incesto
Michele tre teste e tre candele 3a p. ( il prequel )
di sexitraumer
25.09.2012 |
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"Era un messaggio per il notaio che aveva ripreso ad osservarle con lo spadone di nuovo tra le mani a trattenere erezione e…la prossima venuta ormai inevitabile..."
Il mondo di Toraldo e Olivina, Terra d'Otranto, secolo XVICari moderni rieccomi a voi; son sempre il vostro Toraldo e son qui riapparso onde raccontarvi come ebbe un suo inizio questa storia dove parmi sia stata fondamentale la comparsa di quella macchinaria che decollava tosto. Come già ebbi a raccontarvi, qui da noi le decapitazioni si facean colla scure, mentre un mercante dell’amica Venezia ebbe a convincere il nostro connestabile alla giustizia, un onesto servitore del nostro amato viceré per gli affari penali, ad acquistare per una certa somma da liquidarsi innanzi a due notari, uno de li quali il mio gentil cognato Ranuccio, codesta macchinaria capace di mozzar le teste de’ li condannati con rapiditate e – si sperava – con una certa precisione, poiché sbagliando lo primiero colpo di scure, quello fondamentale, lo povero condannato era ancor cosciente intanto che il boia tirasse lo secondo, e poi non poche volte accadde, anche lo terzo…tuttavia più di tre non se ne potean tirare come voleva la legge. Lo spettacolo che ebbi a godere dallo balcone dell’amico Michele era come se avesse avuto un prologo due settimane prima allorché nello studio privato del mio gentil cognato alla presenza di certe persone venne rogato l’atto di cessione della misteriosa macchinaria…
“…innanzi a noi notaro Ranuccio Tresoldini fu Giuseppe Maria et Antonio Italo Kalòs fu Kalòs Parmenides da…”
“Perdonate collega ! Lo padre mio è tuttora vivo.”
“Domando scusa collega !...allora correggo, di Kalòs Parmenides da Soleto, anch’egli notaro son convenuti: per la parte cedente lo venezian mercante Mario Andrea Peredìn da noi già identificato in separato atto, e per la parte pubblica acquirente lo connestabile alle poene et magistrato alla suprema giustizia del viceré Barone Cesare Alberto Perrone da Morciano. Identificate le parti contraenti procediamo…”
Beh, cari moderni tra i busillis e i latinorum in parole poverelle lo contratto tra di essi in Martano rogato prevedeva che in cambio della somma di ducati cinquecento e dieci da pagarsi in rate tre di ducati cento e settanta ciascheduna a scadenza di mesi due ciascheduno lo mercante Peredìn s’impegnava a consegnare presso lo carcere della fortezza entro giorni due dalla firma del contratto la lignea macchinaria che rapidamente decapitava lì condannati et a montarla onde potesse funzionare…il caro cognato continuò a scrivere leggendo a voce alta per li presenti:
“…all’incasso brevi manu della primiera rata il mercante Peredìn s’impegna a collaudare la macchinaria affidandola fin dalla consegna alle cure del boia Mastro Germano, lo quale ai sensi del presente contratto diritto ha di trattenere il Peredìn il solo tempo necessario onde farsi illustrare lo funzionamento e la manutenzione post taglio della macchinaria a suo sol dire solidissima et robusta et costruita nella cattolicissima Scotia da mastri falegnami di provato talento…”
Insomma amici miei, finito di scrivere l’ampolloso contratto la cui minuta e le clausole erano state redatte dal ben più brillante notaro greco naturalizzato italico e salentino Antonio Italo Kalòs, lo cognato mio e quest’ultimo assistettero dapprima alle firme innanzi a loro pubblici ufficiali, e quindi allo passaggio di un sacchetto di velluto contenente li ducati della prima rata dalle mani del magistrato Perrone, per legge autorizzato ad usare lo denaro pubblico del vicereame, alle mani del mercante Peredìn. Ricevuta la somma questi si sentì dire dal connestabile:
“Contateli pure caro amico, ci son tutti, feci lo prelievo in banca questa mane…”
Il mercante dopo un rapido esame ad occhio, richiuso il sacchetto rispose:
“Grazie mi fido. Dunque caro magistrato quest’oggi all’ora quinta pomeridiana arriverà alla fortezza una carrozza con il vessillo della Serenissima su di un drappo a coprire una sorta di bara di legno siccome rettangolo di forma. Vi prego d’accogliere insieme ad essa gli uomini di nascosto armati della scorta…due di essi hanno sotto la camicia due pistolotti carichi che sparano palline di piombo da un quarto di pollice; altri due un coltello di quelli lunghi mezzo braccio ciascuno. Hanno le loro armi occultate, ma non vi recheranno offesa alcuna.”
“Si capisce caro Peredìn…per me va bene, son li benvenuti sin da ora !”
“Ve ne rendo grazie, ma debbo dirvi ancora una cosa che ignorate: la carrozza è condotta da una donna giovane ed in età da matrimonio; trattasi della figlia mia unica di nome Paola. Dovreste dar disposizioni che non venga molestata dalle guardie della fortezza che – mi dicono sian persone dure piuttosto con li curiosi, oltre che con li carcerati – comprendete ? La scorta non c’è solo per la macchinaria, ma anche per mia figlia che conduce… ”
“Sì Peredìn comprendo. Ma perché non mettere alla guida un cocchiere con tanti che ve ne sono ?”
“Imperocché solo di mia figlia mi fido quando è in gioco lo nome della ditta ! La figlia mia Paola sa condurre, e li uomini della scorta son esperti d’armi e tanto basta. A ciascheduno ciò che meglio sa fare.”
“Giusto, dite bene. Darò disposizioni. Vi ricordo però messere, che se lo collaudo male dovesse svolgersi, come parte pubblica posso sospender lo pagamento delle rate le altre due, e disporre il vostro imbarco forzoso verso altri lidi se dovessi scoprire che codesta macchinaria sia una truffa…decollar li condannati prestamente è un’arte caro Peredìn, e voglio proprio vedere colli occhi miei come una macchina lignea possa travagliare meglio che un boia ben pagato ed all’uopo addestrato…segar lo collo a quelle povere bestie mansuete avrei saputo farlo anch’io…”
C’era da dubitarne, amici miei; comunque il mercante affabilmente rispose:
“Non resterete deluso onorevole connestabile ! Entrerete nella modernità, ve lo garantisco. L’ho vista all’opera in un paio di castella scozzesi; il vostro boia taglia la cordicella, la lama scende et in un istante solo la testa salta via…bisogna solo che la testa sia piazzata bene nell’anello che la tiene ferma e lo condannato non soffre, ed in men che non si dica finché voi battete le palpebre non è più...”
