tradimenti
I 3 UOMINI

06.03.2025 |
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"”
Il mio corpo ci mette un attimo a mettersi in moto, ad alzarsi dal divano e ad avvicinarsi ai piedi del letto dove lui è seduto, con le gambe aperte e..."
Seguo Giovanni, portando i libri in camera sua. “Ti spiegherò solo alcuni concetti, okay?” “Come ti pare” ribatte, entrando. Mi sposto davanti al divano di pelle, sfogliando i libri.
Mentre sto riflettendo lo osservo. È bellissimo, con quegli occhi scuri e i lineamenti spigolosi, i capelli che gli cadono spettinati sul viso. Le sue labbra sono di un rosa scuro e in questo momento, quando mi guarda come se fossi un giocattolo con cui giocare, con il corpo sciolto e rilassato, capisco davvero perché le altre ragazze sono attratte da lui. Si siede sul letto di fronte a me, mentre parlo.
Sono circa dieci minuti che spiego, quando all’improvviso chiede: “Dove hai preso quel maglione?” I suoi occhi si sono spostati da qualche parte sotto il mio collo, e sono incollati lì, con le palpebre a mezz’asta. “Non indossi il reggiseno?”
Stupita, lancio un’occhiata al mio petto. “Certo che no.”
Apro a ventaglio il libro che ho in grembo, sforzandomi di non agitarmi.
“Come stavo dicendo...” Mentre parlo, i suoi occhi sono decisamente fissi sulle mie tette.
Mi interrompe di nuovo. “Dovrei mettere un po’ di musica.”
Stufa, butto via il libro. “Quello che dovresti fare è prestare attenzione!”
Il suo sguardo si indurisce. “Mi devo concentrare. Giusto.” Con uno sbuffo di scherno, prosegue. “ma è tutta colpa tua.”
Lo fulmino con lo sguardo. “Come può essere colpa mia?!”
Si passa una mano tra i capelli, con un’espressione turbata. “Vieni qui dentro con quel maglione” spiega, indicandomi con un gesto. “E ti aspetti che presti attenzione quando i tuoi capezzoli sono puntati su di me?”
Arrossendo, balbetto: “Non è colpa mia!”
“Sì, invece.” Si alza in piedi e cammina avanti e indietro con le spalle tese.
“Non mi faccio una bella scopata da una settimana. Sono un ragazzo, Giada. Il mio cervello non è lucido finché non mi sono svuotato per bene.”
Lo guardo, senza parole. “Ehm... Non puoi semplicemente... sai?” Sembra quasi incantato dal mio gesto osceno e si ferma a guardare il mio pugno che va su e giù. “Non è la stessa cosa. Ma hai ragione” aggiunge, lasciandosi cadere di nuovo sul letto, supino. “Devo passare questo cazzo di esame. Non riesco a concentrarmi.”
Giocherellando con l’angolo della pagina, non posso fare a meno di dire “E se io...”
Una crepa si forma nel magnifico affresco che sono io.
Deglutendo, cerco di trovare il coraggio di esprimere il pensiero che mi frulla in testa, “...volessi?”
Ho la voce dolce, un atteggiamento accattivante. Il mio corpo oscilla morbido come a voler provocare, parlo il linguaggio della seduzione.
La sua fronte si aggrotta e gli occhi incontrano i miei. “Se tu volessi cosa?”
So che il mio viso deve essere rosso. Me lo sento così caldo che mi premo i palmi delle mani sulle guance, con lo stomaco in subbuglio. Tremante, dico: “Potrei... succhiarlo.”
Inarca un lento sopracciglio. “Ti aspetti che io creda che tu voglia farmi un pompino? Tu? Con...”
Con una smorfia, distolgo lo sguardo, imbarazzata. Ha ragione. Il pensiero di farlo mi fa venire nausea. Mi fa anche sentire più caldo. Mi incuriosisce.
“Io non... non voglio farlo. Voglio fare ciò che è necessario per farti passare questo esame." ammetto, ignorando il modo in cui mi guarda, “Se sei sempre distratto, non riusciremo mai a concludere nulla.”
