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Il guinzaglio di Irene


di Eulalia
05.07.2024    |    4.704    |    15 9.9
"Stringe e impasta, ma peggiora la situazione..."
Non so se avete presente quella voglia latente che alle volte si trasforma in un lieve prurito diffuso.
Come se la pelle avesse bisogno di essere toccata da un certo tipo di mani, possibilmente calde, asciutte, aspre, ma soprattutto decise.
È una voglia difficile da tradurre in azione. Si sfoglia l’agenda, cade l’occhio sull’uno o sull’altro, ma prevale la noia.
Quindi, aperitivo alla mano, mi godevo il giardino spettacolare dell’albergo, riflettendo se era il caso di consolarmi un pochino prima di cena, giusto per rilassarmi.
“Posso servirle altro?”
Mi coglie di sorpresa alle spalle, un cameriere audace, troppo vicino.
“No, grazie. Sono a posto.” Nemmeno mi volto.
Si siede davanti a me, sfacciato.
“Non sono sicuro che lei sia a posto. Mi chiamo Bruno.” E porge la mano.
Primo errore: gliela stringo. Calda e asciutta, presa sicura, ruvida, da maschio.
“Piacere. Irene.”
Secondo errore: lo guardo negli occhi. Azzurri con la capacità di addensarsi.
“Permette che mi accomodi qui?”
“Tardi per chiedere, visto che si è già accomodato.”
Il filo di arroganza che cerco di mettere nel tono si infrange su modi placidi e tranquilli.
A questo punto mi aggrego al suo gin tonic, tutta colpa dei tigli in fiore che mi fanno sentire in vacanza.
Terzo errore: dimentico sempre che, come nella famosa battuta, l’alcol non mi scioglie la lingua, ma mi apre le gambe e sotto quello sguardo le avrei spalancate immediatamente.
Invece mi cuoce a fuoco lento. È un viaggiatore. Mi racconta di paesi lontani, dell’oriente e dei mari del sud. Ascolto rapita e un po’viaggio anch’io.
La sua voce ha un che di ipnotico e mi ritrovo a desiderare di sentirla più vicina.
“Ho la sensazione che i miei racconti siano quasi della buona notte. Deve smettere di socchiudere gli occhi, Irene.”
“In che senso?”
“Nel senso che mi fa pensare che lei provi piacere ad ascoltarmi e mi distrae.”
Sempre negare l’evidenza.
“Devono essere queste luci che a momenti mi abbagliano.”
“Capisco. La mia terrazza è all’ultimo piano, niente luci solo stelle e la vista della città.”
“Abita qui?”
“Sono ospite di questo albergo per qualche giorno. Lei no?”
“No, vengo qui qualche volta per godermi il giardino mentre bevo qualcosa.”
“Male, molto male.”
Mi alzo per andarmene.
Educata saluto e cerco il cameriere, che mi dice che il conto è già saldato.
Bruno non è più in vista, mi aspetta davanti all’ascensore.
Quarto errore: invece dell’uscita prendo l’ascensore.
Sette piani in silenzio, sette piani per riflettere sul fatto che voglio essere toccata, baciata, leccata da questo estraneo dagli occhi azzurri.
Corridoio, porta, camera ed è subito terrazza.
Le luci della città sfavillano e rabbrividisco nella brezza.
“Posso offrirti qualcosa?”
Di nuovo alle spalle, vicino, troppo vicino, sento il suo respiro sulla pelle.
“Non ho sete.”
Un bacio lieve, dal nulla, sul collo.
“Immagino.”
No, che non immagina. Lui sa e lo sento che lo sa.
Sa perfettamente che mi aggrappo alla balaustra per non mettergli le mani addosso, sa benissimo che sono sopraffatta da una voglia che fa aderire la mia schiena al suo petto, il mio culo al suo cazzo in tiro.
Ma no, lui mette le sue mani di fianco alle mie, mi ingabbia a questa balaustra, continua con i suoi bacini da adolescente e si lascia strusciare da me. Non si sposta di un millimetro, fermo come la roccia che ha nei pantaloni.
A peggiorare il tutto c’è la sua barbetta che a fior di pelle mi fa impazzire.
Quinto errore: cerco di girarmi, ma mi blocca i polsi.
“Ferma.”
La voce potrebbe uscire da una caverna, credo di non essere più in grado di intendere o volere.
Ho la bocca secca dalla voglia di cazzo, deve essere perché tutti i liquidi stanno colando fra le mie cosce.
Riunisce i miei polsi nella sua sinistra e con la destra fa cadere le mie spalline.
Raccoglie un seno nella sua mano.
“Meglio, Irene?”
“No, per niente.” Mugugno.
Stringe e impasta, ma peggiora la situazione.
È la fica che ha bisogno di attenzione.
“Voglio…” due dita in bocca mi interrompono.
“Ti ho chiesto qualcosa?”
Sbatto la testa.
“Ecco.”
