Prime Esperienze
Salve Terra, qui Koona 11a parte
di sexitraumer
07.02.2012 |
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"La mia vicina, la signorina Waltraud mi ha prestato la sua handycam, tra quattro giorni registrerò per te un messaggio audio-video di tuo padre; se la..."
Mario da uno stipetto in basso prese una vaschetta sigillata, la aprì e una sorta di budino beige si manifestò ai miei occhi. Mario aggiunse un poco di acqua con uno spruzzo sulla sua superficie, quanta ne bastava, e non appena l’acqua reagì con l’impasto rimestò con il cucchiaino di plastica diversi secondi per amalgamare il tutto cercando di coprirne il più possibile con la pellicola di protezione. Poi mi diede la vaschetta il cui diametro era un cinque cm per uno di spessore col cucchiaino:“Tieni, e buon appetito!”
“Oh, grazie.”
“Vedrai che è come un omogeneizzato.”
Lo assaggiai e vidi che si scioglieva del tutto in bocca. Sapeva di carne magra. Lievemente salato per insapidarlo, ma in realtà non sapeva di niente. Come mi mancava il cappuccino che mi preparava il computer della base, e la carne di pollo coltivata in laboratorio … tutt’altro che quella poltiglia tiepida che anche Mario stava mangiando. Mangiavamo nudi come credo anche due amanti nel loro giaciglio sulla Terra … Bevemmo dalla stessa bottiglia a cannuccia. Il pranzo non era niente che fosse piacevole ricordare. Parlando e mangiando dopo il sesso il tempo era passato e quando vidi dall’oblò che Saturno stava ingrandendosi lentamente, ma abbastanza perché lo percepissi, il nostro idillio romantico venne interrotto da una chiamata radio. Era la Micenea:
“Biiiiiiiiiip. Beeeeeeeep. Biiiiiiiiiip.”
Dissi a Mario mentre mangiavo la poltiglietta:
“Rispondi tu ! Dai, che palle sto’ suono, rispondi!”
“Click. Qui Van Brenner, parlate Micenea…”
“Sono il comandante, va tutto bene ?”
“Signorsì, signore.”
“Mi faccia parlare con la ragazza Van Brenner!”
Mario deglutì, e ruttò con un po’ di disinvoltura:
“Burpppp! Urghhhh! Hum! Prego eccola. Glommm!”
Presi il microfono:
“Pr…pronto… comandante ?!”
“Salve signorina Karydu, come vanno le cose ?”
“Bene signor comandante, scusate i rumori di Mario, stavamo mangiando le poltiglie…”
“Capisco signorina. Allora richiamiamo tra due ore. Le suggerisco di dormire un po’. Dica a Van Brenner di abbassarle le luci magari… siete già in orbita ?”
“Credo che siamo a metà della prima orbita comandante, Saturno è bello grosso visto dall’oblò. Credo che sorvoleremo uno dei poli tra trenta minuti…”
“Per il mangiare stia tranquilla. Sulla Micenea abbiamo la cucina, ed i tavoli di mensa.”
“Grazie. A presto comandante.”
“Mi ripassi Van Brenner…”
“Ecco.”
Ripassai il microfono a Mario. Nel frattempo mi abbassai sulla gabbietta aperta per dar da mangiare a Rasputin che leccava il cibo che gli porgevo dalle dita. Mario non si curava di me in quel momento.
“Slufff, sluuuuffff, slaaaap! Arf, arf, arf, sluuuuf.”
Il cane slinguazzava sul mio dito rumorosamente per leccarne il cibo, per cui Mario si allontanò di pochi cm col microfono.
“Qui Van Brenner…”
“Van Brenner! Abbiamo chiesto a Rossjasia Vessel, trenta giorni-volo dietro di noi, di contattare Titano Uno. Né Yakin, né Johanna, né il computer di Sorveglianza hanno risposto, e neppure noi stiamo avendo ancora notizie. Ci è rimasto solo lei Van Brenner, sta facendo un ottimo lavoro. Per lei ci sarà una promozione credo. L’importante è che la ragazza si salvi. Van Brenner non ci deluda. La Terra e la Compagnia stanno seguendo con trepidazione la nostra missione; soprattutto da quando abbiamo dovuto annunciare la possibile defezione di Yakin e di sorella Johanna… purtroppo credo che dopo la defezione dell’ingegner Yakin la sua famiglia dovrà accontentarsi della pensione sociale; con quel gesto sconsiderato ha perso il diritto alla liquidazione, ed alla pensione di reversibilità per la moglie … un‘ultima cosa …”
“Dica comandante …”
“Le faccio ascoltare una registrazione; si tratta di un radiomessaggio registrato dalla signora - mi dicono,…aspetti…ecco: Evelyn o Evelyne Baumann coniugata Van Brenner. Sua madre, mi dicono dalla Compagnia. Inoltrato sempre tramite la Compagnia. Arrivato alla nave sei ore fa. Attenda qualche secondo, glielo facciamo ascoltare …”
Trascorsero un paio di secondi nei quali Mario, vidi con la coda dell’occhio, cambiò espressione dato che nei suoi occhi percepivo dell’imbarazzo; fissava ad occhi bassi il quadro strumenti cercando di reprimere uno sbuffo di seccatura; era chiaro che il messaggio di sua madre non l’aveva previsto. Altri lunghi secondi con del rumore di fondo della radio, dissimile da quello coi disturbi meteo con cui ero abituata su Titano quando chiamavo il TM dal casco; poi il messaggio ci giunse:
“… Salve figlio mio. Sono la mamma. Senti, non so come dirtelo, ma ecco preferisco dirtelo così: tuo padre ha esagerato col colesterolo ultimamente, ed il cuore gli ha giocato uno scherzo mentre era alla cena domenicale con gli amici del club del biliardo. Lo hanno operato d’urgenza la sera stessa. Pensa ci sono voluti quattro by pass … si sta rimettendo. D’ora in poi potrà dire addio all’abbuffo. Stai tranquillo, si è salvato. Ora riposa in ospedale. Ah senti, ieri è venuto a trovarmi un avvocato della Compagnia, un tale signor Paul ; è stato molto garbato e gentile. Ci aiutano con le spese mediche al cinquanta per cento finché non torni, e ci hanno,… o se non ho capito male,… ti hanno prorogato il contratto di locazione per altri due anni più due; detrarranno l‘ammontare direttamente dal tuo stipendio … hanno detto pure che per te c’è una promozione in cantiere, e che se vieni promosso ci porteranno in un appartamento migliore: centodieci metri quadri in centro; tutto per noi … non è meraviglioso?! Avremo anche la collaboratrice domestica … sembra un sogno poter evitare l’ospizio; e tutto grazie a te Mario. Io e tuo padre siamo orgogliosi di te. La mia vicina, la signorina Waltraud mi ha prestato la sua handycam, tra quattro giorni registrerò per te un messaggio audio-video di tuo padre; se la compagnia non lo mette in coda, lo affiderò a Cosmoz; però quante donne nude che hanno … senti, Lauren ha detto che ti ama ancora, e non vede l’ora di sposarti. Uno di questi giorni conoscerò i suoi genitori, non appena tuo padre ritorna in piedi … beh, ora ti lascio ai tuoi voli. Fai una bella missione Mario. Tu, che hai salvato da solo una ragazza su Titano. Non vedo l’ora di dirlo alle amiche. Ciao. Ciao. Ciao…bzzzzzzz.”
