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Prime Esperienze

Salve Terra, qui Koona 3a p.


di sexitraumer
20.01.2011    |    7.499    |    0 6.8
"Del resto nemmeno le capsule di soccorso erano provviste di quelle semenze considerate non necessarie..."
Con quel ricordo iniziai a scolpire il mio fallo. Adesso molti mesi dopo quel fallo era in mano mia. E dalla mia mano lo avevo fatto finire nella mia vagina pronto ad invaderne l’interno al mio minimo desiderio. Mi ero sdoppiata: una parte di me voleva scoprire che si provava oltre l’imene; l’altra esitava e mi suggeriva cautela: tanto il tempo era l’unica cosa che non mancava … ed intanto mi gingillavo seminuda con il mio primo giocattolo autocostruito manualmente da me! Padrona, mi sentivo proprio padrona di provare ed approvare, come di respingere! Provai a farlo uscire e poi ce lo rimisi di nuovo, per poi farlo uscire e rimetterlo dentro senza sfondare la sottile membrana della mia verginità. Dentro e fuori continuamente. Cominciavo a provare del piacere anche se non era intenso. Proprio per niente intenso; al massimo invitante. Le mie gambe le tenevo larghe, anche se a tratti le avrei volute chiudere all’improvviso per non far più uscire quel piacevole invasore. I bordi del glande un po’ più larghi mi trasmettevano sensazioni piacevoli quando lo facevo uscire. Conobbi un altro aspetto della penetrazione dei sessi: mi stavo bagnando. Ed intanto il piacere montava piano piano. Vedevo la mia vulva aprirsi e le sue labbra avvolgersi intorno al corpo del mio penetratore. Il mio sesso si stava arrossando ed ingrandendo. Il clitoride mi divenne rosso. Me lo carezzai istintivamente col pollice e l’indice della mano sinistra. Stavolta cominciavo a godere. A tratti chiudevo le gambe per poi ricordarmi di riaprirle. Tirai fuori la lingua, che mi era uscita dalla bocca spontaneamente, e mi venne subito l’idea di tirare fuori il fallo e di portarlo alla mia bocca. Me lo cacciai da sola in bocca e provai del piacere a chiudervi le labbra intorno. Sentii un sapore deludente, ruvido per via della roccia di cui era fatto, ed amaro. Ora sì che avevo assaggiato Titano! In parte era la roccia di Titano, ed in parte il liquame di cui si era bagnato il mio sesso che continuavo a carezzare e massaggiare mentre tenevo quel pene inanimato nella mia bocca leccandolo con la lingua. All’improvviso lo tolsi dalla mia bocca e me lo reintrodussi nella vagina piano, piano, piano. Quella sottile membranina non volevo staccarla o tagliarla ancora. L’istinto mi diceva di preservarla. Tolsi infine il mio fallo dalla vagina eccitata, e debitamente indiavolata dalle mie nuove lubriche sensazioni, provai ad introdurlo nell’ano dopo essermici sfiorata piacevolmente l’inguine. Qui fu molto più difficile farcelo entrare. Qualcosa avevo imparato da quel tampone rettale: rilassai il bacino e poggiato quel durissimo glande sull’ano spinsi con una certa forza. Sentii male, e provai ad avanzare pianissimo curiosa com’ero di scoprire se per caso ci fosse un altro imene o se si provasse del piacere. No, non si provava piacere; per quanto facessi per avanzare lentamente di piacere non riuscivo a coglierne. Era anche piuttosto fastidioso. Solo togliendolo sentii sensazioni di una certa piacevolezza; tuttavia mi era costato del dolore farlo entrare. Decisi che non valeva la pena provare del dolore in cambio del piacere che si provava a stimolare il retto durante il toglimento. Riportai il fallo sopra la vulva e mi ci sfiorai più volte il mio clitoride in via di scappucciamento. Ad un certo punto cercai sul tubicino di gomma l’interruttore della pompetta e spingendolo un secondo dopo il fallo sparò il latte tiepido sopra mia vulva bagnandola tutta quanta: carne e peluria. Di peluria ne era cresciuta abbastanza, ma ancora non lo avevo detto a Miss Dera. Un po’ di quel latte entrò dentro dandomi del piacevolissimo solletico. Per un istante mi pentii di non essermelo sparato dentro. Avevo preferito fuori perché col piccolo gettito di latte non volevo danneggiarmi l’imene. Deposi il fallo che ormai non mi serviva più nel mio stipetto con interruttore a codici e terminai la mia masturbazione con le dita alla velocità che volevo io. Ci vollero dei minuti di massaggi e di stimolazioni clitoridee, ed alla fine venni espellendo anche un po’ di urina dal meato. Quella fu una sensazione decisamente piacevole. Il latte non mi aveva sporcata. Il godimento della mia vulva sì. Avevo un bel po’ di quella zozzeria trasparente che mi era uscita dalla vulva tra le mie coscette oltre che sul pelo. Mi alzai per andarmi a lavare in bagno. Il mio cagnolino mi aveva aspettata: mi diede una sua annusatina tra le gambe che mi si erano un po’ sporcate. Mi circondava continuamente durante il mio cammino fino al locale docce. L’oculare del Sorvegliante in corridoio mi vedeva nuda di sotto col pelo scombinato ed una giacchetta fusciacca aperta con i seni liberi che stavano su da soli. Le mie natiche erano bianche e suppongo insignificanti per voi sulla Terra abituati a ben altre modelle! Dentro la base non giravo certo completamente nuda poiché avevo timore che il Sorvegliante inviasse le immagini del mio comportamento a Miss Dera od alle autorità di Marte 3. Arrivata in bagno feci cenno a Rasputin di aspettare fuori altrimenti tutta la doccia si sarebbe riempita dei suoi peli. Finii di spogliarmi togliendomi la fusciacca; completamente nuda scelsi una doccia completa. Entrai nel cilindro di plexiglas verde-azzurro e, spinto il solito pulsante dell’automatico, venni investita da una quindicina di spruzzatori d’acqua tiepida saponata: non dovevo fare niente; era quasi del tutto automatizzata. Dalla sommità del cilindro scese con un’asta scorrevole un altro cilindro orizzontale giallo: era la spugna che ruotando a otto giri al minuto mi lava la schiena, poi le natiche, quindi le cosce dietro fino alle caviglie. Il tutto richiedeva sei minuti: tre per il di dietro, e tre per il davanti del mio corpo. Se volevo potevo fermarla e farla anche stazionare in una parte qualunque del mio corpo. Ripeterlo o meno era a mia discrezione. All’altezza della vulva le feci ripetere il lavaggio due volte. Finito il lavaggio del corpo gli spruzzatori superiori si occupavano dei capelli facendo ruotare durante lo schizzo il getto di acqua e shampoo in modo da investire la maggior parte della testa. Anche questo durava sui tre minuti. Poi il risciacquo e l’asciugatura integrale del corpo con l’aria calda. Tempo per essere rimessi a nuovo più o meno nove minuti. Il droide come sempre mi aveva seguita senza riuscire ad evitare che il mio Rasputin entrasse nel locale docce, e mi aveva fatto trovare la biancheria di ricambio. Gli chiesi di portarmi un paio di scissori. Li sapevo usare dato che facevo io di persona la toeletta a Rasputin. Ci vollero quattro lunghi minuti; stavo sospettando che il droide fosse stato fermato dal Sorvegliante per chiarimenti. Comunque il mio servo acefalo a quattro braccia mi portò le forbici che prontamente presi mentre Rasputin contento di essere stato ammesso in bagno mi restava religiosamente accanto alla mia gamba sinistra come fosse stato un mio cortigiano d‘altri tempi; tempi remoti. Andai davanti allo specchio e, ignorando Rasputin, procedetti allo sfoltimento dell’eccesso di peluria. Ne tagliai via un bel po’ usando il solo criterio della troppa lunghezza nella scelta. Proteggevo la mia vulva con le dita della mano sinistra e per la parte di pelo che sporgeva, zac! Dopo la mia sforbiciatura quelli rimasti non superavano un cm di lunghezza. Adesso mi accorgevo che la mia vulva aveva un aspetto più attraente: se ne individuavano bene i contorni; soprattutto delle grandi labbra (Miss Dera le lezioni di anatomia sessuale, limitandosi a quelle indispensabili perché non mi ferissi, me le aveva impartite). Piacevole era a vedersi la loro carnosità e nel complesso l’aspetto ordinato ed innocente del mio giovane sesso; in particolare, ricordo, apprezzai la regolarità dello spacco. Afferrata la spazzola per i capelli pettinai i peli rimasti con la dovuta delicatezza; quindi mi rialzai le mutandine. Mi guardai allo specchio soddisfatta. In fondo ero più che contenta di aver rinunziato all’auto penetrazione. Ora sapevo cosa facevano gli uomini con le donne, e sarebbe piaciuto anche a me farlo. Solo che su Titano non c’erano più uomini dopo la morte improvvisa di mio padre durante una prospezione geologica dalle parti dell’anello D di Saturno quando venne investito da una scarica di ciottoli cosmici che aveva imprudentemente ignorato durante le sue prospezioni radar. La sua missione sarebbe dovuta durare nove giorni compresa l’orbita di rientro su Titano. Ma non tornò più. Mamma mi disse che era andato in missione sul pianeta Saturno, e che la Regina di Saturno, incuriosita dalla sua missione, lo aveva fatto chiamare a Corte dai suoi Cavalieri Azzurri; era talmente contenta di averlo conosciuto che non lo avrebbe lasciato tornare dalla sua famiglia per un bel pezzo! Sì perché su Saturno il tempo passava molto più lentamente. Per parlare con la Regina di Saturno ci sarebbero volti solo pochi minuti, ma siccome sul pianeta degli anelli il tempo scorreva più lentamente quelli che lì erano pochi minuti, per noi sarebbero stati anni e anni. Da bambina non era difficile crederlo. Quel pianeta sembrava sempre praticamente immobile ed impassibile. Ci misi un anno a capire che era stata una balla pura e semplice, bella e buona, - fate voi! - Vissi altri tre anni con mia madre senza rinfacciarglielo con la stazione tutta per noi. Imitavo tutti i suoi gesti e la aiutavo nelle pulizie tutta contenta. Divenni pratica di ordini ai droidi che divennero anche i miei compagni di giochi se non adibiti ad altre mansioni. La nostra fortuna erano i bracci della stazione lunghi un centinaio di metri ciascuno e l’emozione che dava spostarsi di pochi metri fuori tra un braccio e l’altro indossando la tuta ed il casco! E adoravo mia madre Iga quando mi portava fuori con il TM a recuperare le capsule di soccorso che le varie stazioni spaziali e qualche astronave mineraria ci inviavano ad intervalli irregolari in attesa di una vera e propria missione di soccorso. Cadevano con una probabilità di errore circolare di dieci km quando tutto andava oltre l‘ottimo! Per me quest’ultima parola non era certo difficile: l’avevo sentita spesso ai miei genitori. Erano gite in autobus di due o tre ore per recuperarle. Immagino che per voi sulla Terra dieci km si facciano in un quarto d’ora … qui ce ne vogliono due tra andata e ritorno. Il solo vantaggio era che erano in automatico. In teoria la missione di soccorso avrebbe dovuto raccoglierci e portarci dapprima sulla stazione spaziale più vicina e poi si spera, finalmente sulla Terra. Sto ancora aspettando quella missione. Mi hanno parlato di finestre di lancio, disponibilità logistica, calendari di lancio … per me sono tutte sciocchezze. Anche la missione del nostro salvataggio deve avere una sua convenienza politica ed economica. Con mia madre sono stata bene fino a quando non scomparve anche lei sospinta dentro un lago di ammoniaca liquida mentre cercava di recuperare una delle tante capsule che ci inviavano. Una rotazione repentina della capsula la schiacciò e la sospinse dentro quello stesso lago dal quale voleva salvare la capsula piena di viveri liofilizzati e medicinali. Conteneva anche giocattoli per la sottoscritta che in quella tristissima circostanza era cresciuta abbastanza da ignorare le bambole. Mia madre affogò in quel lago e probabilmente venne dissolta in pochi giorni dalla pressione della profondità e dalla corrosività dell’ammoniaca liquida. Io dovetti assistere impotente ed al sicuro dall’interno del TM. A me non era permesso aver a che fare con le capsule; per lo meno fino a che mamma è stata viva. Il veicolo d’esplorazione con la sua telecamera esterna aveva ripreso tutto l’accaduto ed inviato le immagini al computer centrale, che adesso dopo un conciliabolo con Marte 3 mi teneva compagnia parlandomi, interrogandomi, evitando di farmi impazzire per la solitudine. La solitudine però mi aveva fatto scoprire il sesso ed il piacere che si riceve a toccarselo, ad esplorarlo con le proprie dita, a farci masturbazione immaginando pensieri turbanti e non sempre confessabili. Miss Dera cercava di fare la madre putativa e distaccata. Sul sesso non mi ha voluto dire niente per tre anni. Il dottor Waeldyma neppure si sbilanciava più di tanto. Comunque dalla mia domanda alla sua risposta passavano obbligatoriamente due minuti e mezzo: uno per l’invio, trenta secondi per rendersi conto e rispondere, ed un altro minuto per l’arrivo della risposta visto che il computer centrale aveva scelto quest’astronave solo perché era entro 1 minuto-luce da noi. Era la più vicina tuttavia non si parlava in tempo reale. Passarono dei giorni senza notizie apprezzabili, quando all’improvviso decisi di correre un bel rischio. Mi rivolsi al Sorvegliante disinvolta:

“Ehi, amico!”
“Agli ordini Koona! Dimmi!”
“Puoi vedere quanto polivinilcloruro abbiamo di riserva e quanto riciclabile?”
“Certo, ma perché il polivinilcloruro?”
“Si tratta secondo le schede didattiche Cosmoz di un materiale abbastanza leggero e robusto. Vorrei farlo usare dai fabricator per far costruire ex novo un busto. Un busto umano.”
“Hai preso la scoliosi Koona? Ne dovrò parlare al Dottor Waeldyma!”
“Ma che hai capito ! Ammasso di silicio marcio! Volevo che mi si costruisse un busto a grandezza naturale del mio attore di olomuvj preferito!”
“Ah! Le mie scuse. E chi sarebbe?”
“TedSky Fox! Quello dell’omonima serie in olomuvj, della quale colgo l’occasione per protestare, hai tagliato diverse scene.”
“Quali scene?”
“Quelle di amore e sesso con l’Imperatrice di Andromeda!”
“Era solo sesso! Sesso tra l’altro tentacolare! Noi, cioè tu sei un essere umano Koona!”
“E da essere umano ti chiedo di farmi fare un busto per decorare la mia stanza. Tre secoli fa le ragazze della mia età appendevano dei manifesti colorati chiamati posteri alle mura delle loro stanze del loro cantante o del loro attore preferito!”
“Erano i poster, non i posteri. Comunque vedrò cosa posso fare.”
“Solo il busto. Dalla vita in su!”
“Senza gambe quindi!”
“Hai capito benissimo!”
“Ah un ultima cosa! ”
“Potresti programmare un droide per dei lavori di giardinaggio?”
“Hai un giardino Koona?!”
“Sì oltre la collina! Ti dico che si tratta di una serra! Venti metri per tre. Rivestita con i paracadute delle capsule di rientro. Adesso i livelli di ossigeno sono accettabili. L‘ho costruita io stessa con le mie mani!”

