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Lui & Lei

LE AMICHE (2/5)


di Grande_Bruno
01.12.2024    |    6    |    0 6.0
"Sembrò stesse impastando con la massima delicatezza e con la punta delle dita la pasta del pane, come un sussurro tattile sulla punta sensibile del mio cazzo..."

Seconda parte dei ritagli di memoria, trovati nel periodo in cui mi allenavo prima dei campionati di Taekwondo. In quegli anni ero un bel giovane, con un fisico magro e muscoloso, alto 1,70 con occhi marroni che d’estate viravano sul verde.
Come tutte le mie storie, anche questa è la descrizione (romanzata) ispirata alla mia vita.


PARTE 2/5

Il pomeriggio tornai in palestra, dove trovai Flavia che stava facendo addominali. Una striscia di sudore solcava sia il suo addome che la sua schiena, attaccandole la maglietta al corpo perfetto. Quando mi vide mi sorrise, con i suoi occhi grigi che sembravano lampeggiare per l’eccitazione; mi fece segno di sedermi sulla panca accanto a lei.

Sdraiata, mi appoggiò una mano su una coscia ed il suo sorriso sembrò allargarsi ulteriormente quando notò il bozzo duro che stava cominciando a formarsi nel cavallo dei miei pantaloni da ginnastica.

– “Come stai, meraviglia?”, le chiesi. Avrei voluto anch’io appoggiare una mia mano su una sua tetta. Non era particolarmente dotata sul petto, ma quel seno era comunque perfetto per il torace che si ritrovava. Per un istante mi chiesi come fosse messa lì Laura: il suo kimono, in effetti, non permetteva di capirlo molto bene.
– “Bene, Bruno, e tu?”, rispose.

Chiacchierammo un momento, io deciso a glissare su Laura e la splendida sega che mi aveva fatto. In fondo, se questa mattina qualcuno avesse sfondato il culo a Flavia, sospettai che lei non me lo avrebbe raccontato. Ma poi lei ebbe la pessima idea di proporre, con un sorriso:

– “domani a mezzogiorno sono libera. Che ne dici se ci vedessimo allora invece di domani sera?”,
– “eh, cazzo…”, mormorai, vedendo l’entusiasmo di Flavia sfumare dal suo volto raggiante, “mi spiace, ma domani a mezzogiorno ho già un impegno”, aggiunsi, con rammarico. Lei si innervosì, fissandomi negli occhi,
– “con chi? Con qualche troia, eh? Magari ti ha fatto una pompa e adesso te la vuoi scopare, vero?”, mi guardai attorno, consolandomi del fatto che non ci fossero poche persone in palestra e tutti impegnati a farsi gli affari propri,
– “abbassa la voce!”, la pregai, prendendola sotto un braccio e spostandoci in un angolo appartato. Quando mi assicurai che nessuno ci stesse guardando, decisi di spiegarle cos’era accaduto nella mattina. Ascoltò con un paio di sbuffi mentre le raccontavo di essermi recato da un’estetista per lei, ma che poi la ragazza che mi stava facendo la ceretta, trovandosi davanti il mio cazzo in erezione, aveva deciso di approfittarne per spararmi una sega. “Immagino siano cose che succedono, a volte”, commentai, quasi per scusarmi,
– “e solo perché una te lo mena, poi vuoi uscirci?”, sembrò quasi sputare.

Ritenni saggio non farle notare che Laura aveva comunque fatto in mezz’ora più di lei in un mese e che, comunque, invitare a pranzo o cena una che mi aveva sparato una sega di sua volontà mi sembrava un gesto di cortesia minimo. Non ci fu comunque bisogno di dire nulla: Flavia mi afferrò una mano e, dopo aver controllato che non ci fossero istruttori nei paraggi, mi condusse ad una delle uscite di emergenza. La spalancò ed uscimmo sul retro della palestra, un piazzale condiviso con un gommista, in cui vecchie macchine ginniche rotte e arrugginite si alternavano a pile e pile di copertoni consunti o forati. Un posto appartato, non visibile dalla strada: iniziai a sperare in qualcosa di eccitante.

– “Cosa ci facciamo qui?”, le chiesi, mentre mi portava dietro un cumulo di copertoni alto un paio di metri. Mi spinse contro un muro, accanto ad una ellittica che aveva forse la mia età.
– “Ti faccio vedere che perdi solo tempo con quella puttana di Laura”, disse, inginocchiandosi ai miei piedi sul piazzale lercio, afferrando i miei pantaloni del kimono, infilando le dita sotto l’elastico delle mutande e abbassando senza troppe cerimonie.

Il mio cazzo, eretto e gonfio nell’eccitazione di quanto stava accadendo, sembrò un serpente che si scagliava verso il viso meraviglioso di Flavia. Un paio di gocce di liquido precoitale scintillavano sulla punta, accarezzata dalla brezza del pomeriggio. Non so cosa mi trattenne dall’afferrare con entrambe le mani la testa di Flavia, piantarglielo tra le labbra e fotterle la bocca fino a sborrarle in gola tutto il contenuto dei miei coglioni. Al pensiero malsano lo sentii diventare ancora più turgido.

Da come sorrideva alla vista della mia nerchia, era evidente che Flavia non sospettava cosa passasse per la mia mente malata. Allungò una mano, passando lentamente la punta dell’indice sotto il mio cazzo dalla cappella alle palle, provocando nel mio basso ventre un brivido che sembrò un dolcissimo crampo nelle palle. Non riuscivo ancora a credere che Flavia, una tale figa, mi stesse per fare una sega: non le avrei sborrato in bocca, nemmeno in faccia, ma anche solo immaginare il mio seme colare sulla sua mano e sul suo polso, poi lungo il braccio, mi faceva fremere. Mi guardò mentre intrecciava le dita delle sue mani e le appoggiava sulla mia cappella, poi chiuse le palme sul mio cazzo.

– “Non l’hai mai visto fare così, vero?”, chiese lei fissandomi con il sorriso dietro al quale si nasconde una donna orgogliosa che sa che sta per fare suo un uomo con il sesso.
– “No”, fu l’unica cosa che riuscii a dire in un fiato, mentre le sue mani si muovevano avvolgendo completamente il mio cazzo.

Cominciò a muovere su e giù le mani lentamente, ruotandole leggermente, scappellandomi con i palmi. Era incredibile, era come fottere una vera figa, calda, stretta, qualcosa di gran lunga meglio della semplice sega di Laura. Chiusi gli occhi, immaginando che quello che sentivo strofinarsi sul mio uccello non erano le mani della bionda inginocchiata davanti a me, ma la sua passera, intenta a scoparmi contro un muro.

Percepivo il piacere crescere dentro di me e nonostante quel lavoro di mano di Flavia mi facesse impazzire, dimostrando una bravura che mi stava stupendo oltre ogni mia immaginazione, non vedevo l’ora di sentire la mia sborra schizzare tra le sue dita. E proprio in quel momento smise. Aprii gli occhi, il cazzo che tornava a percepire la brezza nel piazzale. Vidi Flavia colare della saliva sulla punta delle dita affusolate; stavo per chiederle cosa stesse facendo, quando lei tornò a fissarmi con un sorriso e appoggiò la punta delle dita sulla cappella del mio cazzo. Sembrò stesse impastando con la massima delicatezza e con la punta delle dita la pasta del pane, come un sussurro tattile sulla punta sensibile del mio cazzo.

Lei seguitò a fissarmi ed io non riuscivo a staccare i miei occhi dai suoi, almeno finché non sollevò fino ai miei addominali la punta del mio cazzo e vi scomparve dietro. Un istante dopo sentii la pelle dei miei coglioni tirarsi tra le labbra della sua bocca. Mugugnai sottovoce chiudendo gli occhi, mentre la sua lingua sembrava tracciare un solco di divisione lungo le palle, che si stavano bagnando della sua saliva. M’infilò una mano tra le gambe, premendo il mio perineo e la sua bocca scivolò fino all’asta del mio cazzo, succhiandone la parte inferiore. Cominciò a muoversi su e giù lungo la mia nerchia, senza mai arrivare alla cappella e soffermandosi di quando in quando a titillare con la punta della lingua dove questa si apriva e sbocciava la punta rossa.

Sentivo la mia respirazione farsi più profonda, il cazzo ancora più turgido, come se volesse schizzare via ed infilarsi nella bocca di Flavia, le palle irrigidirsi ed un forte prurito alla base della minchia farsi sempre più intenso, un prurito fastidioso ed al tempo paradisiaco, che avrei voluto far smettere e trattenere per sempre. Volevo godere e al contempo non volevo sborrare, perché, nonostante tutto, quella si stava dimostrando il migliore pompino della mia vita: Flavia era una vera maestra nel far godere un uomo, una troia fatta e finita che non aveva nulla da invidiare a Laura. Anzi, avrebbe potuto insegnarle parecchio.

Non ho idea di quanto durò quella magnifica tortura, di quanto tempo la bocca di Flavia scivolò sull’asta del mio cazzo, di quanto tempo le sue mani impastarono i miei coglioni e stimolarono il mio perineo; alla fine, dopo essere riuscito a trattenermi un paio di volte, bloccando il seme che cercava di sgorgare con tutta la forza possibile, non ne fui più in grado: appoggiai una mano sulla testa bionda della ragazza in ginocchio davanti a me, i muscoli del mio braccio che quasi tremavano per la scarica di piacere che stava inondando il mio corpo e la scostai. Per quanto avrei voluto coprire il suo splendido viso con un paio di scariche della mia sborra, preferii non crearle problemi: il mio sperma, in tre potenti colpi, venne proiettato in aria, schizzando contro una colonna di copertoni ancora nuovi e che fino a quel momento ci avevano nascosto dalla vista.

Respiravo profondamente, quasi stordito ed improvvisamente stanchissimo, mentre guardavo il mio seme colare tra le scanalature delle gomme invernali che un’auto avrebbe montato qualche mese dopo, lasciando vagare per un istante la mente nella nebbia del piacere. Poi abbassai lo sguardo su Flavia e sorrisi.

«È stato incredibile…». Avevo appena avuto il migliore orgasmo della mia vita, ma Flavia sembrava ancora più soddisfatta di me. «Così fa una vera donna», dichiarò. Poi, inaspettatamente, riafferrò il mio cazzo che aveva cominciato a cedere, ne passò lentamente la punta con la lingua, a nettare la sborra che ancora stava colando e poi si infilò la cappella tra le labbra, aspirando un po’ per succhiare via il resto di liquido bianco che doveva ancora sgorgare.

Si alzò in piedi passandosi il dorso della mano sulle labbra per pulirsele. «Buono», commentò, «un po’ forte, ma mi piacciono gli uomini saporiti». Travolto da una passione ed un desiderio, un desiderio di Flavia più che della sua fica, la sollevai in piedi e la abbraccia, baciandola, gustando il sapore delle sue labbra, lasciandola per un attimo di stucco, ma subito si riprese.

Si passò la lingua tra le labbra, come se volesse assaporare il gusto del mio bacio dopo quelli del mio cazzo e della mia sborra. Sorrideva provocante anche con gli occhi. Abbassò una mano e mi strinse l’uccello, che le stava puntato contro i pantaloni del kimono. «Questo bestione è meglio se lo metti via o va a finire che ti spingo addosso al muro e ti ci fotto contro». La cosa non mi sarebbe dispiaciuta, io che le tenevo il culo sodo mentre lei si abbassò i pantaloni ed abbracciava il mio collo mentre si strusciava su e giù lungo l’asta del mio cazzo, in mezzo a quei copertoni. Io che la fissavo nei suoi occhi febbrili, il suo ansimare sempre più profondo ed il suo orgasmo urlato, mentre la mia sborra che spruzzava nella sua fica, che colava lungo le sue gambe, magari qualcuno che ci scopriva e rimaneva nascosto a contemplare la mia fortuna di scopare una dea simile.

Ma poi qualcuno si mosse davvero appena oltre le pile di copertoni, dicendo qualcosa. Colti all’improvviso, afferrai i pantaloni e le mutande e li rialzai, lei sobbalzò e si passò istintivamente di nuovo la mano sulla bocca, sebbene ormai pulita. Lanciai un’occhiata al suo inguine, temendo di avervi lasciato sopra dello sperma, ma era pulito.

Quando due degli operai del gommista apparvero oltre alcuni copertoni per camion, noi stavamo varcando la porta da cui eravamo usciti, con la faccia di chi ha fatto qualcosa che non doveva e che l’ha fatta franca. I due o tre che ci guardarono dalle macchine o mentre sollevavano pesi, se avessero posseduto anche solo due grammi di malizia, non avrebbero faticato comunque a immaginare cosa avessimo fatto, semplicemente guardando il linguaggio del nostro corpo.

Sentendomi come se i puntini rossi dei laser dei fucili di nemici che non vedevo mi avessero preso di mira, afferrai il gomito di Flavia e la guidai nella relativa privacy del corridoio su cui accedevano gli spogliatoi. Controllai che nessuno avesse intenzione di andare a farsi una doccia in quel momento e poi mi avvicinai alla ragazza. Lei continuava a sorridere, quel sorriso che solo sul viso di una donna che ha preso l’anima di un uomo può affiorare. «Io…», fui sul punto di dire. Tentennai, in realtà: non ero di certo avvezzo a ringraziare una ragazza che mi avesse appena fatto una pompa a sorpresa e di quel livello. Lei non si fece problemi e mi baciò; uno di quei baci che te lo fanno rizzare come se fosse di ferro, succhiandomi il labbro inferiore, mettendomi una mano sui pettorali ed una sul culo, il bacino ben adeso al mio. Se avesse spinto un po’ di più, sono sicuro che avrei strappati pantaloni di entrambi e l’avrei penetrata lì.

Il sapore delle sue labbra, il calore del suo respiro, il profumo della sua pelle… Fu una tortura quando si staccò da me. «Allora ci vediamo domani sera», disse lei, con uno sguardo che lasciava intendere che il pranzo con Laura sarebbe stato solo una perdita di tempo. Scomparve nello spogliatoio femminile. Sapevo che quel giorno non sarei più riuscito a vederla.

La sera stessa mi sedetti davanti al computer per cercare un qualche ristorante nei pressi del luogo di lavoro di Laura, che non fosse di troppe pretese ma che non sembrasse nemmeno uno di quelli dove si fermano i camionisti. Un posticino tranquillo dove chiacchierare un momento e magari ringraziarla per la splendida sega che mi aveva fatto, potevamo magari sentirci ogni tanto, ma forse era meglio se la nostra storia, se tale si poteva chiamare, finiva ancora prima di cominciare.

Stavo controllando un paio di siti, quando il mio telefono squillò. Era Laura che mi diceva che aveva pensato lei al ristorante, il «Da Michela» e aveva prenotato un tavolo per le dodici e mezza, appena subito dopo la chiusura per il pranzo dell’istituto di bellezza.

Le risposi che andava benissimo e la salutai. Una rogna in meno.

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