Lui & Lei
VACANZA IN MONTAGNA (4/4)
di Grande_Bruno
04.01.2025 |
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"Ammisi che, per quanto siti simili li eviti come la peste, per ammirare una sua foto di nudo, magari scattata da qualcuno che non fosse Arturo, avrei..."
Parte 4/4Chi ha letto le mie storie, sa che quello che scrivo è ispirato alla mia vita e solo adesso che ho raggiunto un’età matura, voglio riportare in queste righe le sensazioni e le esperienze che hanno fatto di me l’uomo che sono. Ecco quindi l’ultima parte della storia che è emersa dalle nebbie della mia memoria.
Non controllai nemmeno il telefono perché ero convinto che, cinque secondi dopo averlo sbloccato, mi sarei messo in contatto con Emma via chat e questo non avrei dovuto farlo per nessun motivo, soprattutto per lei. Fortunatamente, quando fissare le nuvole che si muovevano in cielo e le loro ombre che si contorcevano sui rilievi iniziò a stancarmi, fece ingresso sulla scena la mia «vippetta» preferita seguita dal suo «fidanzaschiavetto». Senza muovere la testa, usando la visione laterale, la osservai intenta a posare per delle foto che avrei potuto fare pure io che, come ritrattista, sono pessimo. L’uso del flash nemmeno fosse stato obbligatorio al pari delle cinture di sicurezza in auto mi lasciava basito. Probabilmente Arturo non aveva nemmeno idea di cosa potesse accadere se avesse modificato l’apertura del diaframma… E sì che aveva una fotocamera che doveva costare il quintuplo della mia. E poi, Gaia: che cazzo di nome si era scelta quella ragazza come nickname? “Gaia” nel senso che era gioiosa? O forse era il nome di una delle Winx? Bah…!
Andava comunque detto che era una gran bella ragazza, con quei capelli rossi e le lentiggini sul volto. Peccato se lo impiastricciasse con tutto quel trucco da farla sembrare un panda. Probabilmente era il suo modo per dichiarare al mondo che era una donna raffinata o qualcosa del genere. Anche il resto del corpo, sebbene sempre celato da abiti larghi con tutta una serie di sbuffi come quelli dei personaggi femminili di un film ambientato ai tempi del Re Sole, lasciava immaginare che non fosse a livelli inferiori del volto. Mi chiesi se, una volta terminato il periodo di gloria come influencer, ammesso ne avesse mai avuto uno, non si sarebbe data al porno o almeno cercato di raccogliere qualche soldo con quei siti dove mostrarsi nuda a chi pagava un abbonamento. Ammisi che, per quanto siti simili li eviti come la peste, per ammirare una sua foto di nudo, magari scattata da qualcuno che non fosse Arturo, avrei sborsato volentieri qualche euro.
Sarà pure un coglione, Lucio, ma bisogna dire che ha buon gusto, dovetti ammettere con me stesso. Continuai a guardare i due di straforo mentre lei comandava Arturo riguardo agli scatti, su come avrebbe dovuto riprenderla, da quale altezza e con quale sfondo. Mi chiesi se avesse una qualche educazione artistica o si limitasse ad andare a braccio, magari scimmiottando le foto di qualche altra influencer. Lui cercava di seguire alla lettera ogni ordine, sforzandosi di soddisfare la ragazza, ma sul volto della stessa sembrava imperasse per la maggior parte del tempo la rabbia, per non parlare della frustrazione che vi campeggiava quando lui le faceva vedere le foto appena scattate sul display della fotocamera. Gaia andava in escandescenza per un attimo, prima di ricordarsi di essere una vip e che una vip non può concedersi un comportamento simile in pubblico. Mi domandai se, del centinaio di pose scattate lungo la giornata, almeno una passasse il vaglio della ragazza.
Avrei passato quanto stava sopportando il ragazzo per stare accanto ad una ragazza di una bellezza simile, ma un comportamento tanto soverchiante? No, mi dissi, l’avrei mandata al diavolo dopo due giorni. O, più esattamente, non avendo nemmeno io una personalità delle più tranquille, tra di noi sarebbero scattate le scintille nel giro di mezza giornata. Oppure avremmo fatto del sesso selvaggio in continuazione, pensai sorridendo tra me e me, immaginandomi la ragazza nuda tra le mie braccia, fulminata da un orgasmo, mentre mormorava tra gli ansimi che ero uno stronzo e io le imponevo di chiudere il becco e godere.
Mi attardai un attimo a guardarli, di nuovo la fotocamera scarica e Arturo che saliva in camera a prendere una nuova batteria. Mi chiesi perché non se ne portasse appresso un paio cariche o un pacco come quello che uso io quando scatto per i panorami del cielo o, ancora meglio, non imparasse qualche tecnica per farla durare più a lungo. Il volto della ragazza non mostrava altro che insoddisfazione mentre si trovava sola. La vidi prendere da una tasca il telefonino e cercare un attimo di distrazione consultandolo. Immagino che, se sei un’influencer o presunta tale, lo smartphone sia il tuo principale ferro del tuo mestiere o presunto tale. Assumendo una posizione che nessuno vorrebbe sia pubblicata su Internet o vista dal proprio medico ortopedico, la schiena incurvata e un gomito appoggiato su una gamba, si mise a consultare lo schermo del telefono, di tanto in tanto voltandolo sul lato lungo e mettendosi a scrivere con entrambi i pollici.
Rendendomi conto che non avrei più scorto nulla di interessante almeno fino al ritorno del «fidanzaschiavetto», abbandonai la ragazza intenta a commentare qualcosa o qualcuno e, distratto dall’immaginarmela nuda mentre la possedevo, tornai a contemplare l’ambiente attorno a me, le piccole valli che, come rughe, raccontavano i milioni di anni di storia di quelle montagne, i coraggiosi tentativi delle scorse generazioni di sopravvivere in un luogo meraviglioso quanto spietato attraverso alpeggi ancora in uso o abbandonati, le cascatine che punteggiavano le zone più ripide delle…
Un grido di dolorosa rabbia e costernazione mi strappò dalle mie pigre elucubrazioni. Voltandomi spazientito verso l’origine del grido, senza esserne sorpreso, scorsi la «vippetta» mordersi letteralmente un pugno, il viso rabbuiato da qualcosa comparso sullo schermo del telefonino che non riuscivo ad immaginare. O, almeno, non ci riuscii finché non vidi Gaia sollevare la testa, spazzare il giardino con lo sguardo fino a scovare la mia persona e fermarsi per fissarmi. Non so perché, ma credo provai la stessa sensazione che si proverebbe nel rendersi conto di essere il bersaglio di un T-1000. La scorsi fremere, quasi alzarsi ma fermarsi prima che il suo sedere abbandonasse la sdraio su cui era accomodata. Continuò a fissarmi trattenendo a stento le emozioni che la stavano sconvolgendo, come se due contrastanti le stessero dilaniando l’anima. Supposi avesse appena visto la foto del firmamento o la successiva, quella del post coito di quella mattina che Emma aveva pubblicato a tradimento. Mi domandai se avesse messo il cuoricino e se lo avesse fatto per la foto notturna o per quella post coito. Trovai il pensiero incredibilmente perverso e divertente al contempo. Sogghignai immaginandola mentre si masturbava guardando la nostra foto, maledicendoci mentre il suo volto meraviglioso si tramutava nel campo di battaglia tra l’odio e gli spasmi di un orgasmo.
Nonostante questo, sollevai le sopracciglia, fingendomi sorpreso dal suo comportamento, lasciandole credere che fossi candidamente all’oscuro di quanto stava accadendo. Lei non distoglieva il suo sguardo da me: fui tentato di farle un gesto con una mano per proporle di avvicinarsi. Mi domandai se, venuta qui, mi avrebbe parlato o preso a sberle. O scopato sulla sdraio, aggiunsi mentalmente con un sorriso a stento trattenuto. No, conclusi che, a giudicare da come bruciasse il suo sguardo, le sberle sarebbero state più probabili. In quel momento Arturo tornò in scena, distraendo Gaia e, da come si bloccò mentre correva da lei, balbettando confuso, venendo colpito da una sua occhiataccia assassina. Decisi che quel pomeriggio non avrebbe avuto più senso rimanere lì e me ne tornai in camera, a farmi una doccia e a preparare i bagagli per il giorno dopo. Quel posto mi sarebbe mancato, ma mai quanto Emma. Forse anche Gaia, ma solo un pochino.
Nonostante il mio pullman avrebbe fatto la sua fermata davanti all’albergo alle dieci di mattina, già alle cinque ero sveglio, pronto a controllare che tutto fosse stato messo nel mio zaino e gli altri due borsoni. Il computer e la fotocamera erano al sicuro nelle loro custodie, messi in mezzo alle magliette ed i pantaloncini sporchi, nella speranza che non prendessero troppi colpi durante il viaggio di ritorno a casa. Sì, dovrei passare al tablet e alle mirrorless per una questione di comodità durante i viaggi, ma non ne faccio abbastanza per abbandonare le mie abitudini in fatto di elettronica.
Stavo chiudendo la zip di una delle borse con una certa difficoltà, strattonandola, quando sentii bussare alla porta della stanza. Mi voltai verso l’uscio, sorpreso. «Chi diavolo è a quest’ora?», mi domandai, alzandomi in piedi. Pensai che potesse essere qualche ospite dell’albergo ubriaco che non riusciva a ritrovare la propria stanza e bussasse a tutte quelle che trovava, probabilmente aspettandosi che il sé stesso sobrio gli aprisse la porta per dirgli che, finalmente, aveva azzeccato quella giusta e che potesse andarsene a letto a smaltire la sbornia. Il mio me stesso ubriaco, però, non esisteva, quindi non poteva essere lì fuori a bussare, giungendo alla conclusione di non andare ad aprire.
Evidentemente, però, chi si trovava dall’altra parte non era della stessa opinione e colpì con maggiore forza e, direi, impazienza, come se fosse stato qualcosa di vitale. Come se fosse divampato un incendio e qualcuno fosse venuto ad avvisarmi. In realtà non ho idea di come si comporti il personale di un albergo nel caso stesse andando tutto a fuoco, ma immaginai che sarebbe stato più intelligente usare un allarme che mandare qualcuno a bussare ad ogni porta per avvisare singolarmente ciascun cliente. Beh, non sarebbe stato male trovarsi davanti la cameriera dei giorni precedenti, ammisi, speranzoso, mentre attraversavo la stanza. Magari in un momento di pausa, venuta qui a consolarmi perché me ne stavo per andare e desiderosa di assicurarsi che avessi un bel ricordo della permanenza. Questo sì che mi avrebbe spinto a tornare di nuovo, mi dissi sogghignando… Appoggiando la mano sulla maniglia e ruotando lo sblocco della serratura, con una punta di rammarico mi passò per la testa che quello dall’altra parte avrebbe potuto essere invece Lucio, che voleva ricordarmi che stava scadendo il tempo utile per la nostra scommessa… No, in realtà era la sua scommessa, visto che non l’avevo mai accettata. E se invece avessi trovato Emma, tornata da me? Ormai incuriosito di scoprire chi ci fosse lì fuori, aprii la porta.
La sorpresa mi mozzò il fiato. Il trucco di Gaia era distrutto dal pianto che aveva anche arrossato i suoi occhi, rendendoli dello stesso colore dei suoi capelli. Singhiozzava sommessamente e mi fissava, incerta su cosa dire, o forse temeva che la sua voce sarebbe stata resa roca dal groppo che aveva in gola. Restammo qualche secondo uno davanti all’altra; io, all’inizio, troppo sorpreso per prendere l’iniziativa, ma infine mi spostai da una parte della porta e le feci segno di entrare.
«Non restare lì fuori», le dissi, piano, con quel tono che stemperava l‘ordine che trasudava dalle parole in un consiglio che non si poteva rifiutare. La ragazza tirò su dal naso, poi avanzò con le spalle basse nella mia camera, priva dell’alterigia che aveva caratterizzato ogni suo gesto nelle precedenti occasioni in cui l’avevo vista. Credetti avesse sussurrato un «grazie», ma il suo tono di voce fu troppo basso per esserne certo. «Siediti sul letto», le proposi, andando in bagno e tornando un attimo dopo. La trovai appoggiata sul ciglio del materasso, floscia come un sacco vuoto, la testa china in avanti quasi stesse fissando l’inferno sotto le sue scarpe costose. Era sempre apparsa come una vanesia prepotente e arrogante, ma in quel momento mi sembrò una bambina che avesse appena avuto una feroce lavata di capo per una grossa marachella. Mi accosciai davanti a lei. Un leggero profumo fruttato che non riconobbi sembrava avvolgerla come uno di quei campi di forza che comparivano nei romanzi di fantascienza, ma sembrava non avesse potuto bloccare l’evento doloroso che l’aveva colpita. Le allungai il bicchiere. «Bevi un sorso», le proposi con ben più dolcezza di prima. Lei sollevò la testa, guardando prima me, poi il bicchiere. Sembrò che quella gentilezza le stesse per causare un nuovo attacco di pianto.
Appoggiai una mano alla sua gota sinistra, accarezzandola. Passai il pollice sotto l’occhio arrossato, toccando la striscia di umido lasciata dalle lacrime, spargendo il liquido e facendo un disastro con il trucco già devastato. Riconobbi che non fu una mossa intelligente, ma la ragazza parve non accorgersene o dare peso alla cosa. Le sorrisi con cortesia. Gaia prese il bicchiere e bevve rumorosamente un sorso, allontanando il bicchiere dalle labbra pittate pesantemente, poi ci ripensò e la sua gola si mosse al ritmo dei sorsi che finirono l’acqua. Mi restituì il bicchiere.
– “Grazie”, “ne vuoi ancora?”, scosse lentamente la testa.
– “Possiamo parlare?”, domandò, ma sembrò più una preghiera.
– “Ma certo”, risposi, appoggiando il bicchiere sul comodino e sedendomi sul letto accanto a lei. Il materasso si inclinò decisamente dalla mia parte: non sembrava, ma la ragazza, nonostante quanto facessero credere i suoi abiti, doveva essere davvero magra. “Dev’essere qualcosa di davvero grave se alle cinque di mattina sei così sconvolta”, dissi, allungando una mano verso di lei e tenendo il palmo verso l’alto. Lei la guardò per un istante, poi la strinse con la sua.
– “Ho rotto con Arturo”, confessò infine.
Non potei impedirmi di chiedermi chi dei due avrebbe guadagnato di più dalla separazione, sebbene all’inizio avrebbero sofferto entrambi. La cosa, forse, avrebbe permesso loro di comprendere che tipo di partner fosse più adatto a ciascuno dei due, con una personalità migliore di quello che avevano appena abbandonato. La spiegazione o, per meglio definirla, la marea di parole che la ragazza usò per liberare la sua anima dal dolore che l’aveva oppressa per tutta la notte, confermò la mia ipotesi: la sera precedente, dopo che me ne ero tornato nella mia stanza e mi ero fatto portare la cena, stanca di altre foto pessime e prive di mordente, Gaia aveva mostrato ad Arturo quelle che avevo scattato per Emma e che lei aveva pubblicato sul suo album, chiedendogli (beh, imponendogli, in realtà) di fare la stessa cosa. Lui, giustamente, si era risentito nello scoprire che la sua ragazza preferiva le opere di un altro alle sue, tra l’altro di uno che gli sembrava uno stronzo e che aveva trattato male proprio Gaia e nella notte, fino alle tre, in un angolo del giardino, tra la influencer e il suo fotografo erano volate parole pesanti, insulti e la riesumazione di ogni episodio spiacevole tra loro due era stato usato come una freccia scagliata contro l’autostima dell’ormai ex partner.
– “Adesso cosa faccio?”, domandò la ragazza. Era o si riteneva, una vip che voleva far credere ai suoi seguaci di essere una donna priva di problemi e che si godesse ogni istante della propria vita, forte e indipendente, ma quando parlò usò quella voce che avevo sentito diverse volte in passato e che lasciava intendere che la soluzione al problema che l’assillava mi era appena stata delegata,
– “trovarti finalmente un uomo con i coglioni che ti ami, ti tenga in riga e non te le dia tutte vinte”, risposi, invece. Lei volse la testa verso di me,
– “e che sappia fare belle foto. E mi scopi come merito”, aggiunse e questa volta l’accento delle sue parole lasciarono intendere ben altro rispetto a prima. Mi resi conto solo in quell’istante che, probabilmente mentre ero andato a prenderle il bicchiere d’acqua, aveva abbassato di un buon cinque centimetri la zip del corpetto, lasciando scorgere il solco dei seni generosi. Mi fu necessario uno sforzo doloroso per distogliere lo sguardo da quell’inaspettato quanto gradito spettacolo e continuare ad assumere un atteggiamento di leggera altezzosità nei confronti dei problemi di Gaia.
– “Saprai trovare un uomo che abbia quelle qualità, se cerchi bene”. Forse la ragazza pensò che non fossi caduto nella trappola che aveva disposto sul suo petto, quindi afferrò il cursore della zip e l’abbassò un altro po’, mostrando meglio quello che celava sotto il corpetto. Evidentemente da quelle parti nessuna portava il reggiseno, constatai. Mi si avvicinò con il viso, appoggiando una mano su una mia guancia.
– “Ma io l’ho trovato quell’uomo”. Restai impassibile, sebbene provassi un’ondata di calore in diverse parti del corpo, comprese le orecchie. Il cuore iniziò a battere con forza maggiore.
– “Uomo? Se non sbaglio, mi hai definito «stronzo». O «pezzo di merda», adesso non ricordo con prec…”, ammetto che essere zittito dal bacio di una donna fu un’esperienza nuova ma che mi dispiacque non averla vissuta anche in precedenza.
Gaia non perse tempo ad assaggiare le mie labbra o a dimostrarsi o anche solo a fingersi, di pentirsi di aver fatto quella mossa azzardata: la lingua scivolò nella mia bocca, esplorando la superficie dei denti e incontrando la mia, che subito l’accolse strusciandosi contro come farebbero due gatti innamorati. La ragazza appoggiò una mano sulla mia nuca decisa d’impedirmi di allontanarmi da lei, ma non l’avrei fatto comunque nemmeno se avessero usato un piede di porco, infilandolo tra le nostre bocche.
Rimanemmo a lungo ad esplorarci reciprocamente i nostri cavi orali, assaporando il sapore l’uno dell’altra. Quando ci staccammo lei appariva soddisfatta, come se fosse riuscita a conquistarmi con quel bacio. In realtà l’aveva fatto già da diversi giorni, ma era una donna che per essere soddisfatta doveva conquistare un uomo e non farsi corteggiare. Lo sapevo, conosco quelle come lei e la mia strategia di non sembrare troppo convinto di lei sarebbe proseguita.
– “Credi di piegarmi al tuo volere con un bacio, principessa?”, le chiesi con un accenno di derisione nella voce,
– “e… così?”, domandò a sua volta, con dolcezza, il sorriso che le era salito agli occhi, facendo scorrere fino in fondo la zip: il corpetto si aprì completamente e il seno, ben più generoso di quanto sembrasse, libero dalla costrizione dell’indumento troppo piccolo, sobbalzò all’aria. «Sì, quello avrebbe potuto», ammisi a me stesso e questa volta non mi sforzai di allontanare lo sguardo da quel ben di Dio. Nonostante ciò, le dissi, scuotendo la testa:
– “Sei più sprovveduta di quanto immaginassi se credi che fottendomi, il tuo splendido corpo nudo che mi cavalca selvaggiamente, possa piegare la mia volontà al tuo volere”,
– “ne sei sicuro?”, domandò maliziosa. Prese una mia mano e l’appoggiò sul suo seno, caldo e morbido, il capezzolo grosso e turgido che sembrava una punta contro il palmo. Il mio cazzo, che già si stava preparando all’azione, lo fu all’istante e sentii il meato iniziare a rigurgitare una goccia di liquido precoito nel tessuto delle mutande. Nonostante i miei sforzi, la frase che pronunciai non ebbe la dose di strafottenza delle precedenti, pregna com’era di desiderio.
– “Puoi avere il corpo di una gran figa, ma per me rimani comunque una stronzetta viziata”, le dissi, poi sollevai lo sguardo dalle sue tette al suo viso soddisfatto. Il mio non lo appariva affatto. “Vuoi scoprire com’è farsi chiavare da un vero uomo? D’accordo. Però sappi che ogni colpo che infliggerò alla tua figa ti renderà sempre più la mia schiava sessuale”. Vidi i suoi occhi illuminarsi all’idea. Supposi avesse in mente quanto aveva scritto Emma nelle didascalie delle due immagini postcoito che aveva pubblicato su Instagram, usando un linguaggio infiorettato per descrivere quanti orgasmi avesse avuto.
– “Voglio essere la tua troia”, mi sussurrò, quasi implorandomi.
Questa volta fui io ad appoggiare le mie labbra sulle sue, con una dolcezza che non si sarebbe aspettata da qualcuno che avesse appena detto di fotterla fino a renderla la sua puttana. La sdraiai sul letto e, mentre le accarezzavo le due splendide tette, coccolai la sua bocca per diversi minuti con la mia lingua. Un profondo e penetrante aroma di rosa riempì l’aria della stanza, contrapposto all’odore più pesante del mio cazzo che stava implorando per svolgere il suo sporco lavoro.
Gaia ricambiò il bacio, appoggiando una mano sul mio culo e abbracciandomi con l’altra; continuava a usare la sua lingua con la delicatezza di un bulldozer ma la cosa mi dispiacque ben poco. Mi domandai se spompinasse con lo stesso vigore… Il profumo di figa bagnata stava cominciando a darmi alla testa e ritenni che la ragazza volesse fare un passo più avanti nel rapporto sessuale che avevo promesso e che, fino a quel momento, era ancora ai preliminari dei preliminari. Scivolai giù dal letto, ponendomi tra le gambe di Gaia, sbottonandole i pantaloni. Si contorse mentre glieli abbassavo, dimostrando di essere impaziente di scoprire se quanto avesse redatto Emma come descrizione delle foto scattate negli ultimi giorni riguardo all’uso della mia lingua sulla sua passera fossero solo sparate di una che voleva vantarsi di un amante incontrato in vacanza per far bella figura davanti alle amiche o avesse detto la verità.
Le mutandine sembravano quelle di una bambina, bianche con teste di coniglietti stilizzate e monocromatiche e, al pari degli altri abiti, presentavano degli svolazzi alle tre estremità. Gli slip più ridicoli che avessi mai visto all’inguine di una ragazza, ma forse anche quelli più bagnati: l’umido che aveva macchiato il tessuto spandeva un olezzo di figa che sembrò sostituire l’ossigeno presente nella stanza.
Afferrai l’elastico superiore degli slip con due mani. «Fuori dal cazzo queste mutande», ringhiai, strappandole letteralmente via dal bacino della ragazza. Avrei voluto abbassargliele a metà coscia e fotterla come una puttana, aumentando l’effetto di dominazione che volevo farle vivere e accrescere la sua eccitazione, ma quegli orribili slip… probabilmente li indossava per prendere in giro Arturo e la sua incapacità di darle piacere. Gaia, stupita dal mio comportamento, sebbene gli angoli delle sue labbra non riuscissero a trattenere l’eccitazione che quel gesto aveva generato in lei, sbraitò:
– “Pezzo di merda, le mie mutandi…”, ma non riuscì a completare la sua frase, la sua bocca che si apriva quanto l’imbocco della sua figa mentre due mie dita sprofondavano in lei per tutta la loro lunghezza facendo colare una gran quantità di nettare. La fissai severo mentre inspiravo a pieni polmoni il profumo della sua passera dal tessuto con i coniglietti.
– “Chiudi quella bocca e godi, zoccoletta”, le ordinai o te la chiudo con le tue stesse cazzo di mutande.
– “Vaffanculo”, imprecò, sebbene ogni sillaba fosse intervallata da un ansimo mentre la fottevo con le dita.
– “Il tuo è lì”, la minacciai, dandole una strizzata ad una chiappa, mi ci vuole poco a girarti e sfondarti, quindi vedi di abbassare il tono.
Gaia non rispose, muovendosi sul copriletto come se avesse avuto un mal di schiena che le impediva di restare sdraiata senza provare dolore, gemendo sì, ma di piacere. Era una gran bella ragazza, e mi sentivo un po’ in colpa a trattarla così sgarbatamente, ma era l’unico modo per farle raggiungere il massimo del piacere. Appoggiai un paio di dita sulla commensura e iniziai a premere con decisione, stimolandole il clitoride ancora nascosto nella sua tana. La ragazza aumentò il volume dei suoi versi, allungando una mano che sembrava cieca, muovendosi a tastoni nell’aria, mentre cercava di afferrarmi, probabilmente per assicurarsi che non abbandonassi il mio lavoro sulla sua figa. Oh, non doveva preoccuparsi per questo. Gaia era bollente dentro il suo sesso, bagnata ad un livello che avevo visto poche volte: colava dall’utero ambrosia che scivolava lungo il perineo, incanalandosi tra le chiappe sode e finendo sul letto. Chi avesse cambiato le lenzuola, dopo la mia partenza, avrebbe trovato certamente una gran bella macchia di trasudo. Sorrisi all’idea che, forse, l’avrebbe fatto la splendida cameriera… Chissà cosa avrebbe pensato.
Abbandonai le mie elucubrazioni quando notai che il clitoride aveva deciso, sebbene timidamente, di partecipare alla nostra festa: lentamente si allungò in cima alla passera, ergendosi pronto a fare il proprio dovere. Non lo feci attendere: tolsi le due dita dall’utero, doloranti per il movimento continuo per dare piacere a Gaia, sostituendole con quelle dell’altra mano e, sfruttando i polpastrelli umidi di ambrosia, attaccai il clitoride, massaggiandolo. Il corpo della ragazza venne scosso da uno spasmo, la schiena che si arcuava mentre un grido di piacere prorompeva dal petto, scuotendo le grosse tette. Gaia crollò sul letto, gemendo come se stesse soffrendo. Se aveva intenzione di dire qualcosa, i respiri profondi e brevi glielo impediva.
La cosa durò comunque ancora poco e nel giro di un minuto l’influencer venne, artigliando le coperte con le mani e sbarrando occhi e aprendo la bocca. Sollevò il bacino un paio di volte, poi si girò su un fianco e piantando la faccia in un cuscino, soffocando un grido di piacere che, senza il guanciale, avrebbe rituonato nell’albergo, svegliando gli ospiti e facendo credere che stessero ammazzando qualcuno. Gaia rantolò per diversi istanti, mentre il suo corpo nudo si muoveva a scatti sul letto, il volto ancora immerso nel cuscino. Penso si sia messa anche a singhiozzare per qualche attimo, ma non ne sono certo. Fatto sta che attesi che si calmasse leccandomi le dita che avevo sprofondato nel suo sesso, godendomi il suo sapore più segreto, e fissando il suo seno meraviglioso. Ci vollero parecchi minuti prima che tornasse in sé. Sollevò il viso, con il trucco ancora più sbavato, incapace di trattenere un sorriso, sebbene volesse continuare a trattarmi male.
– “Quasi decente”, disse, cercando di non sembrare troppo soddisfatta, ma gli occhi le scintillavano,
– “non mi spreco con te, puttanella”, ribattei. La afferrai con delicatezza, sebbene volessi sembrare manesco e la feci sdraiare sulla schiena, la testa oltre la sponda del letto. “Vediamo piuttosto se la tua bocca è al livello della tua figa”, dissi, aprendomi i jeans, abbassandoli con le mutande e appoggiandole in faccia il mio cazzo in tiro.
Lei non disse una sola parola, ma aprì le labbra e se lo fece finire in bocca. Le accarezzai una guancia con tenerezza, poi usai la stessa mano per stringerle la gola quanto bastava perché apparisse come un gesto di costrizione mentre afferravo con l’altra un seno. Ritrassi il bacino, poi spinsi in avanti lentamente, sentendo il mio cazzo scappellarsi contro la lingua ed il palato di Gaia e scivolarle nel cavo orale. Nel giro di pochi colpi la bocca si riempì di saliva ed un suono viscido cominciò ad accompagnare ogni movimento del mio bacino, soprattutto quando la ragazza apriva la bocca per respirare.
Spingevo e ritraevo diverse volte, poi glielo infilavo dentro completamente, tenendolo in fondo per diversi secondi, come a volerla soffocare, quindi riprendevo a stantuffarle in bocca. Dopo qualche minuto, lo estrassi, lo sollevai con una mano e le ordinai di succhiarmi le palle. Mi sarei aspettato che dalle sue labbra uscisse qualche frecciatina, ma in realtà fu un mio coglione a esserne risucchiato, mentre la sua mano afferrava il mio cazzo e iniziava a segarmi. Gaia non aveva lo stile e la bravura di Emma, ma non mi lamentai: piuttosto le afferrai entrambe le tette e sospirai mentre tastavo quanto fossero magnificamente sode.
La lasciai continuare, godendomi la sua bocca lavorare sulle mie palle e la sua mano menare il mio uccello, quando percepii che ero prossimo a venire. Per quanto mi sarebbe piaciuto coprire il suo splendido viso con la mia sborra, decisi che non sarebbe stato un atto di dominio quanto venirle in bocca: mi inginocchiai, afferrai la sua testa e la baciai sulle labbra. Lei ne fu stupita, ma solo per un istante, perché quasi subito la sua lingua, trascinandosi dietro la saliva che aveva riempito la sua bocca, s’insinuò dentro di me. Succhiai la sua lingua, accarezzandole il viso. Fu un attimo di dolcezza in quella scopata selvaggia, ma non volli che durasse a lungo.
Quando mi alzai per rimetterglielo in bocca, la ragazza non riuscì a mostrare un atteggiamento negativo, accettando con piacere il mio cazzo. Questa volta i colpi furono più profondi ed il suono ancora più forte. Afferrai la testa di Gaia e le scopai la bocca finché non percepii il senso di disagio all’uretra che precedeva l’eiaculazione, succeduto dal mio orgasmo. Non avrei voluto darle la soddisfazione di sentirmi godere, ma non riuscii a trattenere un gemito di piacere mentre mi svuotavo nella bocca della ragazza.
Restai diversi secondi in quella posizione, assicurandomi che anche l’ultima goccia restasse dentro di lei, ma quando estrassi il mio cazzo qualche stilla scivolò fuori dalle sue labbra sul suo splendido volto, colando accanto al naso. Con mia soddisfazione, quando se ne accorse, Gaia la raccolse con un dito e se la mise in bocca. «Non voglio che la tua lurida sborra mi sporchi il viso», disse disgustata, succhiandosi per bene il polpastrello. Scavalcai il letto, passandole accanto. Mi guardò sollevando la testa, confusa. Quando mi vide inginocchiarmi tra le sue gambe la sua espressione mutò completamente. La mia divenne di puro desiderio nel vedere quanto si fosse bagnata dopo quel pompino: le piccole labbra si erano fatte ancora più scure rispetto a quando l’avevo sditalinata, aprendosi al punto tale da rendere perfettamente visibile l’imbocco dell’utero, anch’esso aperto e dal quale ruscellava ambrosia in piccoli getti biancastri.
«La tua fregna cola come se si fosse rotto un tubo. Sei proprio una zoccola», le dissi disgustato, ma non avrei convinto nessuno. A quello spettacolo, mi si strinse il cuore all’idea che non fossi intento a leccare. Le presi le gambe, me le misi letteralmente sulle spalle e appoggiai la faccia alla figa. Il profumo di donna eccitata mi investì quasi come un getto di vapore, stordendomi. Aprii le labbra con le mani e la penetrai con la punta della lingua per qualche centimetro: sentii l’ambrosia scivolarmi tra le pupille gustative, colarmi un po’ in gola, riempire il mio olfatto con il suo effluvio. Cazzo, immagino che avessi sperimentato cosa provava un felino dopo aver sniffato dell’erba gatta: anch’io avrei voluto gettarmi sul pavimento e fare le fusa, euforico.
Al mio posto lo fece la mia puttanella, sebbene sul letto: la sentii lanciare un grido roco di piacere, contorcersi al movimento della mia lingua che cercava il nettare nell’imbocco uterino. Mise le mani sulla mia testa, cercando di afferrare i miei capelli tagliati troppo corti, ordinandomi, implorandomi, pregandomi di continuare così. Mi diede del bastardo, dello stronzo e più lo faceva e più la sua fica sembrava acquisire un sapore ancora più delizioso. Non fosse stato per il fatto che le ero appena venuto in bocca, avrei sborrato sul pavimento in quel momento, accosciato tra le sue gambe. Soddisfatto di quella scorpacciata di nettare, sollevai la bocca dalla sua figa, mentre afferravo con due dita appena sopra le grandi labbra, stringendo il medio e l’anulare dell’altra mano tornavano per la seconda volta dentro di lei.
– “Cosa direbbero i tuoi fan se ti vedessero qui, a farti fottere da un tuo hater?”, le sussurrai maligno. Da uno che hai chiamato «pezzo di merda»” e che adesso ti vuole riempire di sborra? All’inizio non fui sicuro che mi avesse sentito tanto ansimava, dimenandosi, ma dopo qualche attimo gridò o almeno ci provò:
– “… che sono una troia… la tua… tua troia”. Sorrisi.
Poche cose mi davano soddisfazione quanto una donna che ammettesse di essere diventata la mia schiava sessuale: come approvazione del suo riconoscimento, presi tra le mie labbra il suo clitoride e iniziai a stilettarlo con la punta della lingua. Le mani di Gaia abbandonarono la mia testa, afferrando le coperte del letto nemmeno stesse rischiando di cadere, lanciando grida gutturali. Sperai che i muri della camera fossero spessi, meglio ancora se gli occupanti di quelle accanto fossero sprofondati in un sonno profondo o sarebbero state chiamate le forze dell’ordine, denunciando che stessero uccidendo qualcuno nell’albergo.
La cosa comunque non durò a lungo: quando abbandonai l’uso della lingua a favore del risucchio e le dita nel suo utero iniziarono a muoversi con più vigore e forza, la ragazza smise di lanciare versi, si arcuò sulla schiena un paio di volte, sobbalzando sul materasso, spruzzò un po’ di liquido dall’uretra e poi crollò come morta senza più emettere un verso. Solo il movimento del suo petto, l’alzarsi e abbassarsi del suo splendido seno, accompagnato da un rantolo ad ogni respiro, mostrava che non avesse abbandonato questo mondo ma avesse comunque fatto una capatina in Paradiso.
La lasciai riposare un momento, riprendere le forze, oltre a raffreddare un po’ il fuoco che aveva surriscaldato la sua figa durante il cunnilingus. Supposi che le succedesse poche volte o anche nessuna, quando faceva sesso con Arturo. Mi ero ormai convinto che il ragazzo, semmai avesse imparato a muovere il proprio corpo come si doveva durante un rapporto sessuale, non si sarebbe comunque mai comportato a letto come Gaia segretamente e inconsciamente desiderava essere trattata, continuando a vederla come una principessina dispotica anche nuda e che gli concedeva il suo sesso quasi per pietà, quando in realtà lei stessa voleva essere considerata una zoccola a cui permettere di godere come se lo avessero fatto come segno di disprezzo. Mi sdraiai alle sue spalle, abbracciandola sotto il seno e baciandola sul collo. Era bollente, la pelle coperta da una patina di sudore ed emanava un leggero sentore di sesso che mi faceva impazzire.
– “Sei una puttanella egocentrica, ma mi piace come godi”, le sussurrai in un orecchio. “Anche tu non fai proprio schifo con la lingua, stronzo”, disse e, sebbene non potessi vederla in volto ma basandomi solo sul tono della sua voce, sorrise.
– “Se la cosa non ti ha soddisfatto…”, ribattei, fingendomi offeso e stringendole i seni, “… allora approfitterò della tua figa per fare un altro po’ di pratica”.
Lei si voltò, intercettando le mie labbra con le sue e mostrando di nuovo che per lei i baci erano inconcepibili senza l’uso della lingua al pari di una punta da carotaggio, scivolando prima sui miei denti e poi nel mio cavo orale, quasi volesse scacciare la mia, di lingua. Sembrava volesse rifare quanto le avevo fatto io prima, ma surrogava l’assenza di un cazzo in mezzo alle gambe con l’organo che aveva in bocca. La cosa non mi dispiacque affatto e mi chiesi come fosse lasciare a lei il comando di una scopata, magari in occasione di un giorno che era intenzionata a restituire il piacere che aveva ricevuto, immaginandomi sdraiato sul letto e lei che mi cavalcava con rabbia e violenza, spruzzandomi in faccia il suo squirto dopo essersi masturbata durante il rapporto. Un accenno di malinconia mi sfiorò il cuore all’idea che non avrei mai potuto scoprirlo.
Stefania, in arte Gaia, mi baciò a lungo, appiattendo il suo seno contro i miei pettorali, accarezzandomi la schiena e la nuca con le sue mani, stringendomi a sé. Una sua gamba passò sopra le mie, avvinghiandosi, la sua figa bagnata che strisciava su e giù contro il mio cazzo ormai di nuovo pronto ad entrare in azione, le labbra che simulavano quelle di una bocca che stesse facendo un pompino lungo la parte inferiore dell’asta. La lingua della ragazza fuoriuscì dalla mia bocca, poi mi fissò negli occhi. Potevo leggere le stesse emozioni che si agitavano nel mio cuore. «Sei un pezzo di merda, ma ti amo», confessò, poi sollevò la gamba che aveva circondato le mie. «Adesso fotti la tua troia…».
Non ebbi bisogno di risponderle alcunché perché si era già portata avanti da sola: ancora prima di finire di parlare una sua mano si era insinuata tra i nostri corpi, aveva afferrato la mia nerchia e, facendolo scivolare nel solco della sua figa come se fosse stata la guida d’inserimento di un piolo in un foro, raggiunse l’imbocco del suo utero con la mia cappella e poi si sporse in avanti. Inalammo entrambi il fiato in un moto di soddisfazione mentre i nostri sessi scivolavano per la prima volta uno dentro l’altro, incontrando ben poca resistenza e spargendo liquidi corporei reduci degli orgasmi precedenti della ragazza. Cazzo, quant’era calda: mi sembrò quasi di avere un capogiro mentre la mia cappella mi restituiva una sensazione ben più soddisfacente di quanto avessero potuto i miei polpastrelli e la punta della lingua. Dovetti fare quasi letteralmente violenza su me stesso per impedirmi di baciarla con amore e possederla con dolcezza, distruggendo quindi tutta la pantomima che avevo portato avanti fino a quel momento e abbattendo il piacere che stavo facendo vivere alla mia partner, finalmente scopata come sognava ormai da tempo. Invece, afferrandole la gamba che aveva sollevato e, cercando di non uscire da quel fodero di puro piacere pulsante e bagnato, ribaltandola sul fianco destro, mi misi in ginocchio tra le sue cosce.
«Cosa credi di fare, puttanella? Dirmi come devo comportarmi? Se voglio fottere la tua figa, la prendo senza chiedere il tuo cazzo di parere e me la sbatto finché non la riempio con la mia sborra», le sbraitai contro, appoggiandomi la sua gamba su una spalla e stringendole il collo con una mano come ad aumentare il senso delle mie parole. «Ci siamo capiti?». Lei annuì stringendo gli occhi, sottomessa e dispiaciuta per il suo ardire, quasi si stesse mettendo a piangere, ma il sorriso che la tradiva non le avrebbe di certo permesso di vincere un premio per la recitazione. Le assestai un paio di colpi di bacino contro il suo, le mie palle che sbattevano contro il perineo e la coscia destra coperti di ambrosia. «Non hai più alcun diritto sulla tua figa. Adesso è di mia proprietà e la fotto quando voglio».
Gaia si morse un labbro, i seni che sobbalzavano ai miei colpi. Una mano scese tra di noi, accarezzandomi i coglioni e l’asta intrisa di trasudo vaginale, poi risalì al suo clitoride, iniziando a fregarselo. Se c’è una cosa che non posso permettere è vedere una mia partner che si masturba per darsi piacere mentre le sto scopando la figa: con la mano che le avevo stretto la gola sollevai la sua che si stava lavorando e la scostai. «Ti ho detto che la figa è mia», la redarguii, «piuttosto tieni ferme quelle tette che mi stanno facendo venire il mal di mare, a furia di muoversi», le ordinai mentre, con l’indice ed il medio destri, iniziavo a coccolare il clitoride. Lei sorrise e si afferrò i seni, stringendoli e, dall’espressione facciale e dai gemiti che emetteva ad ogni cigolio della rete del letto, provando piacere. Non sapevo dove posare lo sguardo per non venire in un attimo: lo spettacolo di quelle due splendide tette che sembravano due amalgami di pizza che venivano impastati, i capelli rossi, l’incantevole volto della ragazza con quelle lentiggini, il culo splendido… tutto in lei sembrava complottare contro la mia lotta all’eiaculazione.
Fortunatamente l’eccitazione non era cresciuta solo in me e dopo pochi minuti Gaia, probabilmente più per l’effetto delle dita che del mio cazzo, ebbe un altro orgasmo. La gamba che avevo appoggiato sulla mia spalla tremò come se fosse stata colpita dalle convulsioni al punto tale che fui costretto a tenerla con una mano per non farla cadere mentre potevo assistere finalmente al meraviglioso viso di Gaia illuminato dal piacere sessuale, la bocca aperta da cui usciva un grido roco, profondo, gli occhi chiusi, una mano che abbandonava il suo seno per allungarsi verso di me, cercando di prendermi per avvicinarmi a lei. Soddisfatto, le inflissi ancora qualche colpo più profondo e mi rilassai, smettendo di trattenermi. Subito dopo mi irrigidii, lasciandomi sfuggire un grido di piacere, stringendo la gamba della ragazza al petto: finalmente sentii la sborra risalire la mia nerchia con una sensazione meravigliosa e spruzzare nella figa bollente e bagnata. «Cazzo, sì! Ti amo, Stefania…».
La mano che aveva allungato si abbassò sui nostri sessi, accarezzando il mio ancora dentro di lei, il seme che colava fuori nelle ultime spinte per svuotarmi completamente. Abbassai la gamba della ragazza e mi sdraiai accanto a lei. Subito si sollevò e si appoggiò con la testa sul mio petto, facendo scivolare una mano sugli addominali e stuzzicando l’uccello che stava cercando di trovare un attimo di riposo. Mi diede un bacio sulla mascella, sussurrandomi: «Adoro essere la tua puttana, stronzo e adoro darti piacere con il mio corpo». Allungai una mano fino al suo sesso passando da dietro, penetrandola con il medio e bagnandolo, poi appoggiai il polpastrello sul suo ano usando le altre dita per tenerle aperte i glutei sodi, quindi cominciai a tracciare cerchi attorno al buco del culo. All’idea di quanto mi sarebbe piaciuto penetrarlo sentii il cazzo inturgidirsi un po’. «Mi piace…» sussurrò la ragazza, apprezzando con un sorriso. Restammo a letto per diverso tempo, facendoci le coccole. Il tempo di trattarla come una troia era finito, sostituito da quello in cui volevo dimostrarle che era la mia principessa: non lo dissi a voce, ma i baci e come muoveva la testa, accarezzandomi con la sua chioma di fuoco, lasciava intuire che dopo quella soddisfacente scopata apprezzava il calore umano. Anche quello di un pezzo di merda che l’aveva finalmente fatta sentire una puttana.
Dispiaciuto che ad un certo punto sarebbe finito tutto, sia il contatto con Gaia, sia la mia vacanza, presi il telefonino sul tavolo e controllai quanto mancava per l’arrivo del pullman. Avevamo fatto sesso per tre ore, notai: un po’ troppo poco tempo da dedicare ad una meravigliosa ragazza come Stefania… Lei lo prese dalla mia mano e, dimostrando che era il suo strumento di lavoro, accese la fotocamera premendo un tasto del volume invece dell’icona sullo schermo, allungò il braccio e un attimo dopo lo smartphone emise un suono che mi è sempre sembrato quello di nocchie che scrocchiano. Non feci in tempo a vedere come fosse venuto lo scatto perché la ragazza lavorò velocemente ad alcuni menù, inserendo un indirizzo e-mail. Un istante dopo un trillo provenne da dove avevo gettato i suoi pantaloncini. Mi ridiede il telefono, tornando ad appoggiarsi a me.
– “Voglio che questo giorno resti per sempre nei nostri cuori”, disse con una dolcezza che non mi sarei mai aspettato da lei considerando i giorni precedenti. Appoggiai le mie labbra sulle sue, accarezzandole il viso. La baciai a lungo, con delicatezza. La sua lingua rimase tranquilla, lasciandosi accarezzare dalla mia.
– “Non preoccuparti”, le dissi infine, dopo esserci staccati, “non dimenticherò mai questo giorno”. Ma adesso temo che dovrò andare. La notizia adombrò la felicità sul suo viso. Mi abbracciò di nuovo, appoggiando il capo sul mio petto.
– “Mi mancherai, anche se sei uno stronzo”. La baciai su suoi splendidi capelli rossi.
– “Anche tu mi mancherai. Non sei nemmeno così male, una volta che ti si conosce… molto intimamente”. Ci lasciammo pochi minuti dopo. Lei si chiuse in bagno dopo avermi di nuovo baciato, sostenendo che voleva farsi una doccia prima di cercare un fotografo locale che sostituisse Arturo ed io sperai che non volesse in realtà piangere. Mi sarebbe davvero dispiaciuto.
Misi in spalla lo zaino lo zaino, raccolsi la sacca e, dopo aver afferrato le mutandine di Gaia, mi riempii i polmoni del loro profumo. Fu come una dose di droga che mi colpì direttamente al cervello ed il mio cazzo mi ricordò che lui era di nuovo pronto ad entrare in azione o, più correttamente, nella padrona degli slip.
Sospirai all’idea che non avrei potuto soddisfarlo di nuovo. Guardai le mutandine strappate con i coniglietti e, quando feci per lasciarle cadere a terra, strinsi la mano e le misi in tasca. «Bottino di battaglia», decisi. Mi avrebbero dilettato meglio di qualsiasi cosa durante il viaggio di ritorno a casa. Tanto, strappate com’erano, Gaia non avrebbe potuto comunque indossarle. Guardai la porta del bagno da cui proveniva il suono della doccia. Sollevai le spalle: Non salutai, perché dopo quella scopata non avrebbe avuto senso ed uscii silenziosamente, chiudendo la porta perché nessuno disturbasse la ragazza mentre si lavava via l’odore del nostro amore.
Presi dalla tasca lo smartphone e richiamai la foto scattata una manciata di minuti prima. A stento trattenni un sorriso e, al contempo, le lacrime quando apparve sullo schermo. Gaia era appoggiata al mio petto, girata a tre quarti affinché il suo grosso seno venisse in tutta il suo splendore e… e il suo sguardo… cazzo, sembrava mi stesse seducendo… Fui tentato di perdere il pullman, tornare indietro e possederla sotto la doccia e farla di nuovo godere fino alla follia, spinta contro le piastrelle, urlante con l’acqua che le scorreva a rivoli sul suo corpo nudo. Mi voltai a guardare la porta della camera come se avessi potuto vederci attraverso, scorgerla mentre si passava il sapone sul suo splendido…
– “Ah, alla fine non ce l’hai fatta”, esclamò una voce alle mie spalle, piena di rammarico e con una punta di rabbia. “Allora adesso te ne devi andare”. Non ebbi difficoltà a ricondurla al suo proprietario. Quando mi girai, mi trovai davanti Lucio con la sua uniforme da cameriere, la delusione sul volto.
– “Questa mattina, qualcuno si è divertito», commentai, poi indicai con un cenno del capo una bottiglia di champagne e due calici in equilibrio su un vassoio su una mano del mio amico.
– “Se ti fossi impegnato un po’, scopandoti quella troietta e facendole una foto nuda…”, disse Lucio, piccato, “passeresti la prossima settimana ancora qui, a mie spese”. Il mio sguardo cadde sul telefonino che tenevo in mano, lo schermo che si era spento. La sbloccai, caricando una foto e ponendogliela di fronte al volto.
– “Tipo questa?”. Lucio la guardò, poi mi fissò con un’espressione piena di noia,
– “sì, ma la troia dovrebbe avere i capelli rossi, non biondi. Comunque, lo ammetto, è una gran bella figa anche lei”. Voltai il telefonino verso di me. Un moto di dolcezza nacque nel mio cuore alla vista di Emma abbracciata a me, nel suo letto. La contemplai per un istante, prima di spegnere lo schermo e rimettere lo smartphone in tasca, accanto alle mutandine di Gaia.
– “In ogni caso, non entrare nella mia stanza la prossima ora”, gli consigliai rimettendomi in cammino verso l’uscita. Lui mi chiamò lungo il corridoio.
– “Perché?”, mi voltai, fermandomi,
– “hai presente quando ti ho spiegato quel trucco di seduzione e ho detto che mi ha funzionato tre volte su cinque? Devo aggiornare: è quattro su sei”, dissi, prima di mettermi a ridere e andarmene, chiedendomi se avessi avuto ancora la possibilità di incontrare quella splendida cameriera e chiederle il contatto su Facebook o Instagram.
Cinque su sette sarebbe stato ancora meglio, pensai.
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