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Lui & Lei

Torino, Estate 2009 – Calda notte"


di Fist__85
19.03.2025    |    65    |    0 8.0
"A fine serata, la sua amica si offrì di accompagnarmi a casa in macchina..."
Torino, fine luglio. L’aria calda, il cielo immobile, l’asfalto che trasudava ancora il calore della giornata.
Ero arrivato settimane prima per cercare casa per l’università. Giornate tra appartamenti da incubo, telefonate inutili e incontri con futuri coinquilini improbabili.
Ma c’era lei.
Ci scrivevamo da mesi. Prima SMS, poi MSN. Prima frasi innocenti, poi sempre più sporche, sempre più esplicite.
"Dimmi cosa faresti se fossi qui."
"Te lo dico solo se prometti di toccarti mentre lo leggi."
E lo faceva.
Me lo scriveva. Me lo mostrava, in silenzio, con la webcam accesa. Le sue dita scivolavano lente sulla pelle, gli occhi incollati allo schermo mentre leggeva ogni parola che le scrivevo. Abbiamo giocato per settimane, senza mai vederci. Poi, finalmente, Torino ci ha messi uno davanti all’altra.
La prima volta era stata veloce. Un incontro tra un appuntamento e l’altro, un caffè che si era trasformato in baci rubati in un angolo nascosto. Non c’era stato tempo per di più. Ma quella sera era diversa. Era la mia ultima notte prima di tornare in Puglia. Sapevamo entrambi che non potevamo lasciarci con un semplice saluto.
La serata
Era uscita con un’amica, mi aveva chiesto di raggiungerla. Un drink, qualche chiacchiera, ma gli sguardi dicevano tutto il resto. A fine serata, la sua amica si offrì di accompagnarmi a casa in macchina. Io e lei, seduti dietro. Troppo vicini. Troppo caldi. Troppo carichi di tutto quello che ci eravamo detti e mai fatti. Le mie dita hanno sfiorato le sue. Lei non si è tirata indietro. Le nostre gambe si sono toccate. Un piccolo gioco, un pretesto. Poi un bacio. Lungo, affamato, inevitabile.
Le mie mani sotto il suo vestito, le sue unghie sulla mia pelle. Il respiro spezzato, il desiderio che cresceva senza più limiti.
Sentivo il calore tra le sue gambe. Era bagnata. L’auto si è fermata sotto casa dei miei zii. Fine del viaggio. Ma non della notte. Lei mi ha guardato, sapeva che dovevamo separarci. Ma nessuno di noi due voleva farlo.
"Accompagnami su."
Non ha detto nulla. Mi ha seguito.
L’ascensore
Le porte si sono chiuse. Il tempo si è fermato. Non abbiamo nemmeno aspettato che partisse. L’ho presa subito. Un bacio profondo, le sue mani che afferravano la mia maglietta, le mie che le sollevavano il vestito. Ho premuto il pulsante di stop.
Sobbalzo. Silenzio. Lei si è voltata di scatto, gli occhi sgranati, il respiro ancora spezzato per l’eccitazione.
"Ma sei pazzo?!"
L’ho spinta contro la parete dell’ascensore. Le mie mani già ovunque.
"Lo siamo in due, allora."
L’ho girata di spalle. Il suo petto si è schiacciato contro il metallo freddo, il suo respiro accelerato quando le mie dita hanno trovato la strada tra le sue cosce. Era pronta. Calda. Umida. Mia.
"Dimmi che lo vuoi."
"Lo voglio."
Sono entrato in lei con un colpo profondo, le sue unghie che graffiavano il metallo mentre il suo corpo si stringeva attorno a me. Le mie mani sui suoi fianchi, il suo gemito soffocato dal vetro contro cui aveva appoggiato la fronte.
L’ascensore fermo. Il palazzo silenzioso. Solo noi due. I movimenti si sono fatti più veloci, più affamati.
Il suono della pelle contro pelle riempiva lo spazio piccolo, il pericolo di essere scoperti rendeva tutto ancora più proibito.
Sentivo che stavo per venire. Ma non volevo ancora. Non così.
L’ho tirata a me, l’ho fatta inginocchiare lentamente, senza mai staccarle gli occhi di dosso. Lei si è leccata le labbra, sapendo esattamente cosa volevo. Le sue mani mi hanno afferrato, poi la sua bocca si è chiusa intorno a me.
Calda. Morbida. Perfetta. Mi ha preso dentro senza fretta, scivolando in profondità, le sue labbra che mi stringevano come una condanna dolce. Voleva tutto.
La sua lingua giocava, il suo ritmo perfetto. Non potevo più resistere.
"Sto venendo…"
Lei non si è fermata. Anzi. Mi ha preso ancora più in fondo, mi ha fatto esplodere tra le sue labbra. E ha ingoiato tutto.
Si è rialzata, il fiato ancora corto, gli occhi che brillavano di soddisfazione.
Mi ha guardato. Ha sorriso.
"Ora sì che puoi partire."
E io, in quel momento, ho capito che due mesi sarebbero stati dannatamente lunghi.
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