiosi crampi alle gambe. Le vidi colare quel che rimaneva del mio sperma dalla sua fica sul pareo ormai inutilizzabile perché sporco. Misi il palmo della mia mano sulla sua vulva che colava sporca, e gliela massaggiai poggiando la mia guancia sul suo ventre ancora caldo, nonostante ci fossimo raffreddati entrambi. La mamma apprezzò il gesto e accarezzandomi mi disse:
“Mi vuoi ripulire vero?! Dai, Pierluigi, me la stai solo masturbando di nuovo. Vedi se c‘è una bottiglia d‘acqua qui dentro …”
Guardai per scrupolo. Mi guardai intorno rapidamente, ma la bottiglia d’acqua di mia madre era solo immaginaria; l’avrebbe desiderata certo, ma non c’era.
“Mi dispiace mamma, non abbiamo la bottiglia qui. Aspetta ci penso io!”
“Come sei caro! Me la vuoi ripulire!”
Insalivai la mia mano e presi a pulire la fica di mia madre alla meglio con i miei massaggi sul suo pelo che asciugava istantaneamente la saliva del palmo. Mamma non mi ostacolò sopportando con un po‘ di sufficienza, e carezzandomi la testa mentre mi davo da fare per farla sentire più pulita tra le cosce. Toccandola e percependo il calore della vulva però mi ero rieccitato, e il cazzo mi stava ridiventando duro piano piano, ma inequivocabilmente. Dopo averle ripulito la vulva cambiai posizione andando dietro a lei. Saltai un po’ provando a reggermi alle sue zinne per baciarla dietro l’orecchio, poi dopo un paio di baci con lingua spostai la mia attenzione più in basso: afferrando mia madre per i fianchi cominciai a premere e sfregare col cazzo tra le sue natiche. Però dovevo anche un po’ cercare di saltellare goffamente. Mamma aveva capito benissimo cosa volevo farle:
“Mamma, io …”
“Ho capito! Ho capito! Vuoi metterlo anche nel culo?! Vero?!”
“Sì! Scusa io …”
“E perché ? Ho capito! Vuoi un rapporto completo! E va bene! Tanto la cosa più sporca l’abbiamo già fatta! Aspetta! Troviamo una posizione! Da in piedi non ci arrivi vero?!”
Ci rispostammo per vedere se riuscivo a centrarle l’ano in piedi, ma avrei dovuto avere dieci cm in più di statura all’altezza del bacino che non avevo all‘epoca; poi mamma si inginocchiò sul pareo sporco e spiegazzato e assunse una posizione pecoreccia lungo la diagonale del pavimento. Avevamo a disposizione meno di due metri, ma più di un metro e mezzo del lato. Perlomeno non doveva appoggiare la testa al muro. Mi disse rassegnata:
“Prova così dai!”
Quel suo bel culo mi sembrava un bel cesto di pane fresco tutto per me. Quel suo culo proporzionato, tondo e sodo era davanti a me. Il pelo della fica era ancora visibile da dietro, ma dentro la fica avevo già goduto. Ero tutto preso dai segreti delle sue curve posteriori. Scostai le natiche e riuscii ad intravedere l’ano e le sue striature. Sembrava fatto apposta per il mio batacchietto. Neppure immaginavo che forse lo concedeva anche a mio padre che di sicuro lo aveva più grosso del mio. Rimasi incuriosito ed attratto dal buchino.
“Mamma vorrei baciarti lì, proprio lì nel buco.”
“Fai! Per questa volta fai! Ma sai cosa esce da lì, vero?!”
“Sì, lo so. Pciù! Pciù! Pciù!”
Lo baciai poggiandovi le labbra e lei per nulla impressionata continuò a domandarmi:
“E cosa esce? Attento Pierluigi! Non siamo bestie!”
“Merda!”
“Ecco adesso che lo sai, fai anche un’altra cosa”
“Cosa?”
“Vedi se c‘è ancora un po’ di crema per il sole lì a sinistra ! La bottiglietta è lì! Guarda!”
Mi indicò una confezione di crema solare ignorata sull’angolo di destra da qualche giorno. La presi e vidi che era ancora abbastanza piena. Mamma mi fece:
“Fai uscire quell’olio solare e mettilo nel buco, dentro intendo. Devi lubrificarmi bene, se no mi fai male.”
Diavola d’una madre! Si scostò lei stessa le natiche per mostrarmi il roseo pertugio ancora da violare (da parte mia almeno) ed io invece di metterci qualche goccia di quell’olio per lubrificarla mi misi a leccarle l’ano. Cercai d’introdurvi la lingua dopo averla indurita. Mamma non mi respinse, ma avevo azzardato troppo. Per farmelo capire sbuffò:
“Uhmmmm! No, non dovevi Pierluigi! Ahmmm! Uhn! No, ti prego!”