“…”
Il comandante riprese la parola:
“Era la fine del messaggio Van Brenner. Comunque la Compagnia mi informa che suo padre ha ripreso a mangiare da solo, e può parlare; senza affaticarsi ad ogni modo.”
“Grazie comandante, ho capito. Lei è molto gentile.”
“La ragazza Van Brenner! Deve arrivare sulla Micenea sana e salva, o lei sa cosa potrebbe pensare la Compagnia … con Yakin sono arrabbiati … con sorella Johanna se la vedranno le autorità religiose. Noi possiamo solo segnalare il fatto … lei mi ha ben compreso Van Brenner! So che posso fidarmi del suo senso della professione ragazzo mio. Non mi deluda.”
Mario fece silenzio diversi lunghi istanti, poi rispose sibillino:
“Ricevuto e recepito, signore. C’è altro ?”
“No. Per ora No. Dorma un po’ anche lei. Tra quattro ore dovrete accendere il propulsore nucleare.”
“Sì signore. Chiudo.”
“Click!”
Un silenzio di tomba calò su di noi. Poi Mario mi chiese:
“Vuoi dormire un po’ ? Posso abbassare le luci.”
“Cosa voleva dire quel messaggio ?”
“Che se diserto verso la Rossjasia i miei genitori, come minimo perdono la casa.”
“Ma ha detto che gli hanno rinnovato l’affitto … no?!”
“L’affitto era sempre stato a nome mio. Due anziani non intestatari li buttano fuori quando vogliono.”
“Allora era un avvertimento. Questa è la prova che hanno capito o intuito cosa è accaduto su Titano Uno!”
“Probabile di sì. Forse la Rossjasia Vessel ha ricevuto il messaggio di Johanna … e lo hanno ritrasmesso …”
“E tu che vuoi fare ?”
“Il comandante ha detto che la cosa più importante sei tu. Questo è il patto che mi ha sottoposto. Se ti porto sana e salva sulla Micenea, non si rivarranno sui miei genitori.”
“Che facciamo a questo punto?”
“Dormiamo un‘oretta. Ne abbiamo bisogno tutti e due.”
Mario abbassò le luci e dormimmo abbracciati. Io seduta su di lui che mi cingeva. Io da parte mia mi ero presa Rasputin per tranquillizzarlo, e farlo dormire sul mio grembo nudo. Il cane cercò di dormire al sicuro con la sua padrona. In quel momento passavamo sopra il polo nord di Saturno. La nave faceva delle micro correzioni di assetto in automatico. La prima metà della prima orbita era superata. Eravamo inclinati di poco, qualche grado verso il polo nord rispetto al piano equatoriale di Saturno, a debita distanza dagli anelli più esterni. La gravità del pianeta era ancora la padrona almeno in parte dei nostri movimenti esterni. All’interno si cercava, con gesti istintivi via via più sicuri, di opporsi dolcemente al libero fluttuare dei nostri corpi. La Pegaso si muoveva nel silenzio del cosmo. Internamente il rumore della corrente elettrica che alimentava le apparecchiature di sopravvivenza era un debolissimo ma costante - e perché no? - piacevole ronzio più che in grado di conciliare il sonno. Il contatto col corpo caldo del mio amante mi fece cadere nella sonnolenza. Dormii profondo. Quando mi svegliai era passata un’ora. A svegliarmi era stata la vescica. Dovevo vuotarla al più presto. Mario già sveglio da un po’ non si stava troppo curando di me. Forse intuendo le mie necessità fisiologiche evitava di guardarmi. Per afferrare la presetta di gomma per la vagina (ma ci entrava anche il pene) dovetti mollare il cane che fluttuò a mezz’aria capovolgendosi più di una volta. La cosa mi fece un po’ ridere. Lui ad ogni modo, stranamente, non protestava. Portai la manichetta al sesso, e cercai di vuotare la vescica. Mario si voltò verso di me, e con uno scatto di un interruttore alla parete, accese l’aspiratore. Le luci erano ancora abbassate. Lo spazio era poco ed entrambi dopo aver fatto familiarizzare i nostri corpi con quel volume ristretto compivamo i nostri gesti con relativa sicurezza. Con la vulva coperta dalla manichetta di gomma provai a contrarre e rilasciare, quindi potei finalmente urinare. L’aspiratore funzionava fin troppo bene, poiché mi sentivo aspirare anche i peli. Forse le cosmonaute farebbero bene a depilarsela in caso di voli in assenza di gravità. In quel momento pensavo che avrei dovuto trovare un modo per farla fare anche al cane, abituato com’era a lasciare feci ed urina nel corridoio della base, che poi i droidi acefali ripulivano. Voltando la testa verso l’alto attirata in parte dall’odore repellente dell’urina vidi che Rasputin non mi aveva aspettata. Le sue gocce giallognole si erano andate a spiaccicare nel soffitto del tronco di cono della Pegaso. Probabilmente l’aveva rilasciata mentre dormivamo. Mario le aveva appena asciugate. Gli chiesi di accendere la luce; lo fece immediatamente. Eravamo ancora nudi nel nostro micro eden di metallo.
“Come va? Stiamo finendo la seconda orbita; purtroppo durante dormivamo si è abbassata. Abbiamo aumentato la velocità, ma anche diminuito la distanza di sicurezza dall’anello esterno. Se dormivamo un’altra ora ci saremmo finiti contro quei detriti!”
“E adesso che stai facendo ?”
“Ho comunicato con un vascello di una compagnia privata. Sta venendo verso di noi. In un mese potrei raggiungerlo…”
“Potresti ? Da solo ?”
“Sì, mentre dormivi ci ho pensato! Ti accompagno fino alla Micenea, poi ti sbarco e mi dirigo verso il vascello. Hanno detto che mi prendono a bordo, ma non vogliono grane. Per cui ti lascerò a quelli della Micenea…”
“Ma una volta attraccato non ti lasceranno più andare!”
“No, non intendo attraccare. Mi avvicino fino a cinquanta metri dalla nave e ti recupereranno loro stessi con una EVA di soccorso.”
