incesto
Nato troia - 2 - l'incontro con mio padre
di corsaro200
28.09.2024 |
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"- Sono stato io, lui neanche voleva farsi fare pompini da me perché sono maschio..."
Riassunto della prima parteTroia, è il nome che si è dato, venne scoperto a fare pompini nei cessi della scuola. Travestito da donna dai coetanei passò a spompinare un vicino più grande e, scoperto sul fatto, si trovò, senza essere riconosciuto, a succhiare il cazzo di un uomo sposato, il fratello di suo padre.
Difronte al gelo di mio zio mi misi a piangere. I miei singhiozzi lo raggiunsero e lo ridestarono. Si scrollò tutto il corpo come un cane appena uscito dall’acqua che si strizza il pelo, mi prese per un braccio stringendolo come in una morsa e mi trascinò, senza darmi il tempo di mettermi in piedi, dentro il capanno. Per la paura avevo smesso anche di singhiozzare, il silenzio era tombale. Mi lasciò il braccio e si mise a cercare. Trovato una corda e un panno vecchio da cui strappò una lunga striscia, mi prese i polsi, me li legò stretti e con i due capi della corda mi fissò a un palo di ferro della struttura che sosteneva il tetto del capanno, mi mise in bocca un pezzo di stoffa appallottolato e quello più lungo me lo mise davanti alla bocca legandolo dietro la nuca. Uscendo dal capanno, prima di chiudere a chiave disse:
- Devo pensare e decidere.
Quanti pensieri contrastanti mi affollarono il cervello nel tempo, che mi sembrò lungo, lunghissimo, in cui mi lasciò lì legato. Pensare che era mio zio a momenti mi rassicurava, male sul serio non me ne avrebbe fatto. Se fosse stato un estraneo sarebbe stato meglio, uno zio invece non ha piacere di avere un nipote che fa pompini, si preoccupa di quello che dirà la gente: “tale il nipote, tale forse lo zio e anche il padre”. Al pensiero di mio padre mi si accapponò la pelle. Tra le decisioni di mio zio da prendere c’era sicuramente quella se dire o no a mio padre quello che era successo. Da quello che avrebbe deciso a riguardo, dipendeva cosa sarebbe stato di me, di noi.
Quando tornò mi risultò subito evidente che era un’altra persona. Era calmo, quasi distaccato e mi disse.
- Devo dire a tuo padre quello che è successo, deve sapere che con te non c’è più niente da fare, sei irrecuperabile.
- No zio, non glielo dire, ti prego, farò tutto quello che vorrai, non glielo dire.
- Vuoi farmi stare zitto, ma non puoi propormi come hai fatto con Cesare di farmi un pompino, me lo hai già fatto. Non hai perso il vizio troia, anzi.
- Cosa vuoi dire zio.
- Non chiamarmi con quel nome, non voglio essere lo zio di un pompinaro
Cesare il bidello aveva detto il vero.
- Lo ha detto a te?
- No, a me lo ha detto tuo padre. Era disperato e triste, non sapeva cosa fare, sapere che il proprio figlio fa pompini ai suoi compagni di scuola lo stava distruggendo. Allora decise di dirmelo, dovevo saperlo, ci andava di mezzo anche il mio onore, cosa avrebbe detto la gente, il figlio di Vincenzo, il nipote di Mario è un pervertito.
Voleva mandarti in collegio.
- In collegio zio?
- Ti ho detto di non usare quel nome.
- E come devo chiamarti
- Padrone
- Sì, voleva mandarti in collegio, ma io gli feci capire che sarebbe stato peggio, a contatto con ragazzi notte e giorno chi sa quanti ne avresti fatti di pompini. Mi offrii di sorvegliarti il più possibile, dato che lui col lavoro che fa non c’è mai, pregai anche Cesare di farlo quando stavi a scuola, io lo avrei fatto a casa. Ma come vedo non è servito a niente. E pensare che spesso mi chiedeva come ti comportavi, ci siamo sempre detto tutto con tuo padre. Mi disse che era preoccupato perché ti aveva beccato a spiarlo dietro la porta del bagno e io, pur con i miei dubbi, invece lo rassicuravo. Ma ora dopo quello che è successo mi rendo conto che ho sbagliato. Con quello stronzo di Lorenzo sei stato tu o lui.