Disegna una scia di saliva sul mio collo, si sofferma su un capezzolo, prosegue fino all’orlo della gonna e risale con calma l’interno coscia.
Trattengo qualsiasi tipo di suono e anche il fiato. Non deve fermarsi.
Sosta brevemente alla frontiera delle mutandine, segue l’elastico per un mezzo giro di coscia e ritorno.
“Respira.” Obbedisco ma non mi distraggo.
Sconfina sul tessuto fino a raggiungere il mio clitoride.
“Adesso godi.”
Una leggera pressione ed esplodo. Non mi capacito di questo orgasmo costruito sul nulla.
Polsi liberi.
“Calati le mutandine alle caviglie e rimetti le mani a posto.”
Eseguo senza proferire parola.
Mani sui fianchi mi allontana dalla balaustra. Sono chinata in avanti.
È esasperante la lentezza con cui alza la gonna.
La brezza accarezza il mio culo e le mie cosce, la mia fica rabbrividisce. La sento pulsare.
Non mi tocca. Non sento rumori e mi chiedo come ho fatto a ridurmi in queste condizioni.
Erano solo due aperitivi e adesso sono qui che lo aspetto come una cagna in calore.
Non riesco a pensare ad altro che ad essere scopata, presa, fottuta, chiavata.
La punta del cazzo si appoggia sulla soglia della mia fica, una spinta con le mani attorno al mio collo e questa colonna di carne venosa mi riempie fino alle palle. Faccio opposizione perché lo voglio tutto, fino al cervello, all’anima
Sono talmente avida e sensibile che sento ogni venatura, ogni stoccata, sento come si gonfia per schizzare tutto il suo sperma dentro di me, e godo in maniera primordiale, senza alcun ritegno, tutto il corpo teso in questo big bang del piacere.
Le sue carezze sui fianchi e sulla schiena mi aiutano a riprendere fiato. Sono gesti intimi, affettuosi e per certi versi inaspettati.
Rientriamo in silenzio.
Mi sento placata, in qualche modo contenuta.
Ma basta un “Vieni.” verso la camera da letto che tutto cambia.
Mi spoglia nel percorso e si spoglia guardandomi sdraiata nuda sul letto “Apri bene le gambe, voglio vedere.”
Occhi negli occhi cala dritto sulla mia fica. Risucchia il mio clitoride e con un lieve morso decollo. Potrei essere gelato, crema o coppa, so solo che non voglio che lui smetta. Mi offro alla sua lingua, cerco la sua barba, apro con le dita la mia fica e mi perdo in questo orgasmo tutto mio.
Riemerge, la barba bagnata, per baciarmi.
Ne voglio ancora di cazzo e lo voglio a modo mio.
Ho capito che posso essere egoista fino in fondo, non lo devo compiacere, posso prenderlo e usarlo.
Prendo il sopravvento in un istante.
Mi piace disegnare arabeschi con la lingua sul suo corpo fino ad arrivare al cazzo che sa ancora di me.
Solo la punta attraversa le mie labbra, solo la punta e la saliva che cola. Non lo tocco, ma lo guardo mentre osserva il suo uccello che centimetro dopo centimetro va a riempirmi la bocca.
Si mette comodo con un cuscino sotto alla testa per godersi lo spettacolo di questa nerchia tesa alla ricerca della mia gola.
È grosso e duro e sul punto di sborrarmi in bocca. Lo sento e ci penso per un momento.
Ma no, ho ancora voglia di cazzo, di essere sbattuta.
Smetto tutto per cavalcarlo, si lascia fare, mi lascia godere al mio ritmo aggrappata alle sue spalle. Scivolo sul ventre bagnato dal mio orgasmo e non mi fermo perché ne sento un altro in arrivo e un altro ancora come tanti echi di piacere.
Disarcionata in un istante mi trovo di fianco, quattro dita in bocca e non so quante in fica. Sostituite subito dal suo cazzo esigente.
Mi ha trasformato in una bambola bloccata fra le sue braccia, scopata furiosamente senza alcuna speranza di movimento. È un momento cazzo fica incontrollabile, costretta all’immobilità, sollevata da qualsiasi scelta o decisione se non prendere tanto cazzo a suon di profondi colpi impietosi. Con l’ultimo affondo esplode una supernova nel mio cervello.
È facile lasciarsi andare a questo orgasmo devastante, un blackout dei sensi da cui riemergere spossata e priva di volontà.

Non c’è storia in questo incontro, sento il pericolo a fior di pelle.
Mi rivesto mentre è sotto la doccia.
L’acqua scroscia ancora e sono in corridoio.
Ascensore.
Reception deserta.
Uscita.
Una vibrazione del cellulare e mi blocco.
“Non abbiamo finito. Prossimo sabato sono qui e tu anche. Bruno.”
Non ho bisogno di rispondere, sono di nuovo bagnata solo all’idea e lui lo sa.
Muovo tre passi verso casa e sento già un lungo guinzaglio attorno al mio collo.
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