Prime Esperienze
Salve Terra, qui Koona 10a parte
di sexitraumer
25.01.2012 |
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“Toga, primo grado, riforma, che cosa sono ?”
“La toga è una divisa a mantello..."
“Davvero ?!”“Sì, guarda queste luci. A mano a mano che fa la scansione ci da luce verde. Partiremo quando le tutte luci saranno verdi. Guarda già un‘altra!”
“Dove andiamo? Non puoi mettere piede sulla Micenea. Appena sbarchi ti chiederanno cosa è successo …”
“Simuleremo un incidente di navigazione! Ci dirigeremo verso un’altra nave. Saranno obbligati a prenderci a bordo come naufraghi.”
“Un’altra nave?”
“Sul piano di navigazione della Micenea c’è un’altra nave di un’altra compagnia mineraria ad un mese di navigazione. Dovremo andare loro incontro. Col motore a microfusione ce la possiamo fare in venti giorni terrestri… ho già impostato la nuova rotta. É una nave di un altro blocco economico concorrente. Si chiama Rossjasia Vessel 4. Non faranno troppe domande.”
“Ma i cadaveri di Greg e Johanna stanno qui! Li troveranno quelli della Micenea…”
“Si decomporranno finché si decideranno ad indagare. E preferiranno non farlo. Ci vorranno anni perché mandino un nuovo equipaggio sulla Titano Uno. Da quello che ho sentito sarebbe stata comunque abbandonata, dato che rendeva poco. Fu un investimento sbagliato. La compagnia preferirà risarcire sbrigativamente i familiari di Greg, e Johanna per evitare una costosa inchiesta a loro carico. E poi guarda qui!”
“Cosa è ?”
“Un phaser! Ma stai attenta! Questo è vero.”
“E tu hai un phaser?”
“Lo aveva Greg. Gliel’ho preso io. La compagnia mineraria gli aveva ordinato di eliminarti se eri affetta da qualche patologia endogena.”
“Endogena?”
“Di Titano!”
“Se tu avessi avuto qualche malattia contagiosa, o se ti avessero trovato impazzita, per non doverne rispondere civilmente con i tuoi parenti, la compagnia aveva ordinato a Greg di eliminarti. Avresti ricevuto un colpo alla nuca, in maniera inaspettata. Te l’avrebbe tirato Greg, qualora Johanna ti avesse trovato qualcosa di collegabile alla compagnia mineraria nel sangue … anzi te lo dico prima: non appena arriviamo sulla nuova nave ci metteranno comunque in quarantena. Ci rivolteranno come dei calzini.”
Nel nostro volume della nave Pegaso un nuovo rumore catturò la mia attenzione:
“Wouwn! Wouwn!”
“La check-list è finita. Scegliti un posto ed allacciati la cintura. In teoria dovresti metterti il casco!”
Scelsi il posto dietro accanto al mio cane nella sua capsula. Mi sedetti, e mi assicurai al sedile. Mario mi disse:
“Prima volta, vero?”
“Sì.”
“L’accelerazione gravitazionale è di cinque g. Il g è quello di Titano, ma in genere ci si riferisce a quello terrestre di 9,81 metri al secondo quadrato.”
“Lascia perdere la matematica! Peserò cinque volte di più! Ho capito lo stesso.”
“Se sei pronta inizio la sequenza finale.”
“Sì, sono pronta!”
Mentivo. Per parte mia speravo che qualcosa andasse storto, e che morissimo tutti e tre, io, lui, ed il mio cane, alla fine.
“Clack!...Bing! Clack!... Bing! Clack!... Bing! Clack !... Bing!”
“Che succede?”
Mario mi rassicurò:
“Si sono sbloccati e staccati i perni che ci tenevano ancorati al lander. Il bing era la loro espulsione al suolo. Ora siamo liberi. Quando vuoi; non c’è il conto alla rovescia…”
Chiusi gli occhi dal terrore. Presi un respiro, come fosse l’ultimo della mia vita, e dopo aver posto una mano sulla capsula di Rasputin, confermai:
“Dai!”
Mario spinse un pulsante nero posto su una barra con impugnatura anatomica retta dalla sua mano destra. La nave si mise a vibrare per dei lunghi angosciosi istanti e poi, all’improvviso con un colpo secco, si staccò dal lander per librarsi a mezz’aria.
“Sffffffffzzzzzzzzzzzzzzzzzzz.”
Chi fosse stato all’esterno avrebbe potuto vedere quattro piccoli razzi a propellente solido, posti alla base del tronco di cono, che bruciando in pochissimi istanti con un bagliore accecante ci fecero fare un centinaio di metri di quota in un secondo circa. Ma si era già acceso più o meno contemporaneamente ai razzi il motore centrale sotto di noi. Arrivati ad un centinaio di metri, i piccoli razzi che ci avevano sollevato si spensero essendosi consumati in una rapidissima ossido riduzione; ci fermammo in aria solo un secondo, un lungo angoscioso silenzioso secondo; cominciammo subito dopo a accelerare di nuovo. Sentivo una forza di sostegno sotto le mie scarpe. Era una spinta più robusta di quella dei piccoli razzetti di pochi istanti prima.
“Vruuuuuuuuuuuuuuuuussshhhhhhhhhhhh.”