Lo connestabile parve conquistato dalle parole rassicuranti del mercante veneziano. Da ottimo cattolico era convinto che li condannati a morte avessero a non dover troppo soffrire mentre si avvicinava l’istante supremo, a prescindere dal delitto commesso. Beh, cari moderni lo connestabile era una mosca bianca, già destinato a non durare, poiché dopo di lui forca, ruota, rogo continuarono ad essere usate lo stesso secondo la legge. Le due parti del contratto parlavano di collaudo. Beh, solo una dimostrazione c’era già stata con un modello grande la metà di quello vero davanti alle autorità, tra le quali anche il connestabile alle pene; ad una mezza dozzina di povere bestie tra cui due grossi cani randagi raccolti dal Peredìn per strada, tre pecore ed una capra tolte dalla normale vendita (in quanto ovini di allevamento sarebbero morti lo stesso) venne mozzata la testa per illustrare ai convenuti il funzionamento rapido della macchinaria allestita montata, e ben oliata nelle parti mobili. Di sangue faceva che ne scorresse a fiumi…
Il mercante Peredìn ed il connestabile liquidarono sessanta ducati ciascuno ad entrambi i notai come da loro onorario per l’atto presso di loro rogato. Il notaro Kalòs da Soleto versò ulteriori dieci ducati a mio cognato Ranuccio che avea messo a disposizione lo studio per la cerimonia e procurato i fogli di carta pergamena e l’inchiostro, poi salutò garbatamente i contraenti quindi prese congedo dal collega meno abile e famoso Ranuccio Tresoldini:
“Caro Ranuccio, ho molto imparato da vostro padre e ne piango ancor la scomparsa…”
“Vi ringrazio carissimo, è stato duro infatti continuare l’ope sua. So di non possedere la sua habilitate…non di meno sono onorato che vi siate rivolto a me per la stesura estesa e per la cerimonia del pagamento. Contate d’ora innanzi sulla mia amicizia.”
Sorridendo affabilmente il notaio Kalòs diede a Ranuccio altri dieci ducati:
“Di nulla Ranuccio ! Vi considero un fratello per il rispetto che portavo a vostro padre…comunque Ranuccio i dieci in più che vi versai poc’anzi son per le vostre spese delle carte e per la registrazione. Poi mi invierete in settimana una copia autentica del contratto di oggi. Sapete come notaro dell’università debbo averne una copia in archivio; anzi sapete che vi dico ?! Terrete voi la copia, – ed invierete a me quest’originale cui adesso lascerete che l’inchiostro secchi; poi dopo che lo avrete portato alla registrazione vi farete fare la copia - autentica mi raccomando !- e terrete quella. Se ritenete che dieci ducati per registrazione et autenticazione della copia de’ li copisti regi non bastino vi prego di farmelo sapere la settimana prossima quando mi porterete l’originale vi rimborserò ciò toccò a voi anticipare. Ora vorrei prendere congedo; saluti a vossignori.”
“Venite collega, vi accompagno.”
Tutti i presenti si scappellarono onde correttamente salutare quel distinto professionista. Ranuccio lo accompagnò fino all’uscio. Tornato Ranuccio a studio i presenti aveano chiesto di brindare con della grappa che avea portato con sé il Peredìn. Ranuccio cortesemente rifiutò dato che avea chiuso con l’alcool. Bevvero solo i due nuovi amici il mercante veneziano e il connestabile idealista. Poi andarono via anch’essi. Ranuccio si pregiò della giornata fruttuosa e chiuso lo studio per la mezza lo lasciò chiudendolo per tornar trionfante alla magione sua presso la locanda gestita dall’operosissima moglie sua Olivina. Lo studio di questo mio cognato poco abile negli affari immobiliari era solo una vecchia “remesa” presa a locazione novennale col denaro ricavato dalle attività di locanda, lavanderia, e qualcos’altro da mia sorella Olivina scaltra, abile oltre che molto… - eh sì cari moderni - molto gran puttana! Per lo meno con dei clienti di riguardo con i quali facea parecchio sesso a pagamento, talvolta anche piuttosto duro o bizzarro, lontano dalla locanda “custodita” per qualche ora dal fratello storpio di Filomena… Non vedea l’ora l’ingenuo Ranuccio di mostrar li ben settanta ducati ballanti e sonanti alla moglie sua; lui che non avea mai rogato che atti di maggior valore che un paio di ducati per degli affidavit di persone comuni, molte povere, a futura memoria concernenti fatti assai poco rilevanti. Giunto a casa allegro e raggiante come un infante col suo balocco chiamò la consorte sua a gran voce :
“Olivina ! Moglie mia Olivina ! Dove siete ?”
S’intromise pronto lo storpio Roberto, più o meno di turno alla ricezione della locanda:
“Signor Ranuccio, vostra moglie è dovuta uscire urgentemente per un affare importante. Ha detto che debbo servirvi il pranzo io poiché Filomena è andata a prendere Aymone alla scuola. Sto aspettando che la taberna vi porti un pollo arrostito intero. Ha già regolato vostra moglie. Accomodatevi se lo gradite al tavolo grande; vi troverete un paio di clienti felici di far conversazione…”
“Ah ! Non c’è quindi…”
“No, signor padrone, purtroppo no.”
“Ah, e quando farà ritorno ?”
“Mi ha detto per un’ora prima della cena. Deve discutere un affare importantissimo con la banca…”
“Va bene, va bene, vado nelle stanze private. Non fare entrare persona veruna finché non sono uscito, cioè finché non mi vedrai nella sala grande.”
“Sì, signor padrone.”
