Gay & Bisex

LA CACCIA


di Foro_Romano
29.12.2021    |    20.319    |    18 9.7
"Bravo, si, così, bravo, così, così, continua..."
Il piccolo paese era adagiato tra colline coperte di boschi dal verde intenso. Si respirava un’aria pulita, sollievo per i polmoni assuefatti allo smog cittadino. Quella, poi, era una giornata particolarmente bella, limpida, dal cielo di un azzurro meraviglioso. Il gruppo di case era al centro di una riserva e, oltre al turismo mordi-e-fuggi, faceva affidamento ai numerosi cacciatori che vi affluivano nel periodo di apertura della caccia. Quattro mesi che portavano gente allegra che godeva della propria passione (insensibile alla sofferenza degli animali) e che, dopo una battuta venatoria, si riunivano amichevolmente ad ingozzarsi nella trattoria ed a bisbocciare nell’unica osteria del paese.
Quell’osteria era gestita da una coppia di quarantenni con un figlio, Alberto, giovane ragazzo simpatico a tutti, grazioso, gentile, dai tratti lievemente femminili forse dovuti all’età. Una folta capigliatura roscia incorniciava il viso lentigginoso su cui spiccavano due bellissimi occhi verdi luminosi, pieni di vitalità.
Ogni anno, da quando era nato, assisteva alla calata di tutti quegli uomini vestiti di velluto e feltro, dagli stivali lucidi prima della battuta e infangati dopo. Alcuni anche a cavallo, con i cappelli da Far-West. Ne era stato sempre affascinato. Tutti quegli uomini rudi, virili, dalle voci profonde ed i corpi irsuti, spesso con barbe e baffi folti, non gli avevano mai messo paura ma neanche aveva mai sentito il bisogno di diventare come loro, piuttosto si era andato pian piano formando in lui il desiderio di essere avvolto dalle loro braccia forti, di essere accarezzato dalle loro mani grandi e dure quanto il cuoio delle loro sacche, di sottostare ai loro desideri più intimi e perversi, di sottomettersi alle loro voglie sadiche, ma senza eccessi, naturalmente.
Ovviamente, questo non lo dava a vedere. Teneva tutto dentro di sé, con sofferenza e con la speranza di trovare una ragazza che gli avrebbe fatto dimenticare quei desideri insani, che avrebbe sposato e dalla quale avrebbe avuto almeno due figli. Certamente, questo pio desiderio nasceva dall’essere ancora un adolescente insicuro e ancora con le idee poco chiare su cosa lui era veramente. Se ne sarebbe accorto presto, però.
Tra tutti quei cacciatori, ce n’era uno che lo affascinava più di tutti. Cinquantenne, alto, piazzato, due belle spalle larghe, dal viso virile, dal corpo muscoloso degno di essere considerato la perfezione dell’uomo. Inoltre, aveva molto pelo sulle braccia ed altro ne usciva dall’apertura della camicia, che si univa con un folto pizzo bruno che gli incorniciava una bocca che, agli occhi di Alberto, sarebbe stato un sogno poter baciare.
Come un segno del destino, Fauno era il suo nome. Con lui aveva stretto un’amicizia particolare, ricambiata dall’uomo, che lo considerava un ragazzo veramente simpatico e un po’ matto. Aveva notato in lui, a volte, qualche gesto o qualche mezza frase buttata là che lo incuriosiva e, forse, gli stimolava uno sconosciuto interesse. Quante volte, nel segreto del suo letto, si era masturbato e, senza volerlo, gli si era affacciata in mente l’immagine di quell’uomo.
Ma torniamo a quel giorno. Era il giorno dell’apertura della caccia e tutti gli appassionati si erano radunati, come ogni anno, per divertirsi e, alla sera, festeggiare e ubriacarsi di vino e birra scherzando su chi era stato più bravo ed aveva ucciso più selvaggina degli altri. Punto di ritrovo era l’osteria del paese dove la padrona era pronta a cucinare quella stessa selvaggina in maniera impeccabile per tutti. Alberto correva tra i tavoli per servire con celerità tutti i commensali ma si attardava facilmente col signor Fauno, che lo prendeva amichevolmente in giro e, spesso, lo attirava e lo faceva saltare sulle sue ginocchia, come un bambino.
