Lui & Lei
Odette: Oui je suis putaine, 1a parte
di sexitraumer
27.02.2013 |
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"Kumsal-Lucio cominciava a peccare d’ottimismo per il suo delirio di felicità per la libertà nei pressi di casa..."
Il mondo di Toraldo e Olivina, Terra d’Otranto XVI secoloL’antefatto
(temporalmente si colloca anteriormente a Michele tre teste e tre candele, prima parte)
Lo sbarco :
In una notte di Luna Nuova il corpulento vecchio comandante di un tre alberi, il cui nome non importava dato che non inalberava alcuna bandiera di nazionalità, fece ammainare le vele per fermare quasi del tutto il veliero, o meglio lasciarlo in balia delle acque piatte dell’adriatico in quei momenti. Sul ponte già da diversi minuti attendevano due persone appositamente convocate: un uomo ed una donna in abiti maschili europei che cercavano d’ignorarsi a vicenda, cosa non troppo difficile data l’oscurità dell’ambiente. Durante il viaggio, fin dalla partenza da Smirne, erano stati tenuti separati affinché s’ignorassero il più possibile. La passeggera, un’esile donna bionda di non elevata statura, né di forme particolarmente evidenti, ancorché regolari, era stata fino a pochi istanti prima una strana ospite personale dell’anziano comandante, consumando i pasti con lui, e facendosi vedere di rado dagli altri. Il comandante non aveva rilasciato dettagli circa la sua presenza, e ciò aveva alimentato le voci di ignoranti, pettegoli, e complottisti…Usciva indossando il velo sul volto solo per vuotare, spalle al vento, i suoi bisogni fisiologici fatti sedendosi sul vaso di porcellana del comandante, che era autorizzata ad usare. L’equipaggio disciplinatamente la ignorava secondo gli ordini: era una “pertinenza” della sua cabina di comandante e basta. Era semplicemente intoccabile. Prendesse aria o meno, alcuno le rivolgeva lo sguardo o la parola; neppure il comandante in seconda; chi infrangeva la disciplina a bordo era padrone di farlo, se era abbastanza coraggioso da farsi ricamare la schiena e le natiche dal gatto a nove code, con l’estremità di piombo puntuta. L’altra persona era un uomo di bordo, un ormai esperto marinaio con una certa anzianità, a suo tempo reso schiavo, dopo esser stato rapito da colleghi di quel corsaro turco sulla cui nave si trovava. Al momento attuale era formalmente un affrancato, un liberto, in seguito alla morte serena nel proprio letto del suo catturatore, ed arruolato nella flotta da dieci anni circa. Quella notte non sapeva chi fosse quell’altra persona, poiché nessuno lo aveva informato se non sommariamente pochi minuti prima. I colleghi gli avevano sussurrato il nome di quella donna. Era nervoso, poiché mancanze nell’ultima settimana, cioè da quando si era imbarcata, secondo la vulgata di bordo clandestinamente, una ragazza bionda vestita da uomo, riteneva di non averne commesse. Gli avevano appena detto di aspettare il comandante. Il lieve chiarore delle lanterne sul ponte non gli consentì di vedere granché: l’unica luce era quella delle lampade ad olio dentro la cabina del comandante. All’esterno talmente fioche da evocare i loculi di un cimitero…Vide la ragazza vestita da uomo seduta sul ligneo ponte, con le gambette incrociate, e le mani sul proprio volto con un velo nero che lo copriva – gli era sembrato – per intero, nascondendo gli occhi; aveva un bagaglio poco lontano da lei; immaginò, timorato com’era delle leggi della guerra corsara, che avrebbe dovuto contenere le sue membra con la testa mozzata. Venne colto dall’angoscia; se si fosse trattato di giustiziarla come spia, già sapeva che non sarebbe stato capace né d’impiccarla, né di decapitarla a bordo, come in passato aveva visto fare al suo capitano corsaro con quei giovani ufficiali delle navi delle marine occidentali come quella veneta, o spagnola, che rifiutavano, da prigionieri, di rendere omaggio ad un musulmano, e di essere resi schiavi quando non riscattati…ne aveva viste di teste saltare agli ordini di Sirdar Turgay, il suo comandante. Un marinaio alto e forzuto, Izmir, si mise davanti alla “clandestina” tenendo una scimitarra in piedi sull’attenti con la punta superiore di essa a contatto col ponte. Nessuno avrebbe potuto avvicinare la donnina la cui presenza era stata annunciata “ufficialmente” a bordo solo da qualche ora, col solito tam tam silenzioso dell’equipaggio. L’uscio del comandante si aprì; l’uomo pensò che la decapitazione della ragazza europea fosse questione di secondi, tuttavia il comandante si rivolse a lui, non ad Izmir…Il panciuto comandante Turgay con un cenno dall’uscio di legno convocò l’uomo prescelto da lui stesso, che portava il nome di Kumsal. Lo fece accomodare dentro, cosa in sé eccezionale, e mostratagli la carta del luogo in cui presumevano di trovarsi, ossia dieci-dodici miglia circa a sud di Capo d’Otranto, gli indicò il punto dove avrebbe dovuto prender terra con una scialuppa che aveva definito “a perdere”; il vecchio Turgay, rilassato e con l’abbigliamento per dormire, aveva messo momentaneamente da parte le normali barriere tra ufficiali e marinai, avendolo ricevuto nel suo pulito ufficio di bordo, lui Kumsal, sudato nel suo non lindo camisaccio da lavoro; il vecchio Turgay era affabile, e tollerava le interruzioni del marinaio; gli stava spiegando infatti…
“< Ma dovrò portare con me i resti di quella donna che Izmir sta per decapitare ?! >”
“< Decapitare? E perché? Chi l’avrebbe ordinata questa esecuzione? >”
“< C’è Izmir fuori con la scimitarra, e lei seduta si copriva il volto…dunque non verrà giustiziata ? >”
“< No, e ti ordino di portarla e sbarcarla tu, VI-VA ! Siamo intesi Kumsal ? >”
“< Mio comandante, allora hanno pagato per il suo riscatto immagino… >”
“< No, se proprio ti serve saperlo, ha pagato lei il viaggio… >”
“< Non lo sapevo, avevo pensato che… >”
“< Che hai pensato Kumsal? Che volessi giustiziarla come clandestina? Non dev’essere importunata, né riconosciuta, per il bene di tutti, Kumsal ! >”
“< Sì, comandante ! >”
“< La ragazza, fin dall’imbarco è sempre stata sotto la mia protezione ! Hai fatto bene a non importunarla Kumsal ! Ho sempre pensato che tu fossi un ottimo marinaio; per questo ti ho scelto ! >”
“< Insomma, se ho capito bene, porto la ragazza a terra e poi torno a bordo ? Ma come, se avete detto che la scialuppa è a perdere ? >”
“< …tranquillo la scialuppa non è nostra: appartiene alla mia passeggera, sarà ella a dirti cosa farne ! >”
“< Ed io allora come torno comandante ? >”
