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Mi distesi sul pavimento 3a par.- Il preludio


di sexitraumer
02.07.2009    |    16.874    |    0 7.5
"Del resto lei stessa una verginella della legalità non era; qualche fermo per le sue canne se lo era già fatto in passato..."
Poche mattine prima dell’incontro, mentre mi preparavo per uscire, ricevetti verso le nove sul mio cellulare un sms da Ilde, la mia amica di medie e dell’esperienza semilesbo. Diceva il messaggio: “ Ricordi le foto quelle lì in basso? Ti ho fatto il cd, ké fai? Dai vieni? ”. La mia mente pensò al piacere che provai con la carota dentro la vagina che si muoveva da sola mentre Ilde era andata a prendere l’altra che mi avrebbe sodomizzata. Digitai la mia risposta: “ Vengo stasera alle 8, ma non mi trattengo. Grazie del cd. Però no 6x”. Il numero 6 con la ics stava per sex. Non avrei scopato con Ilde quella sera. Ero certa che Ilde, da donna sveglia quale era, avrebbe capito il significato di quel sei ics. Ilde in fondo era stata onesta; per lealtà mi aveva fatto il cd con le foto alla mia topina penetrata con la carota. In realtà, dietro mia improvvisa (e per me inspiegabile) richiesta, ero stata penetrata anche dietro. Di carote allora ce n’erano state ben due dentro di me. Ilde accortamente non aveva mai ripreso il mio volto (almeno credo). Anche mio fratello Carlo, come già saprete, mi fotografava il sesso con gli stessi accorgimenti. Essere ripresa in stato di sonno o comunque di incoscienza non mi piaceva. Mi sentivo derubata. Tuttavia consideravo tutto ciò una conseguenza della foto digitale, e della praticità che offriva a tutti, sì proprio a tutti! Se ci fossero ancora soltanto fotocamere a pellicola mio fratello non saprebbe dove attaccarsi, poiché lui con la chimica non ci ha mai voluto avere a che fare. Non è il tipo che potrebbe gestire da solo una camera oscura, dei liquidi di sviluppo da smaltire o ingranditori, tantomeno luci di sicurezza, o carte da stampa. Ho chiesto ad un nostro comune amico di nome Angelo, appassionato di fotografia, cosa ci vuole per stampare a casa: mi ha detto che se ci si limitava al bianco e nero con duecentomila lire ci si poteva allestire una camera oscura casalinga comprando un barattolo chiamato tank con una spirale di avvolgimento per la pellicola, e i liquidi di sviluppo e fissaggio, termometro e vaschette varie. Poi però c’era un altro mezzo milioncino per un ingranditore buono, e una cinquantina di mila lire per una piccola dotazione di carta da stampa e lampadine gialle o rosse di sicurezza...io gli chiesi se così si potevano sviluppare le pellicole a colori, e lui mi disse che assolutamente non era possibile in casa. La pellicola colore, la negativa, va sviluppata a 38 gradi costanti sbagliando non più di uno in più, ma non in meno (che palle ! Sempre pedante quello lì quando ti spiegava qualcosa!). Poi anche la stampa su carta colore era più complessa perché la carta colore non sempre tollera la lampada di scurezza...insomma, detto in breve, se non avessero negli ultimi anni perfezionato la fotografia digitale, Carlo il mio corpo nudo se lo poteva dimenticare non riuscendo ad immaginare a chi avrebbe affidato lo sviluppo e la stampa delle “foto galeotte”. Angelo mi disse che esistevano delle sviluppatrici elettriche da tavolo ma costavano comunque molto. Ringraziai Angelo per la sua gentile consulenza maturata con anni di lettura di riviste fotografiche (ma scusate la malignità!- secondo me anche pornografiche) facendomi fotografare anche da lui -ben inteso ben vestita!-, qui verso l’anfiteatro romano. Mi ha promesso che curerà tutto lui. Stampe e depliant. E poi me le darà gratis in cambio di niente, poiché niente mi era costata la compagnia che avevo fatto ad Angelo in cambio della sua consulenza. Povero Angelo, nemmeno sospetta che foto mi sono fatte fare da mio fratello Carlo o da Ilde! Pensavo tra me e me mentre andavo all’università, che Ilde non l’avrebbe mai data né a Carlo, né al troppo ingenuo ed onesto Angelo. Uno sfigato quest’ultimo, non brutto in verità, che di certo non aveva una sorella troia-troietta come me. Secondo me non ha ancora trovato una donna tutta sua. Dovrebbe trovare o una matta o una martire che lo stia a sentire... “Lasciai” Angelo e nella mia mente mi chiedevo perché la Bonanno non mi aveva ancora contattato. Forse ci aveva ripensato. Devo ammettere che ero curiosa. Mio fratello ci sarebbe riuscito ad ingropparsi la sua professoressa di medie dopo tanto tempo? Va bene che si è conservata benissimo, ma sempre “signora” è... insomma una certa età ce l’ha che diamine! E mio fratello Carlo una cosa di certo la sottovaluta: la vulva a quell’età non è tanto morbida, e potrebbe deluderlo non poco. Poi chissà se la professoressa ami veramente concedere il suo ano. Se glielo rifiuta ? Certo potrei sempre concederglielo io il “cambio di cavalcatura”; oppure come reagirà Carlo vedendo don Gianluca, il giovane prete che mi si prenderà né più né meno di mio fratello. I miei pensieri vennero interrotti dal professore di economia monetaria. La lezione era appena iniziata. Lui il vecchio professore con la giacca impolverata dal gessetto parla di base monetaria, di passività liquide emesse dallo Stato, di fabbisogno...la mia mente non riusciva a non distrarsi. Forse era stata colpa dell’sms di Ilde. Non mi concentravo proprio. Una compagna di corso mi aveva passato il foglio delle firme di presenza. Quell’esame era meglio farlo da frequentante. La mia penna restò sospesa sullo spiazzetto bianco di un paio di quadretti di altezza. Per tre o quattro secondi mi ero dimenticata proprio come mi chiamavo; curioso ed imbarazzante al momento della firma. Poi scrivendo la mia matricola mi ricordai anche il mio nome: Daria. Dovevo cercare di fare mente locale: di pomeriggio non avrei studiato dato che lavoravo al bar dove offrii il Martini alla Bonanno, venutami “a trovare” dopo le mie “visite” più o meno analoghe in Chiesa, alle Messe di Don Gianluca. Sempre a quella pensavo! Chiesi, per provare a sintonizzarmi con il professore, di vedere il libro di testo che avevo intravisto ad un ragazzo che sedeva avanti a me. Il professore mi vide e disse rivolto a tutti (l’aula era piccola; eravamo si e no quaranta):
“Lasciate stare il libro ora! Io lo conosco. L’ho scritto io! Guardate me ora! Qui alla lavagna! Sul libro studierete a casa, ora guardate...il parametro k è al denominatore di questa frazione; capite, se k tende a zero, e tende a zero vuol dire per chi è stato digiuno di algebra, che si avvicina a zero ma che in realtà non tocca mai quel valore! Insomma, in breve la quantità Q, quella che sta sopra al numeratore, è fissa! Allora ne consegue che l’espressione tenderebbe all’infinito, cioè il risultato è infinito...qui sul grafico cartesiano la curva si avvicina all’asse delle ics senza mai toccarlo, se non all’infinito...si dice che è asintotica rispetto all’asse delle ascisse...dovrete familiarizzare molto con questo termine: asintotico!”
