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La Storia di Renzo e Cristina


di Pprossa
27.01.2025    |    3.076    |    8 9.1
"Ora, mentre scorreva le immagini di loro due nel telefono, le sembrava di scorgere la ragione..."
La sera era un momento particolarmente favorevole per Cristina per riordinare i pensieri. Quando arrivava a casa, aveva l’impressione di aver compiuto una specie di miracolo. Nonostante tutto, e tra mille problemi, loro due tiravano avanti, e quello le sembrava già un grande successo personale anche se era consapevole di non riuscire più ad arrivare dappertutto. Lui le dava una mano, e questo la faceva sentire protetta, al sicuro. Ma il timore di perderlo e la differenza di... popolarità, di tanto in tanto, tornavano a tormentarla.

C’era stata la festa, pensò. La festa aveva rovinato la vita a loro due. Perché non aveva battuto il ferro quando era ancora caldo? Lei ne aveva tutte le possibilità. Gridare il suo amore a tutti. Però una vocina le aveva sussurrato che, per il momento, sarebbe stato più utile lasciar credere ai compagni ciò che volevano. Irrazionale. Perché? Un motivo c’era, anche se, per il momento, ne intuiva solo l’esistenza. Era un po’ il suo sesto senso. Le diceva quando premere sull’acceleratore e quando, viceversa, rallentare. Nascondere la realtà a tutti era stata la scelta migliore, si disse.

Ora, mentre scorreva le immagini di loro due nel telefono, le sembrava di scorgere la ragione. Era solo un’intuizione, per il momento. Di certo si era sentita in grande disagio una volta finita la festa. Andare via così. La Reginetta e il Principe. Senza di lui. Beata ingenuità di una giovane dal cuore puro, pronta a correre, con grande generosità, là dove era convinta di poter operare lasciando contenti tutti. Ci si era gettata a capofitto. Renzo aveva compreso.
Cristina era una ragazza molto esigente con sé stessa. Era la reginetta dell'istituto. E Renzo era il brutto anatroccolo.

Due anni prima la versione di greco era andata bene. "..ma proprio non lo sopporto più." disse Cristina a sua sorella. "Di chi si tratta?" Le domandò Stefania. "Indovina un po’" replicò Cristina. "Non dirmi che stai ancora appresso a quello! Cristy. Per quanto mi riguarda, qualità intellettuali a parte, non lo vedo adatto a te. Tu sei bellissima. Lui è un mostriciattolo." Silenzio dall’altra parte. "Cristy, ho detto qualcosa di sbagliato?" Le domandò Stefania. "No. È solo che non ci avevo mai pensato." "A cosa?" "Al fatto che fosse o meno adatto a me. Forse hai ragione. Dovrei parlargli." Stefania si mise a ridere come non le capitava da tempo. Cristina prese il telefono.

Renzo aveva sempre creduto fin da quando era piccino che il destino avesse scritto per lui un copione tracciato con inchiostro nero e intessuto di sfortuna. Bruttino. Un fisico gracile. Ma ogni istante della sua esistenza sembrava un labirinto intricato di emozioni, pensieri e riflessioni profonde. Da dodicenne, aveva imparato a convivere con l'ombra persistente della sfiga, usando la sua maschera non solo come protezione, ma anche come difesa psicologica contro il giudizio dei suoi coetanei.
Questa maschera, inizialmente pensata per preservare la sua identità agli occhi degli altri, col tempo aveva anche modellato la sua percezione di sé stesso. Dietro quella maschera si celava un ragazzo profondamente umano, con una sensibilità acuta e la capacità di vedere la bellezza anche nei dettagli più oscuri. Aveva imparato che la sfortuna di non essere bello e atletico, nonostante fosse dolorosa e sfidante, poteva essere anche una fonte di crescita e autenticità. Le sue esperienze lo avevano modellato, insegnandogli il valore della resilienza e della forza che si trova nell'accettazione delle proprie debolezze. Dietro il suo viso spigoloso e scarno, si celava un filosofo nascosto, un ribelle contro l'ordinario.
Il bip del telefono. Aveva scambiato un paio messaggi con Cristina sulla versione di greco. Una ragazza bellissima. Ogni anno era lei la reginetta dell'Istituto. Qualcosa di misterioso la rendeva diversa dalle altre ragazze.

