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Nato troia - 1 - Lorenzo


di corsaro200
24.09.2024    |    84    |    0 8.7
"Altre volte incontrai Lorenzo ma non era cosa semplice perché aveva una puttana anche più grande di lui che gliela dava, i miei pompini non lo sodisfacevano..."
Epilogo - Anteprima
- Che state facendo qui dentro.
Siete tre maiali.
Che fate, scappate?
Scappate pure voi due, tanto vi conosco. Vi becco dopo.
Tu porcello, tu non scappi.
Ho visto bene quello che stavi facendo.
- Signor Cesare stavamo giocando.
- E lo chiami giocare succhiare il cazzo ai tuoi compagni?
Avete fatto a turno?
Lo hanno succhiato anche a te?
- No, no, loro no. Ma era per gioco.
- Un gioco da sporcaccioni pervertiti. Vedremo cosa dirà tuo padre di questo gioco.
Aspettami fuori quando suona la campanella che ti accompagno a casa. Tuo padre deve saperlo.
E ora torna in classe e ringrazia che non lo dico al preside.
Mi chiedo con che parole dico a quel poveruomo che ho visto suo figlio fare pompini a due suoi compagni nel cesso della scuola.
- E voi signor Cesare non diteglielo. Non lo faccio più.
- E chi ci crede che non lo farai più, quando si comincia con certe cose non si smette e non si sa dove si va a finire.
- Vi prego signor Cesare non glielo dite a mio padre, quello mi ammazza.
Se non glielo dite …
- Se non glielo dico cosa?
- Ve lo faccio anche a voi un pompino.

Questo fatto è avvenuto anni fa nel cesso della scuola di un piccolo paese di montagna in cui ci si conosce tutti e ci si interessa gli uni degli altri.
Il signor Cesare era il bidello della scuola e, finita la ricreazione, aprendo la porta di uno dei bagni mi vide acquattato che succhiavo il cazzo di un mio compagno di scuola. Di fianco ce ne era un altro con le brache aperte e il cazzo fuori, in attesa che lo succhiassi anche a lui.
Loro due con uno scatto scansarono il bidello e scapparono, io invece, impedito dalla mia posizione, fui bloccato.
Questo è stato il mio inizio e ora all’età di trenta anni sto raccontando, a chi provvederà a scriverle, le esperienze che ho fatto nella mia vita, andando a ruota libera o rispondendo a domande del mio interlocutore come questa.
- E poi, Troia, come è finita con il bidello?
- Alla fine delle lezioni uscii e aspettai ma, dato che il signor Cesare non si fece vedere, dopo un po’ me ne tornai a casa. Temetti per giorni che mio padre mi dicesse qualcosa ma non avvenne e mi tranquillizzai. Mi sentii però fino alla fine dell’anno scolastico un sorvegliato speciale del bidello e vi confermo, come lui aveva previsto, che continuai fuori dalla scuola a fare pompini a quei due e a qualche altro mio compagno.
Una riflessione viene spontanea. Se il signor Cesare, vecchio e neanche sexy, avesse accettato di farsi fare il pompino, ci sarebbe da chiedersi chi fosse il corruttore e chi il corrotto. Si parte sempre col dire che l’infanzia è innocente, che gli adulti corrompono i minori, sarebbe stato vero anche in questo caso?
- Un’altra cosa Troia.
È ancora il contastorie, ma voi la parola troia non leggetela come un insulto, è il nome che mi sono scelto e che meglio mi si addice.
- Non sei il solo che da ragazzo ha giocato con i suoi coetanei. Ma è un’età in cui ci si fa una sega ognuno per sé o magari a vicenda. Non si pensa a fare pompini. Come ti è venuto di farlo, una cosa del genere è da smaliziati, lo avevi visto fare o fatto a qualcuno più grande che ti aveva corrotto?
- Né l’una né l’altra cosa. Avevo trovato in mezzo all’immondizia la pagina di una rivista porno. C’erano quattro foto, due per lato. Vi si vedevano un maschio e una femmina nudi.
Mi attirò subito il cazzo, bello, bellissimo, grosso e perfetto. In tre foto si vedevano diverse posizioni, alla pecorina, alla francese e a candela in cui quel bellissimo cazzo stava dentro la fica della femmina, nella quarta foto a riceverlo era la bocca. E lì capii che, se non avevo la fica per prenderlo, avevo la bocca.