- Sono stato io, lui neanche voleva farsi fare pompini da me perché sono maschio. È per questo che mi sono travestito da femmina col vestito di mamma.
- Certo che sei proprio una troia e sei bravo, neanche le puttane con cui qualche volta sono andato, mi hanno saputo succhiare come te. D’ora in poi basta fare pompini a chi che sia, dirò a quel bell’imbusto di Lorenzo di non farsi più vedere, lo minaccerò che tu sei un ragazzo e lui è quasi un uomo, che deve stare molto attento anche se dovessi essere tu a cercarlo. I tipi giovani come lui si fanno succhiare e poi ti sputtanano in giro, buttando merda sulla tua e sulle nostre facce. D’ora in poi sarò il tuo padrone e farai quello che dico io e per farti capire che non scherzo comincio subito.
Mi liberò dal palo della struttura dove mi aveva legato e, senza togliermi il bavaglio e slegarmi i polsi, si sedette, mi mise bocconi sulle sue gambe, alzò il vestito di mia madre che ancora tenevo addosso, mi calò pantaloni e mutante e mi scoprì il culo.
- E questo? Hai già dato anche lui come la bocca?
E mi assestò una manata su una chiappa che risuonò come quando un percussore batte su un tamburo. L’urlo che emisi fu soffocato dal bavaglio ma lui continuò fino a stancarsi anche se mi lamentavo e piangevo per il dolore. Intanto stavo sentendo qualcosa che mi puntava allo stomaco, il mio caro zio e padrone era eccitatissimo. Infatti, mi tolse il bavaglio e proseguendo nel suo monologo aggiunse.
- Visto che oramai hai il vizio, te la devi fare con persone adulte e sposate che tengono la bocca cucita.
- Come te, padrone.
Mi venne di dire e mi presi uno schiaffone in faccia e mi ritrovai di nuovo il suo cazzo in bocca.
Mi pompò la gola come fosse una fornace aperta, grugniva e soffiava, mi sembrava un toro infuriato che fotte una giovenca legata che anche volendo non si sarebbe potuta sottrarre a quel violento atto sessuale, ma io ero più che consenziente.
- Prima ti ho fatto una domanda, col bavaglio non potevi rispondermi, ora puoi.
- Cosa vuoi sapere padrone.
- Se come la gola anche il tuo culo è sfondato.
- No padrone, sono vergine.
- Lo vedremo.
Ora tornatene a casa che si è fatto buoi ma domani mattina devi stare qui.
- Si padrone
- E cammina meglio sembri una papera che deve fare l’uovo.
- Mi fanno male le chiappe, padrone.
- Impara a sopportare il dolore, fattelo piacere. Se una cosa dà piacere a me lo farò tutte le volte che voglio. Ricordati l’impegno che hai preso “farò tutto quello che vorrai”, così mi hai detto.
- Allora non lo dirai a papà?
- Non ho ancora deciso.
Quando tornai a casa mi ficcai subito in bagno per guardarmi le chiappe allo specchio. In certi punti la pelle non era rossa ma viola ed era bollente. Presi della crema per il corpo e me la spalmai delicatamente, continuando a guardarmi allo specchio. Avvertii subito un benessere e quel misto di dolore e piacere sortì uno strano effetto. Era come se il culo e la mano non fossero mie, ora lo era il culo che veniva accarezzato e spalmato, ora la mano. In un momento che ero la mano l’indice si introdusse nel culo, vi scivolò dentro facilitato dalla crema, lo sfintere si allargò desiderando un calibro molto più grosso. Allora cambiai posizione per favorire la penetrazione e, infilatomi le dita dentro, ripresi la masturbazione, più volte interrotta quel giorno, e sborrai.
