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Andrea e Pietro - 1


di corsaro200
30.10.2024    |    69    |    0 8.0
"- Tu dici che è questo? - Certo Vittoria..."
Lo amo da quando con gli occhi appannati di un neonato lo vidi che da sopra la culla mi guardava con la bocca semi aperta e senza parole mi faceva capire che per lui ero il più bello al mondo.
Con i mesi che ci separano, anche alzandosi sulle punte per vedermi, non poteva arrivare oltre la sbarra della culla. Per farlo prendeva dei libri da uno scaffale e ci saliva sopra.
Fino a che non sono cresciuto un po’ non mi toccava e se qualcuno lo invitava a farlo diceva
- No, no, sono grande lui è piccolo gli faccio male.
Si incantava a guardarmi quando succhiavo il latte, quando venivo pulito, lavato e infarinato col borotalco. Il suo amore era visibile, era affamato di me. Una mattina, era giugno, faceva caldo e lui indossava solo le mutandine. Io avevo più o meno tre mesi, ero nudo dopo il bagno e mamma disse:
- Pietro, sali sul divano, te lo faccio tenere in braccio.
Fu quella la prima volta che ci toccammo. Senza barriere, pelle a pelle.
Durò poco quel contatto perché mamma mi riprese in braccio ma le bastò a convincersi che poteva affidarmi a lui. Infatti se aveva bisogno di un momento libero chiedeva a Pietro di salire sul divano e mi sistemava sulle sue braccia. Prima però prendeva la precauzione di proteggere il divano con un telo impermeabile su cui poi stendeva un soffice asciugamano.
Pietro restava quasi immobili per tutto il tempo che mi teneva in braccio. Io, che per ogni giorno che passava aumentavo le mie capacità motorie, non stavo fermo a fare il bambinello nel presepe. Avevo imparato a scavallarlo con una gamba, mi mettevo fronte a lui e mangiavo letteralmente quello dove arrivavo con la bocca. Lui si abbassava per fare in modo che la mia boccuccia sdentata gli insalivasse tutta la faccia.
Un giorno mentre stavamo in quella posizione aprii il rubinetto, lui mi fissò e con gli occhi scintillanti di piacere avvicinò le sue labbra alle mie e ricevetti da lui il primo bacio.
Quando mamma venne a riprendermi trovò il lago, tutto era zuppo, le mutandine di Pietro anche di più. Essendo io nudo non avevo segni di quello che era successo e, escludendo che avessi potuto fare tutta quella pipì, mamma esclamò:
- Ma Pietro che cosa hai fatto. Sei grande, ti fai la pipì addosso. Ora mi tocca lavarvi tutti e due.
Sei grande, Pietro aveva meno di tre anni e si prese il rimprovero senza incolpare me. Questo episodio fa parte dei nostri ricordi ma solo lui e io sappiamo come andò veramente.
Un'altra volta successe che mamma mi aveva lavato e messo a pancia all’aria sul tavolo della cucina sopra un soffice telo e mi asciugava tutto il corpo sotto gli occhi incantati di Pietro in piedi sopra una sedia. Come spesso faceva in situazioni simili, mamma avvicinò la bocca al mio pisellino e, scuotendo la testa produsse un suono simile a una pernacchietta, era una sorta di solletico per farmi ridere. Subito dopo mamma si allontanò un momento, Pietro ne prese il posto e si avvicinò anche lui con la bocca al mio pisellino per farmi lo stesso omaggio e, proprio in quel momento, feci un’abbondate pisciatina. Pietro con la bocca aperta alzò la faccia che gocciolava e mamma, che nel frattempo era ritornata, si mise a ridere e gliela asciugò con un lembo del telo. Anche lui superato lo stupore si mise a ridere.