Ed intanto la capsula Pegaso cominciava a ruotare a causa della gravità di Titano alla quale ci stavamo opponendo con un piccolo, ma potente motore chimico. Mario mi disse che si trattava d’idrazina ed ossigeno liquido. Cominciavo a sentire gli effetti dell’accelerazione. Credevo di ingoiare la mia stessa gola. La vista mi stava tremando. Tutta la faccia stava tremando. Non focalizzavo niente davanti a me. Aveva poca importanza, tanto non c’era l’oblò davanti a me. Sentivo solo che ruotavamo. Sentivo anche l’aria titaniana di metano e azoto scorrere lungo le pareti esterne della Pegaso con un rumore costante come un sibilo. Mario non lo vedevo bene essendo alle sue spalle. I capelli tendevano a muoversi, e mi si piazzarono davanti agli occhi causandomi un odioso solletico. Stavo avendo paura, e mi sembrava di pesare sempre di più. Per quel che ne potevo sapere avevo il naso parecchio sotto il collare metallico. Provai a muovere le gambe, e vidi che era difficilissimo. Provai a guardare verso Rasputin che ovviamente se ne stava accovacciato. E meno male che lo avevo legato. Muovere la testa verso destra era stato molto difficile. Sentii delle fitte sul collo. Lo riportai in posizione dritta per non sentire altre fitte. A tre minuti dal lancio non sentivo più l’aria che scorreva; si affermò una strana quiete: eravamo fuori, nello spazio, quello extra planetario, fuori dall’atmosfera densa di Titano. I capelli mi fluttuarono verso l’esterno, ed anche a Mario si diressero verso l’alto. Capii immediatamente dato che la capsula di Rasputin non l’avevo assicurata al sedile. Galleggiavamo tutti nel volume d’aria della Pegaso. Mi tolsi la cintura, e per la prima volta in vita mia sentivo la piacevolezza della mancanza di gravità; cercavo dei riferimenti di sopra e di sotto. Il problema era che non c’era né un sopra, né un sotto. Improvvisamente, nel mio parziale disorientamento spaziale, sentii il bisogno di respirare più ampiamente, e come lo feci ebbi due conati di vomito. Mario se l’aspettava, e mi porse un sacchetto di carta divertito.
“Tranquilla, è normale le prime volte che si viaggia … ora direi che possiamo anche toglierci le tute prima di crepare di caldo.”
Restituì il sacchetto pieno a Mario che lo mise in uno scomparto per i rifiuti. Mario mi disse:
“Me la tolgo prima io. Poi te se vuoi …”
Mario si sbottonò la tuta e con una certa eleganza ne uscì. Era in maglietta verde oliva e shorts grigi. Ai piedi aveva dei fantasmini elasticizzati bianchi. Non aveva mai indossato la cuffia bianca come Johanna. Richiamare Johanna mi fece sentire in colpa. Rimossi il pensiero. Per quel che mi riguardava ero decisa solo a sopravvivere. Mario mi mise le mani addosso mentre ero piazzata di traverso nel volume interno della Pegaso. Fu lui ad abbassare le cerniere. Lo lasciai fare tenendo larghe le braccia. Mi slacciò anche i calzari e mi liberò dagli scarponi che portavo (anche se era contro le regole) a piedi nudi come piaceva a me. Io ero in maglia aderente e sole mutandine. Contavo che sarei stata rivestita sulla Micenea. Buttammo da una parte le tute con un gesto di lieve spinta anche se continuavano a galleggiare. Notai un tubo con una bocca gommosa bianca. Chiesi a Mario cosa fosse:
“Serve per fare la pipì. Va bene per entrambi i sessi! Se hai cacca meglio che te la tieni!”
“Per due giorni la posso tenere! Ma noi dobbiamo navigare per venti! A proposito dove siamo ora?”
“Il piano di volo in memoria ci porterà su un orbita intorno a Titano. Compiute sei orbite avremo energia sufficiente per accendere il motore a microfusione, e lasciare Titano verso il piano di viaggio delle due navi. Solo che alla Micenea volteremo le spalle!”
“Se viene la cacca come si fa?”
“Qualcosa ci inventeremo.”
Un rumore improvviso, un ronzio raggiunse le nostre orecchie. Le mie si erano intorpidite per la nuova condizione del vestibolo sottoposto alla mancanza di gravità. Ero convinta di essere un po’ sorda. Ma deglutendo la sensazione scomparve. La nausea sembrava volersi ripresentare; una spiacevole sensazione.
“Bzzzzzzzzzzzzzzzzzz! Beiiiip! Bzzzzzzzzzz ! Pwouuuuu! Beiiiiip! Pwouuuuu!”
“Cos’è ?”
“La Micenea ! Ci stanno chiamando. Vorranno sapere se siamo decollati.”
“Che facciamo ? Rispondiamo ?”
Mario indossò una micro cuffia corredata di microfono ad asticella e rispose con naturalezza:
“Qui nave Pegaso! Sono Mario Van Brenner, numero nave due sette sette, pilota.”
“Felici di sentirti Van Brenner. Che notizie hai? Aspettavamo una chiamata dal tuo collega Gregory Yakin. Non ci avete avvisato del lancio! Vi rendete conto?!”
“Micenea! Mi dispiace dovervelo dire: Yakin non è qui con noi. Ha preferito restare su Titano Uno con sorella Johanna …”
“Che stai dicendo Van Brenner ? Conferma prego.”
“Qui con me c’è solo la signorina Karydu. Sorella Johanna è rimasta su Titano Uno per assistere Yakin, e non solo spiritualmente, lasciatemelo dire! Contattateli se credete, ma quei due vorranno stare soli. Vogliono popolare, -se così posso dire-, Titano Uno per impedirne la chiusura da parte della compagnia … Yakin ha manomesso il computer della base. Lui sapeva come disinserirlo …”
“Incredibile! Comunque la signorina Karydu come sta ?”