Mio cognato mi sembra ancor adesso, cari moderni, d’immaginarlo mentre si reca nella stanza matrimoniale dove la sua “fedele” moglie usa dormire con lui ogni notte. Scostò il lettone di mezzo braccio di lato, e liberata dal piede di legno del mobile “la sua mattonella” personalissima, la sollevò e nel buco che avea “segretamente” fatto ricavare di nascosto da Olivina da operai che lui credeva fidati prese un sacchetto di iuta e, sciolto un fiocchetto di chiusura, vi depose dentro circa quaranta dei settanta ducati ricavati quel giorno. Olivina volendo bene al marito fingeva di non sapere di quella mattonella; in realtà s’era informata privatamente con gli operai che l’aveano scavata pagando l’informazione con pochissimo denaro e qualche sua piacevolezza carnale. Il sesso a mia sorella non era mai dispiaciuto se gli uomini erano belli e muscolosi; e l’ingenuo Ranuccio aveva scelto all’uopo degli operai abitanti molto fuori Martano, non in centro come il mio nuovo amico Michele mastro muratore…il corpo di mia sorella faceva parlare, eccome ! Riposta la mattonella andò ad aprire il comò di lui e sua moglie e vi depose i ducati restanti; in certa misura Ranuccio era leale alla sua mogliettina. Intuiva, da qualche parte dentro di sé, di essere un cornuto; in ogni caso rimuoveva il pensiero sapendo di godere delle “utilità” procurate dalla sua bella moglie, e non dalla svogliata mediocrità con cui conduceva il suo mestiere di – perdonate cari moderni – mezzo notaro. Forse non immaginava che il ben più abile e professionale collega, il dottor Antonio Italo Kalòs gli avea procurato quel singolare contratto grazie all’interessamento di Olivina già in passato ben pagata dispensatrice di certi innominabili piaceri corporali del notaro del comune ove ricadeva la giurisdizione sul carcere della fortezza. Antonio Italo era un bell’uomo, di cinquant’anni molto curato nel vestire e nell’aspetto; nonostante fosse sposato sua moglie ben mantenuta non avea a dogliarsi che lo marito suo fosse un libertino amantissimo della fica e del corpo cui la fica apparteneva; qualunque fica diversa da quella della sua tranquilla moglie era la benvenuta; specie se una decina d’anni più giovane; a credito di quell’elegantone debbo dirvi che per quanto ne sapevo non andava con le giovanissime: le sue donne ideali andavano dai venti ai quaranta. Amava eccitarsi osservando due donne la volta che si scambiavano lubriche tenerezze deviando verso Saffo per poi arrivare lui a chiavarle a turno col proprio “membro redentore” di fanciulle “perverse solo un pochino” come amava definirle lui. Mia sorella Olivina, come già sapete, gentilissima donatrice di sesso rettale persino per il sottoscritto fin dalla nostra giovinezza quel pomeriggio s’era recata usando una certa discrezione nello studio di quell’Antonio a pagare il favore da questi fatto al suo indolente marito. Bussò con gli anelli all’ampio portone di legno borchiato di tanto ferro e chiodi, e qualche istante dopo una bellissima fanciulla dai capelli castani-rossi ondulati non tanto lunghi, e piacevolmente sciolti le diede il benvenuto sull’uscio. Era più o meno alta quanto Olivina. Gli occhi della ragazza erano verdi, ed il suo viso era pulito; guardandola sapeva di fresco, come fresca di bucato e debitamente stirata era la camicetta bianca che indossava, ben scollata come a mostrare le sue minne ancora adolescenti, come poté notare Olivina che d’igiene degli abiti era diventata pratica. Mia sorella si presentò:
“Salve, vengo in pace, sono Olivina Tresoldini, il notaio Kalòs mi attende.”
La ragazza sorridendole di rimando, accennando un lieve inchino con le mani riunite in avanti le rispose:
“Salve a voi mia signora ! Mi chiamo Giovanna, vi porgo il mio benvenuto, seguitemi prego, il notaio vi attendeva con ansia…”
Olivina che già conosceva quel lungo corridoio da percorrere fino in fondo che non era possibile illuminare a torce senza consumarne la poca aria, chiese:
“Oh grazie, vi vedo or la prima volta, per caso siete sua figlia ?”
“No, per servirvi, sono una sua amica, e qui si aspettava solo voi signora.”
“Vi prego Giovanna, chiamatemi Olivina e basta. Quel signora mi fa sentire solo vecchia da qualche tempo…e voi siete più giovane di me; non potete capire, ve l’assicuro.”
“D’accordo Olivina, da questa parte, siamo arrivate.”
Il notaio Kalòs – ebbe a dirmi tempo dopo mia sorella Olivina – le stava aspettando nudo ma avvolto in un enorme asciugamano bianco di lino che copriva quasi del tutto il suo corpo a guisa di sudario. Nel suo ampio studio, dopo aver spostato il tavolo da lavoro, e tirato le tende aveva fatto sistemare una tinozza piena d’acqua e petali di rosa; vi aveva aggiunto anche essenza di lavanda onde profumar l’ambiente. Il notaio ed il suo avvolgimento di lino profumavano di pulito; Olivina era a proprio agio dato che anch’ella avea fatto il bagno alla propria tinozza quella mane all’ora decima di buon sole, assistita dalla fedele Filomena . Il notaio Kalòs con i suoi capelli boccoluti scuri sembrava infatti un antico milite greco resuscitato proprio da un sudario. Era un uomo normale di corporatura alto meno di due metri certo. Il suo fisico era muscoloso, e ben tornito dato ch’egli non disdegnava d’allenarsi con dei pesi, né di fare almeno cinquanta flessioni ogni mattina dopo la sveglia. Non usava ubriacarsi, come lo cognato mio fino a cinque anni addietro, che suo malgrado invecchiò precocemente nella pelle del volto, e presto gli caddero i biondi capelli. Esordì mentre la graziosa ninfetta quasi rossa Giovanna preparava dei piccoli bicchieri su di un vassoio d’argento:
“Cara Olivina, è andato tutto per il meglio. Vostro marito ha ricavato settanta ducati quest’oggi.”
“Vi ringrazio caro amico, or che vedo l’ambiente, se non vi reco offesa davanti a Giovanna, posso chiedervi dove volete giacere ? Tavolo o tinozza ? Non vedo letto veruno.”
