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Lui & Lei

Amore di mamma


di Pprossa
12.01.2025    |    3.323    |    10 9.0
"La pelle bruciava per il disgusto, il corpo tremava per la repulsione che provava..."
"Una brezza piacevole soffiava tra le piante che costeggiano il belvedere, sfiorando le gambe lasciate scoperte dalla minigonna di jeans, mentre i ciclamini nei vasi appesi ai lampioni che costeggiano il viale riempivano l’aria con il loro profumo. Una tipica, mite serata primaverile della Sardegna.
Passammo accanto ad un gruppo di ragazzi. Ogni sguardo su di noi mi fece rizzare i peli sulle braccia, la loro attenzione mi provocò una sensazione sgradevole. Lo so: siamo belle da guardare, ma i loro occhi mi terrorizzarono.

"Vedi come sono ubriachi?" mi chiese sottovoce Cristina. Seguii il suo sguardo e vidi un ragazzo, sorridente e sudato, con le guance arrossate, il che significava che aveva bevuto un bel po’. Un altro era in piedi lì vicino e sorrideva con le braccia conserte sul petto, fissandomi come se dovesse mangiarmi.
Poi, i ragazzi si avvicinarono, fissando me e Cristina, e bisbigliando tra loro.
"Siete fantastiche..." Dopo fu il buio.

Mi risvegliò la suoneria del mio telefono. Non riuscivo a muovere le braccia, bloccate con una corda di nylon. Le gambe erano allargate in modo esagerato, con il piede destro legato a un palo della luce, il sinistro al paletto di un cartellone pubblicitario. Mi sentivo il viso insanguinato, un occhio tumefatto e chiuso, l’altro semiaperto che mi permetteva di vedere Cristina. Non guardavo l’uomo che mi stava sopra. Mi faceva male. Quando ebbe finito mi diede un ceffone e si alzò. Qualcuno prese il suo posto in mezzo alle mie gambe.
Guardai Cristina e i due ragazzi sopra di lei. Urlai. "Nessuno verrà ad aiutarti, non importa quanto urli." disse quello sopra di me, con la voce che mi sussurrava minacciosamente all'orecchio".
- - - -

Stefania smise di pensare alle parole di sua figlia. Era trascorso un anno da quel giorno maledetto. Decise di suddividere i compiti. A Paola affidò tutta la questione legata alle abitudini, ossia la verifica degli orari e dei movimenti di ognuno. Quanto a Maria, sua sorella, decise di affidargli il compito più immediato, cioè acquistare ciò che occorreva. Il resto lo avrebbe gestito in prima persona, sotto la supervisione di suo marito.
Dopo avere illustrato il quadro della situazione, decise di gettare l’amo nella direzione che riteneva più opportuna. Chiuse gli occhi. Quelle parole le frullarono il cervello: "assolti con formula piena... perché il fatto non sussiste." Che schifo la corruzione! Un pezzo alla volta, avrebbe riportato l'ordine.

Due mesi dopo, un'auto percorreva sfrigolando il vialetto di ghiaia che circondava la loro villa e si fermò in corrispondenza di un giardino illuminato da lampade sommerse nel prato. Lei scese dall’auto stirandosi la minigonna sotto lo sguardo impassibile del ragazzo che le teneva aperta la portiera. I due si incamminarono seguendo il sentiero luminoso. Notarono che qualcuno aveva cucinato alla brace, lasciando gli utensili per il barbecue sulla carbonella ardente. Risero.
Lei aprì, lo fece entrare e richiuse la porta alle sue spalle. Per un attimo, le parve di essere in un film.
Chiuse gli occhi, sperando che tutto fosse solo un incubo da cui si sarebbe svegliata presto. Ma quando li riaprì, la realtà era ben diversa: lui era davanti a lei. Il suo cuore batteva all'impazzata mentre cercava di mantenere la calma. Si sentiva sopraffatta dalla paura e dall'incertezza. "Sono qui per ristabilire l'ordine." L'affermazione rimbombava come un'eco sinistro nella sua mente.

Mentre si concentrava, sentiva uno sguardo pesante su di lei. Alzò gli occhi e lo trovò che la guardava con un sorriso suggestivo. Il disagio si diffuse nel suo petto, ma cercò di rimanere concentrata. Lui si avvicinò, le sue parole cariche di un'intenzione che lei conosceva fin troppo bene. "Oggi sei ancora più bella del solito." La sua voce era sommessa, ma il tono aveva un significato chiaro. Stefania sentì un tocco sottile sul braccio, una carezza che le fece rivoltare lo stomaco. Deglutì a fatica, con il cuore che batteva più forte. "Sei bellissima, Stefania." Il suo tono era intimo e lo sguardo che le rivolse la fece sentire vulnerabile. Il suo corpo era teso e la sua mente era a sua figlia, ma la sensazione di realizzazione era lì. Il suo cuore aveva iniziato a battere più forte mentre cercava la forza per continuare. Lo aveva adescato una settimana prima. Era stato semplice.