Il professore tracciava la curva con il gessetto. Non si era accorto che la camicia gli era uscita dai pantaloni lì dietro ai reni mentre il suo braccio destro sollevava la giacca durante il disegno. Cercavo di seguire, per fortuna mi era tutto chiaro, ma io e il professore viaggiavamo su due onde diverse. La prima ora se ne stava per andare. Il professore il quarto d’ora accademico non lo rispettava però la seconda ora la faceva durare solo mezz’ora. Per me in tutto dovevano trascorrere altri tre quarti di ora. Le successive due ore le avrei passate a studiare in biblioteca. Avrei sacrificato un’altra materia. Poi dalle 14,30, dopo la mensa, sarei andata a lavorare al bar fino alle 19. Il pomeriggio trascorse tra libri, un pasto discreto, e molti caffè da servire e conversazioni di circostanza fatte con i clienti del bar. Alle 20 prima di tornare a casa mi recai da Ilde. Era vestita con una camicetta femminile bordeaux e dei pantaloni grigi di gessato. Molto elegante. I suoi capelli avevano proprio un bel taglio. Si stava preparando per uscire. Mentre si dava gli ultimi ritocchi di trucco alle ciglia mi disse:
“Il cd l’ho messo sotto il libro di privato, quello con la copertina rossa. Prendilo.”
Entrai nella stanzetta sua a prenderlo.
“Ti devo quanto?”
Ilde continuava a dipingersi le ciglia allo specchio senza troppo badare a me.
“Niente. Che vuoi che costi un cd?”
“Grazie. Sei una donna gentile. Non le metti sul web vero?”
“No, sono solo per il mio album personale. Stai tranquilla. Non ti ho mai tradita.”
“Dove vai stasera?”
“A cena tra virgolette con un politico! Uno della Re...” - Ilde s'interruppe. Non voleva dire poi tanto e dire quella prima sillaba era già troppo. Ingenuamente insistetti.
“Chi è?”
Mi sussurrò il nome a voce talmente bassa che in realtà avevo letto le sue labbra. Non vi dirò che era. Ilde la sua incolumità la costruisce anche con una sua certa discrezione. Per come la conosco non dice no a nessuno quando sono importanti. Poi rivolta a me disse:
“Prenditi un appunto. Se non hai la penna ecco, fai con questa !”
Mi diede una matita da occhi. Poi mi disse seria senza sorridere:
“Segnati questa targa. Verranno tra mezz’ora con una BMW nera. Mi chiamano con uno squillo al cell e scendo. Chiaramente non è quella con cui vanno in ufficio.”
Segnai la targa come mi aveva detto lei su un foglietto trovato in terra vicino l’ingresso, un vecchio scontrino sbiadito.
“Sai, se mi dovesse succedere qualcosa, corna facendo, vieni qui! Ti prendi il mio album personale sul computer; te lo scarichi sulla chiavetta in copia, insomma lo lasci sul computer e lo copi anche sul tuo, e poi vai a tutta birra alla Polizia o ai Carabinieri con la targa. Va bene?”
“Hai paura di qualcosa?”
“Non si sa mai. Lui in casa non può ospitarmi, sai per la moglie. Invece andremo nella villa di un privato, qui fuori città, è circondata tutta da siepi. Nessuno può vedere che succede dall’esterno. Comunque appena arrivo ti faccio uno squillo. Non occorre che rispondi.”
“Un privato? Volevi forse dire un mafioso?...”
Ilde non mi rispose niente. Si limitò ad un’alzatina di spalle. La risposta era sottintesa. Del resto lei stessa una verginella della legalità non era; qualche fermo per le sue canne se lo era già fatto in passato. A trattare anche con certa gente assecondando i loro desideri era abituata. La guardai sotto una luce diversa. Io non mi sarei mai assunta i suoi rischi! Ilde mi disse:
“Intanto arrivano, sarà questione di minuti ormai, me la fai dare una leccatina alla patacca? Casomai fosse l’ultima volta...sai la tua mi era proprio piaciuta, di sapore intendo, sei fortunata ad averla così!”
“Sei incorreggibile. Ma in riformatorio ti hanno mai messa?”