“Non lo so...”
“Sei carino e tutto il resto” continuo, convincendo me da sola. Con la coda dell’occhio mi sembra di vederlo sorridere, ma quando mi giro il suo volto è passivo come sempre.
“Vuoi succhiarmi il cazzo?” Socchiudendo le labbra, faccio un unico, incerto cenno di assenso. Non sembra soddisfatto. “I cenni della testa controvoglia non sono proprio il tipo di coinvolgimento che il mio cazzo cerca. Grazie comunque.”
Inspiro una boccata d’aria, sperando che il mio stomaco si plachi alle parole che gli dico. “Voglio succhiarlo. Che resti tra di noi.”
Davanti al suo sguardo assente, aggiungo: “Non so se sarò molto brava, quindi dovrai portare un po’ di pazienza. Ma dico sul serio. Lo voglio. Voglio farlo. Soprattutto se pensi che possa essere d’aiuto.”
Si infila il labbro inferiore tra i denti e il suo sguardo torna a posarsi sul mio petto. “Va bene” decide. “Se vuoi.”
Il mio corpo ci mette un attimo a mettersi in moto, ad alzarsi dal divano e ad avvicinarsi ai piedi del letto dove lui è seduto, con le gambe aperte e gli occhi scuri che mi scrutano da sotto le ciglia. Strofino nervosamente i palmi delle mani l’uno contro l’altro prima di inginocchiarmi adagio. Le sue cosce sono calde e solide sotto le mie mani quando mi avvicino a lui, titubante, ma lui non si muove. Non sbatte le palpebre. Non mi dice di fare altro. Faccio scorrere i palmi delle mani su e giù, con lo stomaco sottosopra per l’agitazione quando sento i suoi muscoli flettersi sotto i jeans. Non so se sia impazienza o solo il suo modo di muoversi con me. Con calma, salgo fino alla sua vita, schivando l’evidente rigonfiamento davanti a me, e raggiungo il bottone dei suoi jeans.
Il rumore della sua cerniera che si abbassa mi fa scoccare una strana e scintilla di elettricità nella pancia. Guardo i dentini della zip separarsi, incuriosita da questo lampo di trepidazione. Solo quando mi allungo in avanti per agganciare le dita nella cintura, dando uno strattone ai jeans, lui risponde, sollevando i fianchi per me. Mi appoggio sui talloni, davanti alla vista e seguo quella linea di peli scuri sotto l’ombelico fino al cazzo grosso e duro che mi aspetta sotto.
Mi sfugge un sospiro, e per un attimo non so cosa fare. Poi il suo pene si contrae. Allungo la mano senza fretta, con esitazione, e sfioro l’erezione tesa con la punta delle dita. Lui emette un gemito nel profondo del petto, basso e roco. È così che mi dà il coraggio di avvolgere il palmo della mano.
“Così” sussurra, allungandosi per toccarmi i capelli. Le sue dita si intrecciano, si arricciano fino alla nuca e io commetto l’errore di incontrare i suoi occhi, di vedere quanto sono diventati scuri, quanto sembrano morbide le sue labbra. La mia stessa bocca si apre in un sospiro e i suoi occhi si abbassano a guardarle.
“Vuoi succhiarlo?” Mi avvicino, facendo un piccolo cenno. “Sì.” La sua mano si stringe tra i miei capelli, spingendomi verso il punto in cui il suo cazzo è stretto nella mia. “Avanti. Dagli un piccolo assaggio.”
Chiudendo gli occhi, apro la bocca e do una leccata di prova alla punta. Non è molto. Ho a malapena il suo sapore sulla lingua. Ma la sua coscia si tende sotto la mia mano. Aspetta. Faccio un passo in più, spingendo la punta fino in fondo nella mia bocca. Lo succhio lentamente e delicatamente prima di lasciarlo andare, sondando il terreno.
I suoi fianchi si spostano appena, inseguendo il calore delle mie labbra. Dal peso crescente della sua mano sulla mia testa capisco che sta diventando impaziente e desideroso, così, alla fine, calo la bocca su di lui.