“Al tempo Olivina ! Comunque se guardate in basso, c’è anche il tappeto mia cara. Ascoltatemi adesso: prima desidero che assaggiate l’elisir del calore che vi sta versando la mia amica Giovanna…”
“Un filtro d’amore notaio ? Non sapevo che credevate a queste cose…”
“No, non temete! Vedete, è solo un amaro dei nostri frati; lo fanno dietro mia espressa richiesta una certa quantità annua per me soltanto. Non lo vendono a nessun altro, credetemi. la donna che lo beve è più disposta ad andare come dire ? … in calore…assaggiatelo Olivina, e prendine anche per te Giovanna…qui è un po’ umido, vi riscalderà.”
Giovanna le diede il bicchiere riempito a metà, e mia sorella dopo un esitante assaggio, lo vuotò in pochi istanti. Sì era alcoolico, ed anche piuttosto buono. Il notaio proseguì con naturalezza come se stesse parlando con degli amici:
“Posso chiedervi Olivina se v’aggraderebbe giacere con me, ma in compagnia della Giovanna ?”
Olivina si accorse in quel momento che la sua bellezza era solo di complemento a quella ben più fresca di Giovanna, l’altra amica del notaio, sorridente ed eretta con dei denti dritti e bianchi, che quelli di Olivina ormai non lo erano più; una giovane amica “nuova” di quella sua “vecchia conoscenza” che - un po’ da ingenua - credeva di aver fatto innamorare delle sue forme ancor giovani, ma già più vecchie – perdoni la mia sorellina – volevo dire più anziane, di quelle della fresca Giovanna.
“Nessun problema amico mio, ma vedete, io non sono un’amica di Saffo…a me – e lo dico anche a voi Giovanna - piace il cazzo ! Non offendetevi mia cara, era tanto per dirla chiara. E tanto mi piace il membro ! Lo sapete voi che ce l’avete, caro il mio notaio…Giovanna vi amerà ad un tempo con me dalla parte opposta, separatamente senza toccarmi, in quel caso sì…se parlavate del coito con una mentre la leccate all’altra certo, non sono una bigotta e comprendo.”
“No Olivina ! Permettete che vi chiarisca il mio pensiero: Giovanna amerà voi; voi amerete lei fin dove potrete, dato che a quanto favellate sarebbe la vostra primiera volta; io amerò entrambe voi due. Il gioco che vorrei organizzare, il gioco da cui partire è un bel sessantanove…”
“Tra me e voi ? Volentieri notaio…volete che stia sotto io ? Avete un così bel membro da accogliere nella mia bocca…”
“Grazie Olivina, però io insisto che vorrei che voi scambiaste qualche carezza con la Giovanna che è donnina giovane pulita, e vi sarete accorto di una bellezza ancor adolescente…mi ecciterebbe molto vedervi mentre vi carezzate l’una con l’altra; sarei felice di veder Giovanna leccarvi bene, ma con la dovuta delicatezza, la… la fessa; non avverrà subito mia cara, ma dovreste permettere ch’ella vi tocchi con una certa intimità…le sue dita sono abilissime, e prima che arrivi io a dare ai vostri sessi ciò che meritano, spero che voi due gentilissime mi abbiate offerto una…ecco…una doppia forbice per un po’ di quella clessidra, con le vostre fesse eccitate a sfiorarsi frenetiche…”
Olivina mostrò al suo amico le dita delle mani incontrate a doppia forbice, appunto.
“Dobbiamo strofinarci le vulve, dico bene notaio ?”
“Meglio non potevate dire Olivina, mia carissima amica…”
“E tutto questo per i settanta ducati che avete fatto guadagnare a mio marito…! Sono interdetta, amico mio ! Ero pronta a bere anche il vostro seme, o a farvi venire nel culo dentro più e più volte; ma con un’altra donnina…io…proprio, insomma non so…”
“Olivina ! Non pensateci più ! Quelli eran per il marito vostro, che bene o male se li è lavorati, ed altri dovrà lavorarseli. Io invece ve ne offro altri settanta – che dico ?! – cento, sì ecco, cento ! Tutti per voi stessa, se accetterete le attenzioni della Giovanna…poi avrete le mie.”
“Cento dite ?...” – L’animo da puttana navigata di mia sorella avea fatto breccia nel suo segreto pudore di femmina amante del maschio organo ben duro; forse li tocchi di una donna, se particolarmente gentili li avrebbe sopportati; un pruritino interno stimolò il suo basso ventre; il suo respiro divenne più evidente, come pure il suo disagio al pensiero che presto una lingua di una giovane donna avrebbe stimolato il suo clitoride; per come Olivina conosceva il corpo suo sentì che la vulva le si era un po’ gonfiata, a causa del discorso col notaio…o era il calore di quell’alcoolico de’ frati?
Il notaio di scatto aprì un cassetto segreto, e gettò un sacchetto pieno di monete a mia sorella Olivina che lo afferrò al volo indifferente; cercava di mantenersi ancora prudentemente sulle sue. Era improbabile che volesse alzare la posta; dentro di sé ancora un piccolissimo quid la tratteneva…sapeva che dopo oggi sarebbe stata una donna molto diversa. Una donna che si era innamorata della più giovane bellezza di un’altra donna, e subito dopo avea rimosso lo pensiero illecito. Il notaio Kalòs d’istinto sapeva che era questione di pochi momenti, poi Olivina avrebbe ceduto in ogni caso. Quello studio notarile, meglio organizzato di quello di suo marito, aveva ogni cosa al suo posto in perfetto ordine. Alcuni mobili erano stati asportati, o spostati con sapienza per lasciare il dovuto spazio alla tinozza ed a coloro che ne avrebbero fruito.
“Olivina, il vostro corpo arricchirà Giovanna d’altri, nuovi sensi che nemmeno immaginate; voi due arricchirete il mio animo, e non solo quello ! Io arricchirò i vostri ventri caldi collo seme mio; e quei cento arricchiranno voi amica mia, che siete sempre presa dalle spese…Son proprio cento, sapete ?! Prendeteli ! Son vostri ! Ma questo pomeriggio vi concederete a me, e all’amica mia ! Allora ?”
Olivina apprezzò il peso di quelle monete con il massimo garbo, poi esaminatene un paio disse:
“E sia ! Solo per oggi messere, sarò amica ma non sorella, anche un po’ di Saffo…”
“Alla buon’ora ! Giovanna spogliati, dai !”