In un certo senso era vero: con le mie mani, a gesti ampi, lenti e chiari avevo spiegato ai droidi cosa volevo quanto a forma del rivestimento; ed essi programmando i fabricator provvedevano per la parte pesante del lavoro come fabbricare lo scheletro, erigere l‘intelaiatura, rivestire il tutto con la tela dei paracadute che io avevo personalmente raccolto, nonché trasportare i pesanti accumulatori per l‘illuminazione interna…

“Ah! Ecco cosa andavi a fare dopo il settore C3 !”
“Sì.”

Attesi fiduciosa il responso del Sorvegliante:

“Sta bene! Programmerò il numero otto a meno che tu non ne voglia un altro. Ti farò sapere a tempo debito quando potrà eseguire i tuoi compiti.”

Il Sorvegliante fece quanto da me richiesto ed io stessa nel caso avesse la capacità di sospettare nel vero senso del termine mi comportavo da brava studiosa. Vi chiederete perché avevo chiesto un mezzo busto, o meglio il solo busto: beh, volevo montarlo sopra uno dei droidi, macchine tutto fare con quattro bracci telescopici e quattro dita meccaniche alla fine di ogni braccio; ubbidienti e sicure, ma acefale ed alte non più di mezzo metro. Ottenuta la mia versione semovente di TedSky Fox ne avrei fatto il mio maggiordomo, e con una modifica tutta mia di cui non anticipai nulla al Sorvegliante anche il mio … ih, ih, ih. Continuate a leggere:
Tempo dopo messa da parte la materia prima Il Sorvegliante mi disse che TedSky Fox per me era pronto: era di colore rosa come il mio corpo che però era più mulatto. Restavano solo da dipingergli gli occhi ed i capelli come nell’olomuvj. Me ne occupai personalmente dimostrando come pittrice più talento che come scultrice. Tre giorni di pittura ed il “mio Ted” era pronto. Chiamai un droide e ve lo misi sopra, per la cronaca e per il Sorvegliante rompiscatole era il numero cinque. La struttura di quel busto era leggera. La misi sopra il droide e adesso avevo il mio Ted che si muoveva sul corpo del droide. Mandai il droide un metro avanti a me e mi stesi per terra; poi allargate le gambe chiesi al droide di venire avanti lentamente e di fermarsi davanti alle mie caviglie che erano non troppo distanti dalle natiche spiaccicate al suolo. Il droide eseguì senza che il sorvegliante lo fermasse. Giunto a dieci cm da me si fermò perché così era programmato. Con un pennarello rosso tracciai un segno a X sul corpo anteriore del droide, in basso. Fatto! Mi rialzai e tolsi TedSky Fox dal droide che congedai. Adesso bisognava andare in officina. Lì un po’ oziando ed un po’ provando, per tentativi, selezionai la colla più adatta a fissare il mio Ted al corpo del droide sulla faccia superiore. Poi richiamai il cinque tra il disinteresse dello scodinzolante Rasputin. Il cinque venne da me e gli fissai sopra il busto di Ted aspettando che la colla prendesse. Purtroppo il cane mi giocò un tiro dei suoi: prese una breve rincorsa e saltò sul petto di Ted smuovendolo dalla colla che prendeva. Lo dovetti allontanare con dei calcetti mirati. Stava proprio esagerando. Lo chiusi fuori dall’officina. Passai circa un’ora ad assicurarmi che la colla avesse preso; poi pulii io stessa Ted-droide dalle sbavature: adesso veniva il lavoro più difficile: fissargli quel pene che avevo scolpito io stessa con la roccia titaniana. Dovetti selezionare un’altra colla più potente. Scoprii che ne avevamo poca, ma quella poca sarebbe bastata. Ne approfittai per collaudare Ted: mi feci seguire dal droide in camera mia. La cosa avvenne senza problemi. Qui, dato che mi ero portata la colla, gli fissai il pene alla struttura inferiore, quella della semovenza. A guardarlo troppo sembrava ridicolo, ma quello sarebbe stato l’aspetto di TedSky Fox con un’erezione sessuale. Ironicamente parlando il mio Ted non c’era pericolo che andasse in defaillance. Presi una pellicola a bolle d’aria, da imballo di sicurezza, che avevo notato in officina e l’avvolsi sopra il pene usando il nastro adesivo come fermo del rotolo risultante. Sembrava reggere; contavo sul fatto che essendo fatto di roccia resistesse ai tre kg di peso. Ovviamente in tal modo il suo vero scopo sarebbe stato meno evidente. “Chiusi Ted in camera mia”, poi andai in corridoio a parlare col computer centrale:

“D’ora in poi il droide cinque sarà addetto alla mia persona, esclusivamente! Ho bisogno di un maggiordomo! Modificheresti la programmazione, Sorvegliante?!”
“Va bene, vada per il cinque! Allora lo programmo anche per il giardinaggio ? O preferivi l‘otto?!”
“Sì, va bene il cinque; proprio così, grazie!”
“Vedo che ora è nella stanza tua! Cosa è quella protuberanza tondeggiante di carta da imballo che hai montato in basso?”
“Serve ad isolare uno scanner per il terreno.”
“Sarà! Però non percepisco il montaggio di uno scanner sul droide. Non mi viene inviato alcun dato in merito dal droide. Un‘altra cosa Koona!”
“Prego dimmi.”
“Quando ti recherai alla serra Koona porterai con te anche l’otto. Resterà a mezza strada per fare da ponte radio con il cinque. La serra è oltre la collina. Mi aspetto che la serra abbia il rivestimento dell’involucro trasparente alle onde elettromagnetiche.”
“Va bene, cinque ed otto. Ma col cinque voglio restarci sola lì nella serra. Sì il rivestimento è trasparente. Confermo.”
“Va bene Koona! Per ora.”

