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Lui & Lei

25 novembre, come ogni anno...


di Eulalia
25.11.2024    |    1.603    |    14 9.5
"E come va con lui, vorrai anche sapere..."
"Per questa giornata speciale per tutte le persone di buon senso ospito il racconto di un'amica che vuole condividere la sua esperienza rimanendo anonima.
Lo dedico a tutti gli uomini, che una volta tanto su questo sito affronteranno una lettura non porno.
un bacio
Eulalia"

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Mia carissima, mi scrivi preoccupata nell’ultimo messaggio su Whatsapp
“Perché non ti vedo più in palestra?”
Con te posso essere sincera, sto passando un momento difficile.
No, niente di grave per la salute ma ho scoperto durante la cena di venerdì scorso, alla quale tu mancavi, che l’ambiente in cui ci siamo conosciute non fa per me ed ho deciso di non tornare ad allenarmi.
Ti rassicuro, non è successo nulla di veramente grave o almeno, nulla che tu ed altri potreste ritenere tale.
E come va con lui, vorrai anche sapere.
Mi confido però con te, perché quella maledetta sera ho avuto la sensazione che solo Massimo forse fosse diverso da tutti gli altri perché è stato l’unico maschio presente a non ridere delle mie parole (anche se, riguardo alle donne, ti dirò più avanti…)
Ecco, ora ti scrivo.
È accaduto, che qualcuno guardando il video della Tv in fondo al locale ha commentato ad alta voce la notizia dell’ennesimo femminicidio.
È una parola che non mi piace tantissimo, forse abusata ma i media ormai ce l’hanno imposta e fatta digerire.
Sono partiti i soliti ragionamenti, forse non del tutto sereni e ponderati visto che qualcuno aveva già bevuto in abbondanza, però, come dice il detto, “in vino veritas” e credo valga anche per la birra.
Ma davvero, mi chiedo, i nostri comuni “amici” della palestra pensano quelle cose?
Quali?
Le solite, che vanno da “Però anche lei, chissà come lo trattava” a “Ma se vai con un delinquente…” e così via, dimenticando che molte di quelle donne erano mogli e madri, ammazzate dai chi diceva di voler loro bene e che appariva, ascoltando le interviste, come un uomo onesto e normalissimo.
Io ho ascoltato per un bel po’, anche quando il discorso, quasi per assonanza, è finito a cadere sulla violenza alle donne in generale.
“Non vedo la necessità di parlarne tanto, succede, in fondo a quelle che vanno in giro mezze nude alla notte…”
“Vanno a cercarsela, guarda come si vestono…”
“Le ragazze serie non frequentano certi locali e certa gente”
Ad un certo punto non sono più riuscita a stare zitta, tu mi conosci, puoi immaginarlo.
Ho cercato di portare la mia testimonianza, ad aprire il cuore a chi credevo avrebbe forse capito meglio.
“A me è successo e non solo una volta.”
Per un attimo la tavolata si è silenziata, mi sembrava che avessi la loro attenzione.
E ho provato a farli ragionare, parlando di me e delle mie angosce.

