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RUSPANTE È MEGLIO


di Foro_Romano
21.12.2018    |    25.008    |    16 9.7
"Sono rimasto lì come un ebete..."
(Racconto n. 94)

L’estate scorsa ho fatto una conoscenza che non dimenticherò per tutta la vita. Come tutti gli anni, con i miei genitori, mia nonna materna e il mio fratellino, più piccolo di me di ben 12 anni, andiamo in vacanza in un paese della Toscana. Andiamo sempre nello stesso alberghetto a conduzione familiare. Ormai è come se fossimo di famiglia anche noi, tanto che la proprietaria col marito hanno fatto da padrini al battesimo di mio fratello e alla mia cresima.
Ormai sono al primo anno di università. Ho fatto il liceo artistico e mi sono talmente appassionato che ho preso Lettere con indirizzo storico-artistico. Vorrei diventare restauratore. Il paesino è medievale e, anche se piccolo, è molto affascinante: il castello, la chiesa, le mura. Tutt’attorno campagna e colline coperte di boschi praticamente inaccessibili, almeno per me. Mi è sempre piaciuto, tanto che ne conosco a menadito la storia e sono arrivato a fare da guida ai vari turisti di passaggio. Questo sin da quando ero un pargoletto di 7-8 anni. I turisti si fanno accompagnare e poi mi regalano un gelato.
Naturalmente gli abitanti stabili non sono molti ma non posso dire, anche dopo tanti anni, di conoscerli tutti, ma alcuni sono particolari. C’è la fornaia (che profumo di pane caldo!), la ristoratrice (sempre un po’ scostante), il proprietario dei bus che ci portano al mare la mattina (sempre molto simpatico), il semi-eremita matto (che vive da solo sperduto nel bosco e viene in paese tutti i giorni solo per ubriacarsi. Dicono che si ciba di grilli), il fabbro (che mi affascina per come forgia il metallo per ogni cosa, dagli attrezzi ai cancelli), il direttore della banca, la vedova che gestisce la mescita di vino, il proprietario del piccolo cinema, il maresciallo dei carabinieri napoletano (che bono, con i suoi folti baffi!).
A volte ho giocato con gli altri bambini del paese e spesso faccio delle lunghe passeggiate dentro e fuori le mura. Spesso mi capita di vedere qualche bel paparino. Si perché mi sono sempre piaciuti gli uomini maturi, dai 40 anni in su, fino anche a 60 se portati bene. E dico sempre, sin da che ne ho memoria. Parecchie ragazzine del paese mi hanno fatto il filo. Una, addirittura, si è autonominata mia fidanzata ma non me ne è mai fregato niente. La mia passione sono sempre stati gli uomini.
Anni fa ho cominciato con le seghe pensando a questo od a quello (e ancora me ne faccio), poi ho avuto qualche contatto con ragazzi della mia età, prima con seghe in compagnia, poi ero io a fargliele, poi sono passato ai bocchini fino all’ingoio (mmmm, adoro il cazzo). Finalmente l’anno scorso, raggiunta la maggiore età, mi sono avventurato su Internet e ho potuto contattare qualche uomo più grande e ho dato la mia verginità (di culo) ad un bel maschio siciliano di passaggio. Era rude ma è stato molto delicato al momento difficile (e poi si è scatenato). Ma questa è un’altra storia.
Tornando all’estate scorsa nel paesino toscano, una mattina non mi era bastata la colazione in albergo. Girovagavo per le stradine del paese ma sentivo che ancora non ero completamente sveglio. Così ho deciso di prendermi un cappuccino in un piccolo baretto in cui non ero mai entrato. Chiedo al barista e aspetto davanti al bancone. In quel mentre entra un contadino che non avevo mai visto così bonazzo da sentire la schiuma alla bocca senza ancora aver bevuto. Si avvicina al bancone anche lui e mi lancia un’occhiata penetrante.
“Ehilà Gino, dammi un bicchiere del solito”.
“Oh Bruno. E che fai a quest’ora da queste parti? Non sei a lavorare il campo?”
“Ma lascia sta’. Stavo nel campo e non me s’è fermato il trattore? Mo che l’è, mi son detto. Vado a guarda’ e nun scopro che s’era rotto un pezzo di metallo piccolo ma che teneva su ‘l tutto! Sicché m’è toccato veni’ qui dal Renzo a farmelo riparare” e mi guarda ancora intensamente, quasi a mettermi in imbarazzo.