“Un’attività extra veicolare?”
“Precisamente. Ti verranno a prendere con un paio di astronauti come me ! A te ed al cane! Quando sarai nelle loro mani azionerò i razzi di assetto, e mi allontanerò … il propulsore nucleare lo terrò acceso in stand by!”
“Ma non ti spareranno addosso ?! Alla nave intendo.”
“No, è un vascello commerciale. Non ha armi. A proposito lo sai come è fatta la Micenea ?”
“No.”
Mario si spiegò gesticolando con le mani e le dita:
“Si tratta di un parallelepipedo di duecentosettanta metri, circondato esternamente da una rete di tralicci di metallo. Ora guarda questo !”
Tirò fuori un’arma a forma di pistola con quattro punte ricurve all’estremità opposta della presa a mano.
“Cos’è quella pistola con quelle curve a punta?”
“Un lancia arpioni a quattro ganci. Spara un colpo singolo magneticamente. Ho controllato la carica; è a posto.”
“Che vuol dire ?”
“Quando arriviamo nei pressi della Micenea, dichiarerò via radio una falsa avaria, e naturalmente la necessità di una EVA per te. Dapprima mi sporgerò dal portello aperto, e lancerò l’arpione contro il traliccio di proravia; poi, dopo essermi assicurato che tenga, ti legherò alla vita della tuta l’altro capo del lancia arpioni, qui, vedi ?”
Mario mi spiegò a segni cosa voleva fare; io annuii. Ero perplessa, ma Mario, sicuro di sé, mi prevenne:
“Non temere ! - il cavo di q-nomlar, è resistentissimo e sottile; è lungo circa cento metri. Sarai letteralmente appesa alla nave. Ma tu hai poca massa, pesi poco, e nello spazio peserai un niente…”
“Un niente ?”
“Sì nello spazio i tuoi quarantacinque chili saranno si e no un paio, ma non aver paura ! Sarai legata alla Micenea, e non avrai il tempo di pendolare. Ti recupereranno nel giro di trenta minuti! Io sarò già lontano quando ti porteranno a bordo.”
“Se lo dici tu…”
“Tranquilla!”
Mario mi mise la mano destra tra le cosce, e mi baciò. Scambiai con lui qualche colpo di lingua mentre cercavo di abituarmi mentalmente alla passeggiata spaziale di lì a qualche giorno. Stavamo sciabolando le nostre lingue e Mario mi stringeva una tetta, quando all’improvviso un suono fastidioso c’interruppe. Mario si staccò; sbuffando prese il microfono e rispose:
“Qui Van Brenner!…Avanti Micenea!”
“Qui Micenea, ben svegliato due sette sette ! Facci parlare con la ragazza…”
Mario mi passò il microfono:
“Eccomi, qui Koona ! Avanti nave…”
“Tutto bene signorina ?!”
“Sì signore ! Il signor Van Brenner è molto simpatico con me. Sto bene.”
“Ok, richiameremo tra due ore. Non occorre che ci ripassi il pilota.”
Tornai a parlarne con Mario; il suo progetto era di pilotare la Pegaso fin nelle vicinanze della nave madre Micenea e, una volta arrivati, lanciare col pistolotto magnetico l’arpioncino contro i tralicci di proravia; qui dopo avermi assicurata al cavo di q-nomlar tramite il quale avrei dovuto “pendere” per la vita, permettere ad un’EVA dalla Micenea di recuperare me ed il mio cane. Mario era deciso a non sbarcare sulla Micenea. Il comandante gli aveva fatto capire che avevano intuito cos’era successo su Titano…avevamo ancora un paio di giorni da vivere come “amanti maledetti”. Gli dissi di sistemarsi meglio. Poi, sistemato il cane sopra di me, approfittai della mancanza di gravità per spostarmi. Il mio culetto nudo finì contro le sue labbra, ed infatti venni baciata da lui sulle mie natiche, lungo lo spacco, ed infine nell’ano dove indugiò qualche istante con la lingua. Dunque aveva ancora voglia del mio corpo. Lo misi alla prova: gli diedi tutta la schiena, ed in pochi secondi sentii la sua lingua sfiorarmi la schiena tutta alternando a tratti l’uso delle labbra con le due diaboliche carezze linguali lungo la colonna vertebrale e sulle mie scapole, sul collo posteriore; io mi ero seduta sul suo cazzo dopo aver sfiorato il suo ventre con le mie natiche; gli permisi di baciarmi la nuca e le orecchie all’interno delle quali cercò di far entrare la sua lingua famelica. Voltavo il mio volto come potevo per incontrare i suoi baci. Mario sapeva essere un tenerissimo amante. Con un gesto impercettibile aveva abbassato le luci bianche per lasciare solo quelle rossastre da riposo. I colori degli schermi a cristalli liquidi della Pegaso illuminavano debolmente i nostri corpi disegnando improbabili ghirigori di luce. Le ampie mani di Mario cercavano la mia vulva. Incontrarono dapprima la mia peluria superiore, poi i suoi polpastrelli scesero più in basso verso l’apertura del mio sesso. Continuavo a reggere il mio cane col braccio destro sollevandolo un poco dalle cosce, quindi portando il mio cane al seno, allargai un pochino le gambe affinché le sue dita potessero trovare l’ingresso del mio sesso e giocare un po’ di gentile esplorazione. Il mio respiro si stava facendo più ampio. Il mio inguine aveva scaldato il suo bel membro virile. La mano sinistra di Mario aveva preso a stringermi il corrispondente seno, ignorando il destro coperto e solleticato dalla schiena del mio Rasputin. Il pelo del cane mi stava piacevolmente solleticando il capezzolo destro, mentre le dita di Mario mi stavano stimolando quello sinistro. Risposi a quegli stimoli tattili voltandomi alla meglio e leccando Mario ovunque riuscissi a raggiungere il suo viso. Gli stava crescendo anche la barba con una certa rapidità, e la ruvidezza del suo viso contro il mio non faceva che accrescere la mia eccitazione. Le mie cosce erano larghe per quanto potevo, ma erano soprattutto tese. Ero impossibilitata a stendere almeno una delle gambe per rispondere al solletico della mia vagina che si stava gonfiando ogni momento di più. Il membro di Mario ormai stava diventando duro e fra pochi secondi avrebbe cercato il suo giusto sfogo. Approfittai della mancanza di gravità per fluttuare in aria ad una trentina di centimetri dal cazzo di Mario, che appoggiò la sua mano sinistra sulla mia coscia. Il suo cazzo, pur senza vederlo, riuscivo a sentirne la durezza mentre le mie cosce interne ne venivano sfiorate dal glande. Dissi a Mario:
“Aiutami, reggimi piano, voglio che me lo metti dentro…”
“Dai, ecco… così va bene ?”