“Cazzo, sì,” sospira, le dita mi massaggiano la testa. Sento il calore dei suoi occhi su di me, che mi scrutano, la sua voce bassa e roca. “Così, bagna per bene. Ti piace?” Io rispondo con un mugugno e lui geme, alzando i fianchi.
“Puoi prenderlo più a fondo. Forza, so che puoi.” Mi sto ancora abituando al suo sapore, alla sapidità e alla carne, e alla sua forma contro la mia lingua. Voglio esplorarlo, scoprire cosa c’è in tutto questo che mi sta mandando una serie di formicolii nel mio sesso.
Come se mi leggesse nel pensiero, mi chiede in un sussurro rasposo: “Ti fa bagnare, vero?” Fa una risatina stentata e la mano mi preme un po’ più forte. “Sei proprio un esserino agitato quando sei eccitata.” Le sue parole portano un nuovo calore sul mio viso, ma fanno un effetto ancora maggiore a lui. Si gonfia nella mia bocca, la mano pigia con sempre più vigore. Non sono certo la regina dei pompini. Faccio del mio meglio per emulare quello che ho appreso nel tempo, usando la lingua e le labbra, succhiando e stuzzicando la punta salata quando la sua mano mi lascia salire. È lui a dettare il ritmo più di me, ma in segreto gli sono grata di questa lezione gentile, priva di violenza, dispetto e avidità.
Più lo fa, più voglio dimostrargli che funziona. Che sono brava. Che posso essere brava. Lui sembra capire, e mi elogia con delle sommesse imprecazioni strappate a denti stretti. “Cazzo, proprio così. La tua bocca è così calda. La riempirò, ti farò soffocare con il mio seme. Ti piacerebbe, eh? Ingoiare il mio sperma, sentire il mio sapore.”
So che è quello che vuole, e so che lo ingoierò. “Ti darò il permesso” dice, con voce più affannata. “E tu ne approfitterai, vero? Andrai a letto stasera e ti farai un ditalino pensando a questo. Oppure, penserai a me mentre... Lo preferisco.”
Lo succhio con foga, mugugnando per le sue frasi sconce, incurante della saliva che mi cola sul mento. So che sta per venire quando si ingrossa, diventa più duro, cresce nella mia bocca. Mi sposto in avanti sulle ginocchia, in attesa, cercando di non farmi prendere dal panico quando la sua mano mi schiaccia verso il basso, spingendo il suo cazzo in profondità.
Viene con un lungo gemito tremante, con la mano stretta tra i miei capelli. È diverso da lui. Riesco a sentire il suo sapore, il calore e la sapidità del suo sperma. Posso apprezzare il fremito dei suoi addominali che si flettono, i fianchi che scattano all’insù mentre le sue spalle sono scosse da un unico, violento sussulto. Sento il suo rantolo e so che è finita, so che posso scivolare via e deglutisco a fatica, passandomi una mano sulla bocca.
Lo vedo sdraiato sul letto e provo qualcosa di diverso dalla nausea alla vista della sua espressione appagata.
"Non lo dirai a Roberto, vero? Se cado io, cadi pure tu, non te lo dimenticare."
Sospiro rassegnata. Il mio migliore amico non mi è apparso mai così felice come in questo momento. E penso che è merito mio. Dopotutto, ogni tanto, qualcosa di buono riesco anche a farlo. Magari non per me stessa. Ma va bene così.
Roberto non lo saprà mai, mi dico.
Il giorno dopo, mi appoggio sui talloni e mi pulisco la bocca, osservando i movimenti forsennati del petto di Giovanni. Succhiarlo è stato ancora meglio della prima volta. Più facile. Più veloce. Più eccitante.
“Merda” mormora lui senza fiato, sdraiato sulla schiena. “Stai diventando brava.” Con fare svogliato, si allunga per tirarsi su i pantaloni, sollevando i fianchi con un gemito. Dopo aver bevuto un sorso del succo che ho portato con me, mi alzo in piedi, con una sensazione inquieta e ansiosa addosso.