La mia lingua era entrata per meno di metà. Il sapore era invitante ed insidioso. Il mio desiderio d’esplorazione prevaleva. Per quel che ne sapevo poteva essere già andata di corpo stamani alla toilette del tribunale. Mamma trattenne il respiro per l’emozione ed il disappunto, forse disse pure qualche no da me puntualmente ignorato, poi rantolò qualche istante stimolando altre mie leccate che mi facevano sentire sapori grassi e dolciastri, sapori spochi. Lecca e rilecca le scappò un peto che arrivò dritto sul mio naso. Un secondo e mezzo di quell’arietta quasi umida. Certo puzzava e lo spazio era poco; ma in quel momento non me ne importava. La puzza continuava a circondare il mio naso; mi allontanai di poco, e la puzza diminuì solo di poco. Ormai però ero un uomo: presi dell’olio solare come mi aveva detto lei e le lubrificai l’ano con le mie dita: per lo più medio ed indice che introducevo dentro il suo culo con dolcezza facendo uscire a tratti altra arietta. Ci stavo prendendo gusto. Mi sembrava di liberarla da qualcosa. Mi godetti quei momenti di esplorazione per pochi minuti, e mamma stavolta non disprezzava affatto la cosa, tanto che allungando la sua mano all’indietro, mi stava facendo anche una piccola sega di sostegno per timore che perdessi quella nuova erezione di pochi minuti prima. Poi le dissi:
“Sono pronto!”
“Dai allora! Inculami! Servizio completo!”
Ero già più pratico rispetto a pochi minuti prima. Poggiato e scappellato il glande lo poggiai sul roseo buchino, e premetti attraverso la piccola apertura del suo culo, ed entrai deciso. I pochi cm del mio cazzo di adolescente scomparvero dentro di lei. Mi aveva accolto anche lì. Non era affatto scivoloso come la fica, anzi! Dovetti spingere parecchio, tutto era più lento e tiepido, e mentre mamma accovacciata mi incoraggiava ad avanzare, reprimeva il dolore che dovevo causarle. In realtà non era tanto perché il mio cazzo non era affatto largo. Quel giorno era poco più di un mezzo grissino di quelli grossi che veniva ingoiato. Facendo presa sulle natiche cominciai a muovermi più esperto gradendo la prigionia della mia cappella quasi strozzata dal suo sfintere. Era l’unico piacere che riuscivo a provare in quella intima biasimevole congiunzione animalesca. Purtroppo io continuavo a muovermi per darle un minimo di piacere, ma la temperatura che sentivo su asta e glande rimaneva sempre la stessa senza aumentare. Anche rimbalzare dopo l’affondo mi piaceva, ma sentivo anche i dolori di mia madre. Anche i suoi ahi facevano crescere la mia libidine. Tuttavia trovò, benché infiocinata nel retto, i secondi necessari per una piccola spiegazione:
“Quando riesci a sborrare, non ti trattenere, ahi! Sborra tutto perché, ahnnn, qui il piacere lo provi solo tu! Ahnnnn! Ahi! Dai spara! Ahi! Che fiocina! Dai!… Lo sento! Il tuo cazzo lo sento! E sei pure mio figlio, maledetto porco! Ahnnnn! Ahi! Ahnnnn!”
“Soffri molto mamma? Ahn! Che bel culo che hai!”
“Meno che con tuo padre mio piccolo porco! Ahnnn! Dai scopa, fammi sentire la tua puttana! Uh! E prendimi le zinne! Ti ecciti meglio! Anche a me piace fare la-la-l-ahi! La porca, figlio mio! Uhmmm! Affonda!”
“Ahnnn! Ti piace allora ahnn?! Ti piace ?!”
“Certo che mi piace, sono la tua porca! Sborra, ragazzo mio, sborraaaaahhhh.”
“Veramente ti piace mamma? Ahnnnn!”
“Mi piace farti sentire un uomo figlio mio! Ahnnnn! Dai, sfondamelo! Devi farmelo sentire dappertutto!”