“No, un attimo ! Prima un altro paio di bicchieri di quell’amaro, su Giovanna, versatemeli tosto in un bicchiere solo va bene. Meglio averla in corpo prima un po’ di quell’alcool !”
La ragazza le versò l’amaro corrispondente ad un altro paio di bicchieri che Olivina ingurgitò avida, poi rivoltasi dopo essere arrossita, a Giovanna disse sorridendo rassegnata:
“Mia cara amica, fate quel che sapete fare, e fatelo bene ! Io non so se riuscirò a leccarvela, ve lo dico prima.”
“Oh, vi prego, se proprio non ve la sentite, non leccatela; mi basterà che vi rilassiate lasciandovi andare ai vostri soli sensi, ed ogni tanto mi tocchiate la mia; nemmeno immaginate quanto godo a vedermela toccata, o meglio presa nella mano gentil di un’altra donna…”
L’alcool avea fatto aprire un po’ di più l’animo di Olivina, che divenne più ciarliera, sincera, e confidenziale; c’era da sperare non troppo considerati i nostri trascorsi incestuosi.
“Cara Giovanna, debbo confessarvelo ora, o rimarrò bloccata: l’unica volta nella mia vita che odorai da vicino una giovane vulva è stato con la mia lavorante Filomena; l’avevo pagata affinché sverginasse il mio pargoletto ormai cresciuto, e mi volli accertare che il mio virgulto la leccasse ben pulita ed odorosa, volli insomma assicurarmi che se la fosse lavata visto che ci doveva andare la lingua di mio figlio…mai, neppure per un istante, pensai di leccarla, benché quella sua vulva con quel pelo nero mi stesse anche un po’ attraendo…”
Giovanna le disse dolcemente, come fosse sua sorella:
“Olivina che ne direste se ci liberassimo degli abiti ? Quell’amaro mi sta inducendo del calore, ed immagino anche a voi, no?! Che ne avete vuotati ben tre bicchierini siete rossa quasi come i miei capelli…”
“Mi si son gonfiati i seni Giovanna, ma vi prego iniziate voi che vorrei ammirarvi finché c’è luce…”
La Giovanna si voltò e ben eretta chiese ad Olivina:
“Olivina, vi prego, scioglietemi la gonna dietro.”
“…”
“Su, coraggio…che mi sta stringendo da stamattina, e vorrei liberarmi i fianchi…”
“Ah, la gonna certo. Un momento…ecco!”
Olivina tirò il fiocco, e la gonna dapprima stretta sui fianchi, cedette la posizione e cadde sul pavimento di pietra. Olivina rimase dapprima sorpresa, poi si diede della stupida per non averci pensato: la Giovanna non portava le mutande, e del resto, dovendo fare molto sesso, a cosa sarebbero servite ? Due natiche rosee, regolari, grandi più o meno come due mezzi meloni si offrirono innocenti alla vista di Olivina, più bianche del suo roseo corpo. Due coscette lisce e depilate, da ragazza adolescente integravano il sembiante di Giovanna di spalle. La camicetta stretta e sgualcita dentro la gonna della ragazza in un paio di battiti di palpebre era scesa su quelle chiappette che a me, presente solo col cuore e l’immaginazione, non sarebbe dispiaciuto violare. Frattanto Giovanna aveva preso a sbottonarsi del tutto la scollatura, quindi con disinvoltura a sfilarsi la camicetta da sopra, lasciandola poi cadere in terra; il tutto davanti allo sguardo ipnotizzato di mia sorella Olivina che non s’era avveduta che Giovanna si era voltata mostrandole il corpo suo ancora adolescente nonostante i suoi ventun anni. La piccola chiara vulva della Giovanna era chiara nella pelle liscia e rosea e rossa nel pelo, tenuto ben corto, come s’addice ad una vulva ben curata; mentre i capelli suoi fluenti erano stati tinti a bella posta, probabilmente a spese del notaio suo amante e protettore, di un bel castano rosso e ben lavati affinché fossero ben freschi all’odore. Le sue regolarissime tette stavano bene in un una mano ben disposta a stringerle per bene. Olivina restò paralizzata da cotanta bellezza giacente in un corpo alto come lei, ma snello la metà. Avea davanti l’idea del proibito da non toccare, appena immaginare. Don Grico m’insegnò da ragazzo poca filosofia: quanto bastava perché non pensassi da rozzo, ed una volta mi disse che nell’antica Ellade degli allievi chiesero ad un filosofo di nome Plotino – o era Platone ? Bah, vatti a ricordare… - insomma più o meno gli dissero così: “vediamo il cavallo, ma non la cavallinità”…- che si sarebbe potuto rispondere ? - Ben altri sono i veri filosofi e letterati, non modesti ragionieri come il sottoscritto cari moderni…ma da com’ebbe a raccontarmi la cosa la sorella mia Olivina in quel momento, per un ineffabile istante impossibile a fermarsi non ebbe davanti né una donna, né una ragazza adolescente, bensì l’idea stessa dell’innocenza che toccata si tramutava in vero peccato. Già forse Giovanna era l’ingannevole personificazione di quel Satanasso proteiforme di cui parlavano e sparlavano li preti; un’entità capace di presentarsi innanzi a te povero peccatore bisognoso della carne con innocenza e quando abbassi le difese catturarti...Giovanna avea preso a cercare i lembi dell’ampia gonna di Olivina iniziando a sollevarla pian pianino, ed intanto avea appropinquato il proprio volto al petto appena scoperto di mia sorella sempre rigida dentro la sua veste. Con le sue sottili labbra rosee accennò dei delicati baci allo spacco del seno di Olivina facendolo gonfiare ancor di più. Le abili mani della Giovanna non erano rimaste inattive: la gonna di mia sorella era stata alzata per metà quasi, e codesta mano cercò le cosce di Olivina che per l’imbarazzo tenea gli occhi chiusi; l’altra mano avea sciolto la scollatura, ed il respiro di Olivina fatto il resto: il seno sinistro era quasi fuori, e metà di esso aveva conosciuto l’alito caldo e la dolcezza dei baci della tenera Giovanna; l’altra metà conobbe la presa della mano adolescente e delicata della neo amante di mia sorella; tempo un paio di respiri e Olivina appoggiandosi al tavolo per le natiche si godette il succhio improvviso, abile ed un po’ mordente di quella giovanissima amante di Saffo. Era come se il capezzolo di mia sorella andasse munto ad ogni costo, e la Giovanna alternava delicati morsi, con avidi risucchi e strette di quel seno fuoriuscito a dimostrare la sua vitalità. Olivina alternava rantoli e respiri senza aprire gli occhi; aprendoli avrebbe interrotto quel sogno peccaminoso che stava vivendo, e si sarebbe vergognata con sé stessa.