Ilde sorrise. Io aspettavo la sua richiesta: inconsciamente sapevo che me l’avrebbe fatta. Mi sollevai la gonna. Eravamo davanti allo specchio dell’ingresso. In piedi io con le gambe nude senza i collant, e prontamente inginocchiata lei, col volto già davanti al mio bacino. Ilde disinvoltamente mi calò le mutandine. Era un gesto che amava fare. Mentre maledivo me stessa per aver ceduto di nuovo potevo sentire il suo alito che si faceva strada tra le mie coscette interne; un solletico caldo e sottile. Poi dopo aver aperto la sua bocca davanti alla mia vulva iniziò a solcarmi lo spacco con la lingua nonostante la peluria. Tra pochi secondi avrei sentito anche la saliva portata dalla sua lingua esperta sul mio sesso ad ogni slinguata sempre meno imbarazzato. Non avrebbe tardato a gonfiarsi. Feci un altro passo verso il mondo di Saffo. Mi ero tolta la gonna, ed avevo lasciato cadere in terra le mutandine che mi erano rimaste tra le caviglie, ed ora speravo anche che Ilde mi ficcasse un po’ il dito nel culetto, ma non accadde. Questa volta, senza accorgermene, avevo preso a tenerle la testa premuta contro la mia fica. Muovevo il mio bacino, e la sua testa si muoveva con lui, armonicamente. Cedevo odore e calore intimo al suo viso. La vulva veniva bagnata dalla sua bocca. La lingua di Ilde era diventata più veloce, ma io a godere così almeno un po’ ci metto. Ilde leccava, leccava, ed io ormai rantolavo. Respiravo veementemente per darle dell’eccitazione e soddisfazione. In realtà stavo godendo ancora poco. Il respiro di Ilde contro il mio pelo si era fatto affannoso. Dovevo mollare un po’ la presa alla sua nuca, o non avrebbe potuto respirare. Bell’imbarazzo se l’avessi soffocata! Mentre carezzavo le sue guance per incoraggiare altre sue leccate sentii un ronzio. Era il cellulare di Ilde. La macchina doveva essere arrivata per prelevarla. Lei diede due ultime (vidi) robuste leccate, mi sentii la vagina invasa dentro un paio di secondi ed un dolorino alla clitoride con l’ultimo colpo di lingua, poi allontanò il suo viso. Ci staccammo, la mia gonna la lasciai in terra all’ingresso e nuda di sotto andai istintivamente alla finestra e vidi che effettivamente c’era una BMW nera sulla strada, ma aveva i vetri oscurati. Ilde che nel frattempo si era asciugate le labbra allo specchio si ridiede due colpetti di rossetto, lo ripose insieme al suo telefonino nella borsetta, e lanciate le chiavi di casa a me, infilò la porta e scappò di sotto. Ilde si fidava di me. Non era la prima volta che le custodivo le chiavi di casa. Tanto domani mattina sarebbe passata prima da casa mia a farsele ridare. Se pure le avessero fatto qualcosa avrebbero dovuto sfondare la porta per carpire o cancellare i suoi segreti non rivelabili. Nemmeno io volevo entrare in quei segreti, se non era necessario. Feci in tempo a vedere che le fecero trovare aperto lo sportello posteriore. Ilde entrò in macchina. L’auto ripartì. Mi voltai dando il mio culo alla finestra e mi diressi verso il bagno, a lavarmi la vulva. Era tutta spettinata per il suo attacco linguale e labbiale. Era a tratti macchiata del rossetto. Me la lavai e la ripettinai con una delle spazzolette di Ilde, poi messo un po’ in ordine un po’ dappertutto chiusi a chiave la porta con tutte le mandate ed uscii. Erano circa le nove di sera quando tornai a casa. I miei stavano cenando ignari di questa mio “doppio orientamento sessuale”. Nemmeno a Carlo, mio incestuoso amante sempre meno occasionale, avevo detto tutto circa i miei nuovi rapporti con Ilde. Erano tutti e tre a tavola e mi favorirono il posto. Mangiai tiepido solo quello che trovai, poi quando papà e Carlo andarono in soggiorno a guadare la TV, finito il mio di pasto, aiutai mamma a sparecchiare e a lavare i piatti. Mamma esordì:
“Si sono preoccupata per Carlo.”
“Che ha?”
“Mi preoccupa! Scarica troppe donnine nude, insomma troppe - come dire? - fiche dal web. Ne ha il computer pieno! Lo so perché sono gli unici file che ci vuole la password per aprirli. Madonna Santa quante ne ha! E una ragazza sembra proprio che non riesca a trovarsela. Non va mica bene!”
Ci credo! Lo pensai senza dirglielo. Finché gliela davo io che bisogno aveva di trovarsela una donna? Comunque mamma aveva guardato nel computer di Carlo, e questo autorizzava pensare che ne avesse comunque informato papà. Fortuna che Carlo utilizza la criptatura dei file! Altrimenti non avrebbero tardato a capire di chi era quella fica o quel culo!
“Tu sai mica perché è così ?”
Dovevo sviarla il più possibile. Niente di più semplice che sottolineare ciò che già appare.
“Perché non ci tiene a non apparire coglione! Ho un fratello ignorante, e molte ragazze se ne sono accorte...tutto qui!”
“Sarà anche così. Tu non gli puoi presentare qualcuna delle tue amiche?”
“Non sono tanto belle, e lui le vuole belle! Solo che quelle belle non sono per lui!”
“Tutte stronze ? Come quelle del mare?”
Dal mio punto di vista lo stronzo era il mio amato fratello. Non volevo impegnarmi troppo con mamma per cui risposi generica, ma senza chiuderle la porta:
“Vedrò cosa offre l’università. Di più non posso fare. Io comunque mi sono cercata un lavoro! Lui no!”
“Già, è vero anche questo! Ma sembra così giovane ancora...”
“Mamma lo hai sempre coccolato troppo e questo è il vero guaio! Io sono sempre stata più indipendente! Finiamo questi piatti che vorrei andare a dormire! Oggi sono stanca. Veramente.”
“Hai ragione Daria, hai ragione! Dai qua! Finisco io...”
Lasciata la mia parte di piatti a mia madre perché li asciugasse mi recai in bagno per lavare i denti e fare la pipì, quindi augurai la buona notte a tutti e finalmente me ne andai nella mia stanza. Guardai il cellulare e c’era una “chiamata non risposta”. Identificai il numero; era quello di Ilde. Era arrivata alla villa mezz’ora fa, mentre cenavo. Feci quello che avevo fatto tutta la giornata: cercare di non pensare a lei. La verità era però inconfessabile per me: che mi leccasse la patacca, come la chiamava lei, a me piaceva. Mi piaceva anche fottermene delle convenzioni sociali però! Per questo avevo preso a darla a mio fratello Carlo; ora però ero in uno di quei momenti dove la mia personalità internamente si triplicava: mi accusavo, mi difendevo, mi giudicavo! Mi trovavo un’attenuante, mi rigiudicavo e alla fine rinunciavo a difendermi. Per mio fratello Carlo l’affetto ce l’avevo (anche troppo) e lo chiudevo tra le gambe oltre che tra le braccia