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Storia del ragazzo che diventerà Yara Cap. 1


di Membro VIP di Annunci69.it Lorella65Trav
01.08.2024    |    4.826    |    29 9.9
"Anche se le circostanze richiedevano grandissima attenzione e prudenza, ero contento sia di andare a scuola che di giocare con gli altri bambini in un..."
Questo è il primo capitolo della storia di Yara che altro non è che il prologo alla storia stessa e che ho ritenuto di scrivere per inquadrare, al meglio delle mie capacità, i fatti e gli accadimenti che porteranno la protagonista a realizzare il suo più grande desiderio e, quindi, soprattutto, sé stessa.
Purtroppo, nonostante tutta l'attività di editing che ho fatto anche per ridurre al massimo il testo, lo stesso, anche se di poche righe è più lungo degli altri singoli racconti che ho pubblicato e, comunque, per chi vorrà continuare a seguire questa storia troverà in questo capitolo già molte indicazioni del percorso che Yara si accinge a intraprendere.



Il mio nome è Yara ma, quando mia madre mi partorì, mi venne dato il nome di Carlos per il semplice motivo che ero un maschio, si proprio un bel bambino con il “pistolino” tra le gambe che, più di una volta, mentre mi cambiava il pannolino e mi faceva le moine, le inondai il viso con la mia pipì uscita con un forte getto.
Questi episodi me li raccontò mille volte da quando divenni più grandicello e si divertiva tantissimo ed io ridevo insieme a lei.
Mio padre, invece, non era per niente affettuoso con me, anzi era piuttosto rude e scorbutico e sembrava quasi infastidito dal mio arrivo in questo mondo.
Era praticamente inesistente nella mia vita anche perché, tornato dal lavoro e appena dopo cena, usciva per andare all'osteria e ritornava, quando ero già a letto, quasi sempre ubriaco fradicio.
In quei suoi ritorni a casa, sotto gli effetti del vino, spesso lo sentivo urlare a mia madre e altrettanto spesso, sentivo lei gridare e poi piangere a causa delle percosse che sistematicamente riceveva.
La mia era una famiglia indigente e abitavamo in un baraccopoli della periferia di una grande città dove il degrado e i gravi problemi di igiene pubblica si sommavano ai crimini legati alla droga e alla conseguente guerra tra le varie gang per spartirsi il territorio di tutta la città.
Ma, all'interno del nostro legame madre e figlio, non mi mancò mai un solo attimo di amore da parte sua, legame che col passare degli anni divenne sempre più forte e profondo tanto che posso dire che la mia infanzia fu serena e felice nonostante il contesto di quel quartiere e delle botte di mio padre che le infliggeva .
Tuttavia, poiché non si poteva vivere sotto una “campana di vetro”, all'età di otto/nove anni, iniziai ad andare a scuola perché era il sogno che mia madre aveva per me di vedermi affrancato da quella situazione di semi analfabetismo in cui, invece, lei era rimasta non avendone avuto l'opportunità di poter continuare.
Anche se le circostanze richiedevano grandissima attenzione e prudenza, ero contento sia di andare a scuola che di giocare con gli altri bambini in un campetto non molto distante da casa piuttosto maltenuto e malandato e, nonostante non fossi portato nel calcio e per questo raramente mi facevano giocare, per me era comunque motivo di allegria se non addirittura di felicità.
Mi piaceva molto, però, anche stare con le bambine della mia età e con loro mi sentivo molto più a mio agio e mi divertiva vederle gesticolare e parlare come facevano le loro mamme con voci e atteggiamenti così femminili al punto che anch'io iniziai a parlare e gesticolare quasi allo stesso modo.