“Ahnnn, uhhhh, ahnnnn, uhmmmmm, ahn ! Ahn!”
Giovanna succhiò più rapidamente, facendo scandire con più celerità i rantoli affannosi di Olivina, poi con le labbra bagnate lasciò per un istante sulle labbra di mia sorella già aperte per il godimento del liquido bianco dicendole con dolcezza:
“Quello era il tuo latte amica mia…è bello vedere che ne hai ancora !”
“Ahn, sì ! Ahn, ahn ! Ohhhhhhhh” – e riprese a succhiarle quel seno ancora qualche minuto, poi mentre Olivina muoveva la testa a scatto per la meraviglia di aver assaggiato quel latte uscito dal proprio seno lasciatole dalla ninfetta, non sapendo più come o di cosa stava godendo cominciò ad offrire il proprio collo alla giovane amante; la Giovanna non se lo fece dire due volte: continuò a tenerle il seno sulla mano, e cominciò a baciarle il collo con labbra e lingua. Olivina adesso avrebbe collaborato anche senza quei cento ducati che le aveva offerto il notaio per acconsentire. Giovanna, dopo aver catturato la sua amante insicura le aveva slacciato la veste con decisione ed in meno di un minuto era riuscita a denudarla tutta quanta. Neppure Olivina, da brava troia, portava i mutandoni lunghi; solo una fascia di cotone sulla vulva con un nastro posteriore a coprirle l’ano. Sul suo corpo era rimasto solo esso. I due corpi erano uno davanti all’altro quando la Giovanna “riprese il discorso” buttandosi sull’altro capezzolo, e carezzando con entrambi le mani il corpo procace di Olivina: la destra sotto il cotone a cercarle il pelo e la carne delle grandi labbra, onde prendere le misure del massaggio; la sinistra carezzava fianchi e coscia di mia sorella; passò più o meno lo stesso tempo trascorso sul primo seno, anche l’altro ebbe il medesimo trattamento; poi la Giovanna prese a chinarsi sul ventre teso e caldo di Olivina, baciandolo e leccandolo; il ventre anche quello basso non si rilassava: restava teso ad ogni bacio di lei, che, non appena toccò la calda carne della vulva sotto il cotone come a spremerla, il sesso di mia sorella già scaldato dall’alcool, già gonfiato dall’eccitazione indotta da quel femmineo demonietto, cedette una parte del suo bagno. Forse era urina, o forse era quel tiepido brodino che a noi maschi piace assaggiare a piccole gocce…furono le dita ed il palmo della mano destra di Giovanna a coglierne il rilascio. Olivina avea preso a respirare meglio, senza scatti, ed intanto la tenera amante le carezzava il basso ventre con la sinistra inducendone un po’ di rilassamento ed una piacevole correntina superficiale.
“Ahhhhhn!...ahnnnnnn!...ahnnnnn!”
Olivina era nelle mani di Giovanna che ne approfittò per finire di toglierle del tutto quella mutanda alla meglio ed inginocchiarsi a leccarle la vulva bagnata, senza più l’odore della lavanda. Ormai aveva cominciato ad odorare di pesce bollito. Il sesso di mia sorella aveva dato, ma non tutto, non ancora. I capelli freschi della Giovanna solleticavano il basso ventre di Olivina durante il solco di lingua nello spacco e la successiva lappata della clitoride bella gonfia; Olivina non ricordava di essersi bagnata così tanto da tempo mercè così tanta delicatezza. Giovanna le disse:
“Olivina, amica mia, siediti sul tavolo e ti prego allarga un po’ le gambe, vorrei star comoda con la mia testa…”
Olivina obbedì, si sedette, ed allargò le sue cosce; il suo volto chiuse gli occhi e tirò fuori la lingua spontaneamente per un’altra goduta; la parte cosciente di sé cercava di trattenerla senza troppo mostrarla; forse era l’odore di Giovanna, il suo profumo di quei capelli che ora sentiva sotto di sé, a contatto con il ventre ed un po’ del seno turgido ad averla stimolata; subito Giovanna abbassò la testa sul suo sesso gonfio non senza aver introdotto all’improvviso il medio della mano sinistra nell’ano di Olivina, che dopo un istante di imbarazzo e sorpresa per la penetrazione improvvisa decise di accettarlo nel momento in cui Giovanna iniziò a muoverlo con sapienza e la dovuta lentezza. Avrebbe solo aumentato il suo godimento. Con la propria mano destra tratteneva il corpo inclinato all’indietro per favorire le slinguazzate di Giovanna; con la sinistra trattenne la testa di lei sul suo sesso insalivato a dovere dall’operosa amante che ne coglieva ogni sapore ed ogni odore. Come Giovanna allontanava la bocca per respirare Olivina tendeva a ritenerla, e lubrica le disse:
“I tuoi capelli, i tuoi capelli, sì ! Solleticami ancora il ventre, il basso ventre…e dacci dentro con il dito, affondalo, ben bene !”
Giovanna capì e riprese a leccarle la vulva muovendo la testa quanto bastava affinché Olivina percepisse il solletico sulla superficie del basso ventre. Quella vulva stava per scoppiare; un incendio che la saliva calda della ragazza non poteva placare. Giovanna interruppe la leccata ed introdotte due dita dell’altra mano nella fica di Olivina cominciò a masturbarla alternando il dito rimasto nel retto di lei o due dita della destra…retto, clitoride, saliva, e lingua ed altra saliva, e di nuovo quelle due esperte dita della destra a muoversi dentro di lei. Non ci volle molto: mia sorella avrebbe goduto presto, sarebbe stato il solletico al basso ventre caldo dei capelli di Giovanna a far scattare l’orgasmo in Olivina che venne dopo una decina di minuti di quelle sapienti ditate di lei in vulva e retto alternate a lingua sul clitoride.