Le ore passarono lente. Era domenica. Giorno libero dalle lezioni con Miss Dera. Alle undici mangiai un boccone. Alle tredici, tempo terrestre, il Sorvegliante autorizzò l’uscita con il TM ben oltre la collina. Andai in compagnia di Rasputin, e del cinque, il mio Ted con l’involto in sala di vestizione. Mi spogliai completamente tenendo solo le mutande com’ero abituata a fare. Intanto l’otto sentivo con le orecchie aveva già raggiunto la stanza di compensazione. Indossata la tuta diedi istruzioni a Rasputin di aspettarmi lì. Questa volta non lo avrei portato con me. Al mio comando se ne andò in soggiorno abbaiandomi due volte in segno di saluto. Presi la decisione e mi recai in sala di compensazione dove già ci aspettava l’otto. Infilai il casco e lo bloccai e digitato il codice una porta a pannello si chiuse dietro di noi. Cinque secondi dopo una luce lampeggiante annunciò che si sarebbe aperta la seconda che dava verso l’esterno. Si aprì ed uscimmo. Io per prima e sul telecomando della polsiera chiamai il TM che si avvicinò giungendo in sette secondi. Si aprì il portello ed entrarono per primi i droidi con le loro gambe a rotelle. Il mio Ted ovviamente era buffo ed impersonale. Poi entrai io e raggiunsi il posto di guida. Chiusi i portelli, e dopo sei secondi per la ri-ossigenazione, mi svitai il casco e mi sedetti alla guida digitando preventivamente il settore dove dovevamo recarci: tempo di arrivo venti minuti nel grigio-giallo-rosa panorama di Titano con il giallo silenzioso e maestoso Saturno, ineliminabile dall’orizzonte. Puntammo sulla collina e compiuto un periplo intorno ad essa alla sua destra feci scendere l’otto che avrebbe dovuto fare da ponte radio. Poi chiuso il periplo verso sinistra mi recai alla mia isola personale, alla mia piccola Terra. Una serra di una ventina di metri per tre a chiusura ermetica di plastica gommata su uno dei lati corti. Avendola realizzata con i paracadute e con gli air bag sgonfiati delle capsule, aveva un aspetto variamente variopinto secondo i motivi dei paracadute, inframmezzati dai teloni degli airbag grigi. La struttura era a galleria di semicerchio con i telai forniti dalla base. La maggior parte del lavoro l’avevo fatta fare ai droidi naturalmente. Feci prima entrare il droide, poi entrai anche io con una pressione nella porta gommata autosigillante (i droidi erano proprio dei perfezionisti). Guardai la mia polsiera e vidi che il livello di ossigeno era del 18 per cento. Più che sufficiente per la respirazione autonoma. Nella mia serra c’era una temperatura di 25 gradi centigradi. Tutto quello che ero riuscita a coltivare erano licheni della riserva della base, e vari fiori colorati, nessuno dei quali somigliava al mio preferito: una rosa. Del resto nemmeno le capsule di soccorso erano provviste di quelle semenze considerate non necessarie. Oggi per fortuna era uno di quei giorni in cui il livello di ossigeno era adeguato. Per scrupolo raggiunsi la parte opposta, e vidi che il livello di ossigeno era del 17 punto sei. Tornai verso l’ingresso ed a metà strada 17 punto tre. Complessivamente andava tutto bene. Svitai il casco ed emozionata me lo tolsi. Respiravo normalmente e sentivo l’odore del muschio, un odore piacevole. Chiamai il mio Ted e lo liberai dall‘involto di carta a bolle. Ora avevo il mio Ted con il fallo eretto davanti a me. Restava da fare una sola cosa: spogliarsi della tuta termica lì dentro inutile. Certo era una bella imprudenza poiché la serra aveva delle piccole perdite di aria dovute all’espansione dei gas e dei radiatori di temperatura. A rigor di logica avrei dovuto tenermi la tuta. Presi la decisione e me la tolsi. Ci vollero cinque minuti poi con le sole mutande sudate mi ritrovai quasi nuda. Decisi di stendermi tra quei muschi e licheni e per cominciare mi tolsi anche le mutandine abbandonandole sul terreno. Ora sì ero nuda. Nuda ed a contatto con i licheni. Due metri sopra a me stesa c’era l’atmosfera ostile e demoniaca di Titano. Io invece ero in una bolla di ossigeno con la pelle scoperta. Chiamai finalmente il mio Ted; ora ero decisa a perdere, sia pure artificialmente, la verginità del mio sesso. Feci cenno ed il droide si mosse verso di me avanzando con il busto incollato al droide e con il fallo in bella evidenza che si stava sporcando di terra. Era pur sempre un uomo inanimato. In questo ero già delusa. Mi alzai in piedi e mi misi a baciare sulla bocca il mio Ted che ovviamente non ricambiava il bacio. Fortuna che le sue labbra mi apparivano carnose per via della dura gommosità del materiale di cui era fatto. I suoi capelli erano solo dipinti. Me lo baciai rapidamente dappertutto sul suo viso e sul petto scolpito alla meglio. Poi mi distesi per terra ai suoi piedi. Mi mossi un po’ di fianco onde stendere tutto il mio corpo adolescente, mulatto, dal seno acerbo sul tappeto verde del muschio. Le mie natiche se ne erano impregnate tutte. Il droide col busto di Ted si fermò ad un metro da me. Gli feci cenno di avanzare ancora un pochino e questo coso lo fece: presi a pulirgli il fallo con le mani, poi dopo averlo lisciato ed impugnato più volte spontaneamente decisi di prenderlo in bocca. Questo è ciò che avrei fatto ad un uomo e specialmente al vero TedSky Fox! Indugiai stesa di fianco con la mia bocca su quel fallo finché non sopportai più il sapore della dura roccia sia pure levigata. Il contatto mi stava disidratando la lingua. Cambiai posizione ed avvicinai la mia vulva pelosetta a quel fallo dalle forme improbabili ed irregolari (di meglio non ero stata capace di fare). Vidi che allargando le cosce e sollevando un pochino il bacino il pertugio d’ingresso della mia vagina era sulla stessa linea del cappellone anteriore. Feci dei piccoli aggiustamenti muovendo il bacino, e quindi cenno al droide di avanzare di poco. Avanzò di solo mezzo metro e l’invasione dentro il mio sesso in pochi istanti ebbe il suo inizio; non potevo più fermare il mio fallo sul corpo somigliante il più possibile a TedSky Fox:

“Ahhhhiiiiiiiiiiii! Uh! Uh! Che male! Ahiiiiiiii!”