Passarono cinque anni durante i quali, affascinato da quel mondo femminile nel quale mi trovavo bene, quegli atteggiamenti si fecero più marcati ed iniziai a sentirmi una di loro e a prendere l'abitudine, quando stavo nella mia cameretta, piccola poco più di uno sgabuzzino, ad assumere atteggiamenti sempre più da femminuccia come ad esempio stare seduto con le gambe unite e leggermente chinate di lato mentre appoggiavo le mani sulle mie ginocchia.
Tuttavia, quando tornavo nella piccola cucina nella quale mia mamma era intenta a preparare il cibo, cambiavo totalmente il mio modo di fare ma, purtroppo qualche volta, mi capitava di ripetere con naturalezza quegli stessi atteggiamenti compreso anche un modo di camminare più da femmina.
Mia madre se ne accorse e un giorno, fissandomi dritto negli occhi si fermò davanti a me che ero seduto, proprio con le gambe unite come ero solito fare di nascosto e mi chiese “Senti Carlos, c'è una cosa che è da molto tempo che ti voglio chiedere.”
“Dimmi mamma, è una cosa importante che riguarda papà e te?” le chiesi a mia volta.
“No tesoro, riguarda solamente te.” mi rispose con un leggero tremito nella voce.
“Ho fatto, forse, qualcosa di sbagliato che ti ha fatto arrabbiare?” le chiesi preoccupato.
“Non sono arrabbiata ma c'è qualcosa che tu fai e che io non capisco.” mi disse e poi aggiunse “Ma, dimmi, ti piace andare a giocare a pallone con i tuoi amici? “
“Ad essere sincero, non amo nè giocare con loro nè tantomeno al calcio. Perché me lo chiedi?”
“Allora, forse ti piace di più stare con le bambine? Sii sincero con me, ti prego. E' una cosa molto importante.” mi disse.
“Sì mamma e non posso nasconderti che mi trovo molto più a mio agio con loro.” le risposi con onestà.
“Te lo chiedo perché noto che assumi spesso degli atteggiamenti, come dire... ecco sì...come quelli che hanno loro. Forse ti piace imitarle per scherzo?”
“Perché me lo chiedi, faccio qualcosa di strano? Comunque, no non le imito. All'inizio forse era così ma poco alla volta, quegli atteggiamenti sono diventati sempre più spontanei. ”
“Me ne ero accorta da come hai iniziato a sederti con le gambe unite e con le mani appoggiate sulle ginocchia che non è proprio molto maschile così come non lo è quando cammini ancheggiando leggermente e mettendo un piede dopo l'altro come se seguissi una precisa linea nel pavimento.”
“Cosa c'è di male in tutto questo?” le chiesi con qualche nota di maggiore apprensione nella voce.
“Non c'è nulla di male, è solo un po' strano anche se devo dire che sei elegante nei tuoi passi.”
“In effetti, i miei amici maschi quando sono seduti in un modo per niente fine e quando camminano sono dinoccolati e quasi sgraziati.” ammisi.
“Ascolta, devo farti una domanda davvero molto importante e perciò devi essere ancora più sincero” disse e proseguì “Quando ti guardi allo specchio, cosa vedi o meglio cosa provi?”
Mi vennero le lacrime agli occhi, mi stava chiedendo se nello specchio vedevo Carlos o qualcun altro e mi sentii come se la mia anima si fosse messa a nudo davanti a lei.
“Mamma, non ne sono sicuro ma qualche volta penso che quel corpo che vedo non è il mio.”
“Tesoro, questo che ci stiamo dicendo sarà il nostro segreto più importante e sappi che io sarò sempre al tuo fianco qualsiasi cosa tu mi dica” mi rispose mentre mi accarezzava una guancia.
Scoppiai allora in un pianto dirotto e tra i singhiozzi le dissi “Mamma, perdonami ma credo di sentirmi diverso da tutti gli altri ragazzi della mia età. Lo so bene che non è normale ma io mi vedo e mi sento nel profondo del mio essere, femmina.”
