Lui & Lei
Ombre e Desiderio

18.03.2025 |
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"Lei si staccò appena, le labbra umide, gli occhi che ridevano di desiderio..."
La pioggia aveva lasciato un velo lucido sulle strade, e l’aria sapeva di asfalto bagnato e promesse sussurrate tra i rumori della città. Dentro il locale, il tempo sembrava scorrere più lentamente. Il jazz suonava pigro dalle casse, e l’odore del whisky si mescolava a quello della sua pelle, appena sfiorata dal profumo di vaniglia e ambra.Lei non aveva fretta. Né io.
Il suo bicchiere era quasi vuoto quando le dita, leggere come un’ombra, si posarono sulla mia mano. Il pollice tracciò un cerchio lento sul dorso, un gesto che poteva sembrare casuale, ma che sapeva di controllo. Mi stava mettendo alla prova, studiandomi, aspettando che fossi io a muovere la prossima pedina di questa partita.
Mi avvicinai appena, il fiato caldo vicino al suo orecchio.
"Ti piace giocare?"
Lei inclinò il viso, il sorriso sfuggente, mentre il dito scivolava lungo il bordo del bicchiere.
"Solo se ne vale la pena."
Sollevò lo sguardo, e per un istante il suo riflesso nei miei occhi era l’unica cosa reale in quella stanza piena di fantasmi. Il respiro si fece più lento, misurato, mentre le gambe si sfioravano sotto il tavolo. Un contatto appena percettibile, ma carico di elettricità.
Il cameriere si avvicinò, ma lei sollevò appena la mano per fermarlo.
“Ancora un giro?" chiesi.
Si morse appena il labbro, come se fosse indecisa. Ma non lo era. Sapeva già come sarebbe finita la serata.
"Meglio finire qui."
La sua voce era bassa, roca al punto giusto, il tipo di suono che ti entra sotto pelle e si insinua nei pensieri.
Scostò lentamente la sedia, lasciando che l’orlo del vestito accarezzasse la pelle delle cosce. Il nero dell’abito sembrava sciogliersi con l’ombra che la seguiva mentre si alzava. Senza dire nulla, si incamminò verso l’uscita. Un solo sguardo oltre la spalla, il segnale implicito che aspettavo.
La seguii.
Fuori, la città sembrava ancora più silenziosa. Lei si fermò sotto il portico, le gocce di pioggia brillavano come perle sulla sua pelle.
Mi avvicinai, il respiro vicino al suo collo. L’odore della notte si mescolava al suo, e per un attimo non esisteva più nulla oltre alla tensione che vibrava tra noi.
Le dita scivolarono lungo la curva del suo fianco, lente, misurate. Lei non si mosse. Non si ritrasse. Un attimo dopo, la sua bocca sfiorò la mia, ma non abbastanza da essere un bacio. Solo un’illusione, un assaggio.
"Il taxi è in arrivo." sussurrò.
Un attimo di silenzio. Poi un sorriso.
"Ma non abbiamo ancora deciso la destinazione."
Nel taxi, l’aria era densa.
Non parlavamo. Non ce n’era bisogno.
Lei si era sistemata accanto a me, le gambe leggermente piegate sotto il vestito, il respiro ancora lento ma più profondo. Un silenzio carico di elettricità, di aspettative non dette.
Fu il suo ginocchio a cercare il mio per primo, un contatto lieve, come se stesse sondando il terreno. Poi la sua mano, che sfiorò la mia con una leggerezza quasi accidentale. Ma non era un caso. Niente di quello che faceva lo era.
Mi voltai verso di lei. L’ombra della città scivolava veloce sui suoi lineamenti perfetti, ogni lampione accendeva un bagliore fugace nei suoi occhi scuri. Il labbro inferiore leggermente socchiuso. Il respiro appena trattenuto.
Mi bastò sollevare una mano e sfiorarle la pelle nuda della coscia. La sentii trattenere un sospiro.
Fu allora che si voltò, decisa.
Mi baciò come se avesse aspettato quel momento da ore, giorni, forse vite. Profondo, caldo, senza esitazione. Il taxi continuava a scivolare tra le strade della città, ma tutto il resto si era fermato.
La sua mano si infilò sotto la mia giacca, dita che scorrevano lungo la camicia, alla ricerca di pelle da esplorare. Io scivolai lungo il bordo del suo vestito, risalendo appena. Sentii i suoi muscoli tendersi sotto il tocco, la sua pelle bruciare sotto i polpastrelli.
Il taxi frenò con un sobbalzo.
Lei si staccò appena, le labbra umide, gli occhi che ridevano di desiderio.
"Siamo arrivati."
Pagai senza nemmeno pensarci, la mano sulla sua schiena mentre entravamo nel palazzo. Nessun saluto al portiere, solo il suono dei tacchi sulle scale, il battito accelerato nel petto.
Appena la porta si chiuse, il tempo esplose.
La prese contro il muro, le mani sul viso, nel collo, nei capelli. Lei mi strappò la camicia, i bottoni saltarono senza pietà. Le dita affamate, la bocca ovunque.
Si inginocchiò davanti a me, senza esitazione.
Le sue dita sciolsero la cintura con la sicurezza di chi sa esattamente cosa vuole. E lei lo sapeva. Dio, se lo sapeva. "Non mi piace avere fretta." sussurrò, il suo respiro caldo contro la mia pelle. "Voglio assaporarti."
Mi liberò con un movimento fluido, le labbra che si schiusero appena mentre la sua lingua tracciava un primo assaggio. Lento. Profondo.
Alternava movimenti lenti e profondi a risalite leggere, il gioco perfetto tra il piacere che saliva e il tormento di non poterla ancora avere fino in fondo.
Le sue mani mi tenevano fermo, le unghie affondate nei miei fianchi mentre aumentava il ritmo, mentre il respiro si faceva più profondo, mentre la sua lingua danzava con un'intensità che mi faceva perdere ogni logica, ogni pensiero razionale.
Quando si staccò, le labbra umide e arrossate, rimase con la lingua sulla punta, leccando piano, provocatoria. "Ti piace?" chiese, la voce roca, impastata dal desiderio.
Non le risposi.
Non ce n’era bisogno.
Le presi il viso tra le mani e la baciai con una fame nuova, con la consapevolezza che quella donna davanti a me non era semplicemente un’avventura.
Era qualcosa di più.
Era l’inizio di un’esplosione che ancora non avevamo il coraggio di affrontare fino in fondo.
E proprio quando il mio corpo gridava per averla, proprio quando le sue mani mi avevano già guidato tra le sue gambe pronte ad accogliermi…Uno squillo. Un telefono. Insistente. Lei si fermò. Lo ignorammo. Ancora un bacio, ancora un respiro.
Lo squillo continuava.
Lei rise piano, scostandosi appena. "Vuoi rispondere?" sussurrò, con un accenno di sfida nella voce. Il telefono smise.
Silenzio. Ci guardammo. Sapevamo entrambi che quella notte non era ancora finita.
E che quando sarebbe ricominciata… non ci sarebbe stato più nulla in grado di fermarci.
(Continua…)
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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