È ancora più difficile guardarlo così. È un pensiero che mi ha colpito più di una volta. Mi distraggo in fretta da quel pensiero estremamente complicato e confuso, affermo: “Okay!”
E apro il portatile che ho lasciato sul suo divano. “Cominciamo.” Giovanni si impegna davvero di più dopo che gliel’ho succhiato. Si gira verso di me, con le membra rilassate e la vista schiarita, e poi allunga una mano per sistemarmi i capelli su una spalla. È un gesto ozioso, non così intimo, ma mi coglie comunque di sorpresa. Se se ne accorge, non lo fa notare. Me ne dimentico del tutto una volta che siamo concentrati sul lavoro. Io scrivo i suoi pensieri, poi glieli faccio ripetere e memorizzare alla lettera. Lui si concentra meglio. Io? Non molto.
Il mio sangue è un po’ troppo elettrizzato, la mia pelle un po’ troppo tesa per avere la concentrazione adeguata. Non aiuta il fatto che il mio sguardo non riesca a smettere di vagare verso i suoi occhi. Ha delle ciglia così lunghe e scure. Gli sfiorano le guance ogni volta che abbassa lo sguardo. I suoi occhi sono molto espressivi, ma stranamente chiusi, come se nascondessero molto sotto la superficie. Mi viene voglia di fargli delle domande tipo perché mi ha toccato i capelli in quel modo?
Ci vogliono due ore, ma alla fine riusciamo a buttare giù una bozza che possa andare. Mentre raccolgo le mie cose, commento: “Io andrei. Roberto e io dobbiamo andare a cena con i nostri genitori stasera e dovrei prepararmi.”
Si alza dal letto, stiracchiando le braccia in aria. I miei occhi si posano sul lembo di pelle esposto dalla maglietta che gli sale sul busto. Quando risalgono ancora una volta, lui sta ghignando, perché mi ha beccata. “Certo. ‘Preparati’. Considerati scusata.” “Grazie” rispondo, ignorando di proposito le allusioni.
Prima che me ne vada, però, lui mi ferma. “Dovresti indossare qualcosa di carino.” Mi fermo e mi volto. “Carino?” “Per Roberto” chiarisce, inarcando un sopracciglio quando mi irrigidisco. “Gli piacciono quei vestitini carini che indossi a volte. Quella roba femminile. Tutta dolce e innocente, sai?” “Ah.” Sbatto le palpebre, confusa. Si aspetta che mi vesta per il mio ragazzo? In realtà, non l’avevo previsto. Ho evitato di pensare a lui complice del mio ragazzo. “Ah, certo. Grazie per il consiglio.”
Nella mia stanza, mi faccio al volo una doccia e mi vesto per la sera. Dopo il suggerimento di Giovanni, mi ritrovo a scrutare gli abiti. Sono carini. Nell’armadio c’è un abitino estivo color pesca che si allaccia sulle spalle. Si ferma a pochi centimetri sopra le ginocchia e non ha nulla di osé. Dopo averlo indossato, mi giro e mi guardo allo specchio. A Roberto piacerebbe? Lo indosso.
Suonano alla porta, e mi trovo faccia a faccia con la sua immensa sagoma. Il suo profumo mi avvolge e io mi tiro indietro, aggrappando la porta per non cadere. Non volendo, vengo assalita dal ricordo di Giovanni nella sua stanza, con il cazzo di fuori, che si fa succhiare da me. Il ricordo è così vivido, così reale che in cuor mio so che non è stato solo un sogno, anche se vorrei che fosse così. “Che c’è?” chiede Roberto, guardandomi. “N... nulla.”
Il suo volto è così inespressivo da essere esasperante, anche quando mi scruta da capo a piedi, notando il mio vestito. Il vestito che ho indossato per lui. Si schiarisce la gola e non so bene perché abbia quella postura immobile e rigida, fatto sta che mi chiede: “Sei pronta?” Deglutisco. “Sì.”
- - -
“Non avrei mai pensato che avrei visto il giorno con mia figlia fidanzata” commenta mia madre, versandosi il terzo bicchiere di vino. E tu, cara?”