Crescevo in simbiosi con lui che si occupava solo di me. Mamma poteva anche allontanarsi per fare le tante cose che la impegnavano dalla mattina alla sera, lui no. Se non lo avevo a vista cominciavo a piangere. Quando smisi di essere un batuffolo di carne che non faceva altro che dimenarsi o tutto al più col suo aiuto scavallare, mamma ci trasferì dal divano, da cui si poteva anche cadere, al tappeto. Non potete immaginare quante pagliacciate riusciva a inventarsi un bambino di soli diciotto mesi più di me, per intrattenermi. Fu lui a farmi capire come strusciando sul culo ci si poteva muovere, fare caro-caro, ciao con la mano aperta e stretta a pugno. Camminare carponi quando ancora non ero capace di farlo in piedi.
Quando ho cominciato a camminare sono passato dalla culla al lettino nella stessa stanza di Pietro. La sera ognuno si addormentava nel suo letto ma spesso al mattino ci trovavano a dormire insieme in quello di Pietro. Infatti se per qualche ragione mi svegliavo durante la notte, lasciavo il mio letto e mi infilavo nel suo. Con le mie sole capacità l’operazione inizialmente non riuscivo a compierla, Pietro mi aiutava, poi fu messo uno sgabello per renderla più facile.
Normalmente un bambino che cerca protezione o coccole o che non vuole dormire da solo, si rifugia nel letto dei genitori, io no, cercavo Pietro e lui mi aspettava perché gli mancavo.

Una mattina di inizio autunno lo vidi in preda a un’agitazione che non capii. Prima di uscire di casa, preso per mano da nostro padre, mi aveva parlato con un tono assicurativo ed euforico, almeno posso confermare che queste furono le mie sensazioni, perché le sue parole ancora non potevo capirle.
Era il suo primo giorno di scuola, aveva compiuto tre anni e io ne avevo solo la metà. Quel giorno mia mamma non riuscì a fare niente, non le davo tregua, o mi teneva in braccio o piangevo. Mi feci venire addirittura la febbre con seria preoccupazione da parte sua che chiamò al telefono la sua cara amica, la nostra pediatra.
- Scusami Anna se ti disturbo.
- Ma ti pare Vittoria.
- Andrea non mi dà pace. È da stamattina che non posso lasciarlo per un istante. O mi sta in braccio stringendomi come non ha mai fatto o, se lo lascio un attimo fosse anche per il tempo di andare in bagno, piange come un disperato, con le lacrime e i singhiozzi. Lo sento anche caldo. Mi sa che ha la febbre. Gli ho messo il termometro.
- E quanto segna.
- Ora guardo.
Segna trentasette e due. Che posso fare?
- Dai Vittoria, non preoccuparti. Sarà solo un capriccio con un forte stato emotivo che ha causato anche una leggera alterazione della temperatura.
E Pietro che fa?
- Pietro non c’è.
- Come non c’è.
- Oggi è il suo primo giorno di scuola. Sono ansiosa anche per questo.
- Ecco il motivo del malessere di Andrea. Si sente abbandonato. Non lo vede per casa, non sa spiegarselo e si attacca a te.
- Tu dici che è questo?
- Certo Vittoria. I due sono molto legati, come e anche più di due gemelli.
- Allora se lo vado a prendere e lo vede, si calma?
- Ma ti consiglio di non farlo. A meno che non ti chiamino dalla scuola. Intanto cerca di rassicurare Andrea parlandogli di Pietro che è andato a scuola, che torna.
Chi lo va a riprendere?
- Ci andrò io.
- Bene, spiegagli tutto. Nessuno sa in realtà quanto un bambino di quell’età capisca o intuisca quello che gli succede intorno.
Poco prima dell’orario di uscita Andrea è davanti alla scuola, in braccio a mamma e la testa poggiata sulla spalla. Il suono di un campanello suscita un certo interesse che aumenta quando quasi in contemporanea un fiume di bambini urlanti escono da una porta e tra questi
- P(i)et(r)o, Peto
Andrea urlando lo indica con il braccio teso e il dito puntato e scalcia per essere messo a terra. La donna non può che accontentarlo e viene trascinata, da un bambino che da pochi giorni ha cominciato a camminare, nella calca di mamme e pargoli, nella direzione in cui ha visto Pietro.
L’incontro è commovente. Andrea sfugge alla presa della mamma e abbraccia il fratello con impeto rischiando di andare entrambi per terra. Poi lì dove arriva la sua bocca aperta, tra il collo e la spalla, gli dà un morso. Pur con i vestiti a protezione Pietro sente i denti e il dolore. Dopo, quando facendo il bagno la mamma nota i segni lasciati dal morso, Pietro non incolpa e non da una spiegazione, ha compreso e giustificato.
Il giorno dopo Pietro è pronto per il suo secondo giorno di scuola.
- Anch’io.
Gli dice Andrea.
- Sei piccolo, a scuola non ti prendono.
Cresci in fretta.
È la risposta di Pietro.