Avrà avuto quasi 50 anni, pelato ma con due grossi baffi e la barba non rasata, due mani che erano due palanche, la pelle ruvida ed arsa dal sole, tutto muscoli e pelo che gli uscivano dalla canottiera lercia, slabbrata e zuppa di sudore. Mi ha guardato ancora e si è portato una mano a sistemare il pacco. Sicché lo sguardo mi è caduto lì, sui suoi jeans logori e stragonfi nel punto giusto.
“Tieni, Bruno. Bevici sopra. Son cose che capitano. Quanti anni ha quel tuo trattore? Non sarà ora di cambiarlo?” e gli piazza davanti un grosso bicchiere di rosso.
“Si, cambiarlo! Co’ ‘sti chiari di luna!” e mi guarda ancora. “Tu sei novo”, rivolto a me. “Turista?”.
“Si, ma sono tanti anni che vengo”.
“E nun t’ho mai visto! E bravo”.
Che avrà voluto dire con quel “bravo”!? Ero imbarazzato per il suo sguardo penetrante. Sembrava che mi avesse letto dentro. Che avesse capito quanto mi piaceva. Intanto è arrivato anche il mio cappuccino. Mi sono tuffato a berlo per distrarmi. Il fato ha voluto che la schiuma mi è rimasta sopra il labbro superiore e io (senza volerlo, lo giuro) l’ho leccata via lentamente proprio mentre i nostri sguardi si incrociavano ancora. Un lieve sorriso ha spezzato il suo sguardo duro e nervoso. Devo essere diventato di tutti i colori.
Come se niente fosse, si è scolato quasi tutto di un fiato il suo vino. Ha lasciato i soldi sul bancone. “Ciao Gino, ci si vede” ed è uscito.
Sono rimasto lì come un ebete. Ho fatto finta di niente, in breve ho finito il cappuccino, ho pagato e sono uscito. Quell’uomo mi aveva scombussolato dentro. Dovevo ricordare bene le sue fattezze perché, senza dubbio, sarebbe stato il protagonista della mia prossima sega.
Invece, uscito sul piazzale panoramico lo vedo, in fondo, appoggiato di spalle al parapetto, che si fumava una sigaretta. Resto immobile. Mi guarda, fa un cenno e si sposta verso la parte più nascosta del belvedere, dietro alla palazzina del bar. Mi sembrava un sogno. Non credevo di stare sveglio. Mi guardo intorno ma sembra che nessuno si sia accorto di nulla. Mi avvio lentamente verso quell’angolo.
Lo trovo appoggiato al muro, con la sigaretta. Mi sorride. La butta. Mi avvicino. “Sai che sei proprio un bel ragazzino?”.
“Grazie, ma non sono un ragazzino. Ho 19 anni”.
“Ah si? Avrei detto meno”. Pausa. “Ti va di venire con me a divertirci un po’?”.
Anche se confuso, annuisco.
“Non è il caso adesso. Potrebbero vederci insieme. Sai dove è il cimitero? Vieni lì alle tre, dopo pranzo”.
“Ok, ci sarò”, riesco a dire con fatica. Mi sentivo come paralizzato.
Lui si è girato e si è allontanato.
Non vedevo l’ora ma, contemporaneamente, mi sentivo incosciente. Andare con uno sconosciuto, più forte di me, in un posto isolato poteva essere pericoloso. Ma non potevo perdere un’occasione simile. Così, pranzato coi miei, ho detto loro che sarei andato a fare una passeggiata fuori del paese, forse verso il cimitero (così da lasciare almeno un indizio). Mi sono avviato a passo svelto sotto il sole cocente, ma non ci ho badato proprio. Sono arrivato circa dieci minuti prima e lui non c’era. Ho aspettato una ventina di minuti e già mi dicevo che ero stato uno stupido a crederci quando arriva con una vecchia auto sgangherata. Salgo al volo per paura che ci vedessero, anche se intorno c’era solo rumore di cicale e tanto caldo. Ancora una volta vedo il suo volto così maschio che si illumina di un sorriso. Partiamo subito, chissà per dove.
Mentre guida mi mette una mano sulla gamba; io fremo. “Come ti chiami?”.
“Claudio”.
“Io Bruno”.
“Lo so. Ho sentito il barista”.
“Sai, Claudio, io non sono sposato. Sono stato fidanzato per alcuni anni ma poi non si è concluso. Tu sei molto bello”.
“Grazie ancora” ed ho abbassato lo sguardo.
“Come ti ho visto, al bar, mi è venuta una certa voglia. Mi capisci?”.
“Si, certo… Si vedeva così tanto che mi piacciono gli uomini?”.
“No, anzi, ma l’ho capito lo stesso. Chissà perché. Forse perché abbiamo la stessa voglia… complementare, naturalmente”.
Sorrisi. “Già, certo”.
“Sei già stato con qualche uomo?”.