In quei momenti Alberto era particolarmente allegro, aveva il cuore in gola dalla felicità e, come un bambino, si aggrappava al collo dell’uomo. Un collo veramente taurino.
“Allora, ragazzo, quando vieni a caccia anche tu?”
“Veramente, non l’ho mai fatto e non credo di esserne capace”.
“Ma dai, non ci vuole molto ad imparare”.
“Ma non so sparare e non mi pace l’idea di farlo a dei poveri animali indifesi”.
“Santi, senti, la femminuccia. Domani vieni con me e ti darò qualche lezione”.
“Si, bravo, vieni”, dissero gli altri della tavolata. “Fauno è il miglior maestro che ti potesse capitare”.
Tanto insistettero che Alberto dovette accettare. In realtà voleva rifiutare avendo paura della vicinanza col signor Fauno. Cosa gli avrebbe detto, cosa lui stesso avrebbe fatto? Non voleva far scoprire il suo desiderio intimo. I genitori dettero il consenso così la mattina dopo, molto presto, era pronto ma con un abbigliamento non proprio adatto. Solo jeans e una camicia di flanella per tenersi un po’ caldo contro il rigore delle prime ore del giorno.
Fauno lo andò a prendere assieme all’amico Ottavio, col quale da anni faceva coppia nelle battute di caccia. Il ragazzo salì sulla jeep dietro di loro e partirono verso la macchia. Si sentiva confuso. La sola vicinanza con l’uomo dei suoi desideri lo sconvolgeva.
“Vedrai, ti piacerà”, disse Ottavio voltandosi verso di lui. “Faremo una camminata nei boschi, al contatto diretto con la natura. Con l’odore della resina delle piante, il rumore delle acque dei ruscelli ed il canto degli uccelli…”
“A cui spareremo subito dopo”, aggiunse Fauno e scoppiarono in una risata.
“Ecco – osò intervenire Alberto – è proprio questo che non mi piace della caccia”.
“Però ti piace mangiare gli uccelli e gli altri animali dopo che li ha cucinati tua madre!”
“Si… si… certo”, ammise. “Però… ucciderli è un’altra cosa. Non me la sento!” chiosò.
“Il ragazzo è troppo sensibile, come pensi di fare per convincerlo?”
“Mah, non so. Vedrà quello che faccio io e forse si deciderà almeno a provare. Prima di tutto gli farò vedere come ci organizziamo in una battuta di caccia, almeno per non spararci addosso, poi come si fa a capire di essere vicini ad una preda e non farla scappare via. Però, caro Ottavio, stavolta arrangiati da solo. Io devo acculturare il fanciullo e non voglio che mi stai vicino a criticare ogni cosa che faccio, come al solito, solo per farti credere più bravo di me”.
“Cioè, vuoi dire che me ne devo andare con altri?”
“Esatto”.
“Ok ok, Come vuoi”.
Arrivati al parcheggio sterrato assieme agli altri cacciatori, Ottavio si rivolse ad Alberto. “Allora, ragazzo, impara bene, ché vedrai che la caccia è bella” e sia allontanò verso un altro gruppo.
Fauno indicò una direzione da prendere all’interno del bosco. “Andiamo da quella parte” e si avviò, seguito dal ragazzo.
“Cerca di muoverti molto silenziosamente, perché gli animali hanno l’udito allenato per schivare i pericoli. Ecco, mettiamoci qui, dietro a questa siepe. Sento che presto vedremo passare un cinghiale, o una lepre. Accovacciamoci qui”.
Alberto fece quello che gli veniva detto. Si piegò sulle gambe e rimase in attesa. La vicinanza con l’uomo lo stordiva. Sentiva chiaramente il caratteristico profumo del suo dopobarba. Pochi secondi e sentì la mano di Fauno che gli sfiorava il sedere. Rimase immobile, incredulo e dubbioso su come comportarsi. La mano si fece più insistente a palpargli una chiappa. Si girò verso di lui, che lo stava guardando fisso.
“Alberto, non so come dirtelo ma non resisto più. E’ arrivato il momento di farlo. Non hai che da dirmi di no e… amici come prima. Alberto… ecco… Tu mi piaci. Sin dal primo momento che ti ho visto, quando eri molto più giovane, mi hai sconvolto. Tante volte, scopando mia moglie, immaginavo di farlo con te. Tante volte mi sono segato pensando a te. Mi sono sentito in colpa perché non mi sento affatto un pedofilo e non lo sono. Ora sei grande e non posso più tacere. Mi piaci, Alberto, non sai quanto”.
Il ragazzo rimase di sasso. Aveva sentito bene? Quell’uomo, lo stesso che popolava le sue fantasie da adolescente, gli stava facendo una proposta di carattere sessuale. Era vero o stava sognando? Sgranò gli occhi, quei sui bei occhi che, in quel momento, apparivano ancora più luminosi ed affascinanti. Si protese e, per tutta risposta, dette un rapido bacio sulle labbra dell’uomo. Si guardarono. Anche il suo desiderio era chiaro. Fauno lo prese per la nuca con una mano, ne avvicinò la testa alla sua, le labbra sulle sue e gli infilò in bocca la lingua prepotentemente. Fu un bacio potente, appassionato, eloquente più di ogni parola. Il giovane perse l’equilibrio e si appoggiò alla coscia possente del maschio che lo strinse a sé. La piccola mano scivolò quasi involontariamente sull’inguine dell’uomo, che trovò così gonfio e duro che sembrava voler rompere il fustagno dei pantaloni. Si staccarono.
“Oh Alberto, Alberto, ti voglio. Voglio farti mio. Ti prego, non dirmi di no”.
Il viso del ragazzo si fece ancora più rosso. “Si, lo voglio anche io ma… non l’ho mai fatto… con nessuno”.
“Lo farò io. Voglio essere io a prenderti la verginità. Voglio aprirti ed entrare dentro di te. Voglio fotterti, sfondarti…” Si fermò. Si era fatto prendere la mano. Forse aveva esagerato e la preda gli sarebbe sfuggita. Forse…
“Si signor Fauno. Anche io voglio darle il mio corpo. L’ho sempre sognato anche io. Voglio il suo cazzo dentro di me. Voglio che goda dentro di me, che mi riempia di sperma. Il suo sperma… Oddio”. Il buchino gli boccheggiò di desiderio.
L’uomo era al settimo cielo. “Laggiù c’è un capanno. Andiamo lì. Seguimi”.
Entrati, il cacciatore sprangò l’ingresso, si voltò e prese tra le braccia il tenero corpo che gli si offriva senza remore. Lo strinse e lo baciò, mentre una mano scendeva a palpargli una natica. Alberto quasi si sciolse sentendosi avvolto dai muscoli, dalle grandi mani, dal pelo, dall’odore di maschio che l’uomo trasmetteva.
Fauno prese a spogliarlo velocemente. Lo lasciò fare, onorato di essere oggetto di tanto desiderio. Lo spogliò fino a lasciarlo completamente nudo. Le mani ruvide gli accarezzarono la pelle implume (a parte il pube ed un po' sulle gambe). L’uomo era incantato, indeciso tra restare ad ammirarlo o di saltargli addosso e farlo suo.
“Sei bellissimo” e si massaggiò il pacco che stava per esplodere. Il ragazzo sostituì la mano con la sua. L’uomo si appoggiò al tavolo, mentre Alberto gli si accovacciava davanti, gli sganciava la cinta dei pantaloni, gli apriva i bottoni uno ad uno, guardandolo dal basso, gli appoggiava la faccia sulle bianche mutande leggermente bagnate di precum per respirare l’afrore intimo virile per la prima volta, inebriandolo e facendogli perdere la ragione.
“Oh, signor Fauno. La desidero, desidero il suo cazzo, la prego mi dia il suo cazzo, la prego”.
L’uomo si abbassò pantaloni e mutande assieme e la mazza dura colpì sulla guancia il ragazzo. Forte, se ne sentì lo schiocco. Pensava di avergli fatto male, ma il ragazzo, con naturalezza, aprì la bocca e ne prese dentro la grossa cappella. Alzò gli occhi a guardarlo e capì subito che doveva fare anche altro. Cominciò a rotearci intorno la lingua umida.
“Ahhh. Bravo, si, così, bravo, così, così, continua. Ti piace il cazzo!? Ti piace proprio! Troia, sei una troia. Lo sai che sei una troia? Ahhh, che boccaaa”.
Il ragazzo si staccò un attimo. “Si, mi sento troia. Vorrei essere la sua troia personale, signore. Me lo permette?”. L’uomo fece appena un cenno col capo che il giovane, felice del suo assenso, si gettò sul nerbo venoso ficcandoselo fino in gola, come un pompinaro provetto, strozzandosi da solo”.
“Cazzo, cazzoo. Cha fame che hai!”.
Lo sfilò subito lucido di saliva per riprendere fiato e lo riaffondò, cominciando a pomparlo senza tregua. Le manine si aggrappavano alle cosce nude, potenti e pelose del maschio, per il resto ancora tutto vestito, che gli affondò le dita tra i ricci e gli afferrò la testa per dargli il ritmo. Nella stanza aleggiava l’odore del cazzo e risuonava il rumore del risucchio, assieme ai loro gemiti. Dopo alcuni minuti di puro piacere l’uomo sottrasse il suo pisellone al succhiacazzi affamato.
“Ti avverto, se continui così sarò costretto a venirti in bocca. La prima sborrata è sempre la più abbondante e tu dovrai ingoiarla tutta, senza sprecarne niente. Quindi se non vuoi, se ti fa schifo, lascia stare”.
Per tutta risposta, il ragazzino riprese a spompinarlo di gusto, felice di soddisfare il suo padrone. Fu inevitabile. Dopo neanche cinque minuti l’uomo, tremando, gli bloccò la testa, gliela scopò con ferocia fermandosi quando aveva la sola cappella dentro, ed esplose”.
“Aaahhhggg, ooohhh. Bevi cagna. Bevi tuttooo”.
Nemmeno il tempo di ingoiare il primo spruzzo, che glielo riaffondò dentro, lo ritirò indientro ed ecco il secondo, il terzo. Ancora in fondo e indientro e altro spuzzo. Alberto dovette sbrigarsi a mandare giù per non perderne niente. Fino alla fine, fino a leccargli l’ultima goccia che fuoriusciva dal taglietto. Non era stato a contare gli spruzzi, sapeva solo che aveva bevuta una quantità enorme di quella crema pastosa. Ora, finalmente, poteva pensare a gustarne il sapore che aveva in bocca. Non gli fece schifo, anzi gli piacque subito molto.
Il maschio, temporaneamente spompato, lo strinse a sé schiacciandogli la testa sul suo inguine, accanto al membro tutt’altro che moscio. Era rimasto barzotto, lucido di saliva e di sperma. Dal profumo inebriante per il ragazzo. Gli passò una mano tra i fulvi capelli.
“Sei un bravo ragazzo. Attento, potrei innamorarmi di te”, disse in tono scherzoso.
“Io sono sicuro di essere innamorato di lei”, gli rispose Alberto.
“Sono cose che si dicono solo perché sono stato il primo. Vedrai che ne conoscerai altri e ti innamorerai ancora”.
“Sono certo di quello che ho detto”.
Si rialzò e l’uomo si chinò a baciargli la fronte. Capì che il giovane avrebbe desiderato altro.
“Scusami, ma non posso baciarti in bocca. Hai ancora il sapore della mia sborra. Come uomo non amo quel sapore”.
Il ragazzo comprese ed annuì. In fin dei conti, il suo era un vero uomo. Gli prese l’uccello in mano e cominciò ad andare su e giù.
“Bravo, fallo tornare duro perché dobbiamo ancora fare la cosa più importante. Devo sverginarti il culetto”.
Al solo pensiero, il giovane ebbe un fremito che si concentrò sul suo buchino, ben cosciente di cosa avrebbe subìto. Si accosciò di nuovo a prenderlo in bocca, continuando a masturbarlo con la mano, benché questa non riuscisse ad afferrarlo tutto per la sua larghezza. Si rese conto che quel coso enorme gli sarebbe entrato dentro e, anziché averne paura, lo desiderò più di ogni altra cosa. Da sempre sognava il momento di appartenere a quell’uomo, ed il sogno si stava per avverare. Non ci volle molto, e la mazza tornò a svettare forse più di prima, pronta all’uso.
“Vieni”.
L’uomo lo prese da sotto le ascelle e lo sollevò fino al tavolo, spingendolo per il petto a sdraiarvisi sopra. Gli alzò le gambe.
“Tienile alzate” ed Alberto le agganciò da sotto le ginocchia mettendo in mostra oscenamente la sua parte più intima. Anche il sedere era coperto della stessa lanuggine rossa delle gambe. Una cosa molto eccitante per l’uomo.
“Bellissimo. Si, così, bravo. Mmmmm”.
La faccia affondata tra le cosce del ragazzino a leccargli il buchino ed i peletti attorno. Ogni tanto si fermava per ammirarlo. Ci sputava sopra. Lo inumidiva completamente di saliva. L’avrebbe fatto diventare una fighetta bagnata. La rasposità del pizzo irritava la pelle più delicata del piccolo, che però non ne aveva fastidio, teso ad aspettare il momento anelato del suo sverginamento.
Il signor Fauno, senza togliere lo sguardo da quella visione, si spogliò completamente, gettando i vestiti in terra, alla rinfusa. Poi tornò a slinguare lo sfintere. Quando pensò che era pronto, si eresse davanti a lui. Lo dominava con la sua figura imponente dalle spalle larghe ed il fisico perfetto, col torace largo e coperto di pelo brizzolato da cui scendeva una striscia fino al pube ed al cazzo nodoso paurosamente in tiro, pronto alla deflorazione.
Gli occhi di Alberto rimasero in ammirazione. Fausto lo guardò con uno strano misto di desiderio, preoccupazione e ferocia repressa pronta ad esplodere.
“Lo vuoi? Ne sei certo? Sai quello che ti aspetta?” Il giovane annuì. “Ti farò male quando la cappella ti aprirà il buco ma poi, dopo, se veramente lo desideri come dici, proverai solo piacere.
“Si, lo voglio. Voglio essere la sua troia, signore”.
L’uomo bagnò ulteriormente di saliva la punta del suo ariete e lo appoggiò all’ingresso del pertugio. Lo afferrò saldamente per i fianchi e spinse, ma niente. Spinse di nuovo con un po’ di forza in più, ma ancora niente. Era troppo piccolo per quell’arnese. Spinse più forte e, in un lampo, la grossa cappella si aprì dolorosamente un varco ed entrò.
Il ragazzo emise un piccolo grido ma poi si morse le labbra per non farsi sentire. La spinta proseguì costante e l’intera asta si fece lentamente ma inesorabilmente strada dentro il piccolo culetto fin che poté per poi fermarsi. Il dolore iniziale non era affatto passato, ma si andava trasformando in una strana sensazione di benessere. Il maschio se lo sentiva stritolare dal budello, tanto era stretto. Doveva aprirlo per bene, così cominciò a pomparlo a ritmo costante.
I brevi gridolini acuti che sentiva ad ogni sua spinta gli dimostravano che quello che stava facendo era ben accetto e lui rispondeva con i suoi grugniti animaleschi.
“Ti piace, tesoro? Ti ho rotto il culo. Ahhh, che bel culo che hai. Ti fotto, piccolo mio. Ti fotto il culo, ti fotto, ti fottooo”.
“Si, ahi, ahi, si si ancora, ancora, ahia. Che bello, che bello. Ooohhh ancora, di più, di più, ahiii. Sono suo, suo, tutto suooo”.
L’uomo aumentò la velocità chinandosi su di lui per infilargli la lingua in bocca a baciarlo. Per essergli più dentro, lo afferrò per le spalle e lo stantuffò in maniera selvaggia, mentre le gambe ed i piccoli piedi volteggiavano in alto sopra di loro.
Quell’animale lo sgroppava senza più remore e la preda gemeva e frignava di piacere sotto di lui. L’idea di avere dentro di sé il cazzo dell’uomo tanto desiderato lo fecero presto cedere e venne sulla sua pancia, senza toccarsi e dal cazzetto rimasto moscio.
“Sei proprio una vera troia. Alle vere troie il cazzo non si rizza ma godono a farsi sbattere, proprio come succede alle femmine in calore”.
Dopo almeno quindici minuti di quel trattamento, glielo tirò fuori di colpo. Il corpicino fu preso dalle convulsioni, il buchino boccheggiava.
“No, no, ancora, ancora, la prego”.
“Vuoi ancora cazzo? Non ti basta quello che ti ho dato? Lo vuoi ancora, puttana?”
“Si, ancora, ancora”.
“Certo che te ne do ancora, ma cambiamo posizione. Mettiti a quattro zampe”.
Ma fu lui stesso a girarlo come un fuscello, ad alzargli il culetto all’altezza giusta ed a ficcargli di nuovo dentro il cazzo turgido fino in fondo.
“Aaahhh”. Le braccia cedettero e la testa del giovane si appoggiò sulla tavola, sbavandoci sopra. Gli occhi chiusi, il cervello in paradiso. Le spinte si fecero sempre più devastanti. Del tenero buchino non rimaneva già più nulla. Ora era una voragine profanata adattata alla grandezza di quella mazza spietata.
“Cazzo, che buco fantastico! Ora sei il mio buco svuotapalle, sei mio, piccolo frocetto”.
Il giovane cedette completamente e si lasciò scivolare lungo sul tavolo, con tutto il peso del corpo dell’uomo che lo stava sventrando. Ne sentiva il folto pelo sulla schiena, la grossa minchia che lo riempiva e lo svuotava in rapida successione. Si sentiva spaccato e ne godeva. Ebbene si, godeva della sofferenza che gli veniva inflitta. Era indescrivibile quello che provava. Era solo una sensazione perché il suo cervello non aveva più alcuna funzione. Il centro del piacere era solo quella minchia poderosa di lui.
“Cazzo, cazzo, puttana” gli sospirava all’orecchio mentre glielo leccava. Aspirava tra i denti, continuando a schiantarglielo dentro.
“Non ce la faccio più a trattenermi. Sto per esploderti in pancia, mia piccola cagnetta. Reggiti forte, perché potrebbe schizzarti fuori dalla bocca. Sento che sarà più di quella che hai ingoiato prima. Eccola, eccola…” Una serie di colpi secchi e “Wawww. Arggghhh”.
Un lungo rantolo accompagnò un’ondata di sborra senza fine che gli allagò la pancia. Sembrerà strano, ma gli sembrò di sentirne effettivamente in bocca il sapore.
L’uomo si lasciò andare con tutto il suo peso sopra il ragazzo e rimasero così per qualche minuto, fermi, a riprendere fiato ed a far tornare i cuori al ritmo giusto.
“Non avevo mai sverginato prima un ragazzo e questa è stata la più grande scopata della mia vita. Te lo assicuro. Indimenticabile”.
“Anche per me”. Si guardarono e risero. Non poteva certo dimenticare il suo sverginamento.
“Quest’anno verrai a caccia con me tutti i giorni e l’unica preda che catturerò sarai tu, mia piccola scrofa”.
“Insomma, sono cagna o scrofa?” scherzò il ragazzo.
“Tutte e due, e forse anche vacca, maiala e qualcos’altro. Tutto insieme. Quello che è certo è che sei il mio cucciolo preferito” e si abbracciarono felici.
Da quel giorno, tutti i giorni, con la scusa della caccia andavano nel rifugio e l’uomo possedeva con forza il suo giovane amante, in tutti i buchi, in tutte le posizioni. Gli veniva dentro o in faccia anche due o tre volte, e dovevano smettere perché quelle ore non erano mai abbastanza.
Tutti sapevano della loro grande amicizia e, data la mancanza assoluta di selvaggina che Fauno raccolse, pensarono che il piccolo Alberto lo aveva convinto alla causa animalista, con la disapprovazione degli altri cacciatori, compreso Ottavio che, forse, qualcosa aveva capito ma tenne per sé (forse nella speranza di poter avere un po’ di quella preda anche lui).

(Il presente racconto, essendo di carattere erotico, ha il solo scopo di eccitare i nostri istinti animali ma non per questo va preso alla lettera. Le stesse cose si possono fare con le dovute precauzioni. Non fate mai sesso senza preservativo: non rovinatevi la vita ma godetevela il più possibile. Buona sega a tutti).

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