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(52) Giorno perfetto: musica, ortaggi, carne


di Membro VIP di Annunci69.it remigiuslp
20.07.2024    |    3.525    |    8 9.0
"“Poi non riuscirei più a indossare questi pantaloni!” Puntò l’indice esattamente al centro del mio paccone e diede due affondi decisi: “ti stanno stretti già..."
Quando la classe non è acqua. Adoro questo finocchio a tariffa: riesce a raccontare le sue più degenerate avventure, dividendole per categoria, senza usare una - dico una! - parola sconcia o volgare che dir’ si voglia. A Voi.

LA MUSICA
Mi bruciava, nonostante l’abbondante gel professionale e la mia abitudine, anzi assuefazione ad accoglierne di tutte le consistenze e misure.
Avrei voluto vedere voi, alle prese con uno sfegatato di musica classica, mega-stereo da 500 Watt per canale e l’offerta - con tanto di programma redatto su cartoncino pieghevole - di un incredibile concerto in quattro tempi.
I: ‘allegro’, saltarello veloce di manina su ‘Danze ungheresi’ di Brahms (io seduto accanto a lui).
II: ‘con moto’, soffiatina di flauto su ‘Marcia di Radetzky’ (io inginocchiato davanti a lui).
III: ‘andante’, poderosa ‘Cavalcata di Valchirie’ (io seduto su di lui).
IV, gran finale: ‘allegro vivace’, ouverture del ‘Guglielmo Tell’, galoppo su materasso, (io prono sotto di lui, sigh!).
Strumenti, due: trombone a tiro (il suo) e mandolino (il mio, doppio sigh!).
Risolsi in ogni caso di soffrire un po’, in cambio della sommetta che avevamo concordato, decisamente fuori dall’ordinario. Ma lo erano state indubbiamente anche le sue dimensioni e le mie prestazioni.

GLI ORTAGGI
Vagamente claudicante raggiunsi la fermata dell'autobus che però mi passò letteralmente davanti al naso. Era un grosso problema: prossima corsa al mattino, impossibile tornare dal musicofilo in attesa della moglie. Ma poteva andare peggio: poteva piovere. Infatti cominciò a piovere.

Sconsolato, in piedi sotto la pensilina, quando una vecchia station wagon stile francese con ticchettante e puzzolente Diesel si accostò. Non ero predisposto per un altro ‘avventore’ e comunque l’auto non è un ambiente a me confacente.
Invece era semplicemente l’offerta di un passaggio: la sua destinazione non corrispondeva del tutto alla mia ma dove andava lui avrei sicuramente trovato un altro passaggio, assicurò.
Accettai dunque di posare le mie mele ancora doloranti sul sedile decisamente sporchetto, con varie macchie di dubbia provenienza. L’autoradio gracchiava sottovoce musiche balcaniche mentre, appesi allo specchietto, pupazzetti di danzatori apparentemente bulgari saltellavano goffamente.
Tant’è: nel mio mestiere si incontra di tutto.

Come mi ero agghindato quel pomeriggio, per andare dal direttore d’orchestra pazzo e farmi anal-izzare da quel bestione che mi aveva sfasciato tutto? Ma che domande, bimbi miei cari: i formidabili jeans superstrettissimi, senza dubbio rosa shocking, quasi una seconda pelle sulle mie gambette ad asparago, forgiate da ore e ore di cyclette ed esercizi vari, sugli spicchi d’aglio dietro me, con quelle fossettine laterali che fanno impazzire nugoli di anziani, diciamo euforici. Ma soprattutto sul mio pezzo forte: se da dietro posso essere scambiato per un adolescente, il lato ‘A’, in totale contrasto con la mia figura esile, è un importante gonfiore, un generoso cavolfiore che tradisce le dimensioni delle sottostanti cipollone e della melanzana a corredo, il tutto ulteriormente potenziato da un anello in caucciù attorno ai suddetti bulbi, largo due dita. Perché sapete bene che con me potete avere servizio completo!
Sopra? Una t-shirt coordinata semplice semplice, con solo un ricamino di fili brillanti sul petto, vagamente riproducente due ravanelli e un fagiolo. Troppo esplicito? Ma no, dolcissimi, ‘honni soit qui mal y pense’: è un invito a consumare questi ortaggi sani e saporiti! Ovviamente cappello in rafia bianca simil-‘Borsalino’, occhiali appena scuri ‘à la page’ e un filo di mascara sulle ciglia.