Dopo quel che era successo, con mio zio ebbe inizio un bel periodo della mia vita. Eravamo all’inizio dell’estate. Senza scuola e tanto tempo a disposizione ogni mattina dopo aver sbrigato le solite cose me ne andavo, con la benedizione di mammà e papà, da mio zio. Appena mi vedeva arrivare smetteva con quello che stava facendo ed entrava nel capanno. Io lo seguivo e una volta dentro mi dovevo spogliare completamente e inginocchiare su un cuscino che era lì apposta per questo. Lui mi legava i polsi dietro la schiena con una cordicella e si calava le brache che si fermavano ai polpacci.
- Troia apri bene la bocca e stai attento ai denti.
Quelle erano le uniche parole che avessero un senso, tutto quello che poi gli usciva dalla bocca erano insulti misti a muggiti e rantoli di piacere. Il pompaggio andava avanti per un bel po’, poi come niente fosse si staccava da me e duro e insalivato come era, si rimetteva il cazzo nelle brache e usciva a riprendere il suo da fare, lasciandomi legato. Prima però mi tappava la bocca ben sapendo che non avrei mai gridato per farmi sentire, da chi poi e perché?
Dopo un intervallo più o meno lungo ritornava e riprendeva a pomparmi dopo avermi tolto il bavaglio. Andava avanti riprendendo e mollando fino a che si stancava o si fregava sborrando senza che lo avesse deciso. Solo a questo punto mi slegava, mi faceva uscire e mi ordinava di aiutarlo nei campi a fare con lui le cose che ero in grado di fare.
Immaginate quanta esperienza ho fatto giorno dopo giorno e quante variazioni sul temo ho potuto sperimentare. Ho imparato a respirare con il cazzo in gola, senza essere costretto a farlo uscire per non soffocare. E la lingua? Ci so fare tutto. La ficco tra lo scroto e la cappella o a punta nel buchino dell’uretere, la avvolgo intorno al cazzo come per una carezza.
A questo punto della narrazione il mio biografo mi domanda.
- Ma come eravate fisicamente tu, tuo padre e zio Mario.
Prima di fare una descrizione gli mostro alcune foto fatte al mare che ci hanno immortalato in costume da bagno. Ce ne è una in cui mi si vede mezzo culo di fuori perché mio zio sta cercando di togliermi il costume e io cerco di impedirglielo. Sapete chi ha scattato quella foto? È stato mio padre una domenica di quell’estate al mare, dove eravamo andati noi tre con la moto, duecento chilometri ad andare e altrettanti per tornare. Un viaggio fatto per scommessa, mai più ripetuta, con la benedizione di mamma e di zia che suggerirono per giunta di prendere la macchina fotografica. A guidare fu mio padre dietro mio zio e in mezzo io su un unico sedile.
In viso ero veramente bello, lineamenti aggraziati senza che si fossero ancora manifestati i segni della mia mascolinità. Ancora non avevo peli, giusto un po’ di scuro sul labbro superiore, sul mento e un allungamento delle basette. Ero magrolino ma non secco e il mio corpo dava ancora l’idea della morbidezza adolescenziale, eccettuato il culo pronunciato e compatto.
Mio zio vicino ai cinquant’anni aveva un corpo tozzo e scolpito dalla fatica nei campi, era tutto muscoli senza grasso, con i capelli arruffati e la barba incolta, anche se si era appena rasato, era un animale da monta, o così lo vedevo.
Lo scroto allungato dal peso delle palle era immerso in peli lunghi ricci e neri dove dominava il cazzo, avvolte moscio, avvolte già pronto e svettante.
Mio padre, di poco più giovane di lui e di pari altezza era più magro, più curato e garbato nei modi, riconosceva al fratello di essere il maggiore e ne subiva il carattere forte e determinato, perché sapeva in cuor suo che il fratello era fiero di lui, lo ammirava per il suo posto in società, mentre lui si considerava un contadino ignorante. Degli attributi sessuali di mio padre ovviamente non sapevo nulla.
In me quel giorno c’era gioia, stavo con gli uomini più importanti della mia vita, la malizia ce la mise mio zio che provando ad abbassarmi il costume non faceva che guardare mio padre dritto negli occhi, urlandogli di scattare una foto. Dopo averla fatta si fece di corse i pochi metri che ci separavano e non per fermare mio zio ma per unirsi a lui e scoppiarono a ridere. Non so se per qualcosa che c’era tra di loro, un loro ricordo o per il mio imbarazzo, disagio e vergogna.