“Tesoro mio, in questo quartiere ma anche in tutto il Paese e in tutto il resto del mondo sono tantissime le persone che, ovviamente non per colpa loro, hanno preso coscienza di essere nate nel corpo sbagliato ma io voglio solo che tu sia felice sempre e comunque indipendentemente dal genere a cui apparterrai. Spero solamente che anche tuo padre riuscirà a capirlo ma onestamente non ho molte speranze al riguardo e temo molto la sua reazione.”
“E come possiamo evitare che non ne venga a conoscenza, mamma? I miei amici già da qualche tempo mi prendono in giro, mi deridono chiamandomi “Charlotte, checca e femminella” e come loro, da qualche tempo, anche le ragazze si rivolgono a me in questo modo.” le risposi mentre calde lacrime mi scendevano lungo le guance.
“Allora, possiamo solo sperare che non venga a saperlo da altre persone cattive come lui e con la sua stessa testa. Ma, per ora, non pensiamoci e teniamo il nostro segreto ben nascosto.”
Da quel giorno, mi permise di comportarmi nel modo più vicino a come mi vedevo e mi sentivo ma con l'impegno che una volta che mio padre fosse tornato a casa, di cambiare totalmente il mio modo di fare ma, come contropartita, volle che io cercassi in tutti i modi di comportarmi da ragazzino nella speranza che fosse solo una fase transitoria quella che stavo attraversando dovuta ad una non ancora esattamente ben definita percezione a quale genere di appartenessi.
Furono mesi bellissimi quelli che seguirono e non potrò mai dimenticare con quanto amore mia madre mi seguì giorno dopo giorno, soprattutto quando ci convincemmo entrambi che non sarei mai cambiato e che, oramai, il mio futuro sarebbe stato quello di diventare donna.
Poi una sera, quello che avevamo tanto temuto accadde quando, rincasando dall'osteria e ubriaco più del solito, mio padre si avventò contro di me urlando come un matto “Tutto avrei potuto immaginare tranne quello di avere un figlio “checca” ma ora ci penserò io a raddrizzarti e a riportarti ad essere un maschio!” e così dicendo si sciolse la grossa cintura di cuoio dei pantaloni, mi sollevò come un fuscello, poi, mi scaraventò sul letto e dopo avermi tolto tutti i vestiti, iniziò a frustarmi sulle natiche e sulla gambe con una forza inaudita.
Le mie grida di dolore si susseguirono per tutto il tempo in cui sentii il cuoio della cinghia che mi percuoteva quasi lacerandomi la pelle “Adesso ti insegno io come ti devi comportare perché tu sei un maschio, non vedi che hai un cazzo tra le gambe e che pisci in piedi?”
Alle miei urla si unirono quelle di mia madre che cercò di fermarlo ma lui totalmente fuori di sé, prese a picchiare selvaggiamente anche lei, prima con la cinghia e poi con calci e pugni a ripetizione “E' tutta colpa tua se tuo figlio si comporta da “checca". Non sei stata capace di insegnargli un cazzo e lo hai anche sostenuto in questa sua follia” e giù altri pugni e schiaffi con tanta di quella violenza che non ormai riusciva più a frenare e che, presto lasciò mia madre col viso tumefatto e con rivoli di sangue che le uscivano dal naso e dalla bocca.
Questa scena si ripeté più volte nel corso della settimana successiva nonostante lei cercasse di spiegargli che la mia non era una malattia o che lo facevo per mancargli di rispetto, ero come tante altre persone che erano nate in un corpo in cui non si riconoscevano ma questa “particolarità” di certo non mi faceva diventare né un criminale né un fenomeno da baraccone.
Ma a quel “padre padrone” non interessava nulla, lui sapeva solo che suo figlio era un “frocio” una “checca” che, prima o poi, sarebbe andato a battere per strada o in casa come tante trans di cui la città era piena e questo lui non lo avrebbe mai consentito e che piuttosto mi avrebbe ammazzato.