“Sta bene. Ve la passo … un attimo!”
Mario mi porse l’asticella del microfono dopo essersi tolte le micro cuffie ed avermene sistemata una sull’orecchio sinistro. Mi fece cenno di parlare per non insospettirli.
“Pr … pronto…”
“Signorina Karydu ? Koona Karydu ? Mi sente ?”
“Sì signore, affermativo. Mi dica signore.”
“Sono il comandante Kränz, va tutto bene signorina Karydu?”
“S…sì signore.”
“Come si sente ?”
“Bene signore.”
“Sul serio ? Non tema, e non esiti a dirmi cosa sente. Va proprio tutto bene ?”
“Sì signore, ho solo vomitato un po’ per la mancanza di gravità. A parte questo va tutto bene. É stato molto emozionante il volo.”
“Sorella Johanna non è con lei; era stata mandata apposta. Mi dispiace che l’abbia lasciata sola con Van Brenner. Ragazze di minore età non possono viaggiare se non accompagnate da un tutor. Dovrò inoltrare un reclamo alle autorità religiose. Lei conferma che sorella Johanna si è disinteressata a lei ?”
“Sì signore, si vedeva che era innamorata del signor Yakin. Io stessa li ho visti,- come dire ? - fare del … ecco ! … del sesso! Insomma quelle cose lì, che fanno gli adulti, nell’infermeria della base.”
“Capisco. Beh, le porgo le mie scuse a nome della compagnia. Le chiedo solo di non annoiare il signor Van Brenner. Si tratta di un ottimo pilota, ma siete in uno spazio ristretto. Litigare è facilissimo, mi creda! Cercate di non ostacolarvi a vicenda!”
“Signor comandante sto bene con il signor Van Brenner. Una bravaaa persona.”
Ci fu una sospetta pausa di due-tre secondi…
“Signorina Karydu, chiameremo ogni due ore per i prossimi due giorni, e lei dovrà rispondere ad ogni chiamata; anche se starà dormendo si sveglierà e farà la fatica di risponderci di per-so-na intesi?!... Qui siamo tutti in ansia per lei, e questa cosa di Yakin e Johanna! Beh, le auguro buon viaggio. Mi ripassi il signor Van Brenner … ”
“Subito signore.”
Restituii microfono e cuffie a Mario che rispose subito, dopo pochi secondi. Nel frattempo mi ricordai di liberare il cane. Aprii la sua capsula di sopravvivenza del mio cane. Il cane volteggiò nell’aria girandosi più volte. Provò a fermarsi senza riuscirci, quindi intelligentemente afferrò la mia manica sinistra con la bocca. Fui rapida ad afferrarlo con l’altra mano libera prima che l‘inerzia gli facesse rompere l‘osso del collo. Liberatami del suo morsetto lo carezzai chiedendogli di stare buono. Me lo portai al seno reggendolo per l’addome come avrei fatto anche in presenza di gravità. Il cane abbaiò:
“Bau, bauuuu, bau! Woufff! Wouffff!”
“Shhhhh, Rasputin! Zitto!”
Anche Mario mi fece segno di zittire il mio pelosissimo compagno. Ormai però era fatta. Potevo sentire la voce del comandante Kränz . Stranamente non chiese nulla circa il cane.
“Ho informato il commissario di bordo della defezione di Yakin e di sorella Johanna. Cercheremo di contattarli al più presto. Voi quando contate di accendere il motore di crociera ?”
“Fra tre orbite comandante. Non appena ci allontaneremo dalla zona degli anelli.”
“Circa sei ore quindi ?!”
“Sì, più o meno …”
“Richiameremo tra due ore!”
“Bene Micenea.”
La conversazione, ma non la comunicazione, ebbe fine. Sulla Micenea non si erano accorti che la comunicazione era ancora accesa. Potemmo sentire ciò che gli disse l’operatore radio, e le imprecazioni del comandante Kränz, sia pure a basso volume, sempre più basso, fino a non essere più udibile:
“Incredibile, hanno pure un cane a bordo comandante!”
Il comandante lo sentii rispondere prima che chiudessero la comunicazione con noi:
“…chiamatemi il commissario Conte … ci hanno mentito. La bambina è in pericolo … Van Brenner l‘avrà plagi …zzzzz, woauuuuu, biiiiip…uuuup.”
“Sì com…”
“Bzzzzz, uannnn, wooaaaauuuu. Click!”
I rumori elettromagnetici d’interferenza cessarono, e la comunicazione venne tolta del tutto. Attraversai un momento di angoscia. Eravamo soli nel silenzio dello Spazio. Solo il rumore elettrico della Pegaso mi rassicurava che eravamo degli esseri viventi e senzienti. Ero tesa e cercavo di non darlo a vedere. Mario si rivolse a me dolcemente:
“Va bene Koona, quelle tre “a” potevi risparmiartele. Dopo quello che ho fatto per te, e per il tuo cane! Hai dato loro la certezza dei loro sospetti.”
Ci pensai diversi secondi prima di rispondere. Certo, ero in imbarazzo poiché in un certo senso avevo voglia di far loro capire com’era andata. Contemporaneamente avrei voluto prolungare il più possibile la mia relazione con lui. Mi decisi a rispondergli con sincerità pensando che fosse la cosa migliore a quel punto:
“Mario, io te lo dico per onestà verso di te: non te la caverai, neppure sulla seconda nave.”
“Che intendi dire ?”