Io non sapevo come e da chi difendermi, mi chiusi a riccio e mollai il costume. La conclusione fu che il mio giovane culo fu tutto scoperto e loro due si alternarono, sempre ridendo anche sguaiatamente, a sculacciarmi, ma in verità erano più carezze che fuori non lasciarono segni, ma dentro sì, e non solo a me.
Nel ritorno a casa continuarono a provocarmi. Infatti, appena montato a cavallo della moto, prima che mio padre le facesse fare quel piccolo giro per farla scendere dal cavalletto, gli misi le braccia alla vita per reggermi ma lui me le spostò più in basso, al sottopancia, quasi a sfiorargli gli attributi. Quando poi salì mio zio, mi si incollò col pacco al culo e spinse, per farmi sentire che gli appartenevo per quello che c’era tra di noi.
Lungo il tragitto mi pizzicò i capezzoli, mi morse il collo e mi infilò anche una mano nel costume, impossessandosi del mio pisello. Cosa che non aveva mai fatto durante i nostri incontri nel capanno. Con quel trafficare tra le mie mutande doveva sicuramente toccare il culo di mio padre e fattogli capire cosa stesse facendo. Quella malizia, libidine, lussuria che mi trasmise, stando a quello che successe dopo, coinvolse anche mio padre per quello che sentì dietro al culo e quello che, avendo due specchietti retrovisori, dovette aver visto. In seguito, riflettendoci mi viene da credere che c’era stata intenzionalità da parte di mio zio nel voler coinvolgere il fratello.
Comunque sia, fu quella la sera in cui mio padre entrò in modo reale nella mia sfera erotica. Arrivati a casa avevamo gareggiato a chi facesse per primo la doccia e io lo avevo preceduto, ma lui non volle cedere, entrò in bagno con me e in un batti baleno stupendomi si spogliò, si infilò nella doccia e da lì, toltosi anche il costume, me lo lanciò dicendo:
- Primo. Ora esci e chiudi la porta.
Fuori dalla porta non riuscivo a capacitarmi, mio padre si era denudato davanti a me e mi aveva lanciato il costume. Spinto da un desiderio incontrollato lo annusai. Vi sentii dentro l’odore del maschio e sul davanti, dove il costume da bagno aveva un tessuto assorbente, mi sembrò fosse umido. Col naso immerso in quel tessuto e la lingua che leccava mi si indurì il cazzo quasi a farmi male.
Il suo ardire fu per me contagioso. Non aspettai che uscisse dal bagno, ma dopo un certo tempo, bussai ed entrai dicendo.
- Allora hai finito?
Si stava asciugando una caviglia tenendola poggiata sullo sgabello per cui tutto il suo corpo mi si mostrò nudo. Per un istante ci guardammo e si accorse che il mio sguardo era sceso in basso a guardargli il sesso che era in bella vista.
- Che fretta che hai, esco.
E continuando ad asciugarsi aggiunse.
- Sei ancora vestito?
Io avevo in mano il suo costume, me lo infilai in tasca e, non posso giurarlo, dovette avermi visto. Poi mi calai le brache e, girandomi di spalle, gli mostrai il fondo schiena. Lui si avvolse il telo ai fianchi e uscendo mi diede una pacca sul culo.
Quella domenica mio padre iniziava una settimana di ferie e il lunedì lo trascorremmo insieme a mia madre facendo visita a parenti e a santuari a cui lei era devota. Quando mia madre stanca volle essere portata a casa per rinfrescarsi con una bella doccia e riposarsi pima della cena a casa di mio zio, era ancora presto e mio padre volle andare dal fratello. Lo raggiungemmo nei campi e arrivati al capanno mi attirò a sé, mettendomi un braccio sulle spalle, e vi entrammo. Ci raggiunse anche mio zio e, standomi di spalle, mi fece sentire una mano sul culo. Nel buio del locale, dopo la luce di fuori, non distinguevo le cose e mi trovai stretto in mezzo a loro e, senza capire con certezza chi mi stesse davanti, sentii all’altezza dell’ombelico un contatto duro, la stessa durezza la sentii poi anche sulla schiena quando la stretta aumentò e ritraendo il mio culo sporgente favorii il contatto. Quell’abbraccio di pochi secondi si è fermato nella mia mente, diventando eterno. Quando tornammo a casa andai per primo a lavarmi. Dopo ci andò anche mio padre e quando lui uscì dal bagno, vi ritornai a cercare i suoi slip ma rimasi deluso perché non li trovai.
