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Era il mio compleanno - 3


di corsaro200
27.08.2024    |    112    |    0 8.7
"Si tolse anche lui la maglietta, i pantaloni e le mutande e nudi come erano lo invitò a sdraiarsi..."
Era il mio compleanno - 3
Un adolescente riceve lezioni di sesso, non teoriche ma pratiche, da un cinquantenne, padre di famiglia, che fa vedere al ragazzo, figlio di un suo amico, come si fanno le seghe, i pompini e i baci con la lingua.
Si rincontrano anni dopo, le lezioni sul sesso riprendono con il sessantanove e l’inculata, per perdersi poi definitivamente.
Il ricordo del maestro di sesso è ancora fresco per Paolo, ormai maggiorenne, quando, ringiovanito di trenta anni, si ripresenta nei panni di suo figlio Thomas, stesso fisico ma comportamenti opposti.
I due giovani uno con consapevolezza, l’altro per curiosità si confrontano nel campo sessuale e si scoprono complementari l’uno all’altro, in un rapporto padrone schiavo.
L’incontro scontro ha avuto il suo svolgimento, sta per finire e si dovrebbe tornare al “prima di …”.
Siamo allo stallo. Come andrà a finire?
Ciao, addio, facciamo come se non fosse successo niente e mettiamo la parola “FINE”, non soddisfa, forse, neanche Thomas a cui spetta decidere.
Azzardiamo allora le possibili ipotesi.
Prima possibilità.
- Te l’ho anticipato da subito Paolo, tutto finisce qui dove è cominciato.
- Non dico il contrario. Ma deve finire così, subito? È già tardi, se parti ora dovrai viaggiare tutta la notte.
Se ….
- Se cosa.
- Se parti domani viaggi comodo. Stasera andiamo a cena fuori, come due amici e poi torniamo qui.
- In una casa vuota?
- E che ci serve? C’è acqua e luce e se vuoi il morbido per dormire, ti faccio io da materasso.
Seconda possibilità.
- Rientriamo in casa, ti scopo fino a stancarmi e poi partiamo.
- Partiamo?
- Dormiamo da qualche parte lungo la strada. Domani do la chiave al proprietario, ti lascio in una stazione del treno o degli autobus e me ne ritorno a Bruxelles.

Terza possibilità
- Ti chiudo in casa dopo averti legato, imbavagliato e bendato, vado a prendere da mangiare e bere e di volta in volta ti libero la parte del corpo che mi interessa o che dovrai usare per necessità. Il tuo culo sarà sempre libero, per ricevere da me quello che vorrò infilarci

Una quarta soluzione?
Proprio non la vedo.
Eppure, c’è.
Chi lo dice?
Non fingere. La stai già pensando.
Sentiamo, quale sarebbe?
Un po’ di tutte e tre.
Ok, cominciamo!