quando eiaculava dentro di me. Poi scarica ripensavo più freddamente, e concludevo che finché gliela concedevo io una sua ragazza non era troppo motivato a cercarsela. Dovevo andarmene dalla nostra città visto che mi sentivo sballottata tra la trasgressione con mio fratello e quella saffica con Ilde. Era passato abbastanza tempo dall’acquisto del dildo! Come fui felice di essermelo procurato quando ero minorenne con un’amica compiacente...ero la padrona completa dei miei pertugi che stimolavo con qualcosa di molto personale, personalissimo. Poi i disegni di Carlo, la sua passione per l’amore anale con le mie chiappette, il ritratto nuda, ed io che mi feci scopare del tutto. Se avessi detto di no a Carlo allora, oggi avrei potuto a buon diritto dire ad Ilde di contenersi; ed invece le ho alzato la gonna io stessa...ero io quella che non andava! Mica Carlo, mica Ilde, che potrei invece considerare, se non lesbica, di sicuro bisex! Presi il cellulare, lo spensi per mettervi dentro una sim di riserva che avevo concordato con Carlo (al cui cellulare sarebbe comparsa una fantomatica Maria C.) e gli mandai un sms con scritto il nome della nostra vecchia scuola. Voleva semplicemente dire che l’indomani gliel’avrei data non appena fossimo rimasti soli. Non necessariamente nella vecchia scuola. Anche a casa nostra ormai. La comodità aveva i suoi vantaggi. Che si tenesse pronto senza ammazzarsi di seghe. E se mio fratello aveva ben compreso le mie lamentele dell’ultima volta avrebbe anche osservato una certa astensione dagli alcoolici che forse avrei premiato bevendogli lo sperma. Poi spensi il telefonino, e provai a dormire. Né mamma e papà né Carlo vennero a disturbarmi. Non avevo alcun bisogno di chiudere a chiave. Stavolta sapevo cosa dovevo fare: organizzare l’orgetta con la Bonanno, far fare una mega scopata a mio fratello, e poi... sì finalmente ritornavo padrona della situazione. Ora lo sapevo. Era la cosa più ovvia e l’avrei dovuta fare tempo prima! La mattina dopo non avevo lezione. Anche mio fratello era uscito. Andai a fare una passeggiata da sola. Prima però andai verso la casa di Ilde. Mi stava aspettando al tabaccaio sotto casa sua. Le restituii la chiave, poi senza salire da lei, le dissi che il racconto della serata di Ilde me lo avrebbe fatto un’altra volta. Le dissi che dovevo fare delle cose irrimandabili (e di un rapporto lesbico in realtà non ne avevo nessuna voglia dentro di me sul momento). Ilde restò delusa, ma avevo altri programmi per la mattinata. Andai di nuovo a trovare Don Gianluca per vedere se stava amministrando Messa. La Chiesa era vuota. Mi sedetti in una panca di quarta fila a sinistra. Guardavo l’interno della navata con gli affreschi, i candelabri e delle illustrazioni a mosaico raffiguranti sia degli Angeli che qualche Santo. Al centro campeggiava un crocifisso che in verità non avevo il coraggio di guardare. Tanto mi ero macchiata di peccati sia con Ilde che con Carlo, mio fratello. Non me lo ricordavo se l’incesto era o no peccato mortale. Se fossi morta improvvisamente, senza confessarmi, andavo in Paradiso o all’Inferno? O meglio quanto Purgatorio avrei dovuto scontare? Ripensavo a quella lontanissima sega di pietà che feci a mio fratello nella terrazza di casa nostra quando eravamo puberi da poco, poi al dildo che avevo sempre adoprato da minorenne, poi al sesso incestuoso con Carlo nella nostra vecchia scuola, ed infine ad Ilde. Ne conclusi che se la sega o il dildo erano tutto sommato peccati perdonabili, il resto proprio per niente! Destinazione Inferno...Trasalii all’improvviso sentendo una mano sulla spalla destra. Era il mio momento? No, naturalmente no. Non era Satana che era venuto a prendermi. Era solo Don Gianluca che mi voleva salutare. Beh, devo ammetterlo, mi ero spaventata e mica poco!
“Cosa fai qui?”
“Nulla, avevo voglia di vederti.”
“Sono qui. Solo che per l’ora di pranzo, poi arriva lei.”
“La professoressa?”
“Sì, oggi devo pranzare con lei e sua madre, ma con l’occasione mi presenta anche agli zii.”
“Ma lo sanno che state assieme?”
“I più intelligenti forse, anzi direi che lo sospettano di sicuro! Comunque io sono solo un consigliere spirituale della professoressa loro parente.”
“A che ora devi dire la Messa?”
“Avrei già dovuto dirla. Ma senza mentirti davanti a lui ”- e mi indicò il crocifisso -“ non ne avevo troppa voglia, e così sto saltando il turno. Oggi pomeriggio poi la dirà Don Alberto, il mio collega.”
“Faresti una passeggiata con me, breve breve, poi torniamo qui quando arriva lei. Me ne andrò senza farmi vedere.”
Don Gianluca, (che era rimasto attratto da me e dalle mie mutandine sotto al primo sguardo - eh, sì! Me ne vanto!) approvando la mia richiesta mi disse:
“Andiamo.”
La passeggiata fu molto innocente. Don Gianluca si tenne l’abito nero di prammatica con il colletto bianco e ci incamminammo verso la stazione passando obbligatoriamente per il centro storico pieno di palazzi di tufo giallo chiaro, a due piani, costruiti nel periodo rinascimentale e barocco. Intanto che parlavamo amabilmente del più e del meno e delle nostre ultime giornate; mi accorsi che lui per fortuna distoglieva lo sguardo per discrezione quando prendevo il mio cellulare e scrivevo un sms. Mandai subito un messaggio ad Ilde. Le dissi di venire con la sua digitale dove avevo intenzione di portare Don Gianluca, e di rimanere ivi nascosta in attesa del nostro arrivo. Giunti che fummo sul posto, ossia un vecchio edificio ferroviario con materiale rottamato di vario genere con il mio amico prete, sorpreso per il posto dove lo avevo portato, giocai la mia carta calandola subito nel piatto. Fui diretta:
“Sai mi ricordo come hai guardato le mie mutandine quel pomeriggio nella vecchia scuola!”
“...”
“Ti andrebbe di scoparmi? Qui ! Ora! Mi devi solo prendere! La mia fica è più stretta e morbida di quella della tua professoressa! Vorrei proprio sapere come fate voi preti ad astenervi...”
Mi sollevai la gonna con la destra, e scoperte le mie coscette nude, scostai con la sinistra un lembo delle mie mutandine bianche per mostrargli ciò che traspariva delle grandi labbra e della mia peluria pubica. Più invito di quello! Don Gianluca esitava. Gli dissi decisa:
“A quest’ora non c’è nessuno! Sono a pausa pranzo! Mi appoggio su quel tavolo da lavoro e se vuoi mi ci stendo! Tanto la sega circolare è spenta da anni. Su dai, mi prendi le chiappette, e mi trombi, mi sbatti...e scopami! Dai!”