“Avevo un figlio ed ora mi ritrovo ad avere una femminuccia e, perciò quel figlio per me è morto e se ne può andare dove vuole e fare quello che vuole!” disse una sera dopo avermi preso a cinghiate ancora una volta e molto più ferocemente.
Decisi allora, nel medesimo istante in cui l'ennesima cinghiata calò sulle mie natiche con nuovi e più vistosi edemi, che avrei lasciato la mia casa per affrontare in piena libertà il futuro.
Abbracciai per l'ultima volta mia madre che mi tenne stretto a sé con disperazione e varcai la porta di casa con tanta paura dell'ignoto destino che mi aspettava ma anche con tanta consapevolezza che se fossi rimasto avrei rischiato veramente la vita a causa della violenza di quell'uomo.
Perciò, con le poche cose che avevo da vestire, lentamente presi la strada che portava in città.
Era una bellissima serata estiva, lontano il sole sostava appena sull'orizzonte del mare sul punto di sparire e lasciare spazio all'incipiente imbrunire ma a me sembrò che fosse un po' indeciso se continuare a scendere o restare lì dov'era, forse per consentirmi di avere ancora la luce necessaria per fare tutta la strada prima di arrivare in città dove erano già in fase di accensione i lampioni e, comunque, c'erano pur sempre accese le insegne dei negozi, dei ristoranti e dei bar dappertutto .
A quella luce mi rincuorai non poco e perciò di buona lena aumentai il passo dirigendomi verso il lungomare che conoscevo abbastanza bene per tutte le volte che eravamo stati, io, i miei amici e le mie amiche a prendere il sole sulla spiaggia.
Vagai senza una meta precisa per una buona mezz'ora incrociando più volte prostitute donne tra le quali alcune davvero belle sia fisicamente che di viso ma anche numerose trans, che sostavano in posti più decentrati e vestite in modo molto più appariscente, e tra di esse ce n'erano molte decisamente splendide, alte, con grandi seni e gambe lunghissime e passeggiavano avanti e indietro sul marciapiedi spesso sculettando vistosamente.
All'improvviso, sfrecciarono a forte velocità due auto della polizia che, a sirene spiegate e provenienti dal fondo del viale, sgommando a più riprese imboccarono la via che avevo fatto una volta uscito da casa.
“Sarà la solita retata che ogni tanto fanno per scoraggiare i pusher e mandare un chiaro messaggio anche ai capi dell'organizzazione.” pensai di primo acchito e, poi, proseguendo nel mio vagabondare per la città, mi sovvenne l'idea di provare a cercare se qualche negozio o bar o ristorante avesse bisogno di un ragazzo tuttofare almeno per raggranellare un po' di soldi per mangiare e cercare un posto letto per poter avere un tetto sulla testa.
Entrai in molti posti ma nessuno aveva bisogno di personale e, soprattutto, non di un ragazzo poco più che 13enne e men che meno di uno senza alcuna esperienza.
Avevo, inoltre, anche molta fame visto che ero a digiuno da molte ore e, perciò, controllando quanti soldi avevo in tasca, decisi di entrare in un piccolo bar un po' fuori mano, con la speranza che non avesse prezzi troppo alti per le mie tasche.
Il bar era praticamente deserto, le uniche persone sedute ad un tavolo a mangiare un toast e bere una birra erano due trans che parlottavano tra di loro, forse di come andava la serata di lavoro, mentre il barista, invece, era intento a lavare e sistemare i bicchieri dietro il bancone.
Ad un certo punto, da una TV cittadina venne data la notizia che in uno dei quartieri periferici tra i più malfamati, c'era stato un omicidio/suicidio di una coppia. Dalle prime notizie, diffuse dalle forze dell'ordine, sembrava che una donna avesse ammazzato il marito, un uomo violento che spesso, ubriaco picchiava brutalmente la moglie e, negli ultimi tempi, anche il figlio poco più che 13enne oltre ad essere spesso protagonista di risse con altre persone per futili motivi.