“Si”.
“Bene! E… sei stato già sverginato?”.
“Si”.
“Bene! Perché ho proprio voglia di aprirti il culetto. Ti va?”.
Sento ancora un fremito. La sua mano è sempre sulla mia gamba. “Si, ne ho voglia anche io”.
Sorride. Poi solo silenzio. L’auto si è inerpicata per certi tratturi sterrati fino ad arrivare ad una piccola cascina con annessi recinti di animali: galline, pecore, maiali.
“Abiti qui?”, domando.
“No, ma qui tengo gli animali. Vorrei farlo qui. Mi piace l’idea di farlo davanti a loro. Ti dispiace?”.
Faccio segno di no con la testa.
“Scendiamo”. Appena fuori mi abbraccia forte ma senza farmi male. Poi mi toglie il mio cappellino con visiera e si abbassa a baciarmi. E’ più alto di me, quindi comincia dalla testa, sulla fronte, sul collo, mi lecca un orecchio, arriva alla bocca e mi piazza subito dentro la sua robusta lingua. Rispondo come posso. E’ un bacio lungo, passionale, mentre mi accarezza, mi strizza un poco una natica con la sua grossa mano. Incurante del fatto che sono sudato ma anche lui non è da meno, anzi il suo sudore è più pungente: ha un qualcosa di selvatico. Perdo la testa. Mi sento come un pupazzo tra le sue mani. Ha una forza che potrebbe stritolarmi in un secondo ma, invece, è delicato, dolce, come se avesse paura di farmi male.
Mi prende per mano e mi porta accanto al recinto dei maiali, dove una grande quercia frondosa fa ombra. Riprende a baciarmi, mi prende la mano e la porta sul suo pacco. Sotto il tessuto dei pantaloni sento una sbarra durissima. La tasto, la stringo, sento il mio buchino che freme alla sola idea di averlo dentro.
Mi mette una mano sulla testa e mi fa piegare le gambe fino ad averla all’altezza del suo membro. Lentamente si slaccia la cintura, il bottone, si abbassa la lampo e si cala contemporaneamente pantaloni e mutande. Una dura sferzata di cazzo mi arriva sul viso, col suo particolare odore di sudore, di piscio, di sesso, di maschio. Non ci penso due volte e mi lascio andare. Ne imbocco la cappella con le labbra, la slinguo un po’. Alzo lo sguardo verso di lui e faccio scivolare l’intero cazzo nella mia bocca. Mi fermo a metà. Lui comincia a fremere. Vado più giù, sempre più giù fino ad affondare il naso nel pelo. Gli strappo un gemito. Vuol dire che gli piace. Riprendo fiato e lo riaffondo, sempre più velocemente. Lui geme, grufola come i maiali lì vicino.
“Ahhh… Siii… Siii…”.
Mi do da fare con sempre più trasporto. Mi piace. Mi piace da impazzire. Anche far godere un maschio così mi fa impazzire.
Non resiste. Chissà da quanto non scopa. “Scusami, non ce la faccio più”. Mi prende la testa tra le mani e comincia a scoparmela, a volte fino in fondo alla gola ed a volte solo nella bocca, finché, con un rantolo fortissimo spara scariche di sborra a ripetizione che io faccio il possibile per ingoiare. Non voglio perderne niente ma un rivolo mi scende da un lato della bocca. Ha finito. Mi affretto, con un dito, a raccogliere quello che è uscito e me lo succhio. Mi guarda tra lo stranito e lo svuotato, ma il cazzo sembra non esserglisi ammosciato nemmeno di poco.
“Cazzo… Che pompino!... Non mi aspettavo proprio che fossi così bravo, con questa faccia da angioletto che hai” e mi passa una mano tra i capelli. Glielo prendo in mano e forse mostro incredulità nel vederlo ancora così rigido. “Tesoro, te l’ho detto che è tanto che non scopo e tu mi piaci proprio”.
“Forse… vuole ancora…”
“Certo che voglio ancora. Te l’ho detto. Voglio aprirti il culo. Ti va?”.
“Ho un po’ paura… Sa… E’ così grosso…”
“Farò piano. Dai girati, appoggiati al muretto”. Mi sono girato e lui mi ha calato i pantaloncini leggeri e le mutande. “Accidenti, che bel culetto! Mmmm” e me lo ha tastato tutto con le sue manone, ha accarezzato la leggera peluria che lo ricopre. Ha poi infilato i pollici nel solco e me lo ha aperto, mettendo in mostra la rosellina. Si è chinato e me l’ha slinguata tutta per insalivarla. La barba non rasata mi graffiava la pelle delicata.