Mi tolsi del tutto le mutandine lasciandole cadere in terra e per continuare a provocarlo andai a sedermi a gambe incrociate sopra il tavolo da lavoro. Il mio corpo era per lui, tra dei vecchi intagli di mattoni in tufo, aprii le gambe lentamente e gli mostrai la mia vulva pelosa. Don Gianluca si guardò intorno degli attimi poi si avvicinò baciandomi la bocca e mettendo la sua mano tra le mie cosce. Aveva cercato e trovato la mia lingua trasformata in una succulenta bistecchina. Mi frugava anche il seno con la mano sinistra. In quei momenti di esaltazione erotica mi ero accorta che era arrivata anche Ilde con la digitale e la stava usando di nascosto per immortalare i nostri momenti di sesso sfuggevole, intenso, e galeotto. Molto galeotto. Lui stava tradendo la sua donna con me! Mentre Gianluca continuava a frugarmi mi tolsi la giacca dato che sentivo anche non poco caldo. Ero rimasta in camicetta sbottonata, e con le chiappette un pochino graffiate dalla polvere di tufo. La sua faccia aveva finito di baciarmi ed intuendo che stava scendendo per leccarmi la vulva mi distesi del tutto sul tavolo allargando le cosce nella posizione del parto. La testa di Don Gianluca precipitò sulla mia fica con la lingua già estratta, e dopo pochi violenti secondi si stava servendo leccandomi freneticamente quel brodo di femmina che doveva aver pregustato quando mi guardò sorpreso le mutandine quel pomeriggio. I calcoli me li ero fatti bene. Mi voleva proprio lì! Guardavo il soffitto con i metalli del telaio e le murate laterali annerite. Di Sole ne entrava poco dalle finestre. La mia vista tremava. La lingua del mio nuovo amante mi stava facendo godere. Riuscii ad intravedere Ilde che si toccava le parti intime tra uno scatto e l’altro. Quella troietta di Ilde era più puttana di me! La lingua famelica di Don Gianluca tra le mie carni intime mi piaceva, ed io deliziata respirando ansiosamente gli tenevo la nuca premuta contro le mie cosce accoglienti (ah, se mi avesse leccato anche quelle!). Se continuava a scavarmi in quel modo cercando di trarre chissà quale nettare per il suo palato avrei goduto, un poco e basta però, no! Il pretino doveva smetterla o gli sarei venuta in bocca poco copiosamente ed il mio piacere sarebbe finito abbastanza presto. Scoprii che le mie natiche erano ormai ricoperte di polvere di tufo. Se me ne fossi sporcata anche la fica avrei sentito soltanto del male in penetrazione. Gli dissi di smetterla con la lingua e di metterci il cazzo:
“Basta lingua, ahnnnn, uh! Ahnnnnn, mettici il cazzo, lo voglio! Ora!”
Continuò a leccare ancora dei secondi, il tempo di calarsi i pantaloni e di tirarlo fuori con la mano sinistra, visto che con la destra mi teneva scostata una coscia per continuare a leccare, ostacolando i miei inviti a smetterla mentre cercavo di chiudere le cosce di poco. La mia vulva doveva sapergli molto meglio rispetto a quella della Bonanno. Le mie cosce erano larghe e tese per lo spasmo della leccata. Non mi ero accorta che Don Gianluca aveva staccato la lingua ed il viso. Mi sembrava di averlo ancora tra le cosce, quando all’improvviso sentii tutt’altra sensazione, tempo un istante e divenne molto piacevole. Era il suo cazzo duro che faceva onore alla mia sorchetta. Mi era entrato dentro e tutto lasciava presagire che avrei goduto. Anche per me era una sensazione nuova. Abituata da tempo al pisello non troppo largo di mio fratello Carlo, il membro del pretino era molto più generoso in larghezza. Detta in breve Don Gianluca aveva un “signor cazzo”. Il pretino mi stava amando come desideravo ma al piacere si stava aggiungendo anche un fastidioso prurito, quando non un dolore, per il tufo che irritava la carne delle mie chiappette sudate per il calore emesso dai nostri corpi. Don Gianluca mi sbatteva ed io sussultavo ansimando. La mia vagina era violacea per il piacere che provavo. Il mio chiavatore era sceso su di me. Ormai sentivo tutto il peso del suo corpo. Mi stavo sporcando anche il vestito di spalle. Don Gianluca teneva gli occhi chiusi sul mio collo, o su quanto riusciva a baciare del mio seno adolescente. Continuava a non accorgersi che la mia amica Ilde stava fotografando la nostra scopata senza usare il flash. Ilde provava ad avvicinarsi in punta di piedi e rise quando ebbe sull’inquadratura il culo bianchissimo con i peli rossi chiari di Don Gianluca. Azzardò qualche inquadratura di profilo per poi sparire repentinamente e riposizionarsi di spalle. Mi venne un’idea: scopando le feci segno alzando una mano ed indicandogli il sopra. Il mio pretino mi scopava ignaro. Speravo che la mia amica e complice avesse capito. Ilde capì, e si andò a cercare un altro punto di inquadratura al piano superiore, tre metri sopra a noi, dal quale ci avrebbe ripreso da sopra. Pensavo quanto sarebbe stato divertente riguardare quelle foto con la mia amica e complice. Ormai Don Gianluca aveva i pantaloni del tutto calati. Ilde stava fotografando gli ondeggiamenti del suo bacino sul mio corpo steso sul tavolo di metallo. Facevo un po’ di scena con i miei respiri e sospiri. Don Gianluca, sempre così flemmatico, era eccitato a dovere. Anche il suo batacchio era ormai durissimo dentro la mia topa ben bagnata. Mi stavo accaldando. Solo quel calore mi compensava del freddo del metallo a contatto col mio culetto e la mia schiena ormai indolenzita per il peso. Il calore si manifestava a ondate, dalla mia fica al cervello e poi di ritorno alla passera che ne restituiva una parte alla punta della sua cappella che cercava sospinta dal suo bacino il massimo affondo. Era un amplesso infuocato e veloce purtroppo. Il mio pretino mi baciava affamato del mio corpo, e devo dire che questo mi piaceva non poco. Speriamo – pensai- che Ilde sapesse cosa voleva dire inquadrare. Mica posso fare scopate così disagiate tutti i giorni anche se avevo maturato un certo talento nel fare sesso nei posti più impensati. Il piacere mi stava pervadendo e quando il mio pretino cominciò a stringermi con decisione una zinna tra un’affondata e l’altra sentii che l’orgasmo mi stava montando; questione di un minuto ed avrei goduto. Per essere un prete Don Gianluca ce l’aveva bello duro! Cominciai ad incoraggiarlo direttamente aumentando il rumore dei miei sospiri di piacere:
“Dai, ahn! Dai! Ahnnnnn! Dai, dai! Vai bene! Dai! Sì!...sì! Ahnnnn!”
Anche lui godeva e mica poco!
“Sì Daria! Uh! Uhnnnn! Uh! Uh! Uh!...! Sei...mia! Sì, ti voglio!”
“Ahnnn, ahnnn, dai Gianluca, riempimi! Voglio che mi riempi tutta! Ahnnn!”