“Johanna provò a chiamare la Micenea, e naturalmente non ci riuscì direttamente perché la nave era in opposizione a causa della rotazione di Titano in quel momento. Ma il suo messaggio può essere stato raccolto da un’altra nave come quella che tu hai nominato … La Rossjasia vessel … e girato alla Micenea che la precedeva.”
“Sulla Rossjasia Vessel non ci possono arrestare prima dell’arrivo.”
“Come vuoi, puntiamo pure sulla Rossjasia. Sono con te. Teniamo spenta la radio? Continuare a dire balle non servirà, se non a renderli più nervosi.”
“No. Teniamola accesa. Ogni due ore risponderemo, altrimenti daranno l’allarme, no?!”
“No, Mario. L’allarme lo hanno già dato. Ci arresteranno comunque, anche sulla Rossjasia!”
“Forse hai ragione.”
“Mario.”
“Sì?”
Legai di nuovo Rasputin alla sua capsuletta di viaggio e dissi decisa a Mario:
“Spogliamoci. Voglio farlo in gravità zero come negli olomuvj di Cosmoz. Fosse pure l‘ultima cosa che facciamo !”
“Piccola demone! Mi hai proprio stregato!”
Sulla capsula di salvataggio avevamo a disposizione per noi due una dozzina di metri cubi. Essendo però un tronco di cono, ancorché di una certa ampiezza, avevamo poco spazio, per lo meno lateralmente rispetto ai nostri corpi. La nostra mini astronave ruotava su sé stessa di due giri al minuto. Ad ogni rotazione, da un piccolo oblò del portello di accesso, voltando lo sguardo in basso, potevamo vedere la zona degli anelli in lontananza alle nostre spalle. Entro un’oretta avremmo iniziato la prima orbita ampia intorno al pianeta madre Saturno per farci fiondare verso la nave. Di quelle ampie orbite ce ne sarebbero volute tre per acquisire abbastanza momento angolare per il momento in cui, giunti nella direzione giusta, avremmo acceso il motore a microfusione, e col contributo della gravità del pianeta più l’impulso del nostro propulsore, lasciato definitivamente il sistema saturniano. Mi tolsi dapprima la maglietta ed il mio seno fu libero di fluttuare verso l’alto vista la mancanza di gravità. Poi mi sfilai le mutandine abbandonando anch’esse alla fluttuazione. Ero nuda. Provai a mettermi in piedi rispetto alla base del pavimento della nostra capsula allargando un po’ le gambe. I miei peli piuttosto lunghi erano arruffati e liberi di pennellare l’aria. Mario non se lo fece dire due volte: poggiò subito le labbra sulla mia vulva scuretta. Quello stesso bocciolo di carne con cui avevo cercato “infantilmente” di sedurre il computer di Sorveglianza della base che si occupava della mia custodia e del mio mantenimento in vita a Titano Uno. Venivo baciata, con una certa fame tra le grandi labbra. Reggendomi con la mano sinistra ad una maniglia della parete laterale misi la mia mano destra sulla testa di Mario per carezzarlo nei suoi capelli, e fargli capire che avrebbe dovuto insistere. Le mie carezze vennero premiate. La calda e salivosa lingua di Mario stava bagnando la mia pelle più intima, e si stava facendo strada nel mio canale vaginale, mentre il tiepido naso del mio amante sfiorava il clitoride. Il lecchino era iniziato, ed io premetti di più sulla sua testa. Il mio basso ventre stava contraendosi per l’invasione. Notai che in assenza di gravità dovevo essere pronta a reprimere i movimenti d’impulso altrimenti rischiavo di sbattere da qualche parte per la minore inerzia; purtroppo Mario aveva smesso di sfiorare il clitoride col naso, e si era staccato dalla mia vulva per prendere un po’ di fiato. I miei seni si stavano già drizzando, ed i capezzoli carnosi indurendo. Sentivo il sangue che circolava nel mio giovane corpo. Guai a Mario se avesse smesso. No, non intendeva smettere, per fortuna! Aveva preso a cercare il mio clitoride in mezzo al pelo con la lingua per leccarlo meglio. La sua lingua, lambendone i suoi piccoli lembi, lo stava invitando a scappucciarsi tutto. Ero preparata al massimo del piacere. Un sottile solletico mi fece sentire che stavo rilasciando un piccolissimo colino di femmineo piacere. Mario se ne accorse, e me lo leccò via. Il mio piacere per avergli sporcato la sua lingua di me stessa aumentò. Il piacere quando monta da esaltazione: dissi decisa a Mario se poteva infilarmi un dito nell’ano. In quel momento desideravo la doppia stimolazione:
“Mario, ahnnnnn, ahnnnnn, Mario! Mettimi un ditino nel culo ! Dai che mi piace ! Continua con la lingua, bravo.”
Mario diede un’altra ampia leccata allo spacco e poi mise un dito dove gli avevo detto. Ne ebbi un piccolo sussulto:
“Ah!”