Comunque, partita la bagnarola, avevo dato un’occhiatina veloce all’uomo al volante: baffoni selvaggi e un sigarone spento fra le labbra. Camicia a quadretti, gilet da villico e bragacce larghe. Contrariamente agli interni del veicolo però, sembrava pulito e curato, addirittura profumato!

Dopo un po’ esordì con un: “Sei tutto chic ragazzo, eri dalla fidanzata?”
“Veramente no… cioè, non proprio fidanzata.”
Rise con voce roca: “capito, l’amichetta per giocare al dottore!”
Risposi: “una cosa fra uomini, più ‘strutturata’”.
Non avevo capito se avesse capito e in quel caso volevo fargli capire che per farsi un giro c’era da ‘mollare almeno un deca’.
Aggiunsi, per sviare eventualmente il discorso: “anche lei è elegante!”
Spallucce e tono svogliato: “niente di che, un funerale.”

Passati altri minuti, senza preavviso, protese la mano destra, la appoggiò a metà della mia coscia, scivolò giù e la strinse: "ci credo che non trovi ragazze, sei proprio magretto! Vieni una settimana da me e ti rimpinzo come si deve.”
Non so perché: fosse stato un altro lo avrei fermato, magari anche in malo modo, ma questo bonaccione ispirava simpatia.
“Poi non riuscirei più a indossare questi pantaloni!”
Puntò l’indice esattamente al centro del mio paccone e diede due affondi decisi: “ti stanno stretti già adesso. Questo qui dentro, poverino, mi sembra in sofferenza!”
Per un secondo pensai di ribellarmi ma non mi pareva proprio del genere ‘vecchio sporcaccione’: infatti si ritirò e tornò taciturno, quasi pensieroso.

Purtroppo quel tocco e il cervello autonomo di cui era dotata la mia carotona cominciarono a risvegliarla. L’involontario aumento di volume sotto le tiratissime trame del mio jeans divenne progressivamente doloroso ma non potevo certo fare nulla; riuscii solo a darle un paio di spintine per srotolarla un po’ e permetterle almeno di allungarsi.

Improvvisamente partì nuovamente un braccio e con un affondo secco e deciso delle dita a lama si infilò sotto il mio posteriore, stringendo appena un mio meloncino.
“Eh, eh, pure qui manca di ciccia! Una bella cura di bistecche ti ci vuole a te, altroché!”
Nuovamente il modo, la battuta e la sensazione che non fosse una palpata vogliosa furono una folata di buonumore.

Tacque nuovamente mentre il mio cetriolone non ne voleva sapere di calmarsi: scalpitava e pulsava imbizzarrito, ingabbiato come era.
Stavo per chiedergli di fermarci un momento.
“Se non hai fretta di tornare, ti offro la cena. Dove andiamo è una locanda, si mangia bene e c’è sempre un clima allegro. E lì è più facile trovare un passaggio per te. Cinque minuti e ci siamo.”
Approvai con un gesto.
Il suo palmo atterrò nuovamente sulla mia anca: “E vai! Una bella mangiata così tiriamo su un po’ di carnetta anche qui!”

Di fatto fu solo una carezza ma il mignolo sfiorò malauguratamente il broccoletto in cima al mio stelo: non lo avesse mai fatto! Cercai di azionare tutti i miei tendini, muscoli e quant’altro ma era troppo: alcune scosse, varie onde, un mio soffocato “gggnnnhhh! gggnnnhhh!” e il succo cominciò a sgorgare a fiotti, invadendo immediatamente e irrimediabilmente tutti gli spazi sotto il tessuto teso, dilagando fin sotto: era alcuni giorni che non svuotavo il ‘sacchetto’.

Poco dopo svoltammo per fermarci in un piazzale dove campeggiava una scritta luminosa: ‘Ristorante con alloggio, aperto 24 ore’.