Questo si dicevano Pietro e Andrea tutte le mattine e rivolgendo poi alla mamma la stessa richiesta, Andrea si alzava sulle punte dei piedi e:
- Mamma guarda sono cresciuto, posso andare a scuola con Pietro?
- La furbizia, quella si è cresciuta. A settembre vedremo se ti prendono.
- Mamma, quando viene settembre.
- Viene presto e stai contento perché tra poco la scuola si chiude e Pietro starà a casa tutto il giorno.


Per due bambini di tre e quattro anni e mezzo, non esiste il sesso ma il corpo con il suo organo sessuale e le scoperte fatte per gioco.
Così durante una scampagnata, all’area aperta:
- Mamma devo fare la pipì.
- Anche io.
- E fatela.
- Dove.
- Dove vi pare ma non qui dove ho steso il telo per il picnic.
Mentre i due fratelli si stavano allontanando.
- E non bagnatevi i pantaloncini. Attenti agli schizzi.
Per andare sul sicuro Pietro pensò bene di toglierseli e, imitato da Andrea, affiancati iniziarono a fare la pipì tenendo il pisello con le dita. Schiamazzi e risatine strane arrivarono alle orecchie della donna e quando li vide tornare con le braghe ancora in mano chiese.
- Cosa c’era di divertente a fare la pipì.
- Abbiamo fatto la gara a chi schizzava più lontano e abbiamo fatto la scherma.
- Siete due porcellini. Su dai mangiamo.
E li aiutò a rimettersi le braghe.
Quel gioco iniziato in campagna fu ripetuto nel bagno di casa creando una confidenza tra i due bambini e il pisellino, che normalmente viene gelosamente tenuto chiuso tra le mutande, veniva esposto liberamente allo sguardo dell’altro.

- Pietro il tuo pipì è più grande del mio.
- E per forza Andrea sono più grande di te.
Mi raccomando non fare andare fuori la pipì, certe cose non si fanno, mamma poi si accorge e rimprovera me.
Poterlo fare però all’aperto in piena libertà era molto più piacevole e ogni occasione era buona. In uno di questi momenti, lontani dai grandi, Andrea chiese al fratello.
- Pietro me lo fai mantenere a me?
- Cosa.
- Il tuo pipì.
- E perché?
- Vedrai che bella scherma. Tu non vai dove dico io, ma se li tengo in mano tutti e due, vedrai che sfizio.
- Mi sembra una scemata Andrea, ma se vuoi, tiè, prendilo.
- Tu però aspetta, ti do io il via.
Come fossero due pistole caricate ad acqua, Andrea aveva fatto dei ricami sul terreno, che i due fanciulli si misero poi a decifrare quando i getti di entrambi finirono. Le mani che li reggevano però non lasciarono la presa, cambiarono il modo di tenerli, non più dita a reggerli come fossero due matite, ma stretti nel pugno tra il palmo e le dita delle mani. Piano piano i lombrichi arricciati si distesero e, con l’elasticità della pelle su cui le mani andavano su e giù, le testoline rosa fecero capolino dai cappuccetti.

- Ti è piaciuto?
- Perché ti sei fermato.
- Non lo so, ho sentito un brivido.
- Anche io.
Scoprirono così per gioco la masturbazione, la praticarono da soli o insieme, in due però era più bello e appagante.

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