Il furgone con il mobilio si stava allontanando e, con qualunque soluzione, era previsto il rientro in casa e la scopata di addio, nella casa dove l’ex tredicenne si era accoppiato con due generazioni, il padre e il figlio. Tra i due giovani il commiato non era ancora scontato, vi sarebbe potuto essere anche un seguito.
L’approccio si prospettava forte, come si addice tra master e slave.
- Vai dentro troia che ti voglio lasciare qualche ricordino.
Dette queste parole, Thomas ordinò a Paolo di togliersi i panni di dosso e aggiunse.
- Devi essere nudo come un verme.
Prima di seguirlo in casa, andò alla macchina a cercare quello che poteva servire per legarlo. Una volta dentro, anche lui si denudò.
In una casa completamente vuota, con una corda di un paio di metri, la cinghia dei pantaloni e un panno vecchio da poter fare a brandelli, c’era poco a cui ispirarsi. Non c’era neanche un piano di appoggio su cui tenere fermo Paolo per una flagellazione in piena regola. A vederlo poi nudo subito gli venne voglia di incularlo. L’unico punto della stanza diverso da un muro era il davanzale della finestra che era aperta. Fuori era già calato il buio e, stando in casa a luci spente, da fuori non si vedeva quello che succedeva dentro. Solo i suoni si propagavano e quello che si sarebbe sentito stando fuori dalla finestra fu “sflash”, il suono di una cinghiata che accarezzò le natiche di Paolo che, a gambe larghe e con le mani poggiate al davanzale da cui era distanziato per una posizione a novanta gradi, si stava offrendo a quelle carezze. Con il crescere del desiderio fisico la dominazione celebrale delle cinghiate si esaurì, senza neanche arrivare a contarne quante le dita di una mano. Tenendo Paolo nella posizione in cui si trovava, Thomas lasciò andare la cinghia, si fece sputare sulla mano, aggiunse anche la sua saliva e gliela spalmò sul buco del culo.
- Questa è meglio della crema. Tu non devi far altro che allargare il culo e dilatarlo come se dovessi cacare.
Così dicendo avvicinò il cazzo al culo, infilò l’indice e il medio di entrambe le mani in bocca e gliela allargò. Usava le dita come a farne un morso da cavallo per impedirgli di muoversi e diede un colpo secco. La reazione involontaria che il dolore acuto esercitò sullo sfintere fu l’espulsione del corpo estraneo, appena entrato.
- Troia, lo hai fatto uscire.
Incazzato come una bestia spostò una mano dalla bocca ai capelli e tentò lo scotennamento. Lo costrinse ad accasciarsi per terra e con un braccio stretto al collo gli tenne ferma la testa con la bocca verso l’altro e vi infilò dentro l’altra mano.
Quando finalmente Paolo ebbe la bocca libera per parlare, le sue parole furono di scusa.
- Scusami Thomas, non volevo farlo uscire è stato una reazione al dolore, involontaria. La crema non lubrifica solo, anestetizza anche. È lì, vuoi che la metta?
- E dopo? Il mio cazzo ci balla dentro il tuo culo largo, dovrei averlo il triplo per fartelo sentire.
Be! Visto come si sono messe le cose, vestiamoci e andiamo a cena.
Così dicendo lo attirò a sé, gli morsicò un lobo dell’orecchio, il collo, gli ficcò la lingua in bocca, gli afferrò la sua e la succhiò.

La cena fu di nessun interesse, la conversazione non li coinvolse, il luogo era indifferente e loro stessi si sentirono estranei l’uno per l’altro e così, fatto aggiungere qualche birra al conto che divisero a metà, ritornarono a casa. Si sedettero davanti alla casa immersa nel silenzio e aprirono una birra ciascuno. Erano pressappoco le stesse cose che avevano fatto al ristorante, ora però intorno a loro c’era la casa, qui non erano due estranei, avevano un passato e forse un futuro, anche se molto prossimo, solo quello che li vedeva coinvolti fino all’indomani.
Di quello Thomas stava parlando, dicendo che l’indomani avrebbe fatto le cose con comodo, sarebbe passato a consegnare le chiavi e poi si sarebbe diretto a Bruxelles.
Al che Paolo disse
- Che ne dici se vengo con te fino a lì?
- Se vuoi fai pure, ma non ne vedo il motivo.
- Il motivo è che sono in cerca di lavoretti per arrotondare. Magari se mi fai conoscere il nuovo padrone di casa, potrei offrirgli i miei servizi.
- Porco, ci vuoi provare, via uno subito un altro.
- Ma Thomas gli offrirei i miei servizi per la casa, il giardino, pulire, imbiancare, innaffiare.
- Ma sì, a me poi che mi frega?
Queste parole fecero capire a Paolo che, se non prendeva lui l’iniziativa, tutti i lati negativi che li attendevano avrebbero prevalso. Una casa vuota, solo il pavimento su cui dormire, un’estraneità incombente, il desiderio neutralizzato dai pensieri.
Gli venne in aiuto il sogno che aveva fatto prima dell’arrivo dei trasportatori e iniziò a metterlo in atto.
Si alzò, prese il suo padrone per mano ed entrò in casa. Nel riquadro della finestra che il chiarore esterno disegnava sul pavimento si fermò, lo fronteggiò e prese a sfilargli i vestiti, Thomas lo lasciò fare.
Si tolse anche lui la maglietta, i pantaloni e le mutande e nudi come erano lo invitò a sdraiarsi. Allungato sul pavimento con il chiarore che ne esaltava il corpo, Paolo poggiò la bocca sul torace di Thomas. Piano, piano scese giù, si fermo un po’ nell’incavo dell’ombelico e arrivò al sesso. Ci giocò, lo prendeva e lo mollava, lo spostava col naso ma la mobilità del cazzo diventava sempre più impedita dalla rigidità che il membro stava assumendo. Anche il suo cazzo era in erezione e allora ci provò. Si girò in un testa e croce, si tirò addosso il corpo del suo padrone, si prese tutto il cazzo in bocca e, senza fare altri movimenti, aspettò.
Thomas gli stava sopra e aveva la faccia a pochi centimetri da questo coso che reclamava le sue attenzioni. Era di bella fattura e lo confrontò al suo. Stesso colore scuro, peli neri, tanti e arruffati, la forma cilindrica leggermente arcuata al centro, il glande quasi tutto scoperto e il prepuzio ne riempiva il canale alla base. Il suo era dritto e più a cono, stretto in punta e largo alla base, come un cuneo, accentuato anche dalla circoncisione, era fatto per forzare un’entrata stretta come era stato il culo vergine di Paolo. Il prepuzio che lui non aveva lo attrasse e ci andò con la lingua, la infilò nel solco che si formava alla base della cappella. Dopo quel gesto fu naturale poggiarvi anche le labbra e farle scorrere.
Quello che avvenne dopo sarebbe alquanto scontato da descrivere. Non lo fu sicuramente per come fu vissuto dai due protagonisti che dopo contorsioni e capriole che rispettarono comunque i ruoli che si erano stabiliti, si addormentarono stretti a cucchiaio.
Il mattino dopo Thomas telefonò al nuovo proprietario e appena pronti si misero in macchina.