Iniziò a stimolarmi l’ano muovendo il dito con dolcezza, e continuava a leccarmi la vagina. Ormai mi stavo bagnando, e le mie coscette erano caldissime per via dell’eccitazione. Mentre mi leccava avrei voluto chiudergli la testa tra le cosce con uno scatto, ma desistetti. Viceversa allargavo e stringevo per aiutare i movimenti della sua bocca, piano piano. Una metà di me era tesa, ma non per il piacere. Continuavo a reggermi con la mano sinistra; poi all’improvviso presi a lasciare la presa, e volteggiando libera chiusi il mio abbraccio sulla testa del mio partner. Lui strinse la mia vita con il solo ampio braccio sinistro, mentre il destro aveva il dito nel mio ano. Eravamo abbastanza stabili. La sua testa si muoveva con studiata lentezza. La mia vagina stava emettendo, e Mario stava cogliendo famelico. All’improvviso mi fece trasalire: Lasciò la mia vagina per leccare il mio basso ventre, e poggiarvi la propria guancia. Provai un attimo di piacere quando tolse il dito medio dal mio culetto; ma in realtà desideravo che ve lo reintroducesse, per riprovare lo stesso piacere di qualche istante prima. Quel suo interesse per il mio basso ventre però m’impedì di chiederglielo. Mario mi disse:
“Vai verso l’alto, piano!”
Mario mi diede una pacca sul sedere, e mi fornì l’impulso per spostarmi liberamente nell’aria verso la base minore (quella di sopra) del tronco di cono che costituiva l’astronave. Poi mi diede altre istruzioni:
“Attenta a dove metti le mani lì sopra! Solo la maniglia.”
“Che faccio ?”
Ero nuda e distesa a gambe larghe un buon metro sopra la sua testa . I miei piedi erano all’altezza delle sue caviglie.
“Metti le mani lì più in basso davanti a te, dove c’è la maniglia…”
“Fatto.”
“Afferra e aspetta. Ecco adesso lascia la presa, e vieni più avanti con la testa che facciamo un sessantanove…”
Capii cosa intendeva Mario, e feci in modo di fluttuare con la testa alla base del suo bacino pronta ad afferrare il suo pisello che immaginavo già duro ed adeguatamente eccitato. Mi aggrappai alle sue ampie cosce e con la bocca, di nuovo infoiata sessualmente, gli calai le mutande mordendo l’elastico di cotone. Con un piccolo impulso con la testa gliele abbassai ed il suo pisello, abbastanza grande sembrava galleggiare liberamente in aria. Ormai ero abbastanza esperta nella fellatio (così mi aveva detto che si chiamava ciò che stavo per fare Miss Dera tempo prima) da intuire che il rapporto orale con l’uomo è un’arte che poche donne, credo, sanno fare. Mi divertii a baciare più volte la sua cappella mentre il pisellone del mio amante volteggiava libero. Mario lentamente, dopo avermi afferrate le gambe cercava di nuovo la mia vulva con la bocca. Quando la raggiunse riprese a leccarmela, ed io di rimando catturai la sua cappella incastrandola nella mia bocca. Presi a succhiare, poi afferratane l’asta, cominciai a scoprire il suo glande rosso mentre la sua lingua cercava di nuovo il mio canale vaginale. Ero affamata di sesso maschile, e quel suo odore di tiepido sudaticcio maschile (dovuto alla tuta di missione con cui avevamo smaltito la tensione del lancio) mi stava facendo crescere la mia libido, come il mio sesso giovane la sua. Ero sicura di me in quei momenti: il sapore dolce e vellutato della pelle del suo prepuzio lasciò il posto al sapore amaro della sua cappella, che come per magia, si ingrandiva sulla mia lingua e tra le mie labbra. Ero ormai una donna e stavo col mio uomo. Mentre Mario insalivava il mio sesso con convinzione, e per intero senza disdegnare delle carezze al suo volto ed al suo naso dal mio cespuglietto nero, io avvolgevo con dolcezza quella sua sempre più dura cappella. Sfiorai più volte il centro di quel glande in alto, e Mario ne ebbe un rumoroso sussulto:
“Ahn! Hummmmh ! Ahnnnnn! Ahnnnnn! Ahnnnnn!”
Stavo facendo letteralmente godere il mio Mario con la mia lingua, saliva, e bocca; e non dimenticavo di strofinargli la mia vulva ormai zuppa sul volto. Non potevo dire in quegli esaltati momenti se fossi più bagnata io, od il suo volto. Eravamo avvolti in piedi in un peccaminoso abbraccio e ruotavamo in senso contrario a quello della capsula. Ovviamente non compivamo due giri al minuto come la nave, ma per quello che ricordo, ruotavamo intorno a noi stessi in senso contrario ad essa. Le mie zinnette si erano irrigidite ed avrebbero meritato qualche maschia stretta, alternata con la dolcezza di un bel succhio e risucchio ai capezzoli carnosi. Ah, se avesse potuto vedermi Miss Dera ! Era sempre così “tirata” e timida quando, compiuti i quindici anni, venne incaricata dalle autorità amministrative di Marte 3 di darmi anche i rudimenti dell’educazione sessuale. La sua era solo teoria che lei rendeva più sciapa possibile; porco Saturno ! - pensavo - era già abbastanza sciapa e diafana lei con il suo verdognolo ologramma 3D, un bel fantasmino in minigonna a grandezza naturale! Miss Dera e Titano Uno erano ormai solo ricordi, rimossi dall’intensità delle emozioni contrastanti degli ultimi due giorni. Al diavolo Titano Uno! Io adesso facevo la “mia pratica” ! Una pratica adeguatamente “salata” dai nostri sapori più intim,i che non ci negavamo l’un l’altro. Trassi un po’ di piacere dallo sfiorare con i miei seni la sua pancia calda al pari della mia. La mia bocca aveva preso a stabilizzare la velocità degli affondi sul suo pene che ora eretto e la cosa mi rendeva certa che era diventato - al diavolo Miss Dera!- un vero cazzo. Un cazzo che fra pochissimi minuti di stimolazione orale mi avrebbe dato il vero piacere: quello della penetrazione più che piena. La capsula di sopravvivenza con il cane aveva lasciato il suo posto data la mancanza di gravità. Ora non mi curavo del cane; contavamo solo io e Mario. Il cazzo di Mario era pronto. Staccai la bocca, lo baciai un’ultima volta, poi dissi:
“Mario, entra dentro di me!”