“Uhnnnn! Aspetta vedo se riesco a prenderlo con la sinistra; il cane non posso mollarlo. Ahnnnn, ahnnnn!”
“Dai, vai ora ! Abbassati piano, è pronto! Tutto per te!”
Tenni il glande dritto con le dita cercando di dargli la direzione della mia vagina, già lievemente aperta e bagnata; non ero certa che avrei potuto fare centro; per fortuna Mario spostò il bacino centrando meglio il suo bastone di carne il cui glande si presentò al mio morbido pertugio. Fu questione di un secondo: con un gesto deciso spinsi verso di me il suo glande sul mio sesso ed il suo cazzo entrò dentro di me. Il piacere tornò a farla da padrone tra i miei sensi. Mi preoccupai di far entrare il più possibile quel mio dispensatore di piacevolissime sensazioni intime. Cercai di farmi penetrare il più possibile e speravo nel contempo che durasse il più possibile. Respiravo ampiamente, e tra una sensazione e l’altra di piacere, sopportavo delle fitte all’avambraccio destro, piegato rigidamente a tenere il cane, che da parte sua cercava di non disturbarci troppo. Mentre Mario era dentro di me stimolavo il mio clitoride con mano sinistra mentre lui mi prendeva per i fianchi e mi muoveva sul suo membro. Sussultavamo entrambi. Fortunatamente nelle ultime ore avevo raccolto i miei capelli e la mancanza di gravità non ci aveva ingarbugliato di nuovo. Ad un certo punto, onde meglio godermi quell’amplesso presi la decisione e mollai il cane che venne abbandonato a sé stesso a volteggiare nel nostro volume d’aria. Abbaiò un paio di volte, ma io a quel punto preferii non curarmi del cane. Potei provare a muovere di nuovo il braccio destro, e provando ancora qualche fitta, riuscii a liberarmi dei piccoli crampi all’avambraccio. A malincuore interruppi il coito dei nostri sessi roventi e rapidamente dopo essere riuscita a voltarmi afferrai di nuovo il suo cazzo e me lo rimisi dentro ben decisa a riprovare le sensazioni di pochi secondi prima. Ora, nuovamente seduta (e ben impalata !) sul mio uomo lo abbracciai efficacemente, e lo baciai con estrema famelicità e rapidità per poter “chiudere” sopra, tra le nostre bocche e lingue -ottime salivose conduttrici-, il circuito di piacere “aperto” sotto tra i nostri sessi sempre più bagnati reciprocamente. Ormai mi consideravo donna, e sapevo come trarre piacere dal mio corpo. Andavo su e giù di pochi centimetri; Mario aiutava i miei movimenti come poteva impedendo alla leggerezza dei nostri corpi d’interrompere la congiunzione. E all’improvviso ecco che un missiletto liquido caldissimo colpisce il collo del mio utero. Cinque o sei colpi, non saprei dire, bagnarono la mia vagina calda. La nostra stessa foga non ci aveva permesso di durare; il cazzo di Mario dopo aver sparato dentro di me ciò che poteva rimpicciolì, ma stranamente rimase dentro. Anche la mia vagina si stava rimpicciolendo, ma continuava ad avvolgere il piccolo membro del mio amante. Ci addormentammo l’uno contro l’altra tenendo chiuso l’abbraccio tra noi due. Poco prima di perdere conoscenza cedendo al sonno provai a vedere dove si fosse sistemato Rasputin. Era abbastanza buio, e non trovai l’informazione che cercavo. La mia testa cadde sul petto caldo di Mario. Dormimmo entrambi un’oretta, e venimmo svegliati da una puzza nauseante. Mario aveva intuito ed accese la luce. Io non avevo il coraggio di ammetterlo con me stessa, ma avevo capito: il povero Rasputin l’aveva fatta. Due piccoli cilindri neri volteggiavano in aria decomponendosi. Avevo voglia di vomitare. Mario fu veloce a prendere quei pezzi di cacca e a chiuderli in un sacchetto per il vomito; poi mise il tutto nel sacchetto del vomito. Quindi si pulì le mani con delle salviette umidificate. Presi lo spruzzatore di acqua e pulii io stessa le mani del mio amante: era il minimo che potessi fare. La puzza però non andava via. Mario armeggiò con le dita sul quadro comandi tipo touch screen; io gli chiesi cosa stesse facendo:
“Sto cercando di attivare il ricircolo dell’aria; sentiremo un po’ di freddo, ma almeno la puzza andrà via…”
Sentii un rumore più basso del solito suono elettrico della Pegaso; il ricircolo era stato attivato ed infatti cominciai a sentire freddo. La radio suonò di nuovo (il tempo volava). Era la nave Micenea che chiamava. Mario rispose:
“Qui Van Brenner, avanti Micenea, prego.”
“Dovreste quasi aver compiuto la terza orbita, Pegaso. Dopo aver acceso il propulsore a microfusione dovreste allinearvi al nostro radiofaro direzionale. Secondo noi siete ancora parecchio fuori del corridoio di viaggio…il nostro computer sta chiamando il computer di volo della Pegaso, ma senza successo sembra.”
“Sì, avete ragione, adesso controllo; sì, tra venti minuti accenderemo il propulsore, sì, ecco… ecco sì ho lo stimato del computer di volo; un’ora dopo faremo l’allineamento.”
“Certo, ma se accendete il vostro radiofaro, possiamo vettorarvi noi in automatico.”
“Va bene Micenea, ora faccio una check list, e vedo quali sono i sistemi efficienti. Qui c’è un problema col campo magnetico di Saturno…”
“Va bene, va bene. La ragazza sta bene ?”
“Sì, ve la passo…”
“No, va bene così, tanto tra mezz’ora chiama il comandante. Fai la check list e accendi il radiofaro; la frequenza di trasmissione è in memoria.”
“Va bene Micenea, chiudo.”
Mentre reindossavo la maglietta aderente con un po’ di prurito per via del fatto che la maglietta conteneva il mio sudore del lancio, ed adesso quello recente del mio corpo per via della scopata intensa per la ristrettezza dello spazio a bordo, sentivo una sensazione spiacevole: quella della sporcizia generale. Alla base il sorvegliante di silicio e grafene mi aveva abituata bene con la biancheria lavata e sterilizzata ogni 48 ore…la temperatura effettivamente era più fredda; il ricircolo era in completo svolgimento. Pochi minuti d’imbarazzo per via della sensazione del freddo. Mario restava nudo, apparentemente indifferente al cambio di temperatura; stava armeggiando con i touch ed alcuni pulsanti per me completamente sconosciuti; io conoscevo solo quelli della base e del TM. Rasputin risentì del freddo perché starnutì un paio di volte nonostante fosse protetto dal pelo. Il cane si era rifugiato sotto i sedili poiché il volume interno d’aria sotto di esso lo aiutava per incastro a non volteggiare senza riferimenti, dato che anche il mio povero animale oltre me era nato sotto gravità. Mentre Mario dialogava col computer di bordo chiesi:
“Mario, io vorrei lavarmi, è possibile qui a bordo ?”