Mia madre mi stava eccitando della grossa. Peccato che le sue esortazioni fossero sussurrate lì dentro la cabina, la nostra cabina. Muovevo il bacino alla massima velocità consentita dal mio affanno godereccio, e cercavo pure di afferrarle i seni come a dominarla. Avevo qualche problema perché una volta dentro non volevo far uscire il cazzo che stava comodo dentro l’intestino di mia madre, che mi sembrava solo tiepido, tiepido. Per non farci sentire troppo cercavamo di soffocare i nostri rumori e dopo dieci, forse venti minuti di affondi e ondeggiamenti, venni dentro di lei. Non fu tanto emozionante visto che avevo eiaculato in abbondanza prima. Ora dentro quel culo a pecorina tutto per me per un istante, da coniglio quale mi ritenevo, divenni un maestoso leone; non appena lo sperma lasciava la mia uretra con sensazioni di piacere l’incantesimo di potenza svaniva, e tornavo coniglio! Mi accorgevo che affannavo, sudavo, ero stanco e volevo solo riposarmi. La natura chiese indietro il prestito di potenza assoluta e si fece pagare. Contai cinque o sei colpi, ma non sentii tanto liquido separarsi da me. Volli restare dei minuti dentro di lei, dentro il suo ano. Non avevo potuto farlo nella fica per via del crampo, e volevo farlo adesso. Poi dopo averci dormito cinque o sei minuti senza sogni forse appoggiato sulla sua schiena venni svegliato da lei che eravamo in piedi tutti e due. Mamma mi riportò alla realtà: erano le cinque e mezzo di sera. Ero piacevolmente sfinito. Il sogno era alla fine. La mia stanchezza mi faceva trovare la cosa giusta. Mia madre si era già rimessa il tanga ed io istintivamente la aiutai a rimettersi il sopra chiudendole il gancetto.
“Mettiti il costume, ti ho ripulito io il cazzo, mentre dormivi. Bell‘arnese! Complimenti figlio mio! La donna che ti sposa sarà molto soddisfatta!”
“Ma è ancora piccolo. Lo hai sentito veramente ?”
"L’ho sentito! L’ho sentito! Te lo stai guardando eh? Beh sei un piccolo ometto comunque adesso! E io la criminale che te l‘ha data! Dovrebbero sbattermi in galera e buttare via la chiave! Non so proprio come ho fatto a lasciarti fare, diamine! D‘ora in poi dovrò aver paura soprattutto di me stessa figlio mio! Ero convinta che avrei resistito!”
Non feci troppo caso al suo pentimento. Tanto lei ci era stata. Era solo uno sfogo per non ammettere che da qualche parte nel suo più intimo animo anche lei voleva fare sesso con me. Comunque cercai di schermirmi:
“Volevo vedere se era pulito, ho sentito parecchio prurito quando ero dentro nel culo. A proposito mamma, grazie veramente, ho goduto bene anche lì!”
Diedi un bacio a mia madre: era il minimo che potessi fare; lei continuò a parlarmi del pisello lavato a bocca e saliva durante il mio sonnellino post orgasmico.
“Te l’ho ripulito io stai tranquillo!”
“Come?”
“Con la bocca … ne hai presa parecchia sai …”
“Di che?”
“Di cacca! Non volevo che mi leccassi lì, troppo dentro perché sapevo di averne ancora, ma non ho voluto neppure deluderti ! Adesso sai che succede quando inculi una donna!”
“Mamma ma tu hai preso in bocca la mia cappella sporca di cacca?”
“Il tuo pisello tutto! Mica solo la cappella. Sporchi tutti e due: del tuo sperma e di me stessa! Soddisfatto? La cacca chi credi che te l‘abbia ripulita da piccolo ? Mica avevamo la bambinaia. Anche se forse sarebbe stato meglio metterla! Almeno adesso ti saresti fatta lei, ed io per il disagio l‘avrei ricompensata in qualche modo! ”
“Beh a me non è dispiaciuto affatto. Lo faremo ancora ?”
“In casa ?! Credo di no! Ci ascolterebbero i vicini! A proposito! Stai zitto con tuo padre! Capito?! Se no lo farai soffrire inutilmente! Viviamo anche del suo stipendio! Il mutuo lo paghiamo perché lui il denaro che guadagna manco lo vede!”
“Mamma io non so come …”
“Va bene ! Su, è successo e basta ! Non ne parleremo più capito?! Pierluigi senti …”
“Starò zitto con papà! Te lo prometto!”
“Sì va bene! Senti, tutte le volte che qualche tuo amico o amica vuole proporti lo sballo, la droga insomma, rifiutala sempre! Ti chiedo solo questo! Adesso tra noi due c’è un problema! Forse è stato un problema piacevole, ma noi due non siamo più normali! Non abbiamo bisogno di altri problemi! Se hai bisogno di emozioni, te le faccio provare io, mi dai il tempo, insomma un po’ di preavviso, - riservatamente sia chiaro! -, ed una maniera senza farlo sapere a papà la troviamo, va bene?! Non mi mostrare più il cazzo come hai fatto oggi! Quasi in pubblico per giunta!”