“Sì, dai. Vieni.”
Mi feci voltare lentamente dalle ampie braccia del mio partner, poi assicuratami che il suo cazzone puntasse nella direzione giusta, facendomi reggere da lui, guidai la sua cappella fino all’entrata della mia vulva. Con una piccola pressione del mio bacino guidai l’impalamento del mio corpo sul suo membro duro ed eretto. Abbracciai Mario e feci in modo che mi entrasse dentro. Venni subito assalita dal piacere e presi forsennatamente a baciarlo nel torace ed ai suoi capezzoli maschili duri quanto i miei.
“Ahnnnn! Ahnnnn! Ahnnnnn!”
“Ummmmm, ahn! Ummmm, ahn!”
“Mario, muovimi tu! Ahnnnn!”
Il suo cazzo si faceva strada nel miglior posto disponibile: la mia vagina interna che mi restituiva ad ogni affondo sottili, ampie, ed improvvise ondate di piacere fino al cervello, vagina, e di nuovo al cervello. Mario era in piedi, io seduta alla meglio sul suo caldissimo palo. Glielo bagnavo continuamente per via naturale; sentivo il desiderio di essere sbattuta, anche se lo spazio era pochissimo. Lasciai il torace di Mario per cercare le sue labbra. Lo baciai esaltata cercando immediatamente la sua lingua. La sentii subito, piacevolmente estranea che si scontrava con la mia a mescolare saliva per istanti che non erano né brevi, né lunghi. In realtà il tempo non aveva alcuna importanza. Ciò che contava era il contatto. Ci sciabolammo la lingua in bocca più volte, poi all’improvviso Mario prese ad introdurmi un dito nel culo completando l’abbraccio, non senza prima avermi accarezzato per sfioramento, l’inguine più volte. Ormai ero decisa a sbrodolare al massimo non appena fosse giunto il momento. Scopata nella vagina, ed esplorata nel retto. I miei pertugi beneficiavano di ogni peccaminoso stimolo maschile. Certo in astratto, forse un dito nel retto ed un fallo nella vagina può metterlo anche una donna, ma io per parte mia sono etero. E il mio maschio che si prenda tutto! Presi la sua testa e con un po’ di pressione gli segnalai che volevo che si dedicasse ai miei seni ancora rigidi. Mario capì, e mi strinse una zinna con la mano libera, mentre io cercavo di reggermi a lui per non interrompere il nostro amplesso. Avrei ucciso chiunque mi avesse staccata dal suo cazzo! Quando con opportune movenze fui sicura che eravamo stabili gli premetti la testa sul mio capezzolo sinistro perché me lo succhiasse, me lo mordesse con le labbra, e me lo risucchiasse di nuovo in cerca di latte che ancora non emettevo dato che non ero incinta …
I suoi succhi rapidi ed intensi mi fecero impazzire, e dalla vagina cominciava a colarmi qualcosa. Sentivo scendere delle lacrime di piacere che stavano rigando il suo membro duro, e poi uscivano all’esterno irritando le mie coscette interne. Qualche lacrimina di quelle volteggiò in tre, quattro goccette trasparenti di colore grigio, in aria davanti a noi, per andare a infrangersi, come poi vidi mentre mi godevo i succhi di Mario, sulla parete superiore della nave. I miei capelli liberissimi di volteggiare in aria erano al di sopra di noi stessi in una nuvola disordinata. Purtroppo il cane afferrò un fascio di quei capelli con la bocca, mentre non mi curavo di lui, e cercò di aggrapparvisi per non volteggiare. Non abbaiava. Chissà se la mancanza di gravità non lo stesse divertendo. Dovetti interrompere l’abbraccio per liberarmi i capelli dalla morsa del cane. Fu più difficile del previsto poiché ad movimento incerto mio e del cane si aggrovigliavano sempre di più. Purtroppo dovemmo interrompere l’amplesso. Staccatami dal coito alcune goccette si librarono in aria, andando poi a sporcare i miei capelli sparsi in tutte le direzioni. Afferrato il cane lo deposi di nuovo fra i sedili incastrando la capsula di sopravvivenza tra le loro basi. Ero ancora eccitata e decisa a scopare. Portai la testa verso il basso, e fatto volteggiare il bacino portai di nuovo la vulva sulle labbra di Mario: ero di spalle e lui mi leccò il sesso, l’inguine, e l’ano, stringendo e dando piacevoli schiaffetti alle natiche, per poi leccarmi di nuovo l’inguine con una certa decisione. Provai a poggiarmi in posizione canina ad una spalliera dei sedili, e messo il bacino verso l’alto aspettai che Mario finisse di leccarmi per penetrarmi la vagina di nuovo. Il sapore della mia vagina fece il suo lavoro. Mario, recuperata la necessaria potenza, mi prese i fianchi, e mi penetrò di nuovo con un solo colpo di lancia. Senza gravità il suo colpetto fu piuttosto ampio. Sentii tutto il suo cazzo dentro di me, che mi ero adattata di buon grado alla penetrazione e contemporaneamente cercai di non andare a sbattere contro le pareti della capsula per la minore inerzia. Il suo cazzo andò a piazzarsi dentro la mia vagina da padrone. Ricevetti delle nuove sensazioni di piacere, dato che la mia vagina veniva toccata in punti dove prima non c’era stato molto contatto. I capelli, tutti fluttuanti davanti ai miei occhi, m’impedivano di vedere davanti a me, e tuttavia questo non aveva alcuna importanza. Il cuore aveva preso a accelerare di nuovo per quelle intense sensazioni raccolte dalla mia vagina ed elaborate dal mio cervello. Ero tutta di Mario, tutta per Mario. Respiravamo di nuovo rumorosamente, tutti e due. Tra un vuoto e l’altro di fiato per quei suoi affondi dritti e lunghi riuscii a fargli una richiesta: gli dissi:
“Ahn, ahn! Dai, Ahn, affonda ! Dai, prendimi i seni ! Ahn! Sì ! Dai !”