Ho continuato a succhiare quei cazzetti che col passare del tempo crescevano ma sempre poco rispetto al cazzo della foto che continuavo a guardare. Un pomeriggio tra i ruderi dove ci nascondevamo mentre succhiavo e mi segavo, sentii una strana sensazione anche un po’ dolorosa e mi accorsi che la punta del cazzo mi si era bagnata. Smisi di succhiare, mi bagnai con quel liquido il dito indice, me lo misi in bocca e, a me stesso più che ai miei compagni, dissi con orgoglio.
- Ho sborrato, ho sborrato.
E mostrai la cappella del mio cazzo bagnata.
Quella prima goccia mi aveva ubriacato, quando decidevo di farmi una sega per sborrare, mi industriavo a trovare una posizione che mi consentisse di sborrarmi in bocca o, se non la centravo, di ricevere lo sborro almeno sulla faccia.
Ci volle poco a passare dal mio a desiderare lo sborro di un altro maschio. I miei compagni del vizio ancora non lo facevano. Cominciai a prenderli in giro fino a che uno dei due mi disse:
- Sei una Troia. Chiedilo a mio fratello, lui sì che sborra e tanto.
Fu quella la prima volta che fui chiamato con quel nome e lo feci mio.
Di quattro o cinque anni più grande di me, Lorenzo era già formato, gli cresceva la barba ed era peloso. Ci conoscevamo ma poche volte avevamo parlato, non era difficile incontrarlo, abitavamo vicino, cominciai a spiarlo e se lo vedevo uscire in bici, prendevo anche io la bici e facevo la sua stessa strada per farmi vedere. Non sapevo proprio come fare a dirgli che volevo fargli un pompino, avevo paura che dicesse di no e che mi andasse a sputtanare. Poi un pomeriggio ebbi fortuna, eravamo sulla strada asfaltata, lui era davanti a me, non mi aveva visto e girò in una strada sterrata. In prossimità di un grosso albero fermò la bici scese e andò dietro l’albero, capii che doveva pisciare. Se non ne approfittavo adesso non sarebbe successo mai, così mi fermai, lasciai la bici vicino alla sua e mi avvicinai all’albero ma dall’altro lato, giusto in tempo per vedere l’ultimo schizzo e la scrollata finale.
- Ah, sei tu. È da un po’ che mi stai appresso.
Nel frattempo, non metteva il cazzo nei pantaloni e continuava a scrollarlo.
- Che guardi? È grosso e?
Sei ancora un moccioso, non hai fatto lo sviluppo e non lo farai mai. Non sei né maschio né femmina.
Si può sapere che vuoi.
Io non riuscivo ad aprire bocca, anzi quella era aperta e pronta a prenderlo dentro ma non riuscivo a dire una parola.
- Ti sei incantato?
Con la bocca aperta acchiappi uccelli?
Muovere la testa in senso affermativo fu il massimo sforzo che riuscii a fare.
- Quest’uccello?
E io ancora gli dissi di sì con la testa.
- Mi vuoi fare un pompino?
Sei sicuro, sai quello che significa?
Questa volta riuscii a dire:
- Sì
- Ma io non sono un pervertito, i pompini me li faccio fare dalle femmine.
- Ma Lorenzo, la bocca è bocca sia se è di una femmina sia se è di un maschio.
- Ma io non voglio vedere niente di maschile, devi vestirti da femmina.
- E come.
- Ti metti una sottana di tua madre e uno scialle in testa.
Detto questo rimise il cazzo nei pantaloni, salì sulla bici e andò via.
Il cuore mi stava schizzando dal petto e stavo già pensando a come fare per travestirmi da donna.
In altezza andavo bene, nelle forme mia madre era piena, io magro come uno stecchino. Decisi di cercare un abito tra quelli scartati, ne presi uno con la cintura e mi ci infilai dentro. Legandomelo bene in vita risultava molto arricciato ma poteva andar bene, mi misi in testa uno scialle che mi copriva anche le spalle e mi guardai allo specchio. Ebbene dentro quel travestimento ci poteva essere chiunque, era chi guardava che lo decideva. Lorenzo avrebbe potuto benissimo pensare che c’era una femmina.
Non potendo uscire di casa così travestito, dovevo scegliere un posto dove Lorenzo sarebbe potuto venire senza essere visto o dare nell’occhio e dove io avrei potuto travestirmi.
Nel podere di mio zio Mario c’era un capanno dove ero stato qualche volta con i miei due compagni. Un pomeriggio ci andai e feci le prove. Individuai anche un posto dove avrei potuto nascondere l’abito e lo scialle.
Presa la decisione scrissi tutto su un foglio di carta, presi la bici e mi diressi verso la casa di Lorenzo. Dopo un paio di giri fatti con discrezione lui mi vide e io mostrandogli il foglio lo misi ben visibile in un punto della recinzione di ferro di casa sua e mi allontanai fermandomi ad una certa distanza, aspettando che andasse a prendere il foglio e leggesse.
-Ti aspetto tra mezz’ora dietro al capanno di mio zio Mario.
Quando letto il biglietto mi fece segno di sì con la testa mi allontanai con il cuore a mille.
Nessuno avrebbe potuto disturbarci perché mio zio, l’unico che sarebbe potuto venire era fuori. Arrivato sul posto mi travestii e nascosto dietro il capanno aspettai di vedere arrivare Lorenzo.
Quando il mio angelo o demone girò l’angolo del capanno io ero già acquattato, di me vide la testa coperta dallo scialle e le spalle dal vestito di mia madre. Mi si avvicinò, si sbottonò i pantaloni e tirò fuori il cazzo, niente che potesse gareggiare con quello della foto che si era sempre più ingigantito nella mia testa, ma era decisamente ben fatto e di buona misura. Mi avvicinai e sentii l’odore, lo presi in bocca e sentii il sapore, ne restai inebriato e cominciai a lavorarlo. Lui non mi toccò e io non toccai lui, sentivo solo il suono roco della sua voce che diceva:
- Succhia troia, succhia.
In pochi secondi sborrò, lo sfilò, continuando a spruzzare sperma da per tutto, sulla faccia e anche sul vestito, lo rinfilò nelle mutande e se ne andò.
Io rimasi lì acquattato e intontito mentre la lingua per istinto leccava fin dove poteva arrivare e completai la pulizia con le dita, poi inebriato e in estasi mi distesi per terra, alzai la veste e mi masturbai ferocemente schizzando da per tutto.