“Va bene mamma.”
“Adesso esci, che non viene nessuno, e vai a farti il bagno in acqua! Così ti dai una ripulita in generale. Hai sudato parecchio. Non appena sei in mare guarda e fammi segno verso la cabina con la mano ! ”
“Con la mano come?”
“Così ”- e mimò il gesto del via libera, come a salutare comunque.
“Quando ti alzi in piedi, mi segnalerai che non viene nessuno; così esco anch’io … va bene?!”
Uscii e andai a fare il bagno e quando vidi che lo stabilimento era pressoché vuoto mi alzai in piedi tra le onde a riva per segnalare a mamma che poteva uscire. Nessuno l’avrebbe vista. Fatto il bagno mamma mi venne incontro per passarmi l’asciugamano come faceva da una vita; toltomi il costume bagnato con l’asciugamano avvolto intorno alla vita mi reinfilai gli slip della mattina. Due ore dopo arrivati al paese papà ci accolse ignaro sulla porta di casa. Anche mamma si era cambiata nuovamente recandosi in cabina da sola; si era rivestita con lo stesso tailleur con cui lavora nella sua sezione (distaccata) del tribunale. Io salutai mio padre che avevo appena fatto cornuto ed andai taciturno in bagno a lavarmi. In un certo senso mi sentivo sporco e colpevole, soprattutto verso di lui: però non riuscivo a togliermi dalla testa nemmeno il volto sofferente di mamma che sopportava un crampo alla gamba per non guastarmi l’orgasmo che avevo appena raggiunto dentro di lei in quell’angusta grigia cabina balneare. Mi feci un’altra sega sotto la doccia ripensando a quanto era stata calda ed accogliente quella la sua fica con cui ero stato generato, ma da cui non ero potuto uscire nascendo.
Tempo dopo ebbi con lei altri amplessi: la cosa ci divertì entrambi per un annetto circa, forse meno; lo facevamo lontano da papà più o meno tre volte al mese, finché dopo dieci mesi mia madre non si stancò, e dietro minaccia di dirlo a papà o di autodenunciarsi e dimettersi da giudice onoraria per condotta incestuosa (processo penale, licenziamento, addio soldi extra, papà è solo un geometra del comune!) dovetti rassegnarmi a smettere di cercare il sesso con lei. Oggi a distanza di anni posso solo immaginarlo: doveva aver scoperto i miei “veri” porno, guardato le macchiette del mio sperma sulle foto delle donne quarantenni, e dedotto che avevo un debole per le donne stagionate (non fraintendete! Lievemente stagionate, mica vecchie!). Purtroppo l’avevo allarmata io stesso; quell’ultimo periodo del nostro incesto avevo lasciato due ragazze della mia età: una era una mia lontana cugina (che in realtà non mi era niente) con un bel paio di zinne e basta; - non era mica bella!- , e l’altra era la figlia di un avvocato del posto che invece voleva l’incontro tra le famiglie, la convivenza, ed il matrimonio in prospettiva. Quando ne parlai con mamma, convinto che fosse ancora mia complice, le proposi l’idea di una doppia relazione tra me e lei clandestinamente come era stato alle spalle di papà; e tra me e la mia ragazza, che mi interessava sì, ma non più di tanto. A quel punto con mia grande sorpresa mia madre mi mandò a quel paese! In realtà avevo ignorato che da qualche tempo era andata un po’ in depressione ed un po’ più spesso in Chiesa. Poteva darsi che fosse dovuto al suo lavoro. Più di una volta mi propose di recarmi da Don Francesco, il nostro parroco, un uomo di 54 anni paterno e amichevole, perché mi andassi a confessare. Mi disse che lei si era già andata a scaricare la coscienza con lui (ma io non l’ho mai creduto veramente) e che secondo lei dovevo fare altrettanto. Mi disse di avergli confessato proprio tutto, e di volersi emendare l‘anima. Mi aveva solo fatto una grazia: non aveva mai detto nulla a papà. Non era giusto che proseguissimo così. Tuttavia è un fatto che da quando ha smesso la relazione incestuosa con me ha preso ad andare in parrocchia ed a messa con una certa frequenza. Si è impegnata anche in opere di volontariato facendo consulenze gratuite per le famiglie povere, e mi ha proposto di servire alla mensa poveri un‘ora alla settimana come ha preso a fare lei. Don Francesco le è molto, molto amico.
Ehi! Chissà se... vuoi vedere che…?!
Ma no! Fermiamoci qui!
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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