Baciai il mio pretino due volte sulla bocca. Quando gli leccai il viso decisa e arrapata dai suoi affondi Don Gianluca ebbe un sussulto e mi venne dentro. Finalmente! Mi riversò un bel pieno di sperma. Caldo, denso, e appagante mentre scendeva dentro di me. Era una stupenda sensazione sentirlo scendere in quantità, mica due goccette da segaiolo esaurito. Se era la Bonanno a farlo schizzare così onore al merito alla vulva di quella donna! Ero riuscita e spremergli cinque colpi che sentivo abbondanti. Sapevo in quel momento cosa dovrebbe o potrebbe provare un’automobile quando il benzinaio gliela mette dentro tutta, la sonda e la benzina! Purtroppo non avevo un totalizzatore con cui misurare il mio orgasmo. Solo un attimo prima lo avrei mandato fuori giri! Il mio viaggio nel piacere era alla fine! Mescolammo i nostri liquami mentre ci raffreddavamo. Percepivamo, per lo meno io, il nostro sudore. Guardai furtivamente verso l’alto, Ilde non c’era più. Probabilmente se ne era andata. Anche Don Gianluca si era riposato abbastanza su di me: il migliore dei materassi. Gli chiesi di alzarsi. Lo fece a malincuore e zoppicò a recuperare i pantaloni neri. Non ce ne eravamo accorti ma ci eravamo intorpiditi entrambi. Anche io sentii non poco dolore alla schiena mentre cercavo di riassumere con uno scatto la posizione eretta. Avevamo scopato a mezzo metro dalla lama tagliatrice dei mattoni, un cerchio dentato di un metro di diametro. Don Gianluca distrattamente non si era degnato di aiutarmi. Pazienza, in fondo qualunque uomo dopo il sesso intenso è troppo scarico per essere raziocinante: è per questo che ci regalate un po’ quello che noi donne vogliamo. Presto o tardi (meglio presto) alla fine ce lo date sempre. Una donna, Vostra Madre, ci metterebbe vent’anni a fare di voi o di suo figlio un UOMO ed un’altra donna ci mette venti MINUTI a farne un cretino! Non so chi l’abbia detto ma ora ne avevo la prova; sul campo! Sbadigliai ancora seminuda seduta su quel tavolaccio. Feci ondeggiare anche le gambe come una bambina. Col polpaccio toccai una levetta. Un cortissimo attimo di curiosità per il rumore elettrico improvviso seguito da un lunghissimo secondo di autentico terrore: vidi avviarsi la sega. Fortuna che non ero su una carrucola mobile! Mi buttai a terra d’istinto benché fossi lontana dalla lama scudata un buon metro credo. Caddi da mezzo metro o poco più e mi sbucciai entrambe le ginocchia. Anche Don Gianluca si era destato. Guardò sotto il tavolo e spinse un po’ di pulsanti finché dopo dieci angosciosi secondi non trovò l’interruttore che la spegneva. Mi ero appena terrorizzata per lo scampato pericolo e mi stava già passando. Ero però preoccupata. Con quel rumore avrebbe potuto accorrere qualcuno. Mi alzai, mi rivestii senza badare alla mia topina sporca, alle escoriazioni alle ginocchia, né alle mie chiappette intufate. Reinfilandomi le mutandine me ne accorsi che ero ancora sporca. Dissi al mio pretino:
“Dai corriamo, prima che arrivi qualcuno!”
“Dai calma! Gli dirò che sono stato io!”
“Figurati! Via svelto!”
Cercai di tirare Don Gianluca per il braccio. Lui se ne voleva andare tranquillamente, io me ne volevo scappare. Alla fine corremmo e lasciammo il cantiere. Non fui tranquilla finché non fummo di nuovo in strada. Solo allora diminuii il ritmo del mio respiro. Camminare mi causava irritazione. Chiesi al mio nuovo amante di entrare in un bar e prendersi entrambi qualcosa. Io dovevo andare in bagno assolutamente: per lavarmi, e per pisciare, almeno un po’. Così cercammo un bar. Eravamo un prete e la sua pecorellina (appena pasciuta). Trovato il bar chiedemmo il bagno e ci venne favorito con un certo disprezzo; mentre Don Gianluca si pagava un caffè io potei finalmente sentire la dolcezza dell’acqua sulla mia pelle, sul mio sesso. Mi lavai alla meglio usando la carta igienica bagnata. Mentre soddisfavo la vescica squillò il mio cellulare. Non riuscivo ad identificare il numero. Era privato. Lo lasciai squillare, poi risposi.
“Pronto...”
“Hei! Zoccoletta dico a te! Dov’è quel, quel...”
“Chi parla?”
“Come chi parla! Sono io piccola puttana! Dimmi dov’è? È lì con te bagascetta, vero?! Guarda che ti ammazzo! Per quanto è vero Iddio ti uccido troietta...”
Avevo riconosciuto la voce. Era la Bonanno alla quale avevo lasciato il mio cellulare. L’ultima frase non era poi così alta. Mi accorsi dal rumore di sottofondo che era scoppiata a piangere. Povera donna. Forse ci aveva visto o...seguito! Chiusi e cercai di finire di pisciare. Non ci riuscii. Il barista mi aveva bussato.
“Un attimo, ho finito, un attimo!”
Mi ripulii la seconda volta. Uscii alla svelta. Mi diressi subito dal mio pretino in pace con tutto il mondo per la sua splendida prestazione. Lo avvertii della telefonata e gli dissi che era meglio che ci separassimo lì. Per il momento! Forse lei ci aveva seguito. Mi allontanai di un centinaio di metri lasciando Don Gianluca a pagare. Poi nascosta in un vicolo chiamai Ilde. Le dissi di venirmi a prendere col motorino (ce lo doveva avere di sicuro, era arrivata lì da noi col casco sottobraccio) e quel favore non me lo poteva rifiutare.
“Va bene. Arrivo. Dimmi dove sei.”
“Sono in...aspetta che leggo la via! Ah, ecco in via Sagrado! Sai dov’è?”
“Sì so dov’è. Aspettami! Però c’è solo un casco. Ti do il mio se vuoi!”
“No, va bene lo stesso, basta che vieni!”
Il vecchio scooter di Ilde arrivò dopo sette lunghi minuti nei quali avevo paura che la Bonanno, magari dotata di macchina, mi avesse seguito. Ecco Ilde avvicinarsi col motore. Le montai subito dietro chiedendole di portarmi a casa a tutta birra. Ero senza casco. Per la multa non avevo paura. Non era il maggior problema al momento. Poi con tutte le conoscenze che aveva Ilde figuratevi se non me la facevo togliere in qualche modo. Venti minuti dopo di vento nelle braccia già indolenzite dall’umidità del cantiere tornammo a casa. Salimmo da Ilde. Ero finalmente al sicuro. Potevo rilassarmi. Ilde mi preparò un tè caldo. Mentre sorseggiavamo il tè le chiesi:
“Scarichiamo le foto?...dai che voglio vederle!”