“< Semplice, non torni ! Resti, prendi moglie, e con l’oro che hai messo da parte, ti godi gli anni che ti rimangono ! Sei stato un marinaio leale, e quello sbarco è il tuo congedo formale ! Adesso vai, hai tre minuti per raccogliere le tue cose, prima che ci ripensi ! Vai ! >”
“< Agli ordini comandante ! >”
Kumsal si chinò per baciare le mani al proprio comandante che paternamente gli fece cenno di tornare sottocoperta a fare i propri, si presumeva, miseri bagagli. Gli aveva intimato altresì di tenere il massimo segreto sulla missione, e di non importunare troppo la passeggera: meno sapeva dello scopo del suo viaggio, e meglio era per tutti; il vecchio comandante lo aveva tranquillizzato sul concetto di incolumità di lei: questo non voleva dire che la donna in qualche modo non l’avrebbe ricompensato comunque; semplicemente la donna era stata informata che avrebbe pagato lo sbarco in clandestinità allo stesso modo di come si era pagato il viaggio fin da Smirne: “curando il riposo” del corpulento comandante. In tal modo aveva ottenuto di dormire in un quasi-letto, ossia in una non scomoda cuccetta di cuscini e cordame incrociato, quando il comandante, il vecchio ed abile Turgay era in servizio sul ponte. Viceversa quando era il momento che si riposasse, col tre alberi in gestione al comandante in seconda, il giovane Iskender, la passeggera avrebbe curato ben altro albero…del resto il membro virile del vecchio Turgay non era così duro; cionondimeno andava ancora in erezione, e vi rimaneva per un po’ dopo aver spalmato il proprio membro con una pasta cremosa di erbe particolari; la donnina apprezzava quei coiti ad intervalli regolari, poiché il cibo che le dava il comandante, compreso del vino, era di qualità migliore di quello per l’equipaggio, e le faceva usare della preziosa acqua dolce per i lavacri del suo piccolo ed affaticato sesso; anche il vecchio Turgay era uno dei pochi a lavarselo con acqua dolce; lo stesso non poteva dirsi per il resto dell’equipaggio, che godeva dell’ospitalità dei volumi interni del veliero in ben altre condizioni, dovendo ad esempio dormire sulla paglia. Il viaggio era durato tredici giorni nei quali la ragazza aveva dovuto dar fondo a tutta la sua decennale pregressa abilità per deliziare l’uccello di quel vecchio panciuto ed obeso lupo di mare, tuttavia ancor capace di darle un discreto orgasmo. Prenderglielo in bocca e berne lo sperma le piaceva di meno, ma era la garanzia che non sarebbe stata divisa o passata ad altri, come il resto dei marinai, sporchi, e puzzolenti dell’aria viziata di sottocoperta, dove dei capi incattiviti dal mestiere, facevano finta di non vedere le fiasche di vino, ma non le mancanze dei marinai ovviamente punite puntualmente da una frusta con i nodi di piombo. Quei poveri marinai si lavavano con l’acqua di mare, e la cosa non dava loro un buon odore. Alcuni, musulmani osservanti non bevevano vino; altri erano musulmani solo di nome, dato che il loro fiato tendeva a sbugiardarli… La cabina del comandante Turgay, benché piccola ed angusta, era una reggia, profumata da bastoncini d’incenso che bruciavano per un po’. Poi il comandante, da buon musulmano osservante (e cosa rara, tollerante) non beveva vino, e ciò rendeva alla donna accettabile il sapore del suo sperma, visto che da comandante poteva consumare anche buone verdure, come buono ed aromatico era l’odore di quella crema con cui cospargeva il proprio membro. L’ultima scopata di addio, due ore prima si era conclusa con il lavacro di acqua dolce che il Turgay le aveva fatto di persona, alla donnina ed al suo corpo adolescente, onde continuare a toccarla ed esplorarla, e ridurre un po’ il consumo d’acqua bevibile; in ogni caso contava di rifornirsi l’indomani in Albania…benché scarico con poca erezione e i testicoli doloranti, le aveva leccato anche la vulva con una certa passione ritenendo che quella gentile ragazza dai tratti esili, nord europea, avesse diritto a godere anche lei delle delizie fatte al centro del glande di lui. Le carezze di lei alla sua testa durante quei lecchini erano la misura di quanto gradisse sentirsi insalivata la sua piccola vulva. Al vecchio Turgay la vulva curata della passeggera sarebbe mancata parecchio, dato che si bagnava con facilità, facendo cogliere alla sua lingua di saraceno sapori e odori di una fica europea non turca…adesso però erano pronti a separarsi: ...
…a largo del porto di Otranto non poteva lasciarli perché avrebbero destato sospetti. Capo Leuca era sorvegliato per la sua posizione estrema, e sarebbero stati scoperti lo stesso. A largo degli scogli bassi del tricasino avrebbero avuto qualche possibilità; con l’occasione gli venne precisato che li stavano lasciando a quattro miglia dalla costa, e che avrebbero derivato verso nord visto che il moto ondoso li favoriva in tal senso. A quel punto il comandante Turgay rivestitosi e avendo visto che Kumsal aveva il proprio bagaglio, accompagnandolo sul ponte di coperta gli ripeté paternamente in turco:
“< Kumsal, ci separiamo qui. Una volta preso terra, te e la passeggera, non dovrai ritornare, sarai libero. Resta sulla spiaggia per un’ora almeno da quando ella va via: ti ordino di darle un’ora di vantaggio ! Spero che tu possa trovare ancora i tuoi cari in vita. Andate dunque, e che Allah sia con voi. >”
“< Ma il veliero allora… >”
“< Non appena calata la scialuppa faremo rotta per l’Albania. Tu sei libero, nella tua terra, che possa riaccoglierti ! >”
Il comandante Turgay si voltò, ed un marinaio consegnò a Kumsal un involto di panno bianco , che debitamente svolto, mostrò: un crocefisso, un rosario, e centoventi lire in monete d’argento a corso legale negli stati della penisola: quel tesoretto era una sorta di liquidazione per i servigi resi con lealtà come marinaio affrancato dalla schiavitù, anche se era stata una schiavitù attenuata da diverse deroghe (era padrone di spendere il proprio denaro col contrabbando...) Il crocefisso se lo mise al collo solo un attimo prima d’imbarcarsi in una scialuppa nera senza scritte; il vecchio comandante musulmano osservante, ma anche uomo di una certa tolleranza, si era voltato per non assister all’ostentazione iconica del martirio di Isà, VI Profeta, rappresentata dal Crocefisso o anche dalla sola Croce al petto del marinaio reclutato rematore, il cristiano Kumsal. L’uomo fece scomparire il Crocefisso dietro il suo camisaccio non senza averlo baciato per la buona sorte. Allora il vecchio Turgay si rivoltò, e strinse la mano all’uomo, quindi abbracciò la donna, che nel frattempo si era alzata in piedi, non senza palpeggiarne le piccole natiche, e cercando d’introdurle un dito nell’ano nonostante i pantaloni aderenti di lei…
“Ahn !”
