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(5,1) Secoli bui: 1 - Il Diritto del Barone
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07.07.2024 |
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"Dopo un breve confronto, costui mi ha presentato un importante ‘argomento’ per cui ho accettato e anzi lo ringrazio per avere ‘colmato’ il mio dubbio e..."
Primo avviso ai lettori: mi scuso per i contenuti altamente scabrosi di questo e degli altri due testi con lo stesso titolo. Secondo avviso ai lettori: il