Sul mio basso ventre era vistosamente disegnato l’irregolare cerchio del disastro che si era consumato sotto le fibre; facevano addirittura capolino alcune bollicine bianche.
Fortunatamente avevo con me la ‘borsetta attrezzi’, sufficientemente grande da coprire quasi tutto il campo di battaglia. Entrati nell’ampio locale la tenni ben appoggiata a me e risolsi di non andare in bagno per due ottimi motivi: uno, avrei solo potuto constatare che slip e pantalone non avevano arginato l’alluvione; due, correvo il rischio di essere agganciato da un avventore fra cui - visto il tipo di esercizio - certamente camionisti, notoriamente amanti di un genere come il mio.

Chiesi e ottenemmo un tavolo un po’ discosto dagli altri. E qui la serata prese tutta un’altra piega.

LA CARNE
Venne a servirci un ragazzotto con un caschetto di capelli neri e folta frangia fino quasi a coprire le spesse sopracciglia.
Di media statura, degli attillati jeans rossi valorizzavano il fisichino, un pacchetto anteriore con un salsicciotto in bella evidenza, labbra carnose, sicuramente ideali per un sano e saporito pinzimonio per il mio sedanone, il quale sussultò quando - voltatosi per andarsene - potei ammirare le due perfette polpette in fondo alla schiena: sarebbe stato un bel capretto da girare allo spiedo.
Si aggiunsero altri due tipi vagamente strambi così, fra battute e brocche di vino, la compagnia fu decisamente spassosa.
Certo, il continuo andirivieni di quel camerierino provocò una nuova, dolorosa attività sotto la mia cintura e un abbondante rilascio di succo preparatorio.

Anche le migliori cene però terminano e ancora non si era trovato un buon samaritano che potesse permettermi il ritorno a casa.
“Sono troppo brillo per proseguire, ho preso una camera fino a domani mattina; se ti va, fai una bella dormita anche tu e prendi la corriera che passa alle 8.”
La soluzione non mi dispiacque: anche io ero alticcio, necessitavo di una lavata e magari dare una sciacquata al ricordino rimasto sul jeans.
E se anche quel particolare figuro avesse voluto visitare il mio orto, glielo avrei concesso.

Invece il suo russare sonoro iniziò quando ero ancora sotto la doccia.
Mi coricai accanto all’omone e, immaginando vari modi di cucinarmi il vitellino della sala da pranzo, mi abbandonai al sonno.
E in sogno subito mi apparve: sopra di me, il suo muscoletto stretto attorno alla mia zucchina gonfia all’inverosimile, affiancato da quella coppia di mortadelline sode e piene sotto le quali aprire i palmi per accompagnare il lento e completo saliscendi. Ecco, questa la pietanza da me preferita!
E come da ragazzi mettevamo una fetta di fegato in un bicchiere e ci infilavamo poi i nostri piccoli topinambur per simulare un coito - io certo non con le femminucce! - così sentivo quell’accogliente salamella avvolta attorno e scorrere sul mio porro in pressione totale.

Non aprire gli occhi, non aprirli perché la meraviglia terminerebbe! E invece le palpebre si sollevarono testarde. Ma incredibilmente la visione onirica proseguì!
Anzi era realtà! Un risucchio risuonava nella stanza: era lui, accucciato sopra me in movimento con estensione e ritmo perfetti e con la bocca piena della fava lunga e fina del campagnolo.

La notte sembrò non voler terminare, tante e diverse furono le portate. Fu maialino insaziabile, cotto nei modi più diversi - spiedo, griglia, arrosto - farcito sopra e dietro dei nostri sughi e ricoperto dei brodi. Ma anche torello, capace di sbattermi con il suo rigido salame quasi a farmi diventare passato di verdure.

All’alba, sfiniti e vuotati di ogni secreto, convenimmo sull’assoluta compiutezza di quel banchetto, grazie al sapiente e armonioso connubio di vegetale e animale.
Anche il conto venne presto onorato: i due cuochi compensavano le rispettive parcelle… e pranzo gratis per l’autista come prassi.

Luglio 2024


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