“Sì, credo di sì. Ma al tuo posto non consumerei l’acqua dolce; qui a bordo ci sono soltanto trenta litri di acqua…venti li doveva portare Johanna; ma io non gliel’ho vista quando…”
“Ho capito ! Io infatti ho preso il cane, porco Saturno ! L’ho lasciata nel TM !”
“Tranquilla Koona, cinquanta erano per noi quattro e…lui dov’è ? La puzza se n’è andata…”
“Si è messo sotto i sedili; lì non volteggia…”
“Comunque qui siamo solo due; trenta litri dovrebbero bastare per meno di due giorni di volo…”
“Venticinque - trenta ore dici ?!”
“No Koona, fino ad almeno trentasei ore…diciamo che se vuoi puoi lavarti con lo spruzzatore, ma ci riesci a farti bastare un litro d’acqua di qui a ventiquattr’ore ? Calcola che dobbiamo bere oltre che idratare le paste liofilizzate.”
“Insomma non è una vera doccia…”
“Abbastanza simile: lo spruzzatore mescola aria ed acqua in parti uguali; vuoi farla ?”
“Sì, dai. Poi io la farò a te…senti c’è biancheria di ricambio a bordo ?”
“Sì, sintetica di velinoprex, è usa e getta; trascorse un paio di giornate lavorative cambia colore e comincia a sfaldarsi; diventa solo un rifiuto da riciclare; in pratica lo getteremo via.”
“Dura due giorni, hai detto ?!...”
“Se lavori e ci sudi facendo aumentare la temperatura superficiale del tuo corpo; ma qui fermi a temperatura costante potrebbe durarti anche di più…certo non è lavabile però! La fanno proprio così, per disincentivare l’indosso di biancheria sporca piena di batteri e germi !”
“Ah e dov’è ?”
Mario mi indicò uno stipetto apribile sul sedile poggiando il pollice sopra un sensore grigio sulla sommità del sedile: dalla sommità si aprì uno sportellino con disponibili due buste trasparenti da mezzo metro di lato; contenevano una maglietta di taglia unica ed un paio di slip, entrambi bianchi. Ammirai contenta quegli “abitini” puliti. Mario mi spiegò tra un touch e l’altro:
“Sono bianche da vergini; una volta indossate a mano a mano che passano le ore diventano rosa assorbendo calore e sudore corporeo; quando ti accorgi che perdono elasticità e tendono a strapparsi è il momento di cambiarle…ma te ne accorgi perché diventano di un rosa saturo…”
“Non macchiano il corpo, vero ?!”
“No, credo di no. Assorbono bene il sudore e l’umidità; ti lasciano un po’ secca la pelle, ma tutto torna normale con la doccia a spruzzo…”
“Allora se la temperatura è tornata normale mi levo questa roba sporca; non la sto sopportando più.”
Mi spogliai di nuovo rimanendo nuda, e sistemai la mia biancheria sporca sotto il sedile appallottolata alla meglio; i miei odori fecero una rassicurante compagnia a Rasputin che guaì inizialmente per protestare per la mia invasione del “suo rifugio”.
“Wuauuuuu, bau, wuauuuu…”
“Buono, Rasputin, dai, buono…”
Gli diedi da annusare anche la mia mano destra, e mi leccò le dita per dire “ricevuto”: sia la carezza, che la puzzolosa “merce”. Un suono ormai familiare interruppe le nostre preoccupazioni dei futuri cinque minuti.
“bzzziipppppp, biiiip”
Mario prese microfono e micro-cuffie e pronto rispose:
“Qui nave Pegaso, avanti Micenea…”
“Sono il comandante, come sta la passeggera Van Brenner ?!”
“Bene, gliela passo!”
Mi venne passato il comandante della Micenea:
“Tutto bene signorina ?”
“Sì, a parte l’igiene comandante; quando ho lasciato la base la mia tuta era sporca e poi ho sudato di paura al lancio…insomma ho del prurito, e vorrei tanto una doccia…”
“La comprendo perfettamente signorina Karydu, tuttavia devo chiederle di sopportare il disagio per quanto può...qui a bordo abbiamo la doccia calda a volontà, e potrà rifarsi del disagio abbondantemente.”
“Sopportare ?! Ma qui c’è uno spruzzatore aria e acqua…”
“Immagino signorina Karydu, ma non c’è sorella Johanna con lei a difenderla…devo chiederle di limitarsi a lavare il viso ed i denti senza scoprire il suo corpo. Si tenga la tuta! Ora mi passi Van Brenner !”
“Prego, eccolo.”
Ripassai le cuffie a Van Brenner ma sentivo lo stesso perché una sola di quelle cuffie era sull’orecchio destro di Mario; l’altra fluttuava in aria:
“Van Brenner questo è un ordine ! Ripeto è un ordine ! Le notifico che ci siamo accorti che avete disinserito le comunicazioni video; state violando la legge di navigazione limitandovi alla sola radio voce…inserisca il videocom ! Devo notificarle un ordine e ho bisogno di vederla in volto.”
Mario ci pensò un paio di secondi, poi pensò di rompere con le dita l’obiettivo lente panoramico del vdeocom diretto con la Micenea, quindi accese un altro videocom a campo più stretto; trasmetteva solo il viso e poco più del collo. Non potevamo mostrar loro che eravamo entrambi liberamente nudi.
“Negativo comandante, il videocom panoramico è rotto; me ne sono accorto adesso; il cane deve averlo morso per il nervosismo volteggiando qua e là qualche ora fa. Mi dispiace. Il cane ha anche defecato sporcando; il panoramico non posso trasmettervelo, è rotta la lente…”
“Va bene lo stesso; mi ascolti Van Brenner, le ordino di non aiutare la ragazza a lavarsi; la convinca a tenersi la tuta, la Pegaso, mi dicono, non è molto schermata per i raggi cosmici; non deve assolutamente spogliarsi o denudarsi! Può essere pericolosamente esposta più dell’inevitabile alla radiazione cosmica…la ragazza non deve togliersi la tuta, è un ordine!”
“Comandante io,…”
“Mi passi la passeggera di nuovo e abbassi un po’ il volume, la ragazza deve indossare le cuffiette integralmente, mi ha sentito ?! Provveda subito.”