“Ahn ! Ahn ! Sì ! Ahn ! Uh ! Ancora, ancora ! Ahn ! Uhhhh !”
Giovanna era ancora carica; Olivina invece del tutto scaricata e forse convertita momentaneamente a Saffo.
Il primo orgasmo era compiuto. Il notaro si era apprestato ad osservarle da vicino, senza recar loro disturbo veruno, forse da un paio o quasi da tre braccia, toccandosi sotto il sudario di lino per prepararsi la sua erezione collo metodo suo personale. Le danze le aveva aperte la Giovanna…quest’ultima chiese a Olivina:
“Pensi di riuscire a farmi ciò che ti ho fatto io ?”
“Non so, sei stupenda Giovanna. Tre dita coordinate hanno lavorato meglio del cazzo, ahn ! Incredibile…uhn ! ”
“Se l’hai già annusata alla tua lavorante, hai detto, cosa ti ci vuole per leccarla ?”
“Non so, sono in debito con te Giovanna, non avevo mai goduto tanto con le mani…e con la lingua di una donna!”
Giovanna prese le mani di Olivina e le tirò verso di sé dicendole:
“Vieni, nella tinozza, ti laverò io stessa baciandoti la schiena. Poi, quando sarai seduta comoda ti offrirò la mia piccola vulva, e se lo vorrai, ripeto, se lo vorrai, saprai cosa fare, tanto adesso sai come farla godere…”
“Io…”
“Andiamo a lavarci dai, una fica che ha goduto non ha un buon odore dopo.”
Olivina e Giovanna entrarono nella tinozza ricolma d’acqua. Giovanna si sedette dietro Olivina che immerse nell’acqua metà del suo procace corpo quarantenne. Solo il seno restava sulla linea di galleggiamento. Giovanna poggiando la testa di lato sulla schiena di Olivina assunse un espressione bambinesca mentre le poggiava le mani sott’acqua tra le sue cosce, dove la fica di mia sorella sembrava tornare a nuova vita. La delicata mano sinistra della Giovanna con una spugna morbidissima faceva avanti ed indietro; sopra e sotto sopra la superficie della vulva. Dopo un certo numero di carezze le lisciò anche entrambe le cosce, quindi le lavò il seno: tutte e due le minne di Olivina conobbero la carezza della delicata spugna. Poi Giovanna disse ad Olivina in un orecchio:
“Mettiti carponi, che devo lavarti il buchetto dietro ! Su, che il notaio sta per sfoderare lo spadone…e scommetto che tu sarai la prima !”
Olivina si pose in avanti reggendosi alla tinozza facendo uscire il culo dall’acqua verso il viso di Giovanna che passò la spugna profumata sul muscoletto striato ed ormai allargato di mia sorella, scendendo poi sull’inguine. Olivina allargò di poco le sua ampie cosce per farsi meglio esplorare da quella spugna bagnata e profumata nella lavanda così abilmente utilizzata da Giovanna, una donna che conosceva la delicatezza. Giovanna avvicinò il viso all’ano ed all’inguine di mia sorella e mandò un lungo assaggio con la lingua ed un’odorata col proprio naso ad ano, inguine, e fica; poi di nuovo l’ano. Giovanna sentenziò:
“Sei di nuovo profumata adesso, oh !”
Olivina voltata chiese:
“Cosa c’è ?”
“Il notaio si è tolto il sudario e ha lo spadone fuori ! Resta così ! Aspetta !”
Giovanna accolse in bocca il dotatissimo cazzo del professionista insalivando ben bene la cappella nella sua piccola bocca di donnina ventenne, poi scostando con dolcezza un paio di volte una natica a Olivina valutò quanto poteva estendersi quel gentil buchetto. Limitandosi a spostare la pelle della natica sinistra, e poi anche della destra, determinava da che parte avrebbe aiutato quella cappella ad entrare lì dentro attraverso quell’anello di carne che con l’età andava ingrigendosi. Giovanna uscì dalla tinozza col suo sottile corpo, e non appena allargò entrambe le natiche ad Olivina l’enorme cazzo lungo più di una mano e spesso poco meno di un pollice le violò il buchetto posteriore.
“HAH! Sì, dentro, dentro tutto !”
“Ah! Olivina ! Come siete profonda…mi è già entrato tutto ! Sì, già tutto dentro!”
“Fate notaio, ahn ! Sono piena ! Ah ! Ah ! Ah! Muovetevi, muovetevi!”
Poi mentre i fianchi di mia sorella erano stati presi saldamente dal notaio il suo cazzo si fece strada senza ostacoli dentro quei visceri abituati da tempo a certi ospiti. Olivina non soffriva: il cazzo del notaio era delle stesse dimensioni di quello mio, cioè di suo fratello, quando anni prima la feci urlare nel fondo dei frati il giorno che le morì il suocero. Giovanna s’inginocchiò di fianco ad Olivina che si reggeva a subire la desiderata sodomia; le prendeva i seni, glieli spremeva, glieli rilasciava prima una e poi l’altra, secondo le battute del cazzo di lui nel retto di lei, alternava le prese. Dei seni di Olivina durante il coito anale doveva occuparsi la ragazza fino a quando nella tinozza permaneva Olivina che godeva silenziosamente di quegli affondi nel retto respirando con regolarità.
“Ah ! Ahn ! Ah! Ahn! Uh! Uhnnn! Ahn !”
“Uhm ! Ah ! Uhm ! Ah !”
“Ah ! Ahn ! Ahn ! Ahi ! Ahi ! Piano ! Piano ! Dentro ! Ahn ! Ahi ! Ahi ! No, che fate ?! Uhmmm !”
Nel momento in cui Olivina cominciò a sentire dolore, il notaio uscì dal suo culo col cazzo ancora turgido e ben immarronito…la servizievole Giovanna riprese la spugna, e afferrata la cappella rosso violacea del cazzo del notaio gliela ripulì amorevolmente stringendola e avvolgendola nella spugna impregnata in tutt’uno con l’acqua di rose. Una volta ripulito il cazzo ancora turgido del notaio Giovanna si stese sul vicino tappeto allargando le coscette onde far entrare dentro di sé il notaio. L’uomo scese su di lei penetrandola senza pietà. La ragazza mandò un urlo di piacere data l’invasione della sua piccola fica a cui Olivina non aveva ancora fatto alcuna tenerezza.