La ragazza non poté evitare un imbarazzato rantolo…quindi il comandante Turgay se ne tornò in cabina. I due passeggeri attesero di potersi calare in acqua dalle scale di corda fin sotto, dove la scialuppa all’uopo già calata, li attendeva ondeggiando lievemente, trattenuta dagli arpioni di un marinaio di nome Aziz collega e amico di Kumsal; si salutarono solo a gesti. Quel collega di Kumsal ignorava che non avrebbe più rivisto il suo amico ai remi della nera scialuppa. La piccola scialuppa dipinta di nero per l’occasione, era stata acquistata dalla donnina con i suoi risparmi, esercitando a Smirne fin dai diciassette anni il mestiere più vecchio del mondo: la pura e semplice prostituzione. Otto anni di sesso con sconosciuti, non sempre selezionabili in base all’aspetto, per mettere da parte i soldi con cui pagarsi il viaggio in clandestinità, e mediante esso compiere la sua vendetta per ritrovare la sua pace interiore una volta per sempre. La sua missione non era coperta ad alcun livello, né politico, né militare; alcun servizio segreto, men che mai gli agenti e le spie del Sovrano turco nella penisola, si sarebbero esposti per aiutarla. Il veliero tre alberi del vecchio Turgay era un vascello corsaro noleggiato precedentemente da pirati dalmati; ora era in locazione novennale ad un vecchio corsaro turco, che per parte sua non avrebbe conosciuto alcuna pensione o casa di riposo; la sua tomba se l’era scelta da tempo: il mare. Le lire turche messe assieme dalla donna non si erano rivelate veramente sufficienti, per cui essendo ancora carina, e col corpo adolescente, pensò di pagare il viaggio con il sistema con cui aveva trascorso quegli otto intensi anni a Smirne, la più “europea” delle città nella terra di Solimano. Qui, mercé la sua professione di vendita del sesso, fece conoscenza con un alchimista di quarant’anni, armaiolo ungherese mezzo turco, di nome Istvan, i cui padre, nonno, ed il bis nonno avevano lavorato alle dipendenze del leggendario mastro Urban, un cristianissimo ungherese stimatissimo costruttore di obici d’assedio di enorme calibro, alle gradite dipendenze di Maometto II, che tenne con essi l’assedio a Costantinopoli nel 1453…tale Istvan aveva confidato, grazie ai favori sessuali di lei, la ricetta per mettere assieme un esplosivo di particolare efficienza, in grado di sventrare in due parti una nave di certe dimensioni, e provocarne l’affondamento pressoché immediato, o in alternativa far crollare un edificio in pietra calcica di tre piani; era passato un po’ di tempo, circa sei mesi da quando la prostituta acquistò quella piccola barca, e pagò per il suo trasporto nel vascello del vecchio Turgay che una volta si era presentato come un cliente. Venne apprestata per trasportare oltre al rematore e la passeggera, anche un barilotto da un braccio di diametro, ed un sacco a spalla pieno dei bagagli della donna: una venticinquenne olandese di nome Odette, la cui unica lingua straniera parlata non era né l’arabo, né il turco, né l’italiano: era il francese. D’italiano ne conosceva poco, ma se parlato lentamente lo capiva. La sua lingua madre, l’olandese, venne abituata fin da piccola a non usarla, e comunque la conosceva poco; a suo tempo un ricco mercante algerino e musulmano, ch’ebbe modo d’aiutarla ed ospitarla le aveva fatto piacere e comprendere il francese. Purtroppo dieci anni prima il mondo cristiano, e malgrado altri cattolicissimo, si fece odiare particolarmente con Odette privandola dei suoi genitori, due ebrei operosi che rifiutavano di convertirsi al cattolicesimo nei paesi bassi, terra non libera, poiché amministrata dalla cristianissima, nonché cattolicissima Spagna, grande finanziatrice della Santa Inquisizione che le aveva portato via i suoi mamma e papà da tempo immemorabile patrimonio indisponibile ed inalienabile di ogni bambina… meno tragico era il caso del rematore scelto per quella missione era un giovane uomo cristiano il cui nome italico era stato una volta, quand’era un infante, Lucio. Prima di venir rapito da bambino dai pirati saraceni che spadroneggiavano isolati per missioni ruba, mordi, e fuggi, avrebbe condotto la sua esistenza come chiunque altro in uno dei paesi dov’era nato da sua madre Nana e suo padre Anselmo entrambi due servi della gleba del signore di Patù. Il destino fu baro, e venne rapito e portato in Turchia dove venne venduto ad una famiglia di venditori ambulanti di verdura di Smirne. Pensò, dopo qualche anno di fuggire da questi genitori che non aveva voluto, ma catturato dai militari del pascià del posto, venne reso schiavo senza tanti complimenti e non restituito ai due ambulanti. Lì, presso la Sublime Porta, ove in tempo di pace solo Venezia era autorizzata a gettar l’àncora, prima che Re Francesco I di Francia riconoscesse diplomaticamente l’Impero Ottomano, aprendolo al mondo occidentale, a nessuno importava di Kumsal. Dato che il rapimento, a suo tempo, venne messo a punto nei pressi di una spiaggia dalle parti di capo Leuca nel Salento ionico, presso Pescoluse nelle cui campagne lavoravano Nana ed Anselmo, al neo schiavo venne messo il nome di Kumsal, in turco spiaggia. Il tempo era volato, e lo schiavo aveva finito per essere affrancato alla morte di Mehmet Pascià, optando poi per l’arruolamento come mozzo nella marina mercantile saracena.
All’una di notte ora locale secondo la posizione stellare del luogo la scialuppa venne messa in acqua. Una volta in acqua gli dissero di remare dritto verso la costa per due ore circa, finché non incocciava degli scogli bassi e non scoscesi a sinistra di un certo faro. Non appena ritirata la cima, Kumsal o Lucio, diede il suo primo colpo di remi. Vogava verso la libertà allontanandosi dal veliero, colpo dopo colpo, di quella coppia di remi azionata dalle sue muscolose braccia. Kumsal o Lucio era stato colto di sorpresa; non avrebbe mai sospettato che adesso era libero, e non più consegnato a bordo quando la sua nave toccava porti gestiti da potenze occidentali. L’illuminazione delle stelle era molto fioca, e Kumsal a malapena riusciva a distinguere i tratti del volto femminile e biondo che aveva davanti. Stava remando da un’ora, e di buona lena; la libertà ritrovata era il miglior motore del mondo. Solo un’ora prima era un rispettato marinaio della marina mercantile o corsara turca, integrato e rispettato dai colleghi, ma pur sempre un ex-schiavo affrancato straniero. Purtroppo, ormai lontani dalla nave, invece di osservare la consegna del silenzio, ritenendosi il vero patron della barca a remi, era divenuto piuttosto ciarliero il signor Kumsal…
“Signorina, va tutto bene ?”
“…”
“Mi hanno detto che questa barca è vostra, è vero ?”
“…”
Odette forse aveva intuito la domanda, ma preferì ignorarla. Una certa oscurità separava la vista reciproca dei due passeggeri. Kumsal continuò:
“Sapete signorina, con tutto questo buio ho paura del sonno, voi ?”
“…”
“Parlo solo per non addormentarmi.”
“…”
“Mò che sbarco signorina me ne vado in un’osteria, e mi faccio una bella ubriacatura ! Poi me ne vado a donne ! Ci voglio passare tutto il giorno, e la notte, …la nuit…fino al mattino dopo !”
“…”
“La nuit, voi dite la nuit per la notte, no ?! A bordo mi si disse che parlavate solo francese…”
Odette pronunciò le sue prime parole per l’uomo:
“Oh oui, toute la nuit, jusqu’à matin, j’ai compris ! Mais ils avaient vous interdit de parler, n’est pas ? Quand meme je suis de Les Pays Bas.”
“Interdit de parler ? Vietato dite?! Mò che stanno qui ? Ci sentono ? Paesi Bassi ? Ah, non siete francese allora…”
“Mais non, ils ne peux pas d’ecouter ! Mais vous aimez bien faire de votre côte !... Vogà, vogà !”