"Che ne dici di divertirci un po'? "suggerì lui con un sorriso. L'adrenalina pompava attraverso il corpo di Stefania mentre combatteva con se stessa. Tutto il suo corpo tremò quando lui si avvicinò per baciarla.
Il suo sguardo penetrante sembrava scrutare ogni angolo della sua mente. Il corpo di Stefania era teso, le sue mani tremanti sembravano un costante promemoria della sua vulnerabilità. E poi, lui ruppe il silenzio carico: "ho voglia di scopare".
La mente di Stefania cercò freneticamente un modo per affrontare la situazione.
Si sentiva nuda davanti al suo sguardo, indifesa e incerta su ciò che sarebbe successo. Ogni secondo che passava aumentava la sua sensazione di essere intrappolata, di essere completamente sotto il controllo del ragazzo. Sapeva che la sua vita era cambiata irrevocabilmente, che si trovava in un territorio sconosciuto e pericoloso.
Lui la toccò, le sue dita agili scivolarono sui bottoni della sua camicia. Il cuore le martellava nel petto, una sensazione di panico si diffondeva nel suo corpo. Sapeva cosa stava per succedere, ma il suo corpo era congelato dallo shock. Era intrappolata in un incubo da cui non poteva scappare.

"Hai i capezzoli... così belli", mormorò le sue parole come colpi al suo cuore già fratturato. Umiliazione e disgusto si mescolarono in un cocktail velenoso dentro di lei. Si sentiva ridotta a niente più che un oggetto, un trofeo che lui stava esaminando. La vergogna le bruciò le guance, la sua mente girava alla ricerca di una disperata via d'uscita. Poi lui si avvicinò ancora una volta, i suoi occhi affamati fissi su di lei. Ad ogni movimento che faceva, la sua apprensione cresceva, la tensione cresceva nel su petto. E poi, le sue labbra toccarono uno dei suoi capezzoli esposti. Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra mentre vergogna, disgusto e umiliazione vorticavano dentro di lei.
Si sentiva violata, usata, come se il suo corpo non fosse più suo. Pensò al suo amore. Le lacrime scorrevano lungo il viso, il dolore emotivo quasi insopportabile. Avrebbe voluto urlare, combattere, ma era paralizzata dallo shock. Ogni suo tocco era un crudele ricordo dell'impotenza, della terribile situazione in cui si erano trovate le ragazze. Il suo corpo tremava, la sua mente era un tumultuoso mix di emozioni contrastanti. Voleva essere altrove, qualsiasi cosa diversa da quella stanza buia e dalla presenza opprimente di quel ragazzo. Ma era intrappolata in un incubo senza fine in vista.

Mentre l’agonia fisica ed emotiva la consumava, lottò per ritrovare una scintilla di forza per superare quella prova, per non permettere che infrangesse la sua determinazione. E poi, con calcolata crudeltà, lui le morse con forza uno dei capezzoli, strappandole dalla gola un urlo angosciato. Il dolore fu lancinante, la sua mente ronzò sulle ragazze, per l'agonia che si era irradiata attraverso i loro giovani corpi. Le lacrime scesero, incontrollabili, lungo il suo viso. Il disgusto che provò fu travolgente, la sua mente era una tempesta di sensazioni contraddittorie. Pensò le ragazze violate, degradate, come se quelle bestie si fossero nutrite non solo dei loro corpi, ma anche delle loro anime.
Il suo cuore batteva forte, il terrore le aveva attanagliate, pensò. Non potevano scappare da una prigione di dolore e umiliazione. Non potevano evitare ciò che quelle bestie avevano in mente. La sensazione che quelle giovani creature fossero state ridotte a meri oggetti, giocattoli per il loro sadico piacere, la riempì di disgusto e repulsione. La sua mente era una tempesta di agonia e indignazione. Un nuovo morso, un crudele ricordo della loro impotenza, del loro status di prigioniere. Due giocattoli che quei mostri manipolavano a loro piacimento, due marionette nelle mani di quattro criminali. Stefania avrebbe voluto urlare, lottare, ma riprese il controllo assoluto. Lui era alla sua mercé, col suo futuro appeso a un filo fragile.

Aprì le gambe, fingendosi ancora più vulnerabile. La pelle bruciava per il disgusto, il corpo tremava per la repulsione che provava. Lui cominciò a spogliarsi. Lo sguardo di Stefania cadde su ciò cui bramava. I suoi occhi si spalancarono per lo shock e l'orrore quando vide le dimensioni del suo membro. Era qualcosa che non avrebbe potuto immaginare nei peggiori incubi. Un'ondata di paura e disgusto la colpì, la realtà di ciò che era successo alla sua piccola la colpì come un pugno allo stomaco.
Lui si avvicinò ancora una volta, rompendo il silenzio opprimente con la sua voce tagliente. "Vieni!"