Mario mi passò il microfono e si assicurò che le micro-cuffie aderissero alle orecchie integralmente; ora Mario non poteva sentire cosa aveva da dirmi il comandante; tanto io glielo avrei riferito lo stesso:
“Dica, comand…”
“Signorina Karydu, mi ascolti bene: non si tolga la tuta ! Lei e il pilota siete esposti ai raggi cosmici, e a qualche neutrone in giro del motore nucleare della Pegaso; la tuta all’interno della nave è una buona protezione, anche se non totale; se lei si spogliasse per lavarsi il suo corpo adolescente costituirebbe un’ingiusta tentazione per il signor Van Brenner; è già troppo stressato; le chiedo di non fare niente che possa in qualche modo farlo uscire dal normale autocontrollo…mi capisce signorina ?! Non lo provochi, non è il caso…qui siamo tutti in ansia per voi due !”
“Capito comandante! Stia tranquillo, il signor Van Brenner è molto gentile. Non mi ha toccata…”
“Bene, ci risentiamo tra due ore signorina, chiudo per ora!”
“Click!”
La comunicazione venne tolta con un click; un suono universale da quando avevano inventato la radio e certo io non lo sapevo quando…
“Mario, il comandante mi ha detto che non devo spogliarmi davanti a te.”
“Non mi dire ! Di che ha paura ?”
“Boh, a me ha parlato dei raggi cosmici e dei neutroni del motore della Pegaso...e che col mio corpo adolescenziale sarei un’ingiusta tentazione, per te…”
Mario mi fece un sorriso rassegnato dicendomi:
“Tanto vale che te lo dica: ai raggi cosmici siamo trasparenti, la Pegaso non ha un sufficiente schermo, ma rimanervi esposti per pochi giorni non è pericoloso; certo però che la tuta, ha ragione il comandante, è un’ulteriore protezione…”
“E i neutroni ? Fanno veramente così male ?”
“Ma no, boh, è per poco tempo, dai…”
“Sì, ma Greg mi aveva parlato anche di fissioni nucleari sulla Pegaso…”
“Ci sono state delle micro fissioni di plutonio prima quando l’astronave ci attendeva, entrando l’abbiamo trovata calda, no?! Ma tranquillizzati, le batterie con la radioattività residua sono rimaste nel lander…qui il nucleare è diverso, è a microfusione; molto meno pericoloso, e non c’è radioattività di scarto...sì i neutroni ci sono sempre, sono quattro o tre, aspetta che me lo ricordo, col deuterio e trizio mediamente quattro neutroni a fusione…ma ti piacciono queste cose ?…”
Cambiai discorso; ad una lezione di fisica nucleare, sia pure alla buona, non ero preparata:
“Mario mi aiuti a lavarmi ?”
“Va bene, ma stiamo per finire l’ultima orbita; poi devo sorvegliare la corretta accensione del propulsore, e soprattutto dobbiamo decidere cosa fare, la Micenea continua ad inviare i parametri di allineamento con il radio faro della nave, ma io non li ho ancora impostati…sulla Micenea ci vogliono assolutamente; la rete Cosmoz poco fa si è offerta di farci da ponte radio con altre navi, ci hanno trasmesso i parametri di vettoramento mentre dormivamo abbracciati.”
“Di vettoramento ?”
“Ci vogliono aiutare a direzionarci.”
“Siamo già famosi ?”
“Probabilmente il comandante ha trasmesso le istruzioni su di noi a tutti nel raggio di un’ora luce. ”
“E tu che hai fatto ?”
“Non ho risposto.”
“Tu dove vuoi puntare ?”
“Ho deciso ti porto verso la Micenea: poi andrò dove mi parrà più opportuno; qui i viveri erano per quattro, per me da solo basteranno per un po’; chiederò in cambio della tua consegna sana e salva alla Micenea un rifornimento di viveri e di acqua dolce, non me lo negheranno certo, non ci pensare adesso dai…”
In due o tre gesti mi tolsi la biancheria intima sporca, e mi ritrovai di nuovo nuda accanto a lui; non provavo alcun imbarazzo nonostante la ristrettezza dell’ambiente; un seggio ciascuno e un piccolo volume d’aria per fluttuare cercando di non andare a sbattere troppo spesso. Avevo intenzione di farmi una doccetta che Mario definì “à la carte”. Mi piacque come pronunciò, e davanti alla mia curiosità mi spiegò che era un francesismo per definire qualcosa che viene improvvisato; era una parola che mi piacque anche se di cosa, o dove fosse la Francia ne avevo solo una vaga idea: in un continente chiamato Europa mi dissero in tempi diversi Miss Dera prima, e Mario adesso. A quanto pare sulla Terra quando volete esprimere qualcosa di garbato e di raffinato usate la lingua francese, una sorta di lingua adattissima a corteggiare una donna, -pardon- une femme…Mario mentre guardava il mio corpo mi disse anche che per ogni uso c’era la lingua “adatta”: per la musica rock e pop, e rap l’inglese – mi disse- era insostituibile; era fatto di parole rapide in grado di coniugarsi con il ritmo; per il corteggiamento ed il garbo il francese; per la melodia e la lirica l’italiano,- e aggiunse- il napoletano, una lingua dialettale di una città italiana molto famosa. Pensai a Johanna ed alla Chiesa Cattolica Romana; poi concluse per gli ordini militari e per addestrare i cani la lingua migliore del mondo era quella dei suoi nonni: il tedesco, una lingua fatta di vocali aspirate, con essa era possibile dare ordini secchi ai cani come ad esempio “Platz!” che voleva dire stai fermo lì…ah averle sapute su Titano queste cose…avevo una certa nostalgia della base e delle sue comodità come la doccia sempre calda e gli abiti puliti: Titano Uno era stata progettata per accogliere fino a trenta persone; venti ci sarebbero state abbastanza bene…e se penso che io, benché sola e a rischio impazzimento, ero la Regina di quella base, sempre coccolata dal Sorvegliante ! Provai un vuoto dentro quando Greg lo mise a riposo degradando le sue funzioni, rendendolo incapace d’interagire con me…lo ridusse ad un normale computer di custodia delle serrature della base. Greg non mi aveva avvertito. Tutto divenne più silenzioso, più anonimo, più freddo; il direttore d’orchestra era stato rimosso, e forse egli stesso alla fine dello spettacolo si era anche accorto che non c’era mai stata nessuna orchestra…ero triste dopo la degradazione software ed hardware di quel Galaxiamax Quantum del…boh…del cazzo ?! Santissimo Spazio ! Mi ero involgarita…prima la pietà per quel Computer con la C maiuscola, poi la volgarità gratuita! Se avessi detto così lì su Titano mi avrebbe punita assegnandomi una corvée: un servizio “da fare” dopo aver avuto cura di fermare il droide acefalo competente per quello stesso compito. Già, quei droidi che il mio Rasputin di tanto in tanto puntava, e ringhiando contro di loro cercava di trovarsi degli avversari con cui competere (poverino non c’erano altri cani; aveva solo me)…Scoprii solo in quel momento che cattiva ero stata a non averlo mai chiamato George, il suo nome fittizio, quel Computer seppe essere sempre discreto; non mi ordinò mai di “amarlo” o di rispettarlo; mi serviva e mi riveriva come se mamma o papà dovessero tornare a chiedergli conto. Sempre attento ai miei stati emotivi. Sorrisi tra me e me sguazzando in quei miei ricordi; Mario mi riportò sulla Pegaso dopo che la mia mente era tornata su Titano…
“A che pensavi Koona ?”