Odette non aveva niente contro quell’uomo, e provò a sorridergli debolmente sperando che non indagasse troppo. Tuttavia in quei momenti era dell’idea di non rispondergli sempre, onde non incoraggiare troppo la confidenza. Non conosceva il suo pilota, né avrebbe voluto che lui sapesse troppo di lei:
“Lo sapevate signorina che io sono proprio di qui ? Avevo dieci anni quando mi rapirono tre saraceni…ci l’à muerti !...mò che me ne torno a Patù spero che almeno qualcuno dei miei parenti sia ancora vivo…mi vedranno, e mi diranno: naaaa, ma quistu ci ete ? E io dirò: jeu su llu fiju te l’Anselmu e te mujeresa la Nana…se signurina voi non conoscete il leccese Nana vuol dire Donata. Mamma mia si chiamava Donata e mio papà Anselmo…”
“…oui ! Anselmò…”
Odette, pur parlando il solo francese, non era del tutto digiuna d’italiano, ma col leccese, che in realtà non capiva, si limitava ad annuire; e nemmeno per sommi capi, aveva compreso quello che intendeva Kumsal-Lucio. Il quale pur di aprire la bocca alla passeggera bionda e velata, non esitò ormai a tralignare dal suo compito sullo scopo dello sbarco clandestino di lei.
“Ma voi signorina Odette, perché vi siete offerta per fare la spia? Non era meglio che sbarcavate ad Otranto come passeggera delle navi commerciali? Non avete paura che vi stanno sacrificando ? Che dovete fare ? Sapete dove andare dopo ? Un appoggio ce l’avete ?”
Odette s’incuriosì; in teoria Kumsal non avrebbe dovuto conoscere il suo nome. Evidentemente sul tre alberi sul quale era stata “molto discretamente” imbarcata i marinai avevano avuto, o l’occhio o l’orecchio particolarmente fino, oppure chi l’uno, e chi l’altro; sta di fatto che la segretezza dell’imbarco era andata a puttane…Odette per cautela non ostentò alcuna sorpresa ed inventò una balla ad uso di quell’impiccione che cominciava a starle non antipatico.
“Je suis sans papiers ! Non ayant … do-cu-men-ta ! …Sa-crif-and-ò ? …pourquoi ?”
“Perché, dite ?...perché siete donna sola ! E noi quando sbarcavamo le spie del Sultano, uomini che andavano a morte quasi certa, lo facevano per Allah ! Noi, quelli del veliero, sceglievamo le giornate di mare mosso…devi farlo quando non se lo aspettano, col mare mosso; oggi invece è calmo che è una tavola. Vi troveranno, credete a me ! Questa, lasciatemelo dire signorina, se è una missione segreta, è perigliosa perché voi, come donna, siete vestita di scuro, ed è nera pure la barca; oggi è Luna nuova…voi vi vogliono far fare qualcosa di periglioso assai; mica sono scemo madame !”
Scemo no, ma ingenuo, o cretino sì, pensò Odette. A quel punto era meglio lasciarlo parlare; per lo meno avrebbe compreso fino a che punto Kumsal sapeva che cosa…intanto remava...ovvio che parlare non gli faceva pensare troppo alla fatica.
“Ma allo sbarco, volete veramente andare da sola con un’ora di vantaggio ? Non tenete paura per voi ? Io posso muà vus proteger…comprì ? Albeggerà solo fra quattro ore…e quando ero piccolo io c’era il coprifuoco…”
“Non! Je ne crains pas ! Pas de protection ! No teme la nuit io.”
“Ma siete donna madame ! Se vi vedono, sola di notte, vi pigliano per puttana di brigante…! Se vi trovano l’armigeri da sola vi mettono dentro, e da voi vorranno la patacca e il culo, e vi battono pure !...siete vestita siccome uomo, no?! Le donne de’ li briganti si vestono da uomo !”
Odette ci pensò un attimo poi:
“Put-ta-na ? …Oh oui ! Je suis putaine ! Pa-tac-ca ? Qu’est que c’est ?”
Kumsal-Lucio le indicò il sesso fra le sue gambe intendendo quelle di lei, il che le fece perfettamente comprendere cosa s’intendesse in italiano col suono patacca.
“Patacca, la fica…insomma quella lì ! Ve la fanno la patacca, e pure le cul !”
Complice il buio la donnina si divertiva un mondo a provocare il suo volgare interlocutore:
“Et alors ?! J’adore la sodomie! Foutre dans le cul ! Kumsal, je fais très fort à foutre dur !”
Kumsal-Lucio non sapeva più a cosa attaccarsi tra un colpo di remi e l’altro. Facilone disse:
“Odette ! Ci volete venire con me a Patù ? Me, io, tengo denaro da parte, guardate qui, o se non vedete, sentite !”
Kumsal-Lucio lasciò i remi, e le mostrò orgoglioso una tasca segreta dei suoi pantaloni dove aveva alcuni pezzi d’oro che tintinnavano facendo rumore durante la movenza dei remi. Quest’uomo esortò Odette, di cui si stava innamorando, contento per la ritrovata libertà, a disertare, ed a seguirlo. Non voleva limitarsi al sesso per il passaggio; viceversa la donnina era pronta a farlo anche con lui. Kumsal-Lucio cominciava a peccare d’ottimismo per il suo delirio di felicità per la libertà nei pressi di casa.
“Che ve ne fotte della missione vostra ? Mica sanno dove andrete veramente, no?! Se mi seguite, tempo tre giorni e ce ne andiamo in città al sicuro ! Con il mio oro viviamo bene due, tre anni, sapete ?!”
Odette sorrise senza rispondere. Quell’uomo faceva troppo il sicuro di sé. Si sforzava di non avercela con lui, però le era sempre più difficile fidarsi di lui…finché egli stesso non le diede la certezza che era una persona pericolosa per l’opportunità della sua missione che Kumsal-Lucio poteva deridere o sottovalutare quanto voleva, ma Odette si sarebbe attenuta ad essa, fino alla fine. La donnina per le parole continue di Kumsal-Lucio dovette fare appello a tutta la sua pazienza, poi iniziò a guardare verso la costa, ma era sempre buio. A seconda delle pochissime luci visibili avrebbe dovuto remare ancora un’ora, dato che la corrente marina diagonale li stava facendo derivare verso nord. Era stato loro ordinato di prender terra lontano dalla città; l’ideale sarebbe stato nella costa tricasina, se non stanano deviando troppo. La biondina Odette ogni tanto lo guardava sorridendogli per incoraggiarlo a remare ancora. Aveva ragione Kumsal-Lucio: era vestita al maschile, con pantaloni aderenti, ed una camicia, entrambi scuri. I capelli li aveva raccolti alla meglio indossando il velo come fosse stata una devota musulmana. In teoria non avrebbe dovuto esser lasciata sola con un uomo, e per di più non eunuco (in questo Kumsal-Lucio fu fortunato a suo tempo); in pratica la sua missione richiedeva, o che remasse lei, ma non sapeva come farlo veramente con efficienza, oppure che venisse accompagnata da una persona pratica e…discreta, ma non era il caso di Kumsal-Lucio, che si credeva furbo. Pensò che pessima idea era stata sceglierlo ! Ciarliero, e fanfarone ! - Proprio questo doveva darmi il vecchio Turgay ! – pensò Odette, disillusa sulla professionalità dell’uomo dello sbarco. A suo tempo non fu costretto a convertirsi all’Islàm, potendo restar schiavo e cristiano presso i reparti militari di coscritti di Mehmet Pascià, o un po’ tutte e due. Un certo addestramento, rigorosamente da privato a privato, Odette lo aveva ricevuto; purtroppo non sulla navigazione. L’uomo chiese alla ragazza continuando a remare:
“Signorina, posso chiedervi una cortesia ?”
“…Et maintenant qu’est ce que vous voulez ?”
“Ecco io vulé che vus a terrà chiamate me Lucio, che mi chiamavo così prima che mi rapissero questi vostri amici turchi venticinque anni fa…”
“Luscio ? “
“Sì, mò che siamo in acqua sono Kumsal, ma a terra mi chiamerete Lucio, Lucio à terre, vabbuò ?”