Io aspettavo pieno di voglia. Il timore era diminuito dopo le sue parole rassicuranti. Ha appoggiato la nerchia sulla mia schiena, all’entrata del solco, e mi ha abbracciato da dietro. Le sue braccia forti mi tenevano a sé. Mi aveva tirato su la maglietta e lo stesso aveva fatto con la sua, così che potevo sentire il contatto con la folta peluria del suo petto. Si è poi staccato, se l’è bagnato con uno sputo ed ha puntato deciso. Ho spinto un poco, ed ancora, ma non si decideva ad entrare. Quindi ha spinto più forte e la larga cappella si è aperta il varco nella mia carne ed ha fatto il suo ingresso, fermandosi subito. Il dolore è stato forte ma ho emesso solo un leggero lamento. Non volevo che si fermasse. Lo volevo dentro di me.
“Cazzo, come sei stretto! Ma è entrato. Non riesco a credere ai miei occhi: è enorme a confronto del tuo sederino eppure è entrato. Vado avanti?”.
Ero sempre più eccitato. “Si, si, la prego, mi piace… ohhh… siii… ahhh… ancora, tutto… tutto”.
Con delicatezza, millimetro per millimetro, è entrato con decisione senza fermarsi, tutto fino alle palle. “Ecco, ce l’hai tutto dentro”.
“Si, ahhh che bello!”. Ha cominciato a pompare sempre più veloce.
“Adesso ti scopo come si deve. Ti piace? Ti piace?”. Con le mani circondava completamente la mia vita, tenendomi saldamente.
“Siii, cosììì… forte… più forte. Aaahhh… Aaahhh…”. Ormai andava come un treno.
“Ma sei proprio troia, sei proprio un rottoinculo, sei una vacca da monta. Uhhh… Ma io te lo rompo ancora di più. Ti sfondo, ti sfondo. Prendi… prendi… prendi…” e giù colpi su colpi, in tutte le direzioni, ed io sempre più aperto.
“Ahhh… Si sono troia… Usami come una troia, uomo. Fottimi… fottimi… Pensa solo al tuo piacere, solo a te stesso”. Non so come mi sono uscite quelle parole. Stavo dando sfogo ai miei sogni più sfrenati, così che lui potesse liberare la sua natura più selvaggia, con ferocia.
Gemevo, rantolavo, urlavo di piacere mentre quel maschio eccezionale grugniva come i maiali al di là del muretto a cui mi appoggiavo. Era già venuto e quindi ci mise un bel po’, almeno mezz’ora, prima di riempirmi di panna come un bignè. Quando è venuto ululava come un lupo, ruggiva come un leone, mugghiava come un toro, non so descrivere. So solo che si è svuotato dell’anima assieme alle palle. Tremava come una foglia, accasciato sulla mia schiena. Mi sono allungato per toccargli le cosce pelose per fargli capire che non doveva uscire, che doveva rimanere così fino a che avesse versato l’ultima goccia.
Quando si è ripreso, mi ha baciato la nuca ed io mi sono girato per tentare un bacio in bocca, per quanto la posizione permettesse. Si è sfilato lentamente col cazzo ammosciato, questa volta. Mi ha stretto a sé che ancora aveva il cuore che gli batteva a mille, come il mio d’altronde.
“Era da tempo che non scopavo, ma credo di non aver mai goduto così tanto. Sei eccezionale, cucciolo”.
“Oh, anche tu. Sei l’uomo dei miei sogni”.
“Ti ho fatto troppo male?”, si preoccupò.
“E’ così che mi piace. Adoro essere sottomesso. Grazie” e gli ho accarezzato i bicipiti gonfi.
Mi ha sorriso. “Allora, c’è speranza di rivederti ancora?”.
“Non chiedo di meglio”.
Ci siamo frequentati tutti i giorni fino alla fine della vacanza, durante quella che era ufficialmente la mia passeggiata pomeridiana. Mi ha portato a casa sua, sul suo grande letto, dove mi ha posseduto in tutte le posizioni, sempre sborrandomi dentro anche tre volte di seguito. Che maschio! Adesso sono tornato in città con un perenne ricordo di lui: un buco completamente spanato. Ci sentiamo la sera per telefono prima di andare a dormire. Dovrò aspettare le prossime vacanze per rivederlo. Intanto vado avanti a seghe, ma non faccio altro che pensare a lui.


(Il presente racconto, essendo di carattere erotico, ha lo scopo di eccitare i nostri istinti animali ma non per questo va preso alla lettera. Le stesse cose si possono fare con le dovute precauzioni. Non fate mai sesso senza preservativo: non rovinatevi la vita ma godetevela il più possibile. Buona sega a tutti).


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