“…ah, niente, ecco pensavo a Titano…”
“Ci avrei scommesso mezzo stipendio, ho visto i tuoi occhi, erano gli occhi di una nostalgica…ti manca Johanna ?”
Ero a disagio; non pensavo a Johanna:
“No, mi manca George !”
“E chi era ?”
“Il computer centrale di sorveglianza, Greg mi disse che si chiamava George…io però l’ho sempre chiamato computer o sorvegliante.”
“Eri piuttosto imbambolata, ero convinto che non ti eri accorta che ero accanto a te.”
“Mi dispiace. Mario mi aiuti a lavarmi ?”
“No, dobbiamo accendere il propulsore, non posso distrarmi, mi dispiace, rimandiamo di una mezz’oretta; meglio se ti rivesti! Anche se nuda mi piaci moltissimo…”
“Se non si abbassa la temperatura sto bene anche nuda, resterò nuda, accendi quando vuoi…”
Mario armeggiò sicuro sui comandi; gli vidi inserire i dati di volo inviatici dalla Micenea, cosa che richiese meno di un minuto, poi quando ottenne il verde da cinque o sei iconette touch screen dei tre schermi di navigazione mi disse:
“Accendo il propulsore a microfusione; ti devo avvertire per legge che potresti essere sottoposta a radiazioni ionizzanti…”
“…”
“Cosa ?”
“No, dico, sono pronta, dai! Vai, che aspetti !”
Chiusi gli occhi; prima di chiuderli vidi ridere Mario beffardamente come fossi stata una stupida. Uno, due, tre, quattro, cinque secondi, e non succedeva niente; tutto quello che doveva fare il navigatore era sovrapporre dei segmenti rossi sugli schermi per qualche secondo, fino a che non diventavano verdi fondendosi in uno solo. Lo faceva con molta disinvoltura come se in vita sua non avesse mai fatto altro. Era concentrato, a tratti sorrideva agli schermi; segno questo che andava tutto bene. Il computer di navigazione tacque visivamente per un buon minuto nel quale ero così angosciata dall’accensione del propulsore nucleare che non osavo fiatare; sudavo freddo e non mi curavo che avevo per la tensione allentato i capelli che, liberi, erano finiti verso l’alto - o era il basso ? - No, di sicuro era la direzione contraria ai miei piedi; comunque Mario sentenziò:
“Accensione del primario ok. ”
“Bshhhhhhhhhhhhh”
Mi accorsi che la Pegaso aveva vibrato di lato per poi stabilizzarsi. Chiesi apprensiva:
“Era il motore nucleare ?”
“No, era una lieve correzione dell’assetto; hai sentito in cabina uno degli ugelli laterali a idrazina, insomma a gas! Avevamo un lieve errore nell’allineamento del fascio di onde inviato col radio-faro dalla Micenea; avevo sottovalutato il campo magnetico di Saturno poco meno di un grado e mezzo, dovevamo farla prima dell’accensione del microfusion jet.”
“Ecco, luce verde. Adesso si accende tutta la stella…”
“…allora Mario ?!”
“Allora che ?”
“Non succede niente ? Che era il primario ?”
“Non ti accorgerai di niente. L’accelerazione del motore nucleare della Pegaso è dolce nello spazio cosmico; resterà in funzione trentasei ore; poi in prossimità del vascello madre ci allineeremo con la Micenea con i brevi razzetti di assetto; basterà usarli tutti e quattro per decelerare…”
Mario mi spiegò che il primario era un motore a stella con otto ugelli; ogni ugello aveva una stellina sui raggi della quale scorrevano un laser ciascuno fino ad otto; i laser di ogni mini stella convergevano in un punto detto centro di reazione dove veniva posta una microsfera di un millimetro circa di diametro che racchiudeva una piccola quantità chiamata “quantum” di materiale chiamato deuteruro di litio; una volta serviva, mi disse Mario, per distruggere le città con le testate nucleari; mi precisò che ne bastavano soli seicento grammi scaldati da una bomba ad uranio a cinquanta milioni di gradi per vaporizzare un’intera città; adesso veniva addomesticato per la propulsione delle navi da trasporto. Chiesi anche cosa fosse il deuteruro e Mario mi fece un’infarinatura di fisica del nucleo atomico spiegandomi che il deuterio era un isotopo dell’idrogeno; era sempre idrogeno poiché aveva un protone nel nucleo, ma bisognava considerare che aveva un fratello più pesante ben incollato chiamato neutrone; insieme facevano il deuterio, che poi veniva legato chimicamente al litio, un metallo leggerissimo. Usando quel composto dal nome non simpatico era più facile che avvenisse la fusione nucleare dalla quale finì di spiegare tutta la Pegaso traeva l’energia di movimento e di sopravvivenza…
“…e quante sferette abbiamo ?”
“La dotazione è di cinquecentomila. Con otto al secondo, una per ugello, possiamo andare avanti quattro giorni di volo e rotti, a otto ugelli…”
“E tu quanti ne hai accesi ?”
“Ne bastano quattro per raggiungere la Micenea entro trentasei ore, più uno per fornire calore all’astroscialuppa.”
“Insomma quando inizia l’accelerazione ?”
“Koona ! Pochi secondi fa ci sono state le prime accensioni con liberazione di energia e stanno proseguendo…acceleriamo quanto basta, lentamente, non si prova nulla, ti sei spaventata vero ?”
“Sì. E mi sono anche bagnata, lì sotto…”
“Dove ?”