Ilde accese il computer e vi collegò la fotocamera. Ci vollero sei o sette minuti a scaricarle tutte e cinquantadue. Cazzo, ha girato proprio un servizio porno! Certo, molte erano scure. Lì ci sarebbe voluto mio fratello Carlo “per aggiustarle”. Le commentammo insieme e ridevamo delle smorfie che facevo io o l’ignaro Don Gianluca. Ilde mi tirò “una pugnalata”. Il suo stereo mandò nella riproduzione casuale una canzone romantica di molto tempo fa: Lun...no! Il titolo non voglio pronunciarlo. Il mio pensiero andò istantaneamente al mio fidanzatino delle medie. Credevo di averlo seppellito tempo fa, ed invece come a tradimento eccolo riemergere. Facemmo l’amore il giorno che davanti al juke box del bar che frequentavamo dopo la scuola un ignaro avventore aveva gettonato proprio quella canzone. Ricordo che gli dissi che sarei andata a letto con lui proprio quel giorno davanti ad un paio di coca cole con quella canzone di sottofondo. Avevamo solo 13 anni, ma i nostri genitori non c’erano, in quella finestra di meno di due ore tra la scuola e casa nostra. Ci ritenemmo padroni di volerlo fare e tanto ci bastava. Maledetta nostalgia. Insidiosa e sottile, tagliente come un foglio di carta apparentemente inoffensivo. Ilde forse intuì qualcosa, e fece per spegnere. La fermai. Ormai che la canzone (stupenda !) finisse. Poi mi chiese:
“Come si chiamava?”
Volli ignorare la domanda. Non so perché.
“Il cantante dici? Gaz..., no?!”
“No. Lui. Andò male per caso?”
“No. Ci lasciammo di comune accordo. Lui oggi vive al nord e forse è anche già sposato...”
Continuai a non volergli dire il nome.
“Dio! Mi dispiace!”
Alzai le spalle sorridendole. Poi cercai nella mia borsetta la pennetta usb che mi ero comprata pochi giorni prima. Non riuscivo a trovarla. Dove potevo averla messa? Cazzo la usb! Merda! O mi era caduta al bar della toilette o nella fretta di andarsene dal cantiere. Chissà chi l’aveva trovata...
“Cerchi qualcosa?”
“La usb per le foto, non la trovo.”
“Che c’era dentro?”
“Alcune mie foto.”
“Nuda?”
“No. In bikini e topless. Non ricordo se ce l’avevo quando sono andata a trovare il pretino. Diamine!”
“Comunque aspetta, vedo se ho un cd, te lo faccio subito. Tranquilla. Aspetta un po’.”
“Sì! Ma la usb! Forse durante la caduta...”
“Che caduta?”
Ancora non avevo raccontato ad Ilde della caduta dal tavolo con la sega circolare e della fuga dopo.
“Niente.”
Ilde era andata a prendere il cd. Mi masterizzò tutte le foto. Ecco un’altra preoccupazione dopo la telefonata della Bonanno. Un altro vuoto allo stomaco! Chi aveva trovato quella pennetta? Magari un operaio del cantiere, o il barista? Merda! Solo quella ci mancava! Speravo che almeno mi fosse caduta dal motorino di Ilde. Una macchina l’avrebbe schiacciata e tanti saluti ai file! Una giornata di merda. Appena mi rilassavo per un po’ di spensieratezza ecco pronta la botta! Certi giorni non si dovrebbe proprio uscire di casa! Presi il cd e me ne tornai a casa mia. Anche Ilde aveva rinunciato a farmi altre domande. Avevo una faccia troppo preoccupata per proseguire. Mentre ero in ascensore squillò il telefonino. Era un sms; il numero era in chiaro, ma non mi era familiare:
“Sono gianluca il mio collega don alberto ha trovato una usb fuxia tra i banchi vicino l altare. ci 6 tu in costume bagno e toples, purtroppo abbiamo dovuto vederla. Quando ci rivediamo te la do, ciao!”
Benché sgrammaticato era perfettamente chiaro. Potevo rilassarmi di nuovo, forse. Giunta a casa chiesi a mamma di Carlo, che per fortuna era nella sua stanza a scrivere al pc. Gli chiesi:
“Senti, quelle foto che mi sono prese con la usb fucsia...quelle zippate si aprono e basta?”
Un lungo attimo di vuoto nel quale il mio stomaco ed i muscoli fino al basso ventre erano tesi come la pelle d’asino di un tamburo, poi Carlo mi rassicurò:
“No, ci vuole la password, te la ricordi?”
“No, che password?”
“Il nome della nostra scuola, quella!”
Già quella del fattaccio tra noi due fratello e sorella. Potevo rilassarmi veramente. Ero felice. Non me ne ero accorta che da un secondo, ma ero finalmente rilassata. Mi stavo letteralmente pisciando sotto. Andai in bagno. La doccia mi spettava di diritto. Finii di farla dentro il quadrato doccia. Poi aprii l’acqua. Scendeva sul mio corpo ed io noncurante delle mutandine continuavoa spogliarmi sotto l’acqua. In mezzo minuto rimasi nuda. Contenta di esserlo. Cominciavo a ridiventare umana. Via la polvere ed il tufo che non ero riuscita a rimuovere alla toilette. Seppi poi che Carlo, mentre facevo la doccia, aveva frugato nella borsetta trovando il cd. Intendendosi di discrezione come la sottoscritta di astrofisica lo infilò subito nel lettore. Quando lo aprì stava per entrare nostra madre. Chiuse subito la pagina, mi disse. Fortuna che nostra madre credette che fossero le sue solite fiche! Fece finta di non aver visto quella pagina sulla schermata del portatile di Carlo e si affrettò ad uscire dalla sua stanza dopo avergli lasciato un piatto con delle nespole al suo tavolo “di studio”. In realtà non vi era molto di cui vergognarsi. Perché non avrei dovuto scopare con un prete? Per di più eravamo ritratti nella posizione del missionario, senza pompini o pecorine, ma solo i carnalissimi appassionatissimi baci di lui, ed una congiunzione naturale. Il culo del pretino si vedeva, per contro la mia fica quasi mai. Mi stesi finalmente sul letto indossando la sola biancheria intima. Ero al sicuro fresca e pulita. Volevo solo riposare. Dormii. L’ultimo pensiero cosciente andò a Carlo: la mattina dopo gli avrei dato una lezione visto che mi aveva frugato nella borsetta. Quella mattina infatti mi alzai prima di Carlo, e dato che di password cominciavo a capire qualcosa anch’io, acceso il portatile di mio fratello, aspettai la schermata di benvenuto. Era un laptop con windows XP e password utente. Sperai che la parola fosse proprio il nome della nostra vecchia scuola, ed infatti la fantasia di Carlo si era impigrita: era proprio quella! Da start a pannello di controllo, ad account utente, il cambio della password fu estremamente semplice, mentre quel fessacchiotto