“Sì ! Ah! Uh! Ah!”
Mario mi strinse le zinne di nuovo turgide. Le sue due mani calde stringevano ciascuna un seno, ed anche i capezzoli rimanevano piacevolmente incastrati tra le sue dita che mi stringevano il petto ed intanto aumentava con gli affondi. Ero tutta in un brodino di piacere che non controllavo più:
“Ahhhhh! Ahn! Ahn! Sìiiiiiiiiiii… Ahn!”
Per quello che ne potevo sapere in quei momenti così intimi ero tutta un colo di liquami; o almeno così mi sembrava. L’orgasmo, il mio godimento stava montando di nuovo. Ero felice ed esaltata: molto presto avrei goduto. Ora nella mia mente non c’era posto per i due omicidi commessi dal mio esaltato amante. La sua era stata una vera e propria sindrome di potenza totale. Per un attimo pensai che Johanna offrendoglisi aveva risvegliato certi suoi istinti, invece di attenuarglieli in vista del volo di ritorno. Io di vita a bordo delle astronavi mercantili non ne sapevo niente, ma per il piacere che stavo ricevendo dal suo membro virile poteva ben darsi che Mario non scopasse una donna da qualche mese. Ed invece ciò era una bella contraddizione! Solo poche ore prima si era potuto “fare” Johanna, il mio tutor di missione, la quale non doveva avere neppure da parte sua tutte le rotelle in ordine. Era stata lei ad offrirglisi nella speciosa motivazione di proteggere la sottoscritta, che anelava a ben altra “protezione”: io volevo semplicemente un uomo! E lo stavo avendo…peccato che lo spazio fosse così ristretto. Mi esaltavo, avevo il cuore a mille, era il mio orgasmo. Chissà se Mario stava avendo il suo. Sincronizzarlo sarebbe stato meraviglioso, ma io ebbi il mio in un rilascio di liquidino trasparente che mi sporcò l’inguine ed una coscia. La mia vagina era tutta bagnata, non rilasciava più niente, ma continuavo a sentire una piacevolissima sensazione di rilassamento, e di solletico. Mario stava accelerando i suoi colpetti; sempre più brevi nell’entrare ed uscire per poi rientrare di nuovo. All’improvviso sentii la sua mano stringere i miei fianchi di più. Un’unica presa improvvisa e partì uno stupendo, abbondante caldo missile liquido. Finalmente il suo caldo sperma. Dentro di me. Un colpo, due, tre, quattro…purtroppo ne arrivava sempre di meno. Abbracciai Mario all’indietro alzando un pochino la schiena sperando che il suo cazzo mi restasse dentro. Se fossimo stati stesi in un letto lo avrei lasciato dentro di me. Quel mio gesto di alzarmi per cercare di abbracciarlo, e voltarmi per cercare di baciarlo fece scivolare il suo membro virile ancora un po’ turgido, ma esausto fuori dalla mia vagina piacevolmente sporca del suo seme, e dei miei liquami. Uscendo dal mio sesso ormai calmato tre o quattro gocce dei nostri fluidi volteggiarono a mezz’aria. Incredibile cosa faceva la mancanza di gravità! Mi baciai con Mario che ero ancora voltata di spalle e nel frattempo gli cercai il pisello per afferrarglielo e carezzarglielo. Tanto ero innamorata di lui. Trovatolo lo presi, e purtroppo stava rimpicciolendo. Aggiunsi delle carezze alle sue palle che avevano scaldato la sottoscritta quando all’improvviso un suono basso interruppe la nostra intimità:
“Baaaaaamm. Baaaaaam.”
Dissi:
“Che succede Mario ?”
“La navetta, ci avverte che dobbiamo iniziare la prima orbita intorno a Saturno. Aspetta, lasciami fare e non toccare niente! Devo azionare i razzetti di assetto.”
“Fai. Sto zitta.”
Mario si staccò da me e andando a verificare lo schermo del computer di navigazione sporgente davanti a lui toccò un paio di pulsanti ed una stick spostandola verso sinistra. Avvertii una spinta di lato, e dovetti reggermi ai poggiatesta dei sedili davanti ai quali avevamo fatto il nostro sesso. Mario era nudo e nel pilotaggio era a suo agio lo stesso. Impostò sulla tastiera dei numeri rimanendo sospeso a mezz‘aria, e la nave assunta una nuova prua accese dei razzi a propellente solido in capsule cilindriche preconfezionate mi spiegava Mario illustrandomi quello che stava facendo. Il rumore di quei razzi inudibile nello spazio esterno era anche in cabina appena percettibile. Un fischio più o meno lungo.