Secondo una prima ricostruzione dei fatti, si riteneva che la donna lo avesse ucciso con un pesante corpo contundente e, poi, appena dopo si fosse gettata dalla finestra ponendo fine alla sua vita. Da alcune testimonianze di vicini di casa, sembrava, infine, che il figlio, si fosse allontanato da casa poco più di mezz'ora prima della tragedia e non si sapeva né dove si trovasse in questo momento né se fosse venuto a conoscenza di quello che era successo.
Al sentire quella notizia, mi si gelò il sangue nelle vene e temetti che il fatto si riferisse ai miei genitori e, istintivamente, pensai di correre a casa ma, quando poco dopo, il giornalista fece i nomi delle due vittime, che erano proprio quelli dei miei genitori, scoppiai vistosamente in lacrime.
“Che ti succede, piccolo?” mi chiese una delle due trans che si era alzata e avvicinata a me, poi, guardandomi con attenzione mi chiese “Ma tu sei Carlos, allora? Io ti conosco da quando sei nato e conoscevo anche i tuoi genitori, anche se solo di vista. Io sono Estrella e abito poco lontano dalla tua casa. Tua mamma era proprio una brava donna e, secondo tutti i vicini di casa, non meritava un uomo così violento come, purtroppo, era tuo padre e che lo fosse, addirittura, anche con te”
Le risposi di sì, che ero Carlos e che ero disperato per tutto quello che era successo e, sopra ogni cosa, per quello che mia madre aveva fatto per porre fine alla sua vita e che, adesso, ero solo al mondo.
“Ma non hai qualche parente che possa prendersi cura di te?” mi chiese.
“Non ho alcun parente di cui mi fido e, comunque, avevo già deciso di tagliare i ponti con tutti. Vorrei solo diventare invisibile o, meglio ancora, cambiare nome e cognome e diventare un'altra persona affinché tutti mi considerino sparito nel nulla.”
Lei mi guardò a lungo, poi mi disse “Forse io potrei esserti d'aiuto nel farti sparire e farti diventare una nuova persona.”
“Davvero?” le chiesi trepidante.
“Sì e te lo dico per esperienza diretta. Anch'io come te sono andata via da casa e non sono mai più ritornata perché i miei genitori non accettavano di avere un figlio che sognava di diventare donna e, da quello che qualcuno del quartiere diceva, anche tu sei com'ero io alla tua età.”
“A te lo posso dire e confermare, visto che è vero quello che hai detto. Sì, io mi sento di essere nato nel corpo sbagliato e mia madre se ne era accorta da come gesticolavo, parlavo, come camminavo e come mi sedevo ma mi aveva accettato per come ero e per l'amore che aveva per me. Parlarmi, però, del modoin cui potresti aiutarmi perché non so proprio cosa fare” le dissi.”
“Beh, conosco un signore che da moltissimi anni ha preso a cuore i ragazzi e le ragazze che si trovano in una situazione come la tua. E' un uomo molto distinto, ricco e vive in una splendida villa nei dintorni della capitale. Se vuoi, posso chiamarlo e parlargli di te e sono sicura che ti accoglierà con piacere e realizzare il tuo più grande desiderio di cui mi hai parlato.”
“Quello di diventare un'altra persona?” le chiesi con crescente interesse.
“Esattamente, come è già successo a molti.” mi rispose.
“Sarebbe bello, mi sembra di stare in un sogno. Sono stato fortunato ad incontrarti stasera, forse tutto quello che è purtroppo successo, si potrà trasformare nella realizzazione del mio sogno.”