La cena a casa di mio zio si svolse regolarmente, l’unica cosa da riferire fu che l’indomani avrei accompagnato mio padre in macchina a fare una commissione.
Tornati a casa andai in camera mia, mi spogliai, e spostando le lenzuola per scivolarci dentro vi trovai gli slip di mio padre che avevo prima cercato in bagno senza trovarli.
I fatti che stavano succedendo non erano facili da interpretare, non comprendevo il comportamento di mio padre, ero disorientato. Nel capanno avevo sentito davanti o dietro il turgore di mio padre, ora mi faceva dono dei suoi slip che umidi come erano portavano la traccia di quel contatto incestuoso ed eccitato come ero, per allentare la tensione, con quel feticcio inebriante sotto il naso, mi feci una sega, vi sborrai dentro unendo il mio sperma al suo e li avvolsi poi nello scottex, per conservarli e farne un trofeo per i giorni a venire.
Il mattino seguente in macchina dopo la partenza mio padre chiese:
- Ti è piaciuto il regalo?
- Sì molto.
- Ma le mutande ti piacciono solo quando sono state smesse, o anche addosso?
- Addosso papà è anche meglio.
Non mi rispose e continuò a guidare ma arrivati in un posto più adatto rallentò, imboccò una strada sterrata in mezzo ad alberi ombrosi e si fermò in un piccolo spiazzo. Spense il motore, mise la sicura alle portiere e, tirato il sedile in dietro al massimo, abbassò lo schienale. Si slacciò la cintura, tirò giù la lampo e, mettendo in mostra il bianco delle mutande, disse:
- Figlio mio sono tue.
Anche io per aumentare lo spazio di manovra abbassai lo schienale e mi spostai verso mio padre. Avvicinai il naso e inspirai più e più volte. Il cazzo fremeva dentro le mutande, spingeva, voleva essere liberato, allora presi con le mani gli slip e, tenendoli fermi insieme ai pantaloni, chiesi a mio padre di tirarsi su, di portarsi più in alto sullo schienale ribaltato. Lui lo fece e tutto l’addome, la parte superiore delle cosce ora erano nude e, vista sublime, il cazzo da cui ero uscito spermatozoo era a pochi centimetri dalla mia bocca e fremeva sotto i miei occhi mentre tutto il corpo di mio padre era immobile, ma non di ghiaccio come suo fratello quando aveva scoperto che ero stato io a fargli il pompino, lui era di fuoco. Non so se mi stesse guardando o se ad occhi chiusi stesse aspettando le mie mosse e si stesse chiedendo cosa stessi facendo.
Io, me lo stavo chiedendo.
Le mie esperienze erano quelle di un sottomesso abusato, schiavo del sesso, la mia posizione fisica e mentale, verso il mio padrone e zio, non andava più su della cintura dei pantaloni. Ora ero io a dover decidere, nessuna imposizione, una mia scelta.
E scelsi.
Mi allontanai dall’oggetto dei miei desideri e, strisciando sul corpo di mio padre, salii più in alto arrivando con la testa all’incavo della spalla. Quando le sue braccia mi si strinsero intorno al corpo mi sentii fuso in uno con lui. Piano piano l’eccitazione fisica si calmò e restammo così non so per quanto tempo. In quell’abbraccio, che non sembrava poi così diverso dai tanti altri che ci eravamo scambiati prima di allora, c’era amore e in più desiderio e sesso.
Fu meraviglioso e quando rientrammo nei ruoli di padre e figlio, riprendemmo il viaggio verso la meta.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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