“Vogà Lusio, vogà !”
“Mò sono Kumsal, vogo, vogo, ma Kumsal muore a terrà madamme !”
Odette guardò la costa fino a che riconobbe il faro che le era stato indicato. Le dissero quanto avrebbe dovuto apparirle alto se guardato attraverso pollice e indice piazzati ad elle. La ragazza gli fece cenno di tirare i remi in barca, ed il giovane ciarliero rematore eseguì senza discutere.
“Che succede signorina ?”
“Rien, rien, un moment s’il vous plait !”
Non appena i remi furono messi a bordo Odette cominciò a togliersi il velo facendo apparire i suoi capelli biondi, ed il suo viso per intero; poi, dato che c’era poca corrente di vento, si tolse la camicia marrone scuro, maschile, che indossava disinvoltamente; ed infine scoprì il suo seno: due belle bocce non troppo grandi (stavano in una mano d’uomo adulto) con dei rosei capezzoli piccoli, e ben torniti. Si alzò in piedi, ed allentò i pantaloni scoprendo il pube biondo per gli occhi dell’uomo; il resto di quei pantaloni scesero più o meno verso caviglie. Odette prese la parola mentre il suo intero corpo, nonostante l’oscurità, si parava dinanzi al rematore:
“Monsieur Luzio, pardon Kumsal, je vous paye la part la première du voyage ! Voilà !”
I loro occhi, abituatisi all’oscurità, erano piuttosto sensibili, anche se il biondo pelo a Kumsal-Lucio appariva solo come ombroso pelo. L’uomo vide tutto quel che doveva vedere, o meglio sentire con la propria pelle o il proprio olfatto, di quel corpo venticinquenne di bionda femmina europea: l’ombelico, il pelo, le labbra della vulva, e lo spacco sotto forma di tratti di scuro. La giovane donna, prendendogli la testa fra le mani, con le cosce larghe e salde sulla barca, ben stabili, gli mise la vulva sulle labbra aspettando degli istanti che l’uomo, come ovvio, gliela leccasse. Quello di Odette era un invito esplicito a consumar del sesso. Il vogator cortese rimase spiazzato. Dopo pochi secondi di pressione di quelle morbide e vellutate labbra della vulva, salate dall’esposizione alla brezza marina e dalla salsedine in essa nebulizzata, l’uomo cominciò a fare il maschio, ed ovviamente a leccare sempre più famelicamente il grazioso piccolo carnal fiore di lei. Purtroppo la sua vulva esterna non si rivelò particolarmente buona all’odore per il disagevole viaggio prima nell’ambiente chiuso della cabina di Turgay, poi in barca, con quei pantaloni indossati ormai da tre ore. Solo il comandante Turgay aveva potuto fruire di essa fresca di lavacro ad acqua dolce in una cabina ripulita nell’aria dalla brezza fresca del mare e dai bastoncini d’incenso. Odette godeva in quella postura rigida, e disciplinata come fosse stata un soldato, grazie alla lingua di lui che andava comunque su e giù tra spacco e clitoride, seguendo il proprio fiuto quasi animalesco, dato il buio.
“Ohhhh oui, oui,…j’adore, ahhhhnnn la tongue, oui, renifle moi, oui !”
“Sluuuurp, splaaaaaacc, sluuuuurp, buona, huhmmmmm, buona ! Che bellahhhhhh ! Sluuuuummmp!”
“Ouiiiiiiii ! Votre nez ! Encore, encore ! Votre nez ! Votre nez ! Ahn ! Je l’aime bien ! Oui ! Ahn ! Encore !”
Anche il caldo naso di lui contribuiva a carezzare piacevolmente la pelle della sua vulva, ed il lembo esterno di carne del suo clitoride eccitato. Odette mandò un acuto. La barca, lasciata senza controllo, andava un po’ per conto suo derivando verso nord a causa del moto ondoso, anche se fortunatamente non rollava pericolosamente né a destra, né a sinistra. Il richiamo sessuale funzionò alla perfezione. Kumsal-Lucio ebbe la sua erezione, e prese il proprio cazzo in mano d’istinto, alla cieca, mentre Odette reggeva la sua testa fissa sulla vulva restando in piedi per quell’affamato uso della lingua di lui. Chissà da quanto non leccava una fica !...avrebbe gradito dei baci anche alle coscette interne, ma Kumsal-Lucio si concentrò più sul fiore, che sul campo; evidentemente il successo di Odette non era solo dovuto alla giusta età, quanto al suo sapore lì. L’uomo in preda alla libido si staccò a malincuore, e restando seduto chiese a Odette con gesti concludenti, di scendere sul suo cazzo ormai dritto emerso dai pantaloni lievemente calati di lui. La ragazza si offrì al carnale impalamento col suo cazzo. Odette era stata penetrata nel sesso all’istante dal proprio peso in verticale:
“AHN ! Ohhhhhhh ! Qui ! Voilà ! Oui ! Ahnnn!”
Odette sentì con gradimento che il cazzo di Kumsal-Lucio era caldo, oltre che duro; più caldo della sua vagina interna, che però si stava scaldando e bagnando anch’essa. L’odore di quel marinaio non era dei migliori, avendo servito per lo più al chiuso, ma quel lieve venticello sembrava allontanare la puzza di paglia e miasmi di cui era intriso il suo camisaccio da lavoro. In realtà forse non era pulito neanche il cazzo, e certo non come quello del vecchio Turgay. Odette non temeva alcuna malattia che il cazzo avesse potuto trasmetterle; il suo destino personale lo aveva già disegnato. Era duro ? – pensò lubrica, con la pancia che le si contraeva e rilassava, per poi ricontrarsi all’improvviso. Odette in quegli istanti mentre Kumsal le passava la lingua sul collo – sì ! – e allora tanto bastava: largo ai sensi ! Lo cavalcò per bene il carnal palo. I due scoparono intensamente seduti; del resto il mare era calmo. Pochi minuti di ondulate ed esperte movenze di lei, consumata dispensatrice di sesso, stavano avviando l’eiaculazione precoce di lui. Il cazzo del marinaio restava però grosso e duro, ed in pulsazione continua in parte stimolata dalla stretta ed allenata vagina di lei. L’anziano, ma non troppo, marinaio era in un tripudio di sensi, che mai avrebbe conosciuto a bordo di quel veliero che cambiava nome ad ogni uscita in mare. La passione di Odette per l’amplesso cavalcato da sé medesima avrebbe presto dato, o meglio ricevuto (nel frattempo il presto stava diventando prestissimo in quegli istanti così concitati) il suo genuino frutto liquido, che le sarebbe stato sparato dentro da sì fiero vulcanino di maschia carne dura. Ci pensò due secondi appena: non poteva permettersi una gravidanza, né sul momento avrebbe fatto venire in bocca quel cazzo purtroppo sporco dal lavoro duro a bordo. Diede un altro affondo per dare all’uomo un altro, - l’utimo ! - brevissimo contatto del centro della cappella con il suo forno di carne bagnatissima; poi sia pure a malincuore si alzò di scatto, e prese in mano il cazzo sfiorandolo fra le sue coscette freneticamente, restando come indemoniata nei suoi respiri e sospiri femminili. Lui come risarcimento aveva iniziato a metterle il medio sinistro nell’ano; Odette non si oppose…
“Ahn ! Ahn ! Ahn ! Uh ! Ahn ! Uh !”
“Ah, ah ! Ah ! Ah! Sì ! Ecco ! Huuuuu ! Ahn Sì !”