Ero poco più di una bambina.
Dico bambina perché davvero giocavo ancora con le bambole, a volte, insieme alla mia sorellina di sei anni.
Mi vedi, amica mia, anche ora sono esile, quasi invisibile, figurati com’ero allora.
Avevamo deciso con i ragazzini del palazzo in cui abitavo di fare una gita fino in centro.
Allora prendevamo tranquillamente l’autobus per andare a scuola, non c’erano papà e mamma a scarrozzarci col Suv.
La meta era lo stadio della nostra città dove al mercoledì la nostra squadra del cuore faceva un po’ di allenamento.
A noi ragazzine, quella partitella non interessava davvero un granché ma l’occasione era troppo affascinante.
Eccoci, quindi, tutti insieme prendere il bus e poi raggiungere le tribune.
Mi ricordo, come fosse ora, avevo una gonnellina a pieghe ed un soprabito corto, calzettoni e scarpette basse.
Prendemmo posto tutti in fila appena sopra il campo ed i maschietti ci spiegavano pazienti ed un po’tronfi quello che vi succedeva.
Io ero l’ultima della piccola schiera, seduta a fianco di un signore che scherzava con i miei amichetti guardandoli da sopra la mia testa.
E mi toccava, mentre lo faceva, infilando con noncuranza la mano sotto al mio soprabito, strusciando la sua mano sulle mie gambe scoperte.
Ero come bloccata, la mente non esprimeva alcun pensiero, dalla mia bocca non uscì parola.
D’istinto stringevo le ginocchia come a proteggere un’intimità che solo dopo qualche anno capii essere stata la vera mira di quello schifoso.
Come mi sentii dopo, ti chiederai. Se ne parlai con i miei genitori quella sera, se chiesi loro delle spiegazioni sul perché quel signore mi avesse toccata?
Nulla, in assoluto, solo quando fui adulta capii, leggendo un articolo sull’argomento, che ero stata vittima di una violenza e caduta in uno stato di choc assoluto.
Sai di cosa ringrazio la sorte?
Che di quella brutta esperienza non mi è rimasto nulla se non un ricordo che ogni tanto gira nella mia testa.
Mi sono detta fortunata, lui avrebbe potuto forse interpretare quella mia assoluta immobilità per una silente condiscendenza e continuare nella sua lercia esplorazione che invece cessò, ad un certo momento.
Di questa disavventura, chiamiamola così, quella maledetta sera in trattoria in realtà non ho parlato.
L’ho fatto con te ora, solo per farti meglio capire, che può accadere di passare qualche istante all’inferno e riuscire a sopportarlo.

È stato invece anni dopo che ho vissuto ciò che ho confidato a quei cretini.
Primi anni ’80, un paese qualunque sul lago di Garda, le nostre zone quasi.
Allora si entrava in discoteca alle 22, ricordi?
O forse no, tu sei un po’ più giovane.
D’estate andavo a vivere con i miei nonni che avevano casa appena fuori Riva.
C’era nei dintorni una piccola discoteca poco più grande di una sala parrocchiale, che faceva entrare gratis le ragazze nei giorni meno gettonati.
Ascoltavamo un po’ di musica, ci pagavamo una coca cola con le mance che ricevevamo la domenica, e già alle 23 e 30 prendevamo la via di casa.
Parlo al plurale perché Susy ed io da sempre eravamo le amiche inseparabili di ogni vacanza estiva.
Io ero allora appena maggiorenne, lei di poco più giovane.
Stavamo sempre per conto nostro, timide ed impacciate, indossando i jeans d’ordinanza e magliette informi a coprirci, per nulla appariscenti, cercando proprio di essere invisibili.
Ma non lo fummo abbastanza.
Loro erano in quattro, ci videro uscire da sole e presa la loro auto ci seguirono a fari spenti.
Li sentimmo e vedemmo solo all’ultimo minuto, quando in tre ci capitarono dietro le spalle, spaventandoci non poco ed intralciandoci la fuga con la macchina messa per traverso tra strada e marciapiede.
“Ehilà bambine, non si fa così, vi abbiamo invitato a ballare e ci avete detto di no.
Che sarà mai un ballo, eh?”
Chiaramente mentivano ed intanto ridevano e ci giravano intorno, come fanno gli animali selvaggi braccando la preda.
Allungavano le braccia fingendo di agguantarci e cercando di spingerci verso l’automobile dove era rimasto l’autista.
Ci salvò un cancello aperto che per fortuna attirò lo sguardo non ancora troppo spaventato della mia amica.
Mi trascinò dentro quel varco e astutamente si attaccò al campanello della villetta che si affacciava sul giardino e poi sulla strada.
“Carogne (ricordo ancora il termine) dove scappate, tornate, ci dovete un ballo…”
L’uomo insonnolito che ci aprì capì al volo la situazione e urlò verso i ragazzi e questo bastò a scoraggiare ogni altra loro iniziativa.
Ecco quella volta per me andò peggio.
Sono passati più di quarant’anni ma da quella sera non uscii mai più da sola.
Per tutta l’estate rimasi in casa appena dopo l’imbrunire, non solo perché i nonni non mi lasciavano andare sola (Susy non era più libera, nemmeno lei) ma perché comunque non me la sarei sentita.
Come reagirono i “grandi”?
Non mi sentii capita, né in famiglia e men che meno dal Carabiniere che svogliatamente parlò con me.
“Li conoscevi?
Avevi promesso qualcosa?
Impossibile fossero sconosciuti…”
Avrei potuto dire qualcosa di più su quei bastardi, la targa dell’auto e che il loro accento non era trentino.
Sai cosa mi frenò, amica mia?
Un pensiero esagerato, ora capisco ma comprensibile.
A scuola la nostra supplente di diritto ci aveva raccontato che in un processo alla vittima di violenza e stupro, sopravvissuta per puro caso, gli avvocati della difesa avevano chiesto “Ma Signorina, ci dica, Lei era vergine prima del fatto?”
Mi immaginavo, esagerando sicuramente, quali domande mi avrebbero potuto fare per imbarazzarmi e farmi tacere.
Per carità, non ero una delle ragazze del Circeo (credo che il processo riguardasse quel massacro) però ebbi paura.
Se me ne pento?
Sì, forse parlando avrei protetto qualche altra ragazza.