Il mio imene era stato lacerato dal fallo. Avrei voluto ritrarmi, ma feci uno sforzo di volontà e restai congiunta tenendo gli occhi chiusi o lontani da quel fallo dentro di me. Le cupolette del mio seno si erano drizzate per la novità del dolore. Da qualche istante non ero più vergine. Il fallo ormai era dentro di me per metà della sua lunghezza. Il droide Ted si fermò dopo il mio urlo di dolore. Che cretina! Non mi ero nemmeno preparata … e nemmeno il droide si muoveva più. Mi mossi io come potevo e per fortuna le sensazioni di piacere cominciavano ad arrivare e a riprodursi sempre di più. Mi faceva ancora male, ma se volevo provare piacere mi dovevo muovere io. Avevo intuito che in un caso di vero sesso con un uomo, si sarebbe dovuto muovere lui. Provai a fare cenno al droide Ted di muoversi avanti ed indietro, ed infatti per un paio di minuti il droide obbedì. Io finalmente dovevo solo tenere le gambe abbastanza larghe e sollevate in modo da favorire il movimento. Due piacevolissimi minuti di movimenti sussultori del droide che mi fecero provare dell’autentico piacere. Poi si fermò all’improvviso: e grazie! Era stato interpellato dal Sorvegliante. Ed il Sorvegliante per cautela tramite il ponte radio con l’otto là fuori lo aveva fermato. Il mio droide, il cinque era fermo! Maledizione! Porco Saturno! Ma che succede insomma?! Se solo non avessi urlato! Abbandonai la visione del cielo filtrato dal telo della serra per guardare il droide ed il mio sesso: era tutto insanguinato per via della lacerazione della membrana di pelle che si era staccata dandomi una sensazione di taglio a cui non avevo potuto oppormi. Fu un momento angoscioso: non potevo più tirarmi indietro una volta sentito il duro fallo premere impietoso contro il mio imene. Venni trafitta per mio stesso ordine. Adesso muovendo io stessa il bacino con un po’ di cautela godevo, ed il seno mi era diventato duro: sensazione per me nuova. Provai a riordinare al droide di riprendere a muoversi.

“Beh, dai muoviti come prima! Dai!”

Il droide non si mosse: il Sorvegliante lo aveva bloccato. Allora presi una decisione draconiana: Mi alzai, e adagiai per terra il droide secondo la schiena del mio Ted; il fallo ora era rivolto verso l’alto. Dritto lo era solo globalmente dato che deviava a sinistra e la cappella un po’ verso destra. Andai sopra il fallo con la mia vulva e decisi di penetrarmi di nuovo da sola. Mi lasciai cadere sopra quel mio fallo e rimasi per un lunghissimo secondo senza respiro. Autoimpalandomi all’improvviso senza alcuna cautela mi ero penetrata troppo. Provai un piacere soffocato. Una frustatina nervosa viaggiò dalla mia vagina al mio diaframma e quella frustatina mi aveva tolto il respiro! Provavo questa volta un’altra sensazione: ero bagnatissima e la cosa mi faceva piacere; avevo preso a rantolare affannosamente. Pensai - “se sotto di me avessi un vero uomo che si muova!”- Ma dovevo muovermi io. Anche le cupolette del seno si muovevano con il mio bacino che aveva quasi del tutto ingoiato quel fallo artificiale. Provai a toccarmi i capezzoli ed ecco che sentii una correntina interna attraversarmi il seno! Strinsi il capezzolo per la tensione e la voglia che un maschio me lo stringesse! Una bella stretta senza pietà che io non potevo darmi. Provai a stringermele tutte e due! Le cose migliorarono un po’ ma solo perché avevo preso a cavalcare letteralmente quel palo freddo e duro e levigato con il quale forse stavo mettendo a repentaglio la mia vagina interna. Mi calmai un po’, ma mi ero anche riscaldata non poco. Ero di fuoco! Mi calmai ma continuavo a gradire quella trafittura addomesticata. La vulva stava colando! Quello era il piacere lubrico che cercavo. Mi sentivo talmente sporca e felice, che provavo perfino comprensione per Miss Dera o il dottor Waeldyma, che non mi parlavano mai di questo aspetto del sesso decisamente sporco e necessariamente intimo! Per forza di cose! Ecco cosa voleva dire l’espressione latina in re ipsa! Il mio cervello richiamava di tutto, e tutto sembrava percepire con chiarezza per ineffabili istanti! Dopo quella successione di soluzioni e schiarite uno strano torpore si stava impossessando di me con quel rassicurante duro strumento di piacere dentro di me, felicemente custodito!

“Ahnn! Ahnnn! Ahnnn! Uhhhhhh! Auhhmmmm! Ahnnnn! Ahnnnn!”

Purtroppo a respirare ero da sola e il mio respiro di certo non mi auto eccitava. Mi muovevo ogni secondo più esperta guardando i contorni stesi in terra del mio TedSky Fox! A mano a mano che l’orgasmo montava - ma dove avevo mai conosciuto questo modo di dire? - distinguevo sempre meno il mio Ted; ormai c’era solo una nebbiolina indistinta davanti ai suoi contorni o delle lacrime di piacere davanti ai miei occhi?! Respiravo più velocemente, sempre di più! Sentivo che stava arrivando un momento particolare dato che il dolore mi sembrava di non percepirlo più.

“Ahnnn! Sì! Ahnnn! Ahnnn! Sì! Ahnnnnn! Sì! Sì! Sì!”