Al citofono.
- Sì?
- Sono Thomas
- Scendo subito.
Dopo qualche minuto, davanti al portone.
- Buon giorno, ecco le chiavi.
- Grazie signor Thomas.
- Lui è Paolo, mi ha aiutato a fare il trasloco.
I due si stringono la mano.
- Mi scusi signore, io abito poco lontano dalla sua nuova casa, sono qui per offrirle i miei servizi, pulire, imbiancare, innaffiare. Le può interessare?
- Certo che sì, giovanotto.
- Bene, allora io riprendo la strada per Bruxelles.
- Signor Thomas faccia buon viaggio e mi saluti suo padre.
- Grazie, non mancherò.
- Lei Paolo come è venuto qui?
- In macchina con Thomas, signore.
- E ora come intende tornare.
- Ci sarà un trasporto pubblico.
- Non è necessario, la riporto indietro io, avevo già intenzione di andare a vedere la casa, così decidiamo subito il da fare. Mi aspetti una mezzoretta e partiamo
- Bene signore, ne approfitto per salutare Thomas con un caffè.

Al bar lì vicino, bevendo il caffè.
- Ti è andata bene Paolo.
- Sì, c’è la possibilità che mi faccia lavorare. E tra noi, finisce così?
- Era chiaro dall’inizio che sarebbe finito come è cominciato.
- Ok. Intanto ti lascio il mio numero di telefono. Non si sa mai.