Stefania avvolse immediatamente la mano intorno al cazzo. La pelle era morbida ma lui era duro.
"È così bello." gli disse. Alzò lo sguardo su di lui, chiedendo il permesso. Lui annuì e lei gli fece scorrere il pollice sopra, testando le sue reazioni, esplorando ogni centimetro. Ancora e ancora finché lui le mise la mano dietro la nuca e le tirò i capelli. "Apri la bocca."
Stefania lo fece. Lui le prese la mano. La fece scivolare lungo il suo uccello, in modo che lei glielo afferrasse alla base. "Più forte." Lei strinse la presa. Lentamente, glielo infilò in bocca. Senza preavviso, spinse con forza sulla nuca di lei, spingendo la bocca sul suo uccello. Andò in profondità. Abbastanza in profondità da farla vomitare. Si tirò indietro e lo fece di nuovo. "Sì" pensò Stefania "ha lui il controllo. Ma sono io quella che vuole. E questo è quello che voglio io. É perfetto." Le sfuggì un gemito dalle labbra quando lui spinse ancora in bocca, abbastanza forte da far male. Abbastanza forte da farla vomitare nuovamente. Ma servì solo a caricarla di più. Deglutì per rilassare la gola. Quando spinse di nuovo, lo prese un po’ più facilmente.

Le tirò i capelli. "Cazzo! Sei troppo brava con quella bella bocca." Affondò di nuovo dentro di lei. Più forte. Più veloce. Così veloce che a malapena lei riusciva a tenere il passo.
"No!" si disse. Riuscì a districarsi, a liberarsi dalla sua morsa. Lui la guardò, sconcertato.
"Non voglio farti venire subito. Ora giochiamo. Ti piacerà. Sono una porca. Dammi la possibilità di mostrartelo." Davide fece solo un gesto e un grosso sorriso.

Stefania prese un paio di manette da sotto il letto e le fece roteare in aria sorridendo maliziosa. Fece un cenno e ammanettò il ragazzo alla testiera del letto. Lui non oppose resistenza, tanto avrebbe solo dovuto guardare, avrebbe fatto tutto lei, pensò. Chissà cosa si era inventata per quella serata. Non aveva mai scopato una di quarantatre anni.
Stefania si mise a cavalcioni sul ragazzo. Diede un’occhiata alla sua eccitazione e disse "Così non va bene" e lo schiaffeggiò sulla guancia. Lui, preso alla sprovvista, non riuscì a schivare il colpo e prese lo schiaffo a tutta velocità. "Ma sei pazza?" le disse. Lei gli accarezzò la guancia in fiamme.
"Vorresti che ti succhiassi un po'?" disse maliziosamente. Lui deglutì e annuì, con la mente completamente annebbiata dall’eccitazione. Lei lo bendò.
Poi gli prese l’uccello in mano e strinse forte. Iniziò a fargli una sega da vera professionista. La sua mano delicata scorreva dalla base fino alla punta del pisello facendolo gemere di piacere. "Succhia!" Le urlò.
Stefania alzò gli occhi al cielo in modo sprezzante. "Sei patetico, lo sai?" L'adrenalina scorreva nelle sue vene, il suo corpo vibrava con un misto di paura e rabbia.
Senza aspettare altro, si voltò e lasciò la stanza, abbandonando lui prigioniero delle manette. Ogni passo riecheggiava la pulsante confusione dentro di lei. Era un turbinio di emozioni. Niente sarebbe stato più lo stesso dopo quell'azione. Il Sole stava iniziando a tramontare quando uscì in giardino. Si avvicinò alla brace. Afferrò la pinza incandescente e fece ritorno nella stanza.

In silenzio, posò l'utensile ai piedi del letto. Era a circa un metro e mezzo di distanza dal ragazzo. Si avvicinò al suo viso. Gli tolse la benda dagli occhi "Ho sete. Voglio qualcosa da bere. Posso?"
Come risposta ebbe solo un sorriso. Si aggrappò a ogni oncia di coraggio. Doveva farlo prima che le si bloccasse la lingua. Un respiro profondo. "O la va o la spacca". Si disse. Lui la precedette:
"Voglio scoparti finché non urlerai il mio nome. Togli le manette."
Era la provocazione che le serviva. "Sei malvagio" gli disse.

Gli sfiorò il cazzo col palmo. Poi con le dita. La sua mano lo avvolse. Lo accarezzò. Poi andò più forte, più veloce. Il suo corpo tremava. Lo pompava con colpi regolari. Osservava le sue reazioni mentre andava più veloce. Più forte, in cerca del coraggio per farlo.
"Prendilo in bocca." Stefania si abbassò molto più velocemente di quanto doveva. Gli sfiorò l’uccello con le labbra. Solo un tocco. Ancora, e ancora. Gli passò veloce la lingua sopra. Ebbe il voltastomaco, ma continuò a stuzzicarlo. Lo fece ancora e ancora. Lo prese più a fondo. Provava una sensazione esaltante portarlo al limite, renderlo disperato. C’era una deliziosa espressione di piacere sul viso di quel mostro e Stefania non volle fare altro che farlo aumentare. L'agonia di un orgasmo vicino si diffuse sul suo viso.
Stefania schiuse le labbra e si mosse repentina.
Chiuse gli occhi e strinse. L'urlo fu agghiacciante. Il fetore di carne bruciata nauseabondo. Stefania vomitò. Poi uscì dalla stanza.
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