Prese il cellulare e uscì dal bar, evidentemente per non far sentire ad altre persone la telefonata. Dopo una decina di minuti, tornò sorridente “E' fatta. Il Professore, così viene chiamato, ha detto che vuole conoscerti e, perciò, manderà subito due suoi collaboratori, che sono già da queste parti, a prenderti con l'auto e, nel giro di un paio di ore, sarai nella sua villa. Nel frattempo, ti faccio preparare un paio di toast e una bibita, così almeno mangi qualcosa.”
“Grazie Estrella, sei un angelo.” le dissi con fervore.
“Ricordati che il tuo vero angelo era la tua mamma, promettimi che la ricorderai per sempre. Io sono solo una persona amica che ti vuole aiutare e, spero, che resteremo amici anche nel futuro.”
Nel giro di quindici minuti, mentre stavo finendo di bere l'ultimo sorso di bibita, le squillò il cellulare.
“Sono arrivati e stanno ad aspettarti nella seconda stradina a sinistra del viale appena esci dal bar, io per non dare troppo nell'occhio, non ti accompagnerò ma ti seguirò con la sguardo. Adesso esco e fra due minuti esci anche tu, ok? Ti auguro tutto il bene che meriti ma non ci sarà più la possibilità di vederci o sentirci al telefono ma, spero che un giorno, magari fra qualche anno, ci incontreremo ancora. Ciao, piccolo!” mi disse con affetto.
Aspettai che uscisse, e poi come mi aveva detto, due minuti dopo uscii anch'io e lentamente, ma col cuore in gola, mi avviai verso il luogo dove mi aspettavano i due collaboratori del Professore e mi aspettava anche la mia nuova vita.
Quando arrivai nella stradina, mi lampeggiarono con i fari, mi avvicinai velocemente alla lussuosa auto di grossa cilindrata ed entrai sul divanetto posteriore.
Davanti erano seduti due uomini vestiti in modo elegante, ci salutammo a vicenda e, subito la macchina partì.
Due ore dopo, eravamo davanti al cancello di ingresso della villa, percorremmo un lungo viale con qualche curva fino a quando, all'improvviso, apparve una splendida villa probabilmente ottocentesca alta almeno tre piani e larga più di venti metri.
Entrammo tutti e tre nell'immenso salone, arredato da mobili antichi e divani più moderni e con le pareti piene di quadri, di cui molti di grande fattura e al centro del salone, un bellissimo e grande caminetto rendeva il tutto molto armonioso e accogliente.
I due, ad un certo punto, si allontanarono sparendo attraverso una porta laterale e, qualche secondo dopo, un elegante signore, intorno ai 60/65 anni, uscendo da un'altra porta lentamente si avvicinò a me sorridendo.
“Ben arrivato nella mia modesta casa. Sono lieto di averti qui e sono molto grato alla mia cara amica Estrella che ti abbia segnalato a me.”
“Anch'io sono lieto di fare la sua conoscenza, Professore e sono sicuro che mi troverò benissimo in questa splendida villa e la ringrazio fin da adesso per quanto vorrà fare per me e le prometto che sarò eternamente suo debitore e riconoscente.” gli risposi forse con eccessivo calore.
“Bene! Adesso, però, vieni con me e ti farò vedere dove dormirai e, se sono ancora svegli, ti presenterò agli altri ragazzi e ragazze che sono già nostri ospiti. Poi ti fai una bella doccia e troverai tutto quello che ti serve, secondo il tuo orientamento di genere, dalla biancheria intima a qualche vestitino e molte altre cose.”
“Sono contento che ci siano altri ragazzi e ragazze che spero che siano tutti/e come me.”
“Sono sicuro che diventerete grandi amici. Domattina, poi, ti spiegherò le regole che devono essere rispettate e, infine, da questo momento ti chiamerò “Tredici” in attesa della nuova identità che più avanti ti procureremo, poi, ti sceglierai tu il nome che più ti piace e da quel momento sarai una persona assolutamente nuova.”