Un fascio di corrente aveva preso a esplodermi nell’utero! Tante correntine che sbattevano da tutte le parti del mio sesso. Quella novità allora era l’orgasmo! Quello era il piacere! Afferrai l’interruttore della pompetta sperando che dall’ultima masturbazione a sfioro fosse rimasta almeno un po’d’acqua. Ce l’avevo messa? Ora, in quei momenti, o quando?- Boh, non lo ricordavo ma dopo due o tre puntate di piacere presi la decisione e spinsi l’interruttore della pompetta. C’era! Il fluido c’era. Ed al momento culmine mi sparai dentro dell’acqua. Non mi calmò ma apprezzai quel gettito. Era la naturale conclusione del mio desiderio di congiunzione. Non era stato che un rapido dilettantesco salto in un microcosmo intraneo: quello del piacere più intimo ed egoistico. Ora la mia vagina, raffreddatasi rapidamente, restituiva il tutto soddisfatta ed io rallentavo i miei ansimi. Era tutto finito! Così rapidamente! Un quarto d’ora al massimo, credo. Restai qualche minuto col fallo dentro, ma presi una decisione: avrei presto staccato quel fallo dal droide cinque. Era meglio se me lo rigiravo dentro io stessa quando avessi desiderato una penetrazione. Almeno avrei deciso la velocità giusta. La finzione con il modello di TedSky Fox non aveva funzionato in pieno, anzi quasi per niente. Mi staccai dal fallo facendo un piccolo sforzo. Mi dovetti sollevare lentamente dato che essendo rimasto duro aveva ben aderito alla vagina interna che l’aveva accolto. Non credevo fosse così difficile interrompere un coito già avvenuto. Mi era appena venuta un’idea: dato che il viso di Ted dava verso l’alto per via del droide steso a terra, mi chinai sulla faccia di Ted con la vulva sporca, sudaticcia e lievemente insanguinata nella carne e nei peli, strusciandola più volte tra le sue labbra, e tuttavia non ne trassi alcun beneficio, dato che Ted quelle sue labbra fisse non poteva certo schiuderle. Certo, mi era rimasto un po’ di prurito …
Speravo nella gentilezza di un bacio auto indotto. Pensai però che doveva fare un curioso effetto spiaccicare il proprio sesso sul volto dell’uomo-amante. Mi voltai e presi l’acqua rimasta nella sacchetta (la vescica posticcia) e la utilizzai per lavarmi il sesso lasciando scorrere l’acqua reflua dalla mia vulva sul volto del povero Ted che essendo una statua impermeabile non poteva certo ribellarsi. Avevo però la sensazione che un uomo reale non avrebbe del tutto sgradito la cosa. Comunque la finzione era finita: Ted sarebbe rimasto un busto decorativo per la mia stanzetta personale nella quale il Sorvegliante non faceva più domande da quando avevo conseguito la licenza media. Decisi di restare nuda senza reinfilare la tuta ed aiutai il droide cinque a rimettersi in piedi. Lo voltai verso la galleria della serra. Poi mi misi a camminare sopra quei muschi tutta nuda, felice e proprietaria di quel mio angolo di vita terrestre trapiantata. Avevo notato che il droide aveva preso ad osservarmi col suo oculare all’altezza dell’ombelico del mio Ted. Che il Sorvegliante mi vedesse! Facevo quello che sulla Terra chiamate naturismo. Immaginavo tutte le mie tonde natiche inverdite dal muschio che io stessa avevo coltivato con le colture che papà e mamma portarono dalla Terra. Oggettivamente ero in un pezzo di Terra. La temperatura interna era di ventiquattro gradi sopra zero. Prendevo anche il Sole; non quello vero che era solo una stella luminosa a forma di pallino che ovviamente non poteva scaldare. Il mio Sole, dentro la mia serra, erano delle lampade multispettro che riproducevano la luce necessaria alla fotosintesi dall’infrarosso all’ultravioletto A. Erano una vera chicca: venivano alimentate con le microonde inviate dal reattore della base ad un ripetitore sulla collina che le convogliava fin qui. In teoria non mi ci dovrei neppure avvicinare da quando ho capito cosa sono o fanno le radiazioni. Ehi! Ma allora il Sorvegliante, mi resi conto, forse aveva scoperto la serra di cui non gli avevo fatto rapporto; ma doveva aver tollerato la cosa. In fondo la coltivazione di muschi e licheni faceva parte del mission planning di Titano Uno. Andai nuda tra i miei fiorellini colorati, e li osservai senza coglierne nemmeno uno. All’improvviso chiamai il droide col busto di Ted e gli ordinai, visto che si era riattivato, di utilizzare la fotocamera a scansione: volevo delle foto ricordo nuda e sorridente tra i miei fiori. Il droide eseguì quanto gli avevo ordinato e non era escluso che il Sorvegliante venisse informato dal droide. Che s’informasse pure! Delle foto ricordo sono un diritto per chiunque in casa propria. Non le contai in quei momenti, ed a tutto oggi non so quante ebbe a scattarne. Io ero contenta e rilassata di sorridere al suo obiettivo (incorporato nell’oculare). Mi rigirai sull’erbetta e su quei fiori come una bambina anche se ormai ero quasi donna. Mi rilassai parecchio a scaldare e schiacciare i miei seni sui quei fiori; anche se così ne danneggiavo non pochi. E intanto il droide mi scattava le immagini che poi avrei rivisto una volta tornata a casa mia nella base. Il colore del cielo di Titano va dal cremisi al rosa fino al rosso anche se il più delle volte si percepisce soprattutto il grigio della foschia. La serra l’avevo ingrandita io stessa rispetto a quella originale di cinque metri usando i paracadute e facendomi aiutare dai droidi per la sua sigillatura dall’aria esterna irrespirabile essendo costituita da metano e azoto e qualche insidioso vapore di ammoniaca qua e là. Un paesaggio veramente allucinante! Ed era appena fuori la tenda semirigida a prova di aria. Dopo il cm e qualcosa di spessore dei due strati di stoffa sintetica e polyestere del rivestimento il mio corpo nudo sarebbe stato in balia di Titano e del suo strafreddo ambiente inospitale al massimo. Vorrei che fosse qui Miss Dera a dirmi che una volta, - a sentire lei qualche miliardo di anni fa - la Terra era come Titano! - Certo, forse! - E allora perché non pianti tutto, e vieni qui?! Magari mi porti pure qualche bel ragazzo sessualmente maturo o almeno in grado di accoppiarsi, di entrare dentro di me come si deve! Io l’amplesso posso solo immaginarlo! Mentre mi rilassavo nel mio angolo di Terra mi sentivo superiore ed in grado di giudicare tutti. Ero più contenta adesso di essere stata nuda tra quei fiori che prima, quando autosverginandomi, ho avuto il mio primo orgasmo da penetrazione totale. Sesso cercavo e solo sesso ho ottenuto.

“Biiiiiip! Biiiiiiiiip! Biiiiiiiiiip!”

Era l’avvertimento della tuta. Il sensore si era accorto che non era più indossata e probabilmente ciò era dovuto alla percentuale di ossigeno in via di riduzione a causa della mia presenza ossia della mia respirazione. Andai verso il lettore sulla polsiera destra e lessi l’avvertimento che lampeggiava tramite dei led azzurri (il rosso arancio su Titano si distingueva a malapena):

“Ox 13% reducing. Blue alarm.”

Sì, ero io ad aver causato la turbativa ambientale. Teoricamente potevo respirare fino ad un valore del 10%, ma ero sola e non era il caso di rischiare. Inoltre nella serra c’erano sempre piccole perdite verso l’esterno dove la pressione era minore. Disperdere l’ossigeno delle bombolette della tuta era stupido per cui, a malincuore, decisi che la gita era finita. Toccava rimettere tuta e casco e tornare nel TM. Ci sarebbe voluto qualche giorno perché quei muschi, licheni e fiori per fotosintesi producessero altre buone percentuali di ossigeno. Con la massima disinvoltura indossai la tuta abbandonando le mutandine ormai sporche sul posto (mia madre non me l’avrebbe mai permesso, ma lì ero io la padrona!) e preso il casco lo avvitai. Accesi l’erogatore e fui pronta per uscire. Il droide mezzo Ted mi aveva seguita passo a passo rimanendo sempre ad un metro da me. Aprii il pannello di tenuta e fummo di nuovo fuori. L’auto chiusura a ventosa lo richiuse garantendo la tenuta di aria interna. A dieci metri da noi il TM avendo percepito la nostra presenza gli si accesero le luci di cabina. In mezzo minuto eravamo di nuovo dentro con il droide nella sua nicchietta che non poteva utilizzare appieno per l’ingombro del busto di Ted. Risi quando vidi quel grigio pene posticcio (scolpito malamente da me) fare capolino in basso. Risi di nuovo quando feci mente locale che me l’ero introdotto dentro. Capii solo in quel momento cosa volesse dire la parola “imbarazzo”. In fondo era stata una costruzione ridicola. Un atto infantile pensare di riprodurre TedSky Fox a grandezza naturale; soprattutto dal momento che non sapevo niente del suo pene. Trenta noiosi minuti del panorama titaniano, inframmezzati solo dall’unica fermata per raccogliere l’otto che aveva agito da ponte radio, e tornai alla base. La prima cosa che volli fare fu di andare in officina a staccare quel pene (che mi aveva fatto comunque godere pochi minuti se non solo dei secondi) dal droide inconsapevole. Ci vollero venti lunghi minuti di scollanti e fresaggi poco meno che maldestri. Se non altro avevo imparato qualcosa sui solventi. Mi stavo preoccupando di non rovinare la struttura sotto di quell’utilissimo droide che faceva lavori pesanti e noiosi al mio posto. Ero in quei momenti piena di rispetto per quella macchina. Potei scoprire cosa voleva dire chiedere il perdono una macchina di cui avevo abusato. Avevo appena castrato Ted! Poi dovetti usare dei getti di acqua e scollante alla base per scollare il busto di Ted che ero decisa ad usarlo come soprammobile accanto al mio letto. Il droide riprese un po’ usurato il suo aspetto. Il senso di colpa mi stava montando e per lavare me stessa da quel senso lavai il droide con l’acqua d’avanzo. Il Sorvegliante non mi chiese nulla. Portai Ted ed il fallo in camera mia sistemandolo sotto il mio letto a portata di mano! Poi andai a lavarmi e vestirmi. In un’ora e mezza fui pronta per la cena. Durante la cena il Sorvegliante fece una ventina di minuti di conversazione con me e mi disse qualcosa di inaspettato:

“Koona, ho rifatto i conti dei consumi delle barrette di uranio, e delle pastigline ad alta potenza di plutonio nel Braccio 3.”
“E allora, ?”
“Non possiamo più permetterci questi consumi Koona! Dobbiamo ridurre necessariamente, pena la cessazione in breve tempo di ogni forma di protezione efficiente, sottolineo efficiente, della base. Ho appena completato la verifica di background. Consumiamo troppo. Accetti la riduzione di alcune comodità in favore di altre?”
“Spiegati!”
“Te lo chiedo in via ufficiale: sei in grado di auto responsabilizzarti?”
“Sarebbe?”
“Di auto-dominarti, in parole povere di risparmiare, Koona!”
“Se sarebbe necessario, se non c’è altra scelta…”
“Semmai si direbbe se fosse necessario, Koona! E lo è ! Credimi! Comunque sapresti risparmiare?”
“Sì, ti dico di sì!”
“Bene, ti va se da stasera parliamo solo tre ore in una giornata di lavoro attivo ogni 48 ore? Io potrei entrare in Modalità Minima di Sorveglianza e consumare di meno. Sarebbe necessaria anche meno manutenzione. Però c’è anche la richiesta numero due: ti andrebbe di fare da te almeno alcune pulizie?”
“Qui mi andrebbe un po’ meno. Le fanno così bene i droidi.”
“Se tu lasciassi loro fare il loro compito di droidi! Ma te ne sei portati dietro due, precisamente il cinque e l’otto, per farti fotografare nuda sui fiori della tua serra. Ciò non è serio, né faceva parte del mission planning. Ad ogni modo le stampe sono disponibili. Le vuoi ora?”
“No. Più tardi. A proposito: che ne sai tu?”
“Koona! Ora sei più grande di qualche anno fa: ora ti lascio padrona di usare alcuni droidi come meglio credi, ma senza mandarli al tappeto, come dite voi umani; ti pregherei però di non usarli per dei compiti impropri come dare piacere al sesso.”
“Tu non fai sesso.”
“No, Koona. Io non faccio sesso. E il droide neppure. La mia memoria quantistica mi suggerisce che tu abbia fatto quello che voi umani chiamate un buco nell‘acqua.”
“Alludi?! Che ne sai tu di buchi?”
“Ah! A-l-l-u-d-e-r-e ! Capisco, allora probabilmente è un‘ironia. Io invidio voi umani. Da voi imparo, ma non saprò mai cos‘è veramente un‘ironia. Il tuo riferimento all‘alludere mi è stato chiaro. Grazie Koona!”
“Non farla tanto lunga, che consumi! Comunque l’ironia era la citazione del buco nell’acqua, sì! Hai intuito giusto. Vieni al punto.”
“Per la seconda richiesta: se passi tu l’aspirapolvere nelle stanze frequentate da te tre volte la settimana, posso risparmiare i droidi.”
“Va bene, la passerò! Risparmia i droidi da certe incombenze!”
“Allora deduco che sei disposta Koona!”
“Sta bene! Parleremo tre ore ogni quarantotto. Per due giorni terrestri rigoverno io.”
“Rigovernare? Dite così per mettere in ordine?”
“Sì l’ho sentito in un olomuvj!”
“Buon appetito Koona! E ricorda nulla cambia nella comunicazioni con Miss Dera o il Dottor Waeldyma!”

Non credevo molto al Sorvegliante; era per farmi capire che non dovevo apportare modifiche ai droidi. E naturalmente sapeva che mi ero penetrata con il mio fallo personale. Ora sperimentavo un po’ di vera solitudine: per due giorni terrestri, tranne le emergenze, il Sorvegliante non mi avrebbe rivolto la parola, ma avrebbe sorvegliato silenziosamente (nel più vero senso del termine) come me la cavavo. Mi aveva visto organizzarmi per il sesso, ne aveva tratto una sintesi delle mie esigenze, e voleva vedere come me la cavavo in caso di una vera difficoltà. Oppure voleva veramente solo dare un senso alle mie giornate visto che era programmato per intravedere nel sesso e nella masturbazione solitari del pericoloso ozio. Tenete conto che i collegamenti olo con Miss Dera non venivano ridotti o discussi. A scuola mi toccava comunque. Naturalmente non dissi nulla a Miss Dera circa il mio rapporto sessuale con il fallo montato sul droide. Miss Dera poteva notare che studiavo, almeno un po’: e del resto lì da sola, nella noia più totale che altro avrei potuto mai fare? Studiare, lavori manuali necessari, mangiare (cucinava il Sorvegliante) masturbarsi, (mangiare di nuovo) dormire e riprendere poi lo studio dopo colazione ricominciando il ciclo. Gli olomuvj su Cosmoz sempre censurati da “certe scene” con gli esseri umani. Potevo vedere qualcosa solo nei documentari di studio con gli animali della Terra come i felini o i bovini … meravigliosi i delfini! Tutto sommato lo studio non era poi così noioso. Una mattina mi stavo masturbando guardando il mio Ted di fronte al mio letto:

“Ahnnnn! Uhmmm! Ahnnnn! Uhmmmm! Sì! Ted! Dai Ted! Ancora! Uhmnmmm!”