di Carlo dormiva beato. Poi dopo che mi lavai uscii per andare all’università. Una mattinata come tante; certo mi aspettavo la telefonata di Carlo, che invece stranamente non mi chiamò. Mah, pensai, forse non l’ha ancora acceso. Dopo mensa andai a lavorare. Nel tragitto ripensai alla telefonata della Bonanno, e per la prima volta forse temevo di essere uccisa per motivi di gelosia. Non sarei stata la prima. E se fosse andata già al bar e mi stesse aspettando lì? Magari telefono al mio datore di lavoro per darmi malata? No! -pensai- La realtà andava affrontata. Andai a lavorare con un senso di angoscia. Mi dovevo confidare col padrone? All’occorrenza lui un’arma da fuoco per difesa ce l’aveva? La classica mazza da baseball che hanno alcuni baristi non l’avevo mai vista sotto il bancone! Arrivai e presi il mio posto dietro il bancone. Clientela varia, per lo più turisti. Ogni donna di mezza età con gli occhiali scuri mi faceva stare in allerta. Ero tesa e cercavo di non darlo a vedere. Servivo acqua minerale, cappuccini, bibite varie stando con tanto d’occhi! Non appena un cliente si metteva le mani nella tasca indietreggiavo da dietro il banco, di lato, di un metro buono, pronta a buttarmi sotto il bancone non appena fosse venuta fuori un’arma. Il più cercavano solo la monetina per la mancetta. Un paio i soldi spiegazzatissimi per pagare la consumazione. Avevo paura perché il pianto di quella donna mi era sembrato sincero. Non era stupida quella Bonanno. Sapeva dell’attrazione del pretino per me con meno anni di loro due. Se non mi avesse intravisto il pelo dalle mutandine. Se non fossi andata a curiosare quel pomeriggio già abbastanza galeotto con mio fratello Carlo, se, se, se... ero in pippa mentale vera e propria. Non riuscivo ad uscirne. Naturalmente se si fosse ricordata che di Carlo ne ero la sorella allora avrebbe avuto lei un’arma di ricatto forse peggiore di un’arma da fuoco. Solo che lei non lo sapeva, e parte mia ero intenzionata a mantenere il segreto. Ero assorta nei miei pensieri mentre finivo di lucidare il bancone metallico quando per un istante ritornai alla realtà trasalendo! Lei, la Bonanno era lì davanti a me con un paio di vistosi occhiali scuri. Le sue pupille si distinguevano a malapena; il suo decolleté evidentissimo. Mi disse calma:
“Vado al banco fuori. ”
Ovviamente intendeva ordinare fuori. Si era seduta e subito, riposta la borsetta, l’aveva aperta. Rimanevo dentro il bar anche se ero lontana solo un metro e mezzo. Fui sollevata solo quando tirò fuori una penna ed un libretto di... assegni! Mentre lo compilava mi fece cenno di avvicinarsi:
“Dimmela tu la cifra zoccoletta! Abbiamo tutti un prezzo! Devi solo dirmi il tuo...”
Colsi l’occasione per ricordarle che sedendosi era meglio che ordinasse:
“Cosa le porto professoressa?”
“Professoressa la troia di tua madre! Certo, troietta, certo. Portami una coca puttanella! E dimmi quanto vuoi! Mi si secca la penna...”
Gli secca la penna...alla sua età pensai che avevesse paura che gli si seccasse la topa! Altro che la penna. Se in quel momento le avessi sparato una bella cifretta forse l’avrebbe anche scritta. Presi al volo l’occasione che mi si offriva facendole una contro-proposta che speravo non avrebbe rifiutato.
“Può strappare l’assegno. Non è il denaro che voglio!”
“Senti mignottina! In classe se mi facevano ripetere ero contenta, che almeno stavano attenti! Se lo facevano per coprire qualche loro compagno che faceva i cazzi suoi al banco e me ne accorgevo, urlavo! Non farmi perdere la pazienza! Dimmi una cifra! La scrivo qui, e tu lasci in pace il mio compagno!”
“Le ripeto che non voglio denaro!”
“Cosa vorresti allora? Una puttanella vuole sempre e solo denaro! Che ne sai tu dell’amore? Sei una povera zoccoletta e basta!”
Ignorai senza scompormi questi suoi ovvi insulti e continuai:
“Facciamo che lei farà divertire una sola volta che ci incontreremo tutti e quattro il mio ganzo (mi riferivo a mio fratello Carlo dato che mi accorsi che ne era attratto anche se, da parte sua, minimizzava) e io lascio in pace Don Gianluca, tanto deve stare tranquilla signora! Io qui non rimango. Non appena metto insieme il gruzzolo me ne vado su al nord e stacco un po’! Da Carlo e da Don Gianluca!”
“Allora ci sei stata! Ammettilo!”
Lo ammisi con naturalezza e senza alcuna ostilità. Volevo dimostrarle che non la temevo.
“Siamo stati insieme sì! Certo, una sola scopata e poi via! Una sveltina al cantiere dietro la ferrovia!”
L’incazzatissima donna scambiò la mia fredda ammissione per impudenza. Avrei dovuto essere più cauta. Si alzò dalla sedia, e mi diede uno schiaffone in pieno viso. Poi dopo essersi seduta scrisse una cifra su quell’assegno, e mi disse più calma e ferma:
“Con quelli lo metti assieme il gruzzolo, così te ne vai finalmente!”
Lessi la cifra. Era abbastanza alta. Da sola copriva quattro-cinque mesi dei miei risparmi da quando ero banchista al bar. Aveva ragione lei. Abbiamo tutti un prezzo. Presi l’assegno, ed intanto andai a prenderle la coca cola. Eh sì semre denaro era! Gliela servii di tutto punto, anche se ero seccata per il ceffone e per l'insulto a mia madre. Tuttavia sapevo anche comprendere, visto l’infelicità che le avevo causato. Le portai la coca senza degnarla di un sorriso.L'avrebbe scambiato per un'ulteriore provocazione. Quando fece per pagare mi permisi di ricambiarle l’umiliazione.
“Non occorre! Offre la casa!”
Seguirono dei lunghissimi minuti di silenzio poi questa donna mi disse garbatamente tornando al lei:
“Ha tenuto in memoria il mio numero quando la chiamai l’altro giorno?”
“Sì.”
“Quando vuole mi telefoni, e mi dica lei il quando ed il dove! Ora ho pagato la prima rata, l’assegno l’ho messo senza data così lo incassa quando vuole, poi al saldo quel giorno farò la mia parte, e lei la sua! Lei la sua!”
“Ci sto.”
Feci per darle la mano in segno di conferma. Lei chinò il capo ma rifiutò di stringermela. Non ci dicemmo nient’altro. Mi voltai ed entrai nel locale senza curarmi più di lei. La palla ormai era in mano mia.

-continua-

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