Kumsal-Lucio finì per innaffiarla con il proprio sperma, per garbo senza lamentarsi tra le sue coscette calde, praticando, o per meglio dire subendo nell’ultimo minuto il coitus interruptus per non ingravidarla…Erano settimane che Kumsal-Lucio non andava con una donna, e la calda piccola fica di lei lo aveva fatto venire rapidamente. Non volendo farsi ingravidare, intuendo l’istante della buttata, Odette si era staccata e gli aveva concesso uno sborra-cosce. Finito l’orgasmo, invero breve di lui, Odette si ri voltò, si chinò di fianco a prendere un po’ d’acqua di mare, e si lavò via lo sperma dalla pelle. Kumsal ne approfittò per baciarle almeno culo ed ano, dopo aver tolto il dito, la qual cosa lei non sgradì. La donnina si ricompose alla meglio. Bisognava a quel punto, dopo cotanta leziosa distrazione, che ricontrollassero la posizione. Non avevano derivato di molto, meno di un angolo retto per mezzo miglio, forse meno. La ragazza gli disse prima in francese, poi nel suo italiano stentato dopo averlo baciato al volto:
“À la prise de la terre, nous faisons à foutre encore, à foutre dur, ensemble la dernière fois, bon ? Je le savais que t’etais sur le point de venir en moi ! Et puis, après, tu t’en vas ! Ça va bien ?”
Anche lui aveva preso un po’ d’acqua per lavarsi il cazzo, e bagnarsi un po’ le palle. Benché salata era pulita e ne trasse godimento…
“Che volete dire ? Fottere duro avete detto ? Mi date il culo ?!”
“Nouveau scopà… avec le cul !…ultima scopà, io dà te ultima scopa avec culò, piace te, sì ?”
“Le cul ? Sì, sì…signorina ! Io però, muà, rest con tuà !”
“No, Kumsal, tu ne resterais pas ! …Bien, alors… voga, voga !...s’il vous plait ! Vitesse, vitesse !”
Kumsal-Lucio dinanzi alla prospettiva di un’altra più comoda scopata a terra ci mise impegno a remare una volta ripresa la direzione. Raggiunsero terra tre quarti d’ora dopo, incocciando un piano di scogli bassi e piatti. Odette, che nel frattempo si era asciugata all’aria e rivestita, scese per prima, e tenne ferma la barca; poi subito dopo ne scese Kumsal-Lucio, che aiutò Odette a tirare del tutto in secca la scialuppa nera di lei; quindi scaricarono i propri bagagli: un sacco a spalla con i vestiti e gli effetti personali di Odette, insieme ad altre cose, ed un barile che non conteneva acqua, bensì un particolare olio nero, già conosciuto fin dagli antichi greci. Anche Kumsal aveva sbarcato il proprio sacchetto con una camicia di ricambio e pochi altri effetti personali. Odette aprì il proprio sacco, e ne tirò fuori un cofanetto: in esso vi erano due ampolle tappate col sughero: in una era contenuta una libbra di zolfo in polvere ovviamente asciutta; nell’altra più spessa, dell’acido solforico, e nel fondo del cofanetto un paio di piccoli fascetti di bastoncini di legno lunghi mezzo braccio. Kumsal ormai era definitivamente diventato Lucio ed era, oltre che lingua lunga, anche curioso, ed ovviamente in attesa per la seconda scopata. Per tal motivo non ebbe niente da ridire. Pensò Odette, che stupido ! Potrebbe approfittare dell’oscurità e andarsene ! Ed invece restava, che voleva sposarsela ?…no, solo la seconda scopata, dopo l’intensità della prima.
“Regarde-toi s’il y a des hommes !”
“Madamoiselle io, muà…non comprend… ma yamme via ! Venite Odette ! Venitevene con me!”
Odette scostò la sua mano che voleva afferrarla, e gli ordinò parte in francese, parte in italiano:
“Des hommes indiscrets au detour ! Voyeurs ! Vedi se stanno gente qui ! Forza Luzio ! Su, allez-y !”
Lucio guardandosi intorno confermò:
“No, signorina, non vedo nessuno…ci venite via con me ?”
“Ah, bon !...Personne ! Regarde encore ! …”
“Quieta, che non c’è nisciuno ! Vieni via con me Odette, che ti frega della missione ? Tieni una fica divina !”
“Ta gueule ! …Cherche toi un peu de bois sec !”
“Che ?”
“Silence, e mette te cerca legne secche !”
“Sto zitto, sto zitto, fai quello che devi fare! Non fiato, ma poi noi si scopa di nuvò!”
Odette cominciava a scalciare per fargli capire che voleva spazio per un fuoco.
“Oh, oui mais chercher de bois sec s’il vous plait !”
“Va bene, vado…vado!”
“Vas-y !”
Lucio si addentrò verso la campagna prospiciente il tratto di costa, una spiaggia secca di scogli bassi e piatti e dopo meno d’una mezz’oretta portò della legna secca raccolta nell’oscurità. La donnina voleva riposarsi e riscaldarsi per fare il punto sulla situazione. Mentre Lucio cercava la legna aveva preso e preparato un piattino di porcellana, dove vi aveva messo dell’acido. Preso uno di quei bastoncini di legna l’aveva impregnato di zolfo in polvere nella prima ampolla. Lucio avendo compreso cosa volesse fare Odette aveva già disposto la legna convenientemente affinché potesse ardere a lungo con i rami più sottili sotto. Odette prese il bastoncino, lo immerse nell’acido, e ottenne il fuoco che le serviva, che poi ravvivò con un poco di quel puzzolente olio che bruciava anche in acqua che aveva nel barilotto. Poi disse all’uomo di buttarsi nudo in acqua e lavarsi:
“Luzio ! Allons nous dans la mer, nudes tous les deux ! Faisons nous le bain nudes !”