“Qui.” E gli indicai la vulva; mi assicurai che Rasputin rimanesse fermo sotto il sedile, quindi provai a librarmi per trovarmi nuda dopo qualche mezza capriola col mio sesso davanti alla sua bocca. Sospesa a mezz’aria cercavo una maniglia dove reggermi senza trovarla. Mario prese le mie coscette sopra la sua testa ed avvicinatala alla vulva si bloccò a leccarmela chiudendomi lievemente le cosce. Povero Mario, avevo la vulva non proprio pulita ma nonostante dovesse sentire degli odori forti, non sempre gradevoli, Mario usava la lingua sulla mia clitoride per darmi piacere. Miss Dera mi aveva detto che il maschio quando sente che la vulva della donna non ha un buon odore tende a staccarsene senza volerne più cogliere alcun sapore intimo che stimolasse la sua libido, e forse non sarebbe più stato disposto ad accoppiarsi. Presi a respirare con più intensità poiché il respiro femminile per il maschio era un attivatore di libidine. Miss Dera non sempre era stata chiara o precisa per via della mia età, la libidine non ve la saprei descrivere, ma di sicuro la stavo vivendo, da dentro il mio corpo; la sentivo ! Il piacere mi circolava dal sesso al cervello per poi ritornare di nuovo alla mia vulva sempre più bagnata sia dalla saliva di Mario, sia dalla mia vulva…dal momento in cui non sapevo più ricostruire nel tempo la successione sesso-cervello-sesso del mio benessere era il segno che iniziavo a godere. Mario era una testa attiva ed attivata dal mio bacino che sporcandolo con le giuste umidità gli stava facendo tornare l’erezione. Dovetti fermarlo altrimenti avrei goduto subito:
“Mario, basta con la lingua, basta, ahnnnnn, voglio, che ahnnnnn, ahnnnnn, entri ! Uhmmmf, il cazzo, Mario, il cazzo ! Devi entrare dentro, Mario ahnnnn, basta ! Fammi aprire le gambe, ohhhhhhhhhhhhh, sto colando Marioohhhhhhh, uhmmmm! Ahn!”
Mario aveva continuato a leccarmela fino allo spasmo, ero convinta che stavo per scoppiare, non riuscivo più a trattenermi quando all’improvviso smise; mi aprì le gambe e mi fece scendere sul suo cazzo tornato in erezione, saettando verso l’alto o comunque verticalmente rispetto al suo corpo. Mi prese per i fianchi e mi fece scendere sul suo palo. La congiunzione avvenne mentre cercavo di trattenere il colino interno della mia fica. Respirai ed eccomi trafitta, soddisfatta, completata! Il suo cappellone duro si era fatta strada sicuro nella mia fica già bagnata per la mia tensione dell’accensione e poi delle sue sapienti lappate linguali. Venni aggredita da un piacere più materiale e completo rispetto a quello delle carezze salivose della sua lingua che avevano deliziato solo il mio clito. Mi prese la voglia di uomo, di maschio; lo abbracciai strettissimo e lo baciai decisa schiudendo subito le labbra per trovare la sua lingua; desideravo la congiunzione totale, la fusione dei corpi. Miss Dera mi aveva parlato del desiderio di fusione, di quell’unico cortissimo istante, in cui ci si illude di essere “un unicum”. Nessuno sapeva quanto durasse o se avesse una durata. La mia mente era vuota. Provai a muovere il bacino in congiunzione, e sciabolai la lingua velocemente per sovrapporla alla sua. Il nostro bacio proseguì senza che ci disgiungessimo. Morte a chi ci avesse staccati in quel momento solo nostro, tutto nostro, tutto l’Universo poteva andare al diavolo ! Contavamo solo noi. I miei capezzoli si erano inturgiditi ed i miei seni irrigiditi. Col mio respiro toccavo i suoi. Ogni sfioro accompagnato da una correntina fine e solleticante che me ne faceva desiderare un altro, ed un altro ancora, come i nostri baci. Il cazzo del mio amante era caldo e duro, ben piantato dentro di me. Volevo essere presa, giocata, smossa; la mancanza di gravità non sempre ci aiutava. Quando mi staccai dal bacio linguale per respirare un po’ di saliva abbandonò la mia bocca per finire a goccette sulla mia fronte dove Mario, vedendola, me la leccò via “asciugandomi”. Poggiai il mio collo sulle sue labbra per venir baciata anche lì, come qualunque donna felice di essere col suo uomo. Il mio uomo mi baciò su tutto il collo e le clavicole, poi provò ad abbassarsi per succhiarmi i seni avidamente; ad ogni chiusura delle sue labbra sul mio capezzolo volevo che il suo cazzo entrasse ancora di più; fortuna che dentro di me restava ancora duro ! Provai a muovermi su e giù con cautela poiché non volevo interrompere il coito, piccoli scatti di bacino al termine dei quali guadagnavo in intimità di contatto brevi picchi di piacere. Quel suo cazzo, ancora per qualche minuto forse, sarebbe stato un implacabile giustiziere delle mie carni più delicate sempre dolci e accoglienti nel prenderlo; dandogli, avvolgendolo bagnate, il loro stimolo a restare e ad esplodere dentro; una bella eruzione calda, invadente, apportatrice di calore interno e sazietà d’orgasmo. Avevo una vaga idea dei reattori nucleari, ma in quel momento, pur non trovando le parole, tra un respiro e l’altro, sarei stata una vera ingegneressa del “reattore a fica”- innesco cazzo - : fluido, nocciolo, contatto, e reazione a calore... Dentro il mio sesso c’era un infernetto di calore, un bagnetto di fluidi comuni senza un proprietario che deliziava la pelle di entrambi. Sentivo del solletico come a descrivere delle strisce indefinite nel basso ventre; sentii che stavo venendo; se quel palo mi avesse trafitta una decina di volte, rapidamente e per intero, sarei andata in sbrodolo incontrollato. Adesso invece, seduti uno sull’altro, dovevo sperare in qualche scattino del suo corpo per apprezzare l’istante del picco di piacere in cui sarei stata innaffiata dal missile liquido sparato dalla sua uretra. Ero felice di essere la sua bambolina. Ero sporca e sudata, e lui con me…il tempo non lo sentivo scorrere quasi più, e forse non aveva nemmeno più importanza. Non appena chiusi il mio abbraccio sulla sua schiena mi sentii la fica invasa da altro calore; lo sperma di Mario di Mario era riuscito a farsi lanciare lasciando il suo cazzo, e permeando le pareti della mia vagina interna. Mario era esausto. Aveva dato ! Me lo baciai devota, una parte di lui stava inseminando me, ero contenta di accoglierlo. Non più di cinque o sei colpi poterono deliziare la mia vagina mentre scambiavo i miei ultimi atti d’amore con lui. Fossimo stati stesi con me supina su un pavimento con gravità normale il suo orgasmo sarebbe durato molto di più; per lo meno un’eiaculazione di una ventina di colpi; pieni soltanto i primi certo, ma saremmo stati tutti e due molto più comodi ed avremmo dormito nudi, congiunti ed abbracciati come due veri amanti. I nostri corpi, pur continuando a scambiarsi calore, si stavano raffreddando. Mario mi stava sollevando, cosa non difficile a gravità zero, per staccare il coito. Dissi a Mario:
“…no! Resta dentro! Lasciami ancora…”
-continua-
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