“AHHHNNNNNN ! Uh ! Uhm ! Sì! Ahn ! Piano Antonio ! Lo voglio sentire, ahn ! ”
Olivina continuava a meravigliarsi per come quel sesso piccolo la metà di quello di suo riusciva a prendere ed avvolgere quell’enorme cazzo. L’uomo prese a scoparla, e mentre regolava gli affondi Giovanna chiese ad Olivina di abbassare la fica sulla sua bocca; aveva la lingua di fuori e voleva utilizzarla su qualcosa di tenero, morbido, gentile, ed odoroso…di peccato. Olivina abbassò il sesso sulla sua bocca lubrica; Giovanna quando godeva aveva un aspetto molto meno innocente; i suoi capelli si ondulavano ad ogni colpo di lancia di lui… e dei colpi di piena lingua aggredivano il sesso di mia sorella dal basso a completarsi in alto fino alla clitoride senza raggiungerla sempre però. Quando il notaio sentì che non avrebbe tardato a venire uscì d’abrupto dalla fica di lei e subito comandò ad Olivina di finire lei con le mani, e…con la lingua ! Giovanna disse:
“Nooo ! Ancora ! Maledetto ! Non dovevi…noooo…ahnnnn…nooo! Fuori adesso no ! Rientra, dai !”
Il notaio ignorò la richiesta disperata di Giovanna. Olivina, vedendo la rossastra fica di lei ancora gonfia, e poco disposta a richiudersi decise di pagare il suo debito di sensi alla ninfetta Giovanna disperata ed affannante per il mancato culmine col quel cazzone ben addentro, e dopo…fuori ! Contò fino a tre, poi si abbassò su quella fica da far godere. Formarono proprio il sessantanove che voleva il notaio. Esaltata prese a leccare il piccolo clitoride di Giovanna con la lingua leggera e rapida come fosse stata un cane fedelissimo con la padrona; l’odore, nonostante la chiavata era ancora piacevole; al sapore la fica, una giovane fica fece in tempo a notare Olivina, era piacevole sulla lingua visto la morbidezza ed il senso di pelle vellutata della vulva. Era quella lavanda aggiunta dal notaio all’acqua di rose ad aver profumato l’innocente sesso di Giovanna durante l’abluzione. Olivina sapeva che con la sola lingua non avrebbe raggiunto il vero orgasmo, per cui con entrambe le mani massaggiò vigorosamente la vulva diventata rossa di Giovanna, che di rimando aveva introdotto per brevi istanti la propria lingua nella fica ampia di Olivina; piccole inserzioni di disperazione per mia sorella Olivina; quest’ultima sapendo di doverle dare l’orgasmo introdusse due dita assieme nella fica di Giovanna andando avanti ed indietro, velocemente. Poi si fermava per leccarle di nuovo la patacca gonfia, e di nuovo il gioco con la coppia di indice e medio allineati dentro ed il pollice dell’altra mano a stimolare il clitoride fuori. A Giovanna dapprima mancò il respiro, poi dopo un lungo istante di rigidità mandò due schizzi dal meato in faccia ad Olivina.
“AHHHHNNNNN ! Uhn ! Ahnnnnn! Sìiiii ! Uhhhhhhhh !”
Il primo l’aveva sorpresa, ma sapendo che Giovanna stava godendo, aspettò il secondo, e ricevutolo tra occhi e naso, si abbassò a baciarle quella piccola fica bagnata lasciata insoddisfatta dal notaio. Le si irritò il volto ma non le importava. Gliela baciò a lungo, passandoci anche il dorso della linguae Giovanna continuava a godere; poi interrotto quel disperatissimo improvviso sessantanove si piazzò alla pecorina a fianco a Giovanna stesa e scarica, e prese a succhiarle i seni come Giovanna aveva fatto con i suoi. Era un messaggio per il notaio che aveva ripreso ad osservarle con lo spadone di nuovo tra le mani a trattenere erezione e…la prossima venuta ormai inevitabile. Il notaio capì, e violò la fica di Olivina da dietro. Giovanna stava schiacciando la testa di Olivina sul suo seno i cui capezzoli stavolta erano ben succhiati da Olivina scopata dal notaio. Bastarono venti colpi nelle carni quarantenni di Olivina ed il notaio vi riversò una fiumana di sperma che a tratti uscì dalle labbra della fica di mia sorella. Il notaio, venendo, si accasciò sulla schiena di Olivina che non riuscì a tenersi dentro il cazzo; poi si stese a pancia sotto per riposare e riordinare le idee. Giovanna si staccò da Olivina, e, chinatasi un breve attimo sulla natica di lui sopra Olivina, diede un robusto morso facendo urlare il notaio che voleva addormentarsi sul corpo della mia più procace sorella:
“AHI ! Che cazzo fai Giovanna ?! Ahia ! Ahia!”
“Hai detto bene: cazzo ! Così impari a negarmi l’orgasmo ! Era il mio momento bastardo ! La mia topa è talmente piccola che gode subito col tuo spadone, e tu il cazzo lo cacci fuori al culmine ! La prossima è mia ! Intesi?! ”
“È tua, è tua,… promesso !”
Giovanna accennò un altro morso, poi all’ultimo momento desistette:
La ninfetta Giovanna si diresse nella tinozza per lavarsi; venne presto raggiunta da Olivina che garbatamente la aiutò a ripulirsi lavandole la schiena ed il corpo tutto con un po’ meno attaccamento, ma la lavò completamente. Quindi arrivò il notaio chiedendo qualche attenzione dalle due donne che però gli impedirono di entrare in tinozza con loro lasciandolo di fuori. Quindi Giovanna uscì, e dopo essersi avvolta nel sudario di lino di lui cedette il suo posto in tinozza. Olivina preso in mano il cazzo dentro l’acqua cominciò a ripulirglielo con la spugna, quindi abbassò la testa, e si apprestò a fargli una bella fellatio. Intanto Giovanna osservandoli aveva iniziato a toccarsi pregustando il secondo sparo dello sperma di quel bell’uomo; era stato promesso a lei.
- Continua –
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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