Il fuoco cominciava a scaldare l’ambiente, e Odette ne approfittò per spogliarsi di nuovo vicino al sacco; nuda, da brava olandesina, era sta sempre piuttosto a suo agio. Lucio riprese a spogliarsi completamente anche lui buttando in acqua la sua camicia sporca. Poi andarono a buttarsi di nuovo in mare giocando come due bambini; l’acqua del posto avrebbe almeno in parte lavato i loro corpi, soprattutto quello sudato dal vogare di lui. Immersi in acqua si toccarono reciprocamente come due adolescenti curiosi qualche minuto baciandosi finché Lucio afferrò nudo la donnina per i seni sfregando il suo pisello già grosso, nella tiepida acqua marina, fra le sue natiche, e, dopo averle baciato e slinguato collo, guancia, e fin dentro l’ orecchio, la distese al galleggiamento di schiena, nella posizione del morto e la penetrò di nuovo. Se pure fossero stati notati li avrebbero scambiati per una coppia che voleva fare sesso in acqua per poi scaldarsi col falò…Odette fu generosa nel concedersi a quell’uomo. Lucio era un bell’uomo come muscoli e corpo, anche se ingenuo e superficiale. Lo favorì al massimo per l’entrata nel suo corpo muovendo le cosce convenientemente, e con l’abilità d’una creatura marina; una volta ricevuto il grosso cazzo di lui nuovamente in quella sua piccola accogliente vagina, ch’era stata sempre la sua merce di scambio, si fece scopare freneticamente a dovere, creando in acqua un lungo treno di onde causato dal corpo in ondeggio di lei. Dominandola con le proprie braccia, e con i colpi di reni, l’uomo raggiunse il suo secondo orgasmo in quelle strette e calde carni intime della ragazza. L’uomo rivenne dentro di lei, dentro la rovente e bagnatissima vagina della sua momentanea amante, che dopo un repentino distacco, complice l’acqua di mare che gli aveva rimpicciolito il cazzo, balzò aggrappandosi al suo torso ed al collo, e lo baciò, e lo carezzò, per ringraziarlo dell’amore di cui era stata oggetto. Stavolta aveva accettato lo sperma di lui dentro la vagina, dato che la seconda buttata ne aveva quasi sempre meno della prima e non abbastanza, riteneva Odette, per ingravidarla. I due erano usciti dall’acqua abbracciati; si raffreddarono poco, scaldati dal piccolo falò, seduti lei sul bacino di lui; il fuoco stava diminuendo, ridotto a tre o quattro tizzoni più grossi in fiamme. Il calore c’era. Odette, dopo essersi staccata, lo baciò ancora una volta, aprì le sue bianche natiche dinanzi al suo viso, quindi tornò verso il sacco, e chinatasi per mostrarle ancora, prese una stoffa con cui proteggere le ginocchia; quindi mentre l’uomo contemplava seduto accanto alla legna che bruciava, il suo corpo adolescente, Odette si mise carponi, e chiamò di nuovo Lucio. L’uomo, vedendola a quattro zampe per lui, andò a piazzarsi in ginocchio anche lui davanti alla bocca di lei, brandendo il pisello tenuto ancora grossetto dalle sue mani e dal calore del piccolo falò. Odette ebbe il buon gusto di pulirgli il cazzo salato con la saliva, per un buon abbondante minuto d’amor di bocca. La cappella di lui veniva generosamente lavata dalla bocca e dalla lingua salivosa dell’abilissima olandesina. L’erezione tornò repentina, non senza le sapienti carezzine di lei alle palle, in via d’indurimento durante il bocchino. Anche la sua mobilissima lingua con le gitarelle strisciate al centro della cappella aveva reindurito il membro a Lucio. Odette, quando capì che si era intostato, onde evitare che gli venisse subito in bocca, gli disse prima di voltarsi, decisa e maliziosa:
“Dans le cul ! Vas-y ! Et viens, viens à l’interieur de moi ! Bon ?”
“Bon, bon, mettiti a pecorina !”
Lucio, voltatasi a carponi Odette, di nuovo col culetto verso il suo cazzo, le aprì le natiche, vedendo l’ano debolmente roseo alla fioca luce rossastra del braciere. Reggendo la natica sinistra di Odette allargandole il buco agendo con medio, indice, e pollice le scostò di lato la destra; e appoggiata la cappella grossa e dura, senza lubrificarla, neppure a saliva, spingendo forte la sodomizzò, sicuro che sarebbe entrato, e piacevolmente affondato in quel pozzetto di muscoli appena tiepido. Essendo il cazzo di Lucio grosso Odette mise in conto un po’ di dolore:
“Ahnn! Ahiiiii ! Ahn! Oui ! Oui ! Encore ! Avant ! Encore ! Ahn ! ”
“Ah ! Ah ! Ah! Prendi olandesina, prendi ! Ti piace qui dietro, eh ?! Ahnn! Ahnnn!”
“Ahnn! Oui ! Ahnnn! Oui ! Oui ! Ahnnn!”
A Odette il sesso piaceva farlo e…viverlo: duro…e completo! Col cazzo di lui ben piantato nel suo colon retto, l’olandesina bionda si fece allargare i visceri per una buona mezzora durante la quale terminò anche il focherello. Intanto avrebbe pensato a quell’istante, quello della decisione…Lucio si diede da fare con vigore. Era tanto tempo che Odette non godeva così, con un cazzo duro e più grande - lo stava sentendo - di quello “onesto” del vecchio Turgay, che aveva imparato durante la traversata ad apprezzare dentro il suo corpo. Lucio se la prendeva calma, riuscendo a mantenere l’erezione nel mazzo di lei. Il suo culetto accolse quell’ospite invadente finendo per gradirlo del tutto in due o tre minuti di affondi. Dalle dimensioni del suo culetto, ad un amatore ragionevole, sarebbe sembrato impossibile… Ogni smossa di lui, provocava, grazie a piccoli tocchi delle sue dita femminili alla sua vagina, dei piccoli colini di bava, che le solleticavano, irritandola, la pelle delle cosce interne. La voce strozzata di Odette, alternata con i rantoli di sfogo, eccitarono all’inverosimile Lucio, che venne in seguito all’ultimo colpo di reni in avanti, che la fece ondulare mica poco, smuovendo le ginocchia dalla postura sul panno…
“AHN ! AHN ! Sì !...ahn ! Ahn ! Ahn !...”
“Ahn !…Oui ! Oui ! Je suis putaine, putaine ! Ohhhh! Donne moi le sperme ! Donne le moi !”
L’abbondante eiaculazione (acquosa) di lui nel retto di lei, preceduta da prurito e calore alto e dal rilascio di calde gocce, era solo un’illusione causata dallo spasmo della propria cappella, piacevolmente strozzata dal retto di lei, e coincise più o meno con lo spegnersi dell’ultimo tizzone. Erano di nuovo al buio, emotivamente scarichi, di nuovo sporchi, in preda a degli irritanti pruriti che accesero nei due amanti il desiderio dell’acqua fresca. Il retto di Odette era “pieno” del poco sperma di Lucio, che finalmente aveva sfogato la sua arretrata fame di femmina e dei relativi morbidi buchini da violarle. E mentre Lucio prendeva, possedeva e squassava ancora l’ano di lei, cercando qualche altra inesistente buttata, Odette controllò che un certo oggetto fosse al suo posto, dove lo aveva messo prima del sesso duro…poi ecco che l’uomo si staccò, e chinatosi a baciarle il culo, vi affondò per curiositàanche la propria lingua, curiosamente infantile, mentre quell’ano cercava di riprendere le sue dimensioni normali. L’uomo, soddisfatto, si alzò, e si recò in acqua a lavarsi il cazzo. Odette, alzatasi anche lei con l’ano dolorante che le bruciava, camminandogli dietro, cominciò a dirgli le cose che doveva secondo la propria coscienza in francese, mentre si lavavano entrambi le parti intime, sperando che Lucio la comprendesse grazie ai gesti delle sue braccia e mani davanti alla propria gola; ingenuamente era convinta che il francese, parlato lento, lui lo comprendesse:
“Luscio ! Je te donne une possibilitè ! Vat-en ! Barrè-toi ! Tu ne peux pas venir avec moi. Moi, je ne veux aucun mari! Tu ne le sais pas, mais je cherche pas le sex, je vais rencontrer seulement la mort ! Je te ne regarderais pas ! J’attendrai moi plus que une heure ! La nuit entière, jusqu’au l’aube, pour donner à toi, et pas à moi…a toi, un peu de vantage ! Vat-en ! ”
La donnina che aveva gesticolato parecchio, a causa della lunghezza del discorso, fece una pausa, poi alzò la voce:
“Je te dis la veritè, s’il te plait, ècoute moi: si tu reste avec moi, tu serais tué ! Mort ! Ma chance la meilleure, une bonne chance j’espère, sera mourir en eclatant ! Je cherche la mort par une grand tonnerre ! T’a compris ?! Vat-en !”
Lui la ignorò; era cocciuto, o sicuro che Odette avrebbe vissuto con lui alla fine. Lei fece l’errore di stringergli il cazzo come atto di stima, che lui interpretò secondo il suo desiderio…
“Luscio ! Avec ton membre dur, tu ferais très heurese une autre femme, une femme de ici, de ton pays ! Moi, je suis etrangère, et surtout putaine, et quand meme, je ne vivrai assez pour aucun mariage !”