Lo seguii, quindi, all'ultimo piano della villa. Era una immensa mansarda che prendeva gran parte di quel piano e la prima cosa che vidi, fu un lungo corridoio con una decina di porte suddivise una di fronte all'altra.
Me ne indicò una che era la penultima a destra “Quella sarà la tua stanza, vieni che te la faccio vedere e spero che ti piaccia.”
La stanza era grande e bellissima e arredata con gusto a partire dal letto di una piazza e mezza, in perfetto ordine con un grande cuscino e una leggera copertina con sobri colori, alla scrivania piuttosto ampia con tanti cassetti ed un notebook di ultima generazione collegato alla fibra ottica e, di fianco, una nuovissima stampante wireless mentre, sul lato sinistro del letto, un armadio molto capiente a tre ante e, con un grande specchio su quella centrale, prendeva gran parte della parete sia in lunghezza che in larghezza.
Alle pareti, molte acqueforti rappresentanti scene navali, paesaggi con sullo sfondo piccoli angoli di paesi e qualche ritratto di donna, rendevano la stanza particolarmente “colta”.
Infine, appena di fianco all'altro lato del letto, una porta attraverso la quale si accedeva alla stanza da bagno nella quale un grande specchio sovrastava uno splendido lavabo incassato in un moderno mobile mentre, sulla parete opposta, dava mostra di sé un bellissimo box doccia semicircolare con ante scorrevoli e silenziosissime.
“E' bellissima, Professore. Non ho mai visto nulla di più bello in tutta la mia vita!” esclamai.
“Sono felice che ti piaccia cosi tanto e sono sicuro che tutto ciò potrà contribuire a farti stare nel migliore dei modi per tutto il tempo che trascorrerai qui con noi e con i tuoi nuovi amici. Si è fatto molto tardi e tu hai sicuramente bisogno di farti una bella doccia che ti porti via tutti i cattivi pensieri che sicuramente ti hanno investito oggi. Domattina, ti aspetto nella sala della colazione e lì conoscerai gli altri ragazzi, sono simpatici ed anche molto affettuosi e sono certo che diventerete grandi amici.”
“Lo spero tantissimo, ho un gran bisogno di sentirmi tra amici e sono fiducioso che sarà così. Grazie Professore, a domattina allora.”
Appena uscì, mi fiondai sul letto, ero stremato da tutto quello che era successo ma anche felice di come stessero andando le cose.
Stetti per qualche minuto a godermi la morbidezza del letto, poi mi alzai e aprii l'armadio per vedere se c'era qualcosa di carino da mettermi l'indomani mattina.
Le ante erano piene di vestiario appeso alle grucce ed i cassetti straripavano di biancheria intima ma, insolitamente, tutto quello che vedevo era femminile.
“Forse il Professore mi ha dato la stanza sbagliata.” pensai subito ma, non mi sembrava il tipo che si potesse sbagliare così tanto facilmente.
“Allora, se non si trattato di uno sbaglio, questo vuol dire che tutte queste bellissime cose sono proprio per me!”dissi tra me e me con un misto di preoccupazione ma anche di contemporaneo interesse nel pensare che, in fin dei conti, visto che ero una femminuccia, non era forse quello che avevo sempre sognato di poter indossare?
Mi denudai completamente, poi andai nella stanza da bagno e, finalmente per la prima volta in vita mia, mi godetti l'acqua poco più che tiepida che scrosciava dal soffione.
Mi stavo asciugando con un bellissimo accappatoio quando, all'improvviso sentii un leggero bussare alla porta.
Pensai che fosse il Professore che era tornato per dirmi che si era sbagliato nell'assegnarmi la stanza e, perciò, mi precipitai alla porta aprendola lentamente.
“Ciao!” mi disse sottovoce il ragazzo che vidi “Scusami, lo so che è tardi ma morivo dalla voglia di vedere il nuovo arrivato. Sto solo un attimo e poi ti lascio andare a letto ché sarai molto stanco.”