Dopo quel giorno, lei era stata testimone dei suoi momenti peggiori, quando durante le interrogazioni continuava a balbettare nonostante fosse preparato. La sua presenza lo aveva aiutato a non cadere nell’isolamento, visto che gli altri compagni non lo calcolavano se non per deriderlo.

Iniziarono a studiare insieme. Divennero amici e confidenti. Finché un giorno: "Ora basta, Cristina! Alzati da quel cazzo di divano e vai a darti una ripulita!" Seduto alla scrivania, Renzo cercava di scuoterla mentre lei piangeva.
"Non ti pare di esagerare, Renzo?" intervenne, lanciando uno sguardo di rimprovero all’amico.
"Niente affatto! Bisogna darti una bella scossa. Non vedi come ti sei ridotta? Non ne vale la pena. Stare così male per quel farabutto, bastardo, coglione!" Renzo era furibondo.
"Ok, messaggio ricevuto" mormorò lei, con un filo di voce. "È che… non so cosa fare". Senza che se ne avvedesse, le lacrime ricominciarono a scorrere.
"Tanto per cominciare, hai fatto bene a scendere dalla sua automobile." le disse.
"Ma le altre già lo fanno. Io... io sono la Reginetta. Non me la posso tirare..."
Te l’ha detto quel coglione che te la tiri?" Cristina abbassò gli occhi e fece cenno di sì. "...ma io voglio che sia bello... quel momento. Non una roba da cancellare dalla mente."

Renzo la ascoltò. Con fare deciso, l’aiutò ad alzarsi dal divano e la guidò in camera da letto. "Da oggi si cambia vita. Una Cristina muore e una Cristina nasce. Non ti chiedo nulla per me. Ma sarà bello per te. Te lo prometto."
"Mio Dio, non starai impazzendo, vero?" esclamò Cristina preoccupata. Lui la baciò sulla guancia. "Fidati."
Cristina andò a distendersi sul letto. Le pareti cominciarono a girarle intorno, come in una danza, una sorta di rituale d’iniziazione. Se vuoi vincere, devi superare tutte le prove. Chiuse gli occhi.

Ripensò alla mattina… l’avverarsi del sogno, della favola. Il ragazzo più attraente dell'istituto l’attendeva poggiato alla sua automobile, le aveva giurato amore eterno e l'aveva portata sul lungomare, isolato. Le sembrava di aver vinto alla lotteria. E, invece, aveva vinto un biglietto per l’inferno. Era scesa. Fuggita. Lui era andato via, sgommando. Le disse che era una troia. Renzo la recuperò col suo motorino.

Renzo la attirò a sé, la baciò a lungo, le infilò le mani nei jeans, le dita che sapevano dove andare. "Renzo?"
"So che ti piace." ansimò, con le dita che frugavano tra le sue gambe. La liberò dai jeans.
Rimase a osservare ciò che vide per qualche minuto, incredulo. Chiuse gli occhi. C’era l’azzurro delle acque agitate, il bianco della schiuma delle onde, il sale che resta sulle labbra dopo aver fatto il bagno, l’anice stellato a ricordare una stella marina. Ringraziò il destino.
Appoggiò le labbra e assaporò il cocktail con lentezza, poi ne isolò gli elementi, elencando ciascuno: "uhm! Sai di gin, curaçao, un vago sentore di lime, di miele, di acqua di mare."
Cristina rise. Si lasciò trasportare dallo stordimento di quei baci, lì.
Fu il rintocco dell’orologio a scuoterla, erano le diciannove e non aveva nessuna voglia di farlo smettere.
“E se mi fermassi a dormire?”
“Mi casa es tu casa” le disse. Bevve ancora un sorso di lei e accarezzò il suo viso.
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