“No, in effetti” confermo, infilando in bocca un’oliva dal vassoio. È amara e salata, e mi ricorda il sapore del cazzo di Giovanni. “Sei sicura di non volere del vino?”
“No, grazie. Dovrei andare a lavarmi le mani” dichiaro, alzandomi bruscamente.
Sto per uscire dal bagno quando la porta si apre ed entra Roberto: “Che stai facendo?” La sua mano scatta e mi afferra il braccio.
Mi irrigidisco, alzo gli occhi e incontro il suo sguardo. Mi sta fissando, con la bocca socchiusa, come se stesse per dire qualcosa ma si fosse pentito. I suoi occhi sono incollati alle mie labbra. Le sue pupille si dilatano, sposta il peso da un piede all’altro e io capisco che devo essere pazza a pensare che...
Si slancia in avanti per prendere la mia bocca con la sua, ma sarebbe assurdo definirlo un bacio. Quasi all’istante, le sue mani si alzano per afferrare le mie braccia, quindi mi fa ruotare e mi sbatte contro il muro. La mia bocca si apre in un sussulto di sorpresa e lui spinge la sua lingua dentro, decisa e intransigente. La mia reazione è tutta colpa di Giovanni. È così. Mi ha lasciata su di giri.
Ora Roberto mi sta leccando in bocca, il suo corpo duro mi blocca contro il muro, e tutto ciò che voglio fare è seguire la corrente. Ed è esattamente quello che faccio. Senza pensarci, impugno la sua maglietta e mi avvento su di lui. Emette un ringhio dal profondo del petto, e sento una fitta di dolore quando i suoi denti si conficcano nel mio labbro. Non mi dà il tempo di elaborare nulla. Si allontana in fretta e artiglia tutto il mio corpo con il suo. Mi bacia in modo brutale. Spietato. Avido.
Non ci sono che spigoli vivi in tutto questo, nel modo in cui il suo palmo mi afferra la gola. Non stringe, si limita a tenerlo lì, come se avesse bisogno che io sappia che ha il diritto di farlo. Sono intrappolata dalla sua presa, anche se non servirebbe. Il suo petto mi sta immobilizzando. Il mio cuore batte all’impazzata, invadendo le orecchie. C’è dolore nel modo in cui i suoi denti graffiano le mie labbra. Le sue dita si flettono intorno alla mia gola, ma non preme.
I miei fianchi si muovono in avanti, in cerca di attrito, e lui incastra senza sforzo la sua coscia tra di loro, emettendo un rude brontolio dal petto. Sta tremando. Mi ci vuole un lungo momento per capire il perché. Solo quando stacca la bocca per lasciare una serie di baci duri e mordaci lungo la mia mascella, mi rendo conto che si sta trattenendo. Forse, dopotutto, vorrebbe farmi del male.
“Dovrei scoparti proprio qui contro la parete” sibila, premendo più forte la sua coscia sul mio sesso. Ansimo per prendere aria e, anche se poi me ne vergognerò, mi struscio contro di lui, disperata.
“Dici che a te piaccia la delicatezza, ma io ti conosco. Preferiresti che ti squarciassi in due col mio cazzo.” La sua voce è cruda, mentre a sua volta preme contro di me. “È quello che ti meriti.” Suona feroce e rabbioso, e deve essere colpa di Giovanni. Di sicuro.
Perché mi trafigge come un fulmine. L’orgasmo è una sorpresa così brusca che non ho nemmeno il tempo di soffocare il mio grido. L’ascesa è stata troppo ripida, troppo veloce. Mi dà il più piacevole dei dolori, diffondendosi dal centro alla punta degli arti. Sono impotente contro di esso, e cavalco la gamba di Roberto senza riflettere, senza sosta.
Solo quando l’orgasmo scema mi accorgo che mi sta tappando la bocca, con il palmo della mano che mi scava nel viso per soffocare le mie urla.
“Ragazzi? Siete qui?” Ci stacchiamo al suono della voce di suo padre.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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