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UN INCONTRO FORTUNATO


di Grande_Bruno
30.09.2024    |    107    |    2 8.7
"Dopo circa un’ora, mi sedetti sul letto e crollai dalla stanchezza, tanto da chiudere gli occhi per un paio di minuti..."
Era una calda giornata di giugno e stavamo tutti quanti impegnati in una serie di riunioni di lavoro a Firenze. L’ultimo giorno era trascorso tra relazioni e statistiche. L’età media era attorno ai 40 anni escludendo il personale femminile che, senza l’uniforme di servizio, erano delle belle ragazze da ammirare. Accanto a me c’era Marco, un giovane che, dopo aver esposto le sue relazioni in maniera convincente, ha avuto l’applauso della sala. Ogni tanto, alla mia sinistra, sentivo i commenti sommessi di Andrea, mentre guardava le colleghe: «che bel fondoschiena…», oppure «le mangerei la figa!!!».

Erano le 18,00 ed eravamo in sessione dalle 9 del mattino, salvo una pausa pranzo di un’ora e mezza. Durante questa pausa scendemmo alla tavola calda di fronte all’edificio del Ministero e Marco mi chiese se poteva sedersi con me perché il resto del locale era pieno. Abbiamo mangiato e la sua gradevole compagnia ha reso troppo veloce la pausa pranzo.

Quando la riunione fu dichiarata chiusa e, complice il caldo, mi sentivo davvero stanco. Presi subito un taxi e rientrai in albergo, deciso a mettermi a letto fino al giorno dopo, quando avrei ripreso il treno per tornare a Roma. Arrivato alla reception per chiede la chiave della camera, trovai al bancone Marco che anche lui stava chiedendo la chiave che, per combinazione era accanto alla mia.
– “riunione interessante?”, mi disse,
– “certo ho acquisito informazioni che mi serviranno molto nel mio incarico, anche grazie a te”,
– “non mi lusingare”, rispose, “non ho fatto altro che elaborare dei dati e suggerire una strategia”.

Ci salutammo ed entrammo nelle rispettive camere. Mi misi a cercare nella mia valigia qualcosa di comodo da indossare ed ero ancora in giacca e cravatta, quanto sentii bussare alla porta della camera e, meravigliato, andai ad aprire e vidi Marco che indossava una maglietta nera con un teschio glitterato ed un pantaloncino corto. Aveva in mano una bottiglia di brut «Moët & Chandon» e due «flute»:
– “sei ancora tutto in tiro?”, mi disse,
– “stavo cercando qualcosa di comodo da mettere”,
– “che dici di bere un bicchierino per concludere la serata?”.

In quel momento mi resi conto del mio stato: stanco, sudato ma soprattutto, ancora vestito in giacca e cravatta: lo invitai ad entrare e ci sedemmo sul divanetto accanto al letto e cominciò a tempestarmi di domande sul mio incarico. Dopo circa un’ora, mi sedetti sul letto e crollai dalla stanchezza, tanto da chiudere gli occhi per un paio di minuti.

Quando mi ripresi, era orma buio ma il caldo non aveva cessato la sua morsa, infatti ero ancora più sudato, essendomi addormentato vestito.
– “Ah rieccoti tra noi!”, aveva passato il suo tempo a leggere, lasciandomi riposare.
– “Scusa cazzo, ero davvero stanco morto e che caldo!” e nel frattempo mi tolsi giacca e cravatta.
– “Dai su, vai in bagno a rinfrescarti, sei una spugna di sudore!”, disse ridendo. Andai in bagno, mi tolsi camicia e canottiera e mi rinfrescai faccia e petto, poi ritornai in camera da lui.
– “Uh! Uh! abbiamo Mister Italia qua!” e, chiuso il libro, mi venne incontro, mi prese la testa tra le mani e mi baciò”.

Mi sentii mancare, con la testa che mi girava e con il cervello completamente scollegato dal resto del corpo. Intanto il mio fratellone, chiuso nelle mutande, cominciò a protestare, volendo uscire prepotentemente. Marco si strinse a me e disse: «Non resisto più! l’avrei fatto la prima volta che ci siamo visti ma non si è presentata mai l’occasione. Adesso che sei davanti a me, in un vestito che ti fa veramente sexy, a petto nudo, voglio farlo! subito!».

Fino a quel momento, non avevo pensato ad una tale occasione, l’avevo guardato durante le riunioni, ma senza pensare minimamente ai risvolti di quella situazione. Ricambiai il bacio e feci scivolare la mia lingua che incontrò la sua. Terminai il bacio succhiandole violentemente le labbra e gli dissi: «Anch’io ti voglio!».

Non se lo fece ripetere due volte, allungò le mani per slacciarmi cintura e pantaloni. Inginocchiandosi, si pose all’altezza dei miei boxer e fissandomi negli occhi me lì sfilò salutando il mio pene con un gran sorriso. Continuando a fissarmi, prese il mio pene in mano e iniziando a succhiarmelo intensamente, non preoccupandosi di essere delicato, ma anzi tirandomelo talmente forte da farmi male. Ero stordito, sveglio da poco e travolto dalla forza delle sue labbra, mi stavo godendo lo spettacolo incredulo per quello che mi stava succedendo. Non solo erano mesi che non avevo un rapporto con una ragazza, ma mai mi sarei aspettato di ritrovarmi in una situazione del genere, con uno conosciuto appena due giorni prima, inconsapevole di introdurmi in un mondo fino a quel momento esistito soltanto nei miei desideri più sepolti.
Nonostante il pompino quasi violento, il mio pene era già al massimo dell’eccitazione:
«Hai un cazzo meravigliosamente duro!»”, disse eccitato per poi farlo sparire nuovamente nella sua bocca spingendoselo fino in gola con grande foga. Dovevo reagire e svegliarmi, mi aveva acceso come la dinamite e la voglia era ormai a mille, mi staccai da lui e tirandolo sù lo spinsi sul letto. «Dai scopami!», disse mentre iniziò a sfilarsi i jeans ed io, tolti i boxer che erano rimasti ai miei piedi, mi avvicinai ai suoi slip neri e senza neanche aspettare che si fosse completamente spogliato, glieli tolsi ed iniziai a leccargli i capezzoli. Quando arrivai all’ombelico, lo guardai negli occhi e gli chiesi:
– “ti piace?”,
– “ssssi… era tanto che lo desideravo...”, disse tra un sospiro e l’altro.

Non me la sentivo di prenderlo in bocca, era per me la prima volta e decisi di staccarmi da lui che intuì il mio disagio e mi fece sdraiare sul letto, mi montò sopra guidando il mio pene con una mano e facendolo scomparire tra le sue natiche mentre il suo sguardo, più selvaggio che mai, non tradiva alcuna esitazione: «cerca di non liberare il tuo seme e fammi godere...» disse quasi sotto voce, come se fosse stato in trance, mentre iniziava a far scorrere l’asta dentro e fuori cavalcarmi in modo lento ma intenso.
Ammiravo il suo corpo ondeggiare, lo tirai a me ed iniziai a succhiargli avidamente i capezzoli: «Uh sì, mangiami...». Eravamo caldi e sudati e questo rendeva il sapore quasi acido ma ancora di più inebriante, mi sentivo come se fossi allattato da una lupa tanto mi sentivo animale.
– “adesso che ti scopo, hai un fuoco dentro, mi fai bruciare il cazzo!”, gli dissi,
– “Oh! ti piace il mio culo caldo???”.

Di tutta risposta scesi con le mie mani fin sopra il suo sedere stringendolo con forza e iniziando a martellarlo col cazzo nel culo. Il suono dei nostri sessi che sbattevano riempiva la stanza, come lo stesso odore nella nostra carne calda che si univa soffocandoci di piacere, la sua bocca era spalancata dal piacere:
– “cazzo sì… sì… non smettere... lo sento fino in gola... dai sfondami!”, continuai finché lui non si lasciò andare ad un grido di piacere crollando poi su di me. “Mi hai fatto venire subito, non ho resistito, sei stato bravo. Ma tu? ancora nulla, ora tocca a me farti godere!”.

Era davvero irrefrenabile, senza esitazioni era scivolato tra le mie gambe dal mio pene, ripulendolo dai suoi umori con la lingua prima e iniziando un nuovo meraviglioso pompino. Neanche mi guardava, aveva occhi soltanto per il mio cazzo, la forza del suo pompino dimostrava la gratitudine per l’orgasmo appena ricevuto. Da parte mia stavo godendo come non mi succedeva da anni forse, ma ero ancora ben lontano dall’orgasmo. La stanchezza della giornata unita all’afa estiva mi ponevano in questo limbo e lui se ne accorse dopo le sue insistenti cure.
– “Ma tu non vieni mai??? ti avevo chiesto di trattenerti, ma così mi pare troppo, voglio farti godere...”,
– “eh! ...sarà un po’ la stanchezza, alla fine ho passato una giornata molto sfiancante e tu non aiuti”,
– “sì, ma io voglio farti venire!”,

La sua espressione era molto determinata ma io sinceramente non sapevo che dirle, non volevo che finisse così. Tra l’altro la breve pausa aveva già provocato un leggero calo della mia erezione che notò chiedendomi:
– “Ma come? sei davvero così stanco? Uffa! …non c’è niente che ti ecciti tanto da farti … venire?”. Mi venne subito un pensiero, un desiderio sempre presente ma che svelarlo mi sembrava troppo perché mi avrebbe fatto sembrare un maniaco. Ma poi, riflettendoci a come mi aveva coinvolto e a come mi sentivo bene con lui, sentivo di poter confessargli il mio desiderio senza paura.
– “Beh! Una cosa che mi fa impazzire davvero c’è… farlo a pecora…”. Lui, stupendomi come assolutamente mai avrei previsto, con tutta tranquillità si mise a gattoni sul letto mostrandomi il suo bel sedere:
– “sì, sì, dai prendimelo, è tutto tuo!”, mi disse con enfasi. Mi lanciai sul suo sedere, inumidii il suo ano con un po’ di saliva e appoggiai il mio glande sul suo fiorellino. Lui con le mani si allargò le natiche mentre iniziavo spingere dentro di lui. Dopo una prima resistenza, la punta scivolò dentro accolto da un suo estasiato: “oooh!!!”. Spingevo ammirando l’asta che poco alla volta scivolava dentro di lui fino a sbatterle contro con le palle, godendomi il suo calore e i suoi muscoli contratti:
– “che culo meraviglioso hai…”, gli dissi.
– “È tutto tuo, fanne ciò che vuoi”. Le sue parole mi lasciavano sempre senza fiato ma con tanta eccitazione, infatti iniziai lentamente a uscire, fermandomi un attimo prima e impalandolo nuovamente,

Il ritmo aumentava man mano che i suoi muscoli si rilassavano, il suo retto lubrificato, mi permetteva movimenti sempre più veloci e forti. Stavo godendo come non mi capitava da anni, lui a pecora sul letto con me dietro che la scopavo nel culo senza sosta. La presenza di uno specchio che rifletteva l’immagine dei nostri corpi, che stavano godendo, mi faceva sentire al limite, ma non volevo smettere. Mentre lo stavo inculando, mi resi conto che lo stavo trattando come una troia assatanata di cazzo ed allora iniziai a incitarlo:
– “Sì, troia, ti sfondo come una vacca cavalcata dal suo toro”,
– “Trattami da puttana, voglio prenderlo tutto nel culo”,
– “sarà tuo finché lo vorrai”,
– “e allora sfondami, fammi sentire il cazzo che mi arriva in gola”,
– “Sei una puttana vogliosa di cazzo”,
– “e tu sei il mio stallone che mi sta montando”.

Continuammo così per un’altra ora, rischiando di stancarmi troppo, perciò decisi allora di concludere, aumentando la forza delle mie spinte. Le mie palle sbattevano violentemente sulla sua pelle, il retto aveva perso ogni elasticità sotto i miei colpi e lui, incantato in un rantolo di piacere subiva passivamente finché esplosi il mio orgasmo con cui scaricai tutto il mio sperma riempendogli l’intestino. Ci fermammo:
– “Tutto bene???”, mi chiese,
– “oh sì… mi hai fatto morire”,
– “mi hai riempito senza permesso ma te lo sei meritato...”.

Drogato dall’eccitazione del momento non avevo pensato ai rischi del caso, ma ne era valsa la pena. Mi sfilai lentamente da lui, ma appena il suo ano fu libero dal mio pene, schizzò un grande getto di sperma che sporcò le lenzuola, seguito da altri due. L’odore ne impregnava la camera, aprì la finestra per dare aria alla stanza mentre lui, con un gran sorriso disse: «Oooh! Quanta sborra, allora ti sono piaciuto molto!». Le sue frasi erano provocazioni pure, ero quasi tentato di riprendere da dove eravamo rimasti. Ma la stanchezza prese il sopravvento e Marco si accoccolò con la schiena appoggiata al mio petto. Nonostante l’eccitazione di quello che avevamo fatto, dopo pochi minuti ci addormentammo.



Come tutte le mattine, vengo svegliato da una poderosa erezione che mi impedisce di riaddormentarmi. Ero ancora tra le braccia di Morfeo, con gli occhi chiusi e con una sensazione di calore che mi avvolgeva il cazzo. Aprii un occhio e vidi Marco che aveva in bocca il mio uccello e se lo stava godendo sia con la lingua che con la gola.
La sensazione di calore si stava trasformando in una eccitazione perversa e, senza rendermene conto, presi la testa di Marco e cominciai a guidare il pompino. Lentamente lo feci spostare nella posizione del 69 e, non essendo pronto a fare il mio primo pompino, mi trovai a portata di bocca, il suo sfintere. L’eccitazione fa fare cose che altrimenti non si sarebbero mai fatte: iniziai a leccare il suo fiorellino e dai suoi mugolii, capii che stava apprezzando molto.
La mia lingua spazzolava su e giù lungo il buco del culo fino ad arrivare alla pelle dello scroto. Lui si sentiva travolgere, ma non voleva ancora venire, voleva aspettare ancora un po’. Ora voleva il cazzo. Se lo era meritato. Lo feci stendere prono e mi misi sopra di lui. Voleva ammirare le sue natiche che erano un vero capolavoro. Lo sentì fremere mentre cominciavo a leccarlo lungo la schiena fino ad arrivare dietro i lobi delle orecchie. Immaginai il suo cazzo duro, schiacciato sul materasso e senza possibilità di essere stimolato.

Quando mi accorsi che la sua eccitazione era al massimo, lo feci girare e gli feci mettere la testa fuori del materasso e gli infilai prepotentemente il cazzo in gola. La sua lingua avviluppava il prepuzio, solleticava il glande e piano piano tutta la sua bocca circondò il cazzo e cominciò ad ingoiarlo per poi risollevarsi ed affondarsi nuovamente. Le sue guance instancabili si gonfiavano quando ero piantato nella sua gola e lui si alzava e si abbassava mentre le sue labbra scivolavano salde lungo l’asta in un pompino violento che faceva godere tutti e due. Gli strinsi saldamente la testa con le mani e, come a volergli trafiggere la gola e farglielo ingoiare, lo scopavo mentre diventava sempre più paonazzo mentre sentiva che gli mancava il respiro, ma avrebbe accettato anche di morire pur di non fare uscire quel cazzo dalla gola. Mi accorsi però della sua difficoltà e allentai la presa. Saliva copiosa e filamentosa gli uscì dalla bocca quando, tossendo riprese a respirare e anche l’asta del mio uccello ne era piena e così pure la sua mano che lo impugnava. Ma appena riempiti i polmoni di aria la sua bocca famelica si avventò nuovamente. Sapevo che probabilmente di pompini ne aveva fatto in quantità, ma mai un cazzo lo aveva eccitato così.

Lo vidi esausto e non li feci continuare, anche perché non volevo venire subito. Lo girai e lo misi a quattro zampe sul letto, coi gomiti appoggiati sul letto ed il culo in alto. Gli aprii le natiche con le mani e poi presi a leccargli l’ano, sapevo che questo gli piaceva molto. Mentre lo leccavo, avevo lo scroto davanti agli occhi ed il cazzo che penzolava davanti duro fino all’inverosimile. Non resistetti a presi a menarglielo mentre lui mi aiutò tenendosi le natiche allargate con le mani. Si mise più comodo e si sdraiò supina sotto di me. In quella posizione da troia consumata, approfittai per infilargli il cazzo nel culo già inumidito dalla abbondante saliva che gli avevo lasciato nello sfintere.

Cominciai ad incitarla facendola sentire una troia pronta a godere con il cazzo in culo mentre il suo stallone da monta la sbatteva come una puttana insaziabile. Il suo culo era come una figa che accoglieva il cazzo con l’abilità consumata di una sgualdrina abituata a regalare sensazioni paradisiache. Continuai a dare ancora colpi avanti e indietro finché non lo vidi sussultare, tremando, mentre riuscì a gridare dal godimento. Era venuto senza toccarsi con uno sconvolgente orgasmo anale ed in quel momento un brivido mi salì lungo la schiena, feci appena in tempo ad urlare «VENGO!!!» mentre il mio cazzo iniziò a pulsare e, dopo un istante, cominciò a riempirgli il culo di sborra bollente che sembrava non finire mai. Lui non disse nulla mentre continuavo a dare ancora colpi avanti e indietro.

Gli caddi praticamente accanto e rimasi immobile, mentre lui cominciava a calmarsi dalle ondate dell’orgasmo che si succedevano ancora. Marco ne avrebbe voluto ancora. Il cazzo si stava rimpicciolendo, ma ancora gocciolava di sperma e di umori anali che comunque leccò. Stemmo immobili per qualche minuto e poi lui mi baciò sulla bocca, prima che si potesse andare a dare una ripulita.

Marco si alzò, si lavò un po’ il viso e poi tornò a stendersi accanto a me. Non ero certo che fosse finita lì e cercai di fare un po’ di conversazione. Marco mi mise il dito indice accanto alla bocca, non voleva parlare e soprattutto voleva evitare che si entrasse in confidenza e che ci scambiassimo le rispettive sensazioni. Sapevo dove lavorava, ma questi incontri dovevano essere unici, questa era la regola che Marco si era dato ed io l'accettai.

Si rivestì, tornò nella sua camera e da allora non l’ho più rivisto.
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