“Le cariche predisposte ci daranno un impulso di nove secondi. Entreremo in un’orbita circolare intorno al pianeta a debita distanza dagli anelli. E dopo tre orbite accenderemo il propulsore a microfusione che dovrebbe portarci verso…”
Mario si fermò. Io intuii e gli dissi:
“Ho capito. Non ti va ti andare verso la Micenea, vero?!”
“Già. Non appena sbarchiamo mi arresteranno con un paio di accuse…”
“Quali ?”
“Atti sessuali con te e …”
Mario si fermò di nuovo ed io completai la frase:
“Duplice omicidio. Rischiamo la pena di morte?”
“Tu no. Puoi sempre dire di essere stata mio ostaggio. Ma io l’ergastolo in un penitenziario lunare sì.”
“Lunare ?”
“Il satellite della Terra, grande più o meno come Titano. Una cella pressurizzata per il resto dei miei giorni se mi arrestano sulla Micenea…”
“E sulla Rossjasia vessel ?”
“Mah, non so. Il blocco economico orientale sotto la Federazione russo-mongola pare continui ad applicare la pena di morte anche se mezzo pianeta l‘ha abolita … ”
“Come fanno ?”
“C’è un processo penale, dicono rapido e giusto, al termine del quale si viene condannati o assolti. Non c’è corte d’Assise …”
“Cos’è una corte d’Assise ?”
“Non hai studiato storia terrestre con l’oloprof su Titano ?”
“No.”
“Una corte con un giudice in toga, e dei giurati popolari, dei civili, sedici, che a maggioranza dopo che accusa e difesa si sono confrontati decidono se sei colpevole o innocente. Informano il giudice che applica la sentenza. Tutto qui.”
“E se la sentenza è ingiusta ?”
“C’è l’appello, ma decidono solo sui punti in cui ti hanno dato torto, e se quei punti avrebbero potuto portare alla tua assoluzione riformano la sentenza di primo grado … con una pena diversa o più lieve. O ti assolvono del tutto e sei libero.”
“Toga, primo grado, riforma, che cosa sono ?”
“La toga è una divisa a mantello. Nera con i bordi oro. La indossa il giudice per sottolineare il suo ruolo. Primo grado è il primo processo. Il secondo è l’appello, la riforma vuol dire quando cambiano la sentenza … ma l’oloprof un po’ diritto pubblico non te l’ha fatto fare ?”
“No. Ti giuro di No.”
“Boh… comunque nel blocco orientale, nelle vecchie Cina, India, Pakistan, Filippine, Thailandia, Indonesia …”
“Cosa sono ?”
“Nazioni. Storicamente sono nazioni, ognuna con una propria lingua e le proprie tradizioni. Da quando sono un blocco economico coordinato tra di loro hanno adottato un unico codice di leggi civili e penali valide ed applicabili in tutto il blocco circa cento anni fa …”
Mentalmente ero interessata a quella sua lezione di civiltà terrestri. Afferravo il concetto di fondo anche se non capivo tutte le sue parole.
“Fanno processi ingiusti ?”
“No, li fanno rapidi. Per economia; le risorse sono limitate. Anche la vita di un uomo è un lusso talvolta, come quando un uomo commette un illecito contro la società che lo ospita sottraendo delle risorse. Una logica in questo c’è. Da soli faranno due miliardi e mezzo di persone …”
“Così tanti ?”
“Un quinto del mondo circa. Il pianeta Terra ne ha dieci miliardi in tutto. Tu con la base tutta per te su Titano eri una regina!”
“E devono fare presto per fartela pagare?”
“Sì, e per fare processi rapidi qualcosa va perso come le garanzie dei tuoi diritti fondamentali che restano in teoria, ma li comprimono nella pratica. In due parole hanno corti ristrette, presiedute da militari di carriera ferrati in materie giuridiche. Hai un avvocato che più di un tanto non può manovrare. Se vieni condannato a morte, dal momento in cui il ministro della giustizia locale autorizza la tua esecuzione sei diventato una zavorra, una persona di troppo; il direttore del penitenziario ti informa che non verrai tenuto in vita ancora a lungo, salvo una malattia a decorso mortale; insomma ti fanno scegliere: quando entri nel penitenziario lo Stato ti fornisce una pastiglia di veleno, e sei libero di prenderla quando vuoi con tutta calma; od anche subito; se non lo fai, in un giorno come tanti, ma sempre entro un mese più o meno, senza dirtelo, ti mettono il sonnifero nel cibo; ti addormenti, e mentre dormi profondo un infermiere ti mette in bocca una capsula di veleno; e tu nel sonno te ne vai all’altro mondo in sette otto secondi … non si soffre dicono gli esperti, perché c‘è già la narcosi a monte.”
“Capisco, e noi che faremo ?”
“Non lo so. Intanto facciamo queste tre orbite ! Abbiamo sei ore per decidere, hai fame ?…”
Feci la scansione mentale del mio corpo ed infatti avevo una certa fame. Risposi di sì:
“Qui si mangia solo una sorta di pasta ai vari sapori, tonno, carne, carne grassa, tutto liofilizzato; si aggiunge un po’ di acqua e si prende col cucchiaino prima che la mancanza di gravità ti sfaldi il cibo… cosa preferisci vaschetta alla carne, o al pesce ? Sono solo sapori, non sono veri né la carne né il pesce !”
“Carne ! E da bere ?”
“Solo acqua in cannuccia! Il perché non ho bisogno di spiegartelo.”
“Ok, dammi un paio di vaschette alla carne che ho molta fame.”
“Se ne mangia una a pasto. Conviene non esagerare.”
“Va bene. Dammene una allora.”
-continua-
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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