Altre volte incontrai Lorenzo ma non era cosa semplice perché aveva una puttana anche più grande di lui che gliela dava, i miei pompini non lo sodisfacevano. In più mio zio, dal quale mio padre mi pressava di andare, nel mio tempo libero, per aiutarlo, voleva sapere tutto quello che facevo e non era facile sfuggirgli.
Un pomeriggio, pur sapendo che mio zio era a casa, diedi appuntamento a Lorenzo al solito posto. Il travestimento era anche migliorato e potevo essere scambiato per una femmina. Le prestazioni, a differenza delle prime volte, ora duravano di più. Il mio compito era quello di tenere la bocca aperta, stando attento a non far sentire i denti e se capitava venivo preso a sberle.
Era lui che, a occhi chiusi, impossessandosi con le mani della mia testa, dava il ritmo e la profondità. I suoi rantoli di piacere frammisti alla parola troia ripetuta più e più volte erano udibili anche a una certa distanza.
A manifestazione del piacere la parola, - ah troia, ah, ah troia - ripetuta continuamente, era segno che stava sborrando nella profondità della mia gola tenendomi ferma la testa.
Era quello il momento in cui riapriva gli occhi.
Lo fece anche in quel momento con la differenza che immediatamente mollò la presa.
Io che ero impegnato a darmi piacere menandomi il cazzo sotto il vestito di mia madre, senza manco rendermi conto di quello che stava accadendo, mi trovai in bocca un altro cazzo duro come la pietra, perché non aveva ancora sborrato.
Altre mani si impossessarono della mia testa e la manovrarono. Non ebbi il tempo di pensare e ripetuti fiotti di sborro mi riempirono la gola, aggiungendosi a quello che avevo già ingoiato.
Quando i guizzi cessarono, una mano afferrò lo scialle e mi scoprì la testa.
- Sei tu. Sei tu. Sei tu.
Prima che mio zio potesse muovere un passo gli strinsi forte, forte le gambe per trattenerlo, non volevo mi scacciasse e desideravo che anche lui mi manifestasse le stesse attenzioni.
Ma quello che stringevo era un blocco di pietra, non si muoveva più niente e anche quando glielo ripresi in bocca, per scacciare la paura che mi stava assalendo, neanche quello reagì.



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