Avevo solo una piccola, sottile canottierina di cotone bianco, ed una delle cupolette del mio seno, la destra, era quasi del tutto fuori con il capezzolo ben dritto. Dedicavo alla masturbazione intensa un giorno la settimana; e per non “imbarazzare” il computer-Sorvegliante la facevo chiusa nella mia stanza. Doveva stare fuori anche Rasputin che di norma dormiva con me o su di me. Era chiaro che non mi accontentavo di poche carezze: ormai desideravo la penetrazione e l‘eiaculazione dentro. Di uomini, o almeno di ragazzi coetanei con cui provare i primi tocchi, i primi approcci al sesso nemmeno l’ombra. Il Sorvegliante faceva il suo mestiere: sui siti erotici della rete Cosmoz non mi faceva navigare. Non appena “vedeva” dei nudi, o degli accoppiamenti tra umani, od anche una coppia che esercitava il suo diritto a fare l’amore, ecco che bloccava tutto e cancellava gli olomuvj che cercavo di scaricare. Però non poteva impedirmi di godere da sola una volta nella mia stanza. Ormai avevo superato la scuola media ed avevo diritto ad una mia privacy. Su qualunque cosa facessi lì dentro, purché fossi nella mia stanza, da qualche tempo non venivo più interrogata. Avevo sviluppato una mia abilità nello spogliarmi con lascivia senza troppo curarmi della postura. L’asola del body mi stava scendendo sul braccio dopo aver lasciato la clavicola destra. La canottiera sotto cominciava a sgualcirsi, perché dal basso ventre dove mi copriva, l‘avevo rimboccata ed annodata più volte; con uno dei lembi mi ero sfiorata anche il clitoride mentre iniziavo ad auto penetrarmi con il mio “fedele fallo” da me scolpito tempo prima. Ero seduta sul letto e tenevo le mie gambe larghe poggiate sul tallone. Ovviamente non stavo meditando. Il pelo della mia vulva era arruffato e sudaticcio e lievemente scombinato. Le grandi labbra si erano sporcate, ed io stessa avevo stimolato il mio clitoride con i polpastrelli delle dita, oltre che con i lembi del mio body; adesso si era scappucciato tutto e lo toccavo con più cautela sfiorandolo a dito leggero un paio di secondi più e più volte. La mia mano destra con le sue cinque sapienti dita aveva fatto il resto tenendo e muovendo convenientemente il fallo: la mia vagina aveva accolto il mio freddo fallo di roccia levigata (col tempo avevo perfezionato la sua levigatura fino a lisciarlo completamente) per quasi tutta la sua lunghezza. L’imperfetta curvilineità del suo asse, mi ero resa conto, aumentava il mio godimento toccando le pareti della mia vagina più interna con quella cappella sbilenca in maniera più imprevedibile. Soprattutto quando lo facevo anche ruotare all’improvviso. Conoscevo benissimo la velocità alla quale auto stimolarmi, colpirmi, e finalmente godere. In genere il momento culmine si annunciava con la visione bianca, e delle stupende sensazioni di contrazione e rilascio delle mie carni intime fino al ventre, e poi a riscendere. Dei pensieri turpi in cui mi figuravo penetrata anche analmente e soprattutto contemporaneamente s’impossessavano di me. Pensavo: ora che finisco con la vagina, attacco anche col di dietro…- lo voglio tutto! Sì, tutto! Dappertutto! - Poi ecco all’improvviso il lampo di cecità che durava solo un istante! In quel momento azionavo l’interruttore elettrico della pompetta e partivano un paio di densi getti, liquidi e viscosi: non era sperma; era solo una soluzione diciamo cremosa di burro ed acqua! Avevo imparato a prepararlo abbastanza denso da farlo apprezzare alla mia vagina, e abbastanza acquoso da non otturare il tubicino interno che avevo fissato io stessa tempo prima, quando chiesi al droide di trapanare la mia scultura longitudinalmente. La vagina apprezzava perché la venuta a due piccoli getti che sbattevano su tutte le pareti della mia vagina interna era rilassante. Non avevo più voglia di penetrazione; tanto meno nel di dietro. Ero calma e scarica. Mi recavo poi in bagno a lavarmi il sesso, ed ero nuovamente pronta per una lezione con Miss Dera. Quasi tutti i giorni a studiare e qualche attività all’esterno della base. Tre volte al mese andavo a trovare i miei fiori alla serra dove mi stendevo nuda sugli strati di muschio una mezzoretta. Amavo quell’odore. Quello della mia nudità sui muschi era un momento mio, particolare, e per quanto potevo saperne il Computer quantistico questo lo aveva capito. Dentro la serra non facevo più sesso di autoerotismo. Durante il mio ultimo anno su Titano, verso la stazione spaziale Titano Uno vennero inviate solo altre due capsule di soccorso. C’era molto d’indeterminato in quegli invii: era raro che potessi ricevere veramente tutte le capsule. In genere, da quando ero rimasta sola, una su due andava persa, o cadeva troppo lontana per essere recuperata. Meglio sarebbe dire perché il recupero valesse il rischio: sia mio personale, che dei preziosi droidi-operai tutto fare non rimpiazzabili. Ogni nuovo giorno della settimana destinato alla masturbazione sperimentavo nuove geometrie di penetrazione col mio fallo. Avevo voglia anche di fare delle capriole col fallo introdotto, ma poi per paura di qualche pericolo imprevisto non lo feci mai. Il dottor Waeldyma suppongo perché maschio, sulla masturbazione non faceva troppe domande, ed io del fallo di roccia titaniana non feci mai parola. Finalmente Miss Dera mi fece fare anche qualche lezione di educazione sessuale; mi venne spiegato il significato della parola “partner”, ma di ciò che volevo sapere io Miss Dera non faceva proprio parola. Ero incuriosita dal rapporto anale: di mio avevo intuito che era doloroso, e semmai divertente solo per l’uomo. Miss Dera non mi avrebbe mai detto nulla. Qualcosa mi accennò appena del sesso orale donna-uomo e uomo-donna; a quanto disse Miss Dera anche l’uomo aveva bisogno dell’assaggio del sesso femminile per eccitarsi. E gli assaggi si facevano con la lingua. Io ero convinta che dovessi essere io sola come donna a doverlo assaggiare nella mia bocca per drizzarlo al maschio! Mi parlò con cautela del ruolo della libido come prodromica – che paroloni di merda usate voi terrestri! - alla congiunzione dei sessi: congiunzione necessaria per trasferire i propri geni a chi era in grado di accoglierli, per farli evolvere in una forma di vita quale ero pure io alla fine. Le parole nuove venivano ad essere “fellatio” e “cunninlinctus”. Mentre Miss Dera mi faceva lezione scegliendo bene le parole, io me la ridevo dentro di me poiché sulla rete Cosmoz ero sicura che corrispondevano a “bocchino” e “leccata di fica”, ma quelle parole volgarissime provocavano l’intervento preventivo del Sorvegliante che bloccava il collegamento senza preavviso. Miss Dera, cercando di non tradire alcuna emozione di partecipazione mi stava dicendo:

“L’uomo adulto all’improvviso interrompe i baci affettuosi ed i succhi del seno, e si dirige verso la vulva della donna, e dopo averci messo sopra le labbra comincia a frizionare con la lingua e - si spera con leggerezza - la pelle del sesso femminile in tutte le sue pieghe di tutto il nostro sesso; per lo meno gli uomini più accaniti. Alcuni uomini più pazienti, e bisognosi di quello che fu il grembo materno, prima di assaggiare il sesso femminile, si soffermano più sopra e ci baciano e ci sfiorano più volte il ventre con le labbra, e le loro guance per godere del calore del nostro ventre; provano piacere a tornare bambini. Lasciano sopra anche la propria saliva, comportamento questo costituente un retaggio della nostra origine animale … di quando assaggiavamo i feromoni per sapere se la femmina era disposta ad accoppiarsi. Una tecnica questa tuttora in uso tra i grandi e piccoli felini ad esempio …”
“Miss Dera!”
“Sì?!”
“Cosa vuol dire retaggio?”
“Eredità. Comportamento trasmesso da comportamenti degli antenati.”


-continua-

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