“Ho appena fatto la doccia e un bel po' di stanchezza è andata via, perciò mi fa piacere fare due chiacchiere con te. Poi, domani avremo tutto il tempo per conoscerci meglio sia con te che con gli altri ragazzi.”
Entrò e lo vidi meglio perché in corridoio erano accese solo le luci notturne e solo allora mi accorsi che aveva i capelli lunghi fino alle spalle e indossava una camicia da notte leggera e anche un po'” trasparente attraverso la quale si intravedeva la sagoma di un seno piccolo ma ben fatto e con due capezzoli che spingevano la stoffa.
Mi sembrò, a quel punto, di essermi sbagliato nel pensare che fosse uno dei ragazzi di cui mi aveva parlato il Professore.
“Grazie” mi disse e poi aggiunse “Ti vedo un po' meravigliato per come sono vestita ma ero già a letto quando ho sentito forte l'impulso di venire qui.”
“Scusami se ti ho guardato un po' meravigliato. Non è nel mio carattere essere scortese.” dissi.
“Non c'è nulla di cui tu ti debba scusare. E' che sono in fase di transizione e questo è il risultato, almeno per il momento, dell'assunzione degli ormoni femminili in base al programma che i medici che mi stanno seguendo, mi hanno prescritto.” mi rispose con garbo.
“Nel senso che sei seguita da uno staff medico?” le chiesi.
“Certo! Il Professore è un uomo molto ricco e potente e nessuno, o per soldi o per rispetto del suo potere, si è mai rifiutato di prestare la propria opera e ti garantisco che quelli che ci seguono, sono tutti degli eccellenti esperti. A proposito, scusami se non mi sono ancora presentata, io sono “Nove” che è il nome che mi ha dato il Professore ma, quando la cura a base di ormoni avrà dato i risultati che tutti ci aspettiamo e sarò diventata una femmina a tutti gli effetti, sarò poi io a scegliere il nome che mi accompagnerà per tutta la vita.”
“A me, invece, ha dato il nome “Tredici”, questo vuol dire che ci sono altri tre ragazzi tra me e te?”
“Si, è proprio così. Domani conoscerai anche loro, ciascuno sta in una fase diversa della cura ormonale e sono tutte contente di vedere, giorno dopo giorno, come il loro corpo si sta trasformando soprattutto per quanto riguarda la distribuzione del grasso che si deponendo nelle parti del corpo là dove le donne genetiche ce l'hanno per natura.”
“Scusami se te lo chiedo ma capirai che la cosa mi interessa moltissimo e, ovviamente se puoi dirmelo senza incorrere in qualche infrazione alle regole che il Professore mi ha detto che domattina mi illustrerà e che dovranno essere rispettate totalmente.” le chiesi.
“Prova a farmi la domanda che ti sta tanto a cuore e, se posso darti una risposta senza violare le ferree regole, lo farò volentieri.”
“Vorrei sapere, cosa succede al termine di questo percorso che, sicuramente, dovrò fare anch'io.”
“E' una domanda giusta e legittima ma, credo sia meglio che te lo dica lui.” mi rispose e, poi concluse dicendomi.
“Adesso, però, devo proprio andare. E' molto tardi e domattina alle otto in punto, c'è da andare a fare la colazione e la puntualità è una delle prime regole che vanno rispettate. Posso abbracciarti per darti il benvenuto e la buonanotte?” mi chiese con un'espressione nel volto già molto femminile.
“Certo! Sei una brava ragazza e, soprattutto, molto bella e affettuosa. Sento che diventeremo grandi amiche e che mi affiderò completamente a te.”
Mi abbracciò, allora, con trasporto ed io ricambiai stringendola forte a me ed io sentii il suo seno che premeva sul mio torace e che mi procurò un ondata di piacere e di tenerezza nei suoi confronti. Poi si avvicinò alla porta, mi lanciò un bacio con la mano ed uscì.
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