Lei lasciò la presa. Lui le voltò le spalle, e non si accorse che a quel punto lei, disperata, era tornata al sacco, e aveva preso l’oggetto che stava cercando prima, e stava andando a piazzarsi sullo scoglio ancor nuda in piedi un metro dietro di lui in acqua. L’acqua marina oltre che pulita era calda, e Lucio si stava lavando cosce, bacino, e cazzo, contento ed ottimista, com’era da prevedersi. Odette aspettò; voleva che lui finisse di ripulirsi; poi gli disse l’ultima volta nel migliore italiano che aveva:
“Luscio, te ad-e-ssò scom-par-si, e me dim-en-ti-chi ! Vai a Pattù, e me prometti che non parlerai di me per uno meso ! Uno meso mi basta! Così puis tu vive, vive libre ! E tu ti mariè là!”
Lucio mentre si sciacquettava sotto le palle cercava di conversare amabilmente, senza curarsi di lei.
“Resto con te Odette, voglio restare con te tutta la vita; imparerò il francese, anzi sai che ti dico?...Me lo insegnerai tu !”
“Luscio, io da sola e basta muore prima che arriva nuovo meso ! Te dimen-tica me, crètin ! E hora vai via, prendi cose le tue, e non voltiti ! Tu t’en vais ? Sì ?”
“Ho tanto denaro Odette, farò di te la mia regina ! Non fare la scema, mò che ti vesti anche tu ce ne andiamo…e ne parliamo! Vedrai che…”
Lucio fece per voltarsi, e vide che Odette nuda, eretta, e decisa, aveva nella mano sinistra un pistolotto lungo circa un braccio, di quelli che sparavano palle di piombo da un quarto di pollice. Essendo lungo quel pistolotto, aveva una certa letalità per via della velocità alla bocca, proporzionale alla lunghezza della canna dentro la quale si espandevano i gas della combustione della polvere nera; di polveri e proiettili Istvan, il suo vecchio cliente, le aveva dato una buona infarinatura. Odette, quasi piangendo, fece un altro estremo tentativo:
“Tu hora via…sì ?!”
Passarono dei secondi angosciosissimi, poi Lucio, andando incontro a Odette per disarmarla, segnò inderogabilmente il suo destino.
“BANG !”
Dal pistolotto nella mano sinistra di lei partì il primo colpo, che lo colpì al cuore paralizzandolo per la sorpresa…non sarebbe morto subito; sembrava non volesse morire…la guardava…sorpreso…poi…
“BANG ! …Splatch !”
…Odette fece partire il secondo colpo movendo percettibilmente il polso verso l’alto. Il secondo colpo lo colpì alla testa, facendo un buco sul fianco superiore destro del naso. L’uomo, con gli occhi stralunati dal primo colpo a segno, cadde all’indietro, con il viso orribilmente orbo, e quel che restava dello sguardo, informe, scomparve alla vista di Odette in acqua, tingendola di rosso. Le dispiaceva averlo fatto, ma quell’uomo Kumsal o Lucio sapeva troppo, aveva parlottato con l’equipaggio indiscreto in navigazione. Non poteva Odette rischiare che quell’uomo ritrovata la libertà nel suo paese d’origine parlasse con chicchessia, magari da ubriaco, della maniera repentina con cui erano sbarcati, né della sua missione. Odette non temeva la morte: aveva con sé un anello con uno zaffiro apribile. Dentro di esso vi era dell’arsenico, poiché se qualcosa fosse andato storto, terribilmente storto, che più storto non si poteva, era ben decisa a non farsi prendere viva. A quel poveraccio i pezzi d’oro che aveva messo da parte tutta la vita, per il giorno in cui lo avessero liberato in occidente, non servivano più. Erano rimasti nei pantaloni di lui lasciati lì per terra. Odette, con l’istinto da puttana calcolatrice delle opportunità, li prese e li contò: a giudicare dal peso, e dal numero, quel pover uomo avrebbe potuto vivere in Salento da principe se se ne fosse andato mentre lei era impegnata a farsi problemi di coscienza, e la possibilità gliel’aveva data molte volte…quanto a Lucio-Kumsal presso una spiaggia ebbe un inizio la sua vita marinara, e presso una spiaggia finì.
Odette venne pervasa da una strana quiete; si era liberata di Lucio che rischiava di rivelarsi d’ostacolo; non l’avrebbe mai portato con sé. Ci aveva fatto sesso, e sesso duro per pagargli la fatica di aver remato quattro miglia nautiche per lei con l’unica moneta della quale possedeva una certa quantità: il proprio corpo. Per contro era accaduto che lui s’innamorasse di lei. Ritenne di essere stata onesta con lui; poi contemplato con rispettosa sufficienza quel cadavere non ci pensò più. Non faceva troppo freddo, e sentendo del prurito nel sesso e fra le cosce, decise di riporre per terra lontano dall’acqua il pistolotto che ancora teneva in mano, ed entrò in acqua per intero onde lavarsi anche lei nuovamente, ad una certa distanza dal cadavere. Vi restò pochi minuti per riflettere, e prima di venir aggredita dal sonno, dato che il mare era calmissimo e caldo uscì dall’acqua, e si asciugò aggiungendo al fuoco quasi spento, un poco di quell’olio nero del suo barilotto: ottenne un nuovo focherello, e vi si riscaldò fino a sentirsi asciutta. Pensò di usare l’acqua della borraccia floscia per togliersi la salsedine, poi decise di tenersi l’irritazione, poiché se vuotava sul suo corpo l’acqua della fiaschetta nel sacco, non sapeva quando avrebbe potuto bere dell’altra acqua dolce. Mentre il vento le carezzava il corpo, si rivestì, e dato un ultimo sguardo al cadavere del suo rematore che aveva affidato alle acque, Odette, voltandogli le spalle, si mise in cammino, addentrandosi nella campagna del posto; prima che le fiamme si spegnessero del tutto si re inginocchiò al fuoco, consultò la mappa fornitale ancora un volta, quindi lo spense pestando con i calzari. Avevano preso terra nel tricasino, e a quel punto poteva scegliere se puntare su Tricase andando dritta tre miglia attraverso la campagna, o dirigersi non appena trovata la strada verso Otranto, percorrendo venti miglia, e di lì prendere i contatti che si era ripromessa...decise che dirigersi verso Tricase era la soluzione migliore per il momento; sarebbe arrivata più o meno verso l’alba. Prima di mettersi in cammino, per ogni evenienza, ricaricò il pistolotto, pestando la polvere nera con lo stoppino in dotazione all’arma e mettendo altri due piombi, quindi e se lo infilò dietro la vita in diagonale, sotto la fascia che le faceva da cintura; se fosse partito un colpo le avrebbe bruciato la natica, ma non messo fuori causa il piede. Fissate le stelle che le avevano insegnato a riconoscere per direzionarsi, si mise in cammino col sacco sulla spalla destra, dalla parte opposta al pistolotto. La campagna era angosciante la notte: in lontananza, o forse più vicino, molti animali ululavano, guaivano, e quant’altro. Tre miglia non erano poi tante, ma ad una donna sola, ancorché armata, potevano accadere molte cose; l’incontro con una fiera come un lupo, o un cinghiale, affamati, non avrebbe avuto un esito necessariamente scontato. Il suo cammino avrebbe richiesto un’ora o giù di lì. Secondo le stelle viste pochi istanti prima erano passate due ore dallo sbarco. Tricase era ad un’ora di cammino; appesantita dal sacco forse due…
- continua -
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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