Ma eravamo rimasti, amica mia, alla mia paura di uscire sola la sera e che avevo confidato a chi era seduto a cena.
“E così dev’essere, fai bene”
“Magari fossero tutte come te”
“Beh, forse, quei tuoi jeans erano un po’attillati, magari anche la tua amica aveva un bel culo”

Questa è stata la solidarietà dei nostri “amici” venerdì scorso.
Mi chiedo, ma perché?
Non avrei anch’io il diritto di uscire, di vestire come voglio, devo, allora come ora, reprimere la mia libertà di divertirmi?
Perché ho paura, ancora, ed in fondo, dirai, non è successo niente.
Ma tu mi credi, amica mia, credi al mio terrore di quella e di altre notti?
Mi dirai, sei esagerata, sarebbe ora che tu ti tranquillizzi.
Non ci riesco e non riesco nemmeno a sopportare il ricordo delle risate.
“Quali?” Dici, “quelle di tanti anni fa?”
O quelle degli uomini che ho sorpreso talvolta a farmi la “manomorta” in autobus e ridendo si sono allontanati?
No, parlo delle risate di quella maledetta sera a cena, dopo la palestra.
Perché poi, in aggiunta e senza alcun rispetto alcuno, si è iniziato a parlare “dell’esagerate pretese delle donne, non si può nemmeno più fischiare”
No, volevo dire, se fosse la vostra bambina ad essere “fischiata” un domani, la principessina di casa, che accompagnate a danza ed al catechismo, con i riccioli sbarazzini?
Provate a pensarci, cretini.
E voi, donne, che ridevate con loro e dicevate “beh, tante protestano, ma mica le fischia nessuno, sono cesse… e le altre si coprano, se non vogliono essere molestate”
Evviva la solidarietà tra donne, stronze.
Se voi sapeste che i vostri compagni fischiano alle ragazzine, sareste contente?
E se vostro figlio fosse portato in caserma per aver fatto violenza, cosa direste a sua discolpa?
“Ma lei aveva la pancia scoperta e lui non ha resistito, poverino, è solo il suo istinto animale?”
No, non credo.
La violenza nasce dalle piccole cose, striscia subdola in mezzo a noi, non pensi?

E con questo ti lascio, amica mia, e no, non salutarmi nessuno della palestra.
Mi dispiace, non sai quanto, che forse quella maledetta sera Massimo avrebbe voluto salire a casa mia per un ultimo caffè.
Invece quelle risate e quelle frasi, ma soprattutto il suo atteggiamento passivo (rifiuto l’aggettivo accondiscendente) hanno spento qualcosa che avrebbe potuto nascere.
Come mi sei mancata, quella sera, perché tu avresti capito e saresti intervenuta in mio aiuto.
Ci vedremo ancora, io e te, di sicuro, lasciami solo un po’ qui da sola a curare anche questa ferita.


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