Due persone che più diverse non potrebbero essere, almeno nel fisico, stanno viaggiando in macchina diretti alla casa. Paolo, ora ventenne, figlio di meridionali italiani è bruno, peloso, di media statura, capelli neri e folti. Ha uno sguardo dolce e dei lineamenti del viso che ne fanno quello che si dice un bel giovane. Alla guida c’è un uomo maturo, decisamente nordico, alto, biondo nei capelli e nella carnagione. Un fisico robusto e tonico, lineamenti del viso marcati, asciutto ma garbato nei modi.
- Paolo lei è di origini italiane?
- Si signore, sono nato qui, ma i miei genitori vengono da un paese della Puglia, la regione italiana del tacco.
- Come il papà di Thomas?
- Si, i nostri genitori sono conterranei.
- Lei lo conosceva bene?
- Lo vedevo ogni tanto quando mio padre mi portava con sé o quello di Thomas veniva da noi. Avevo quattordici anni quando lui fece ritorno in Italia e l’ho rivisto adesso che è venuto per vendere la casa.
- E Thomas?
- Un paio di volte da ragazzo, poi l’altro ieri sono passato davanti alla casa, l’ho visto e ho notato la grande somiglianza col padre. Mi sono fermato, fatto riconoscere e gli ho dato una mano per il trasloco.
- È ora di pranzo, che ne dice se mi fermo a comprare qualcosa e mangiarla insieme a casa?
- Accetto volentieri signore. C’è una buona rosticceria in paese, potremmo prendere tutto lì.
Fermatisi davanti alla casa ci sono in vista una bici e un divanetto in vimini con un tavolino poggia vivande.
- Paolo mi sa spiegare la bici e il divanetto?
- Signore, la bici è mia e il divanetto Thomas ha pensato di lasciarlo, sperando che lei lo avrebbe gradito.
- Certo che sì. Chissà di quante confidenze e gesti potrebbe essere testimone.
Paolo, lei mi sembra colpito dalle mie parole.
- Non in riferimento esclusivo al divano, ma alle cose inanimate che possono creare dipendenze e far nascere emozioni.
- Perché suscitano ricordi?
- Non necessariamente. La casa che lei ha comprato, signore, esercita una forte attrazione su di me e non credo solo per fatti recenti e passati. Lei ci verrà ad abitare?
- Subito no. Dipenderà da tante cose. Paolo voglio chiederle una cortesia, vuole aprire lei la casa, spalancare porte e finestre? Non voglio essere io a farlo, preferisco che mi si offra già aperta. Io metto le vivande sul tavolino e vado a fare un bisogno all’aria aperta.
La sincronia dei movimenti fa sì che, quando Paolo apre la porta finestra della cucina che dà sul giardino retrostante la casa ed esce fuori, il signore ha girato l’angolo, aperto le braghe e sta pisciando. L’essere visto in quella situazione non gli genera, come dovrebbe, imbarazzo e non lo induce a sottrarre l’oggetto e l’azione che sta facendo allo sguardo dell’altro ma continua con soddisfazione.
Prima che la casa li ricevesse, si sono comportati come due persone appena conosciutesi, si sono dati del lei, uno per rispetto e soggezione ha chiamato addirittura signore l’altro, hanno avuto appetiti sessuali probabilmente diversi. Ora invece sono sotto l’influenza di una malia erotica ed è questo quello che si dicono.
- Paolo che liberazione, è da un po’ che me la tenevo.
- La devo fare anche io.
- E che aspetti.
- I pugliesi hanno un detto.
- E cosa dicono.
- Chi non piscia in compagnia è un ladro o una spia.
E non avendo i boxer con la cerniera, deve abbassarli e mostrare anche le chiappe.
“Che chiappe nere e pelose da scimmia, non ho mai guardato il culo di un uomo, come è eccitante.”
“Che gran cazzone biondo, da moscio è una proboscide, figurarsi quando è duro.”
Queste due riflessioni se le comunicano non con le parole ma con gli sguardi e si crea subito tra loro complicità e desiderio. In un altro posto tutto questo non sarebbe successo, in questa casa sì.

Quando Paolo anni addietro vi entrò fu prescelto o forse riconosciuto come una reincarnazione. Il cinquantenne amico del padre, che vi abitava venne coinvolto. Frustrato e represso per i suoi desideri sessuali che non aveva potuto vivere pienamente, gli fece da maestro. Dopo anni di lontananza, crescita e maturazione, si rincontrano. L’ex maestro prima e il figlio Thomas dopo, fanno da tramite a questo nuovo incontro. Ora è lui che apre le porte della casa e tutto si sta svolgendo in modo che ne sarà il custode.
- Signore se mi è permesso.
- Certo che ti è permesso ma basta con questo signore, con il lei e con il voi. Mi chiamo Erik.
Si sono intanto avvicinati e affiancati e Paolo che gli guarda il cazzo dice.
- Tu sei Erik il grande e io Paolo il piccolo, e non solo nella stazza, anche nel cazzo.
- Be! Sai che c’è, l’hai visto da moscio, mi viene voglia di fartelo vedere duro. Faccio io o mi dai una mano tu?
C’è un detto pugliese anche per questo?
- Erik tutto il mondo è paese e una mano non si nega a nessuno, ma se io faccio la sega a te passo per frocio, se anche tu la fai a me è uno scambio tra buoni amici.
- Paolo non ho mai toccato il cazzo di un altro e non me lo sono mai neanche fatto toccare, chissà che mi ha preso.
- Penso di sapere cos’è. Ma non è facile spiegarlo.
- Be! Sai che ti dico, occupiamoci d’altro, facciamo questo spuntino, per il resto si vedrà, c’è tempo.
Seduti sul divanetto i due stanno mangiando, bevendo e parlando ma dicono una cosa e pensano a tutt’altro. I veri pensieri sono il culo peloso e il cazzo grosso. Quello che si dicono invece riguarda gli interventi da fare alla casa e per definire queste cose vi entrano. Paolo si sta impegnando a prendersene cura e concordano anche il compenso. Non avendo più altro da dire si dovrebbero salutare e riprendere ognuno la sua strada.
- Erik
- Paolo
- Erik prima hai detto c’è tempo, tra poco non ce ne sarà più.
- Paolo vienimi incontro, per me è la prima volta con un uomo, dammi una mano.
- Va bene. Allora appoggiati con le braccia sul davanzale di questa finestra e guarda fuori. Mi raccomando però, non ti azzardare a guardare quello che succede dentro. Prometti.
- Promesso.
Ciò detto Paolo si appoggia con le spalle al muro, scivola a terra e, strisciando sul pavimento verso la finestra, si posiziona davanti all’uomo. Gli slaccia la cintura, abbassa la cerniera dei pantaloni e li tira giù. La proboscide di Erik che ha perso il sostegno degli slip gli sbatte quasi sulla faccia. Dal numero di cazzi con cui ha avuto a che fare non si può definire un gran conoscitore ma quando ne ha desiderato uno lo ha sempre sognato duro, in erezione, già pronto all’uso. Ora è incantato a guardare quell’opera d’arte, emblema della morbidezza e della consistenza, che penzola insieme alle palle, racchiuse in uno scroto rugoso senza peli che si distende e si arriccia. Le brache abbassate sono però di impiccio così gli slaccia una scarpa, con un colpetto al polpaccio lo invita a sollevare il piede, la sfila insieme ai pantaloni e lo stesso fa con l’altra gamba. Lì sotto, tra due gambe nude tornite e forti che sembrano delle colonne, anche lui si denuda completamente. L’oggetto del desiderio gli sta a portata di bocca, cerca di resistere finché può per far crescere con l’attesa anche il desiderio di Erik. Inizia col fargli sentire sulle gambe la sua nudità, vi si struscia con il corpo, con la testa piena di capelli, anche un po’ dritti e indipendenti, si strofina alle palle, al cazzo e all’inguine, poi alza la testa e vi porta la bocca. Quello che hanno fatto i capelli ora lo fa la lingua, lo lecca da per tutto e il naso si insinua nel solco tra le chiappe e sniffa. In risposta Erik piega un po’ le gambe per godere meglio di quei toccamenti che gli fanno uscire di bocca un monosillabo “ah” ripetuto più volte come una giaculatoria del piacere.

Si sente una voce.
- Signore, signore.
A quel richiamo Erik, che ha gli occhi chiusi ed è tutto con il suo essere concentrato là dove la lingua di Paolo sta lavorando, li apre. Vede un tizio su una bicicletta che fermo sulla strada aspetta una risposta, riesce appena a pronunciare un “si?” con una voce alterata e appena udibile.
- Abito qui vicino, sono un amico di Thomas, lei è il nuovo proprietario?
Anche qualcun altro ha udito e, interrotti i preliminari, anziché fermarsi va al sodo e si impegna a far sparire dentro la bocca il gioiello che la riempie completamente. Erik in reazione ha sospeso il respiro, è senza fiato e tarda a rispondere.
- Mi scusi, la sto importunando.
- …………
No, che dice, ho la saliva che mi va di traverso.
La bocca che lo sta lavorando si apre a una risata soffocata, le gambe aperte di Erik si contraggono e stringono quella testa per cercare di impedire, senza riuscirci, che vada oltre.
Paolo non sa immaginarsi una situazione più eccitante, sotto a spompinare Erik che alla finestra è costretto a fare l’indifferente.
- Quando ci verrà ad abitare?
- Per ora solo i fine settimana.
- Bene, ci rivedremo. Abito quella casa lì (e la indica con il braccio alzato). Mi chiamo Oscar.
- Ok Oscar, alla prossima.
E poi a bassa voce e a denti stretti aggiunge.
- Paolo, volevi farci scoprire? Però adesso non ti fermare.
E trasgredendo all’ordine ricevuto, sposta un braccio dal davanzale e scende ad accarezzare Paolo fin dove può arrivare a toccarlo. Quel gesto semplice, completamente opposto alla rudezza sessuale di Thomas invade il cuore del pompinaro che si dedica solo ed esclusivamente a quel cazzone. La sua morbidezza è sparita, la consistenza è al massimo, quando prova a farlo entrare tutto nella bocca gli vengono le lacrime agli occhi e i conati di vomito, ma lui non è tanto delicato da smettere, si è scoperto docile e sensibile alla forza che si esprime anche con un po’ di violenza. Sa bene che questa non può aspettarsela da Erik, almeno per adesso, allora se la infligge da solo. Con ritmo e concentrazione si sforza a scoparsi la gola, stretta per quel cazzone, la sostituisce con la mano e quando sente grugniti e rantoli di piacere, preludio alla sborrata, si stringe nell’altra mano il suo cazzo e con due colpi ben assestati da chi di seghe se ne è fatte tante, schizza il suo sborro sul pavimento mentre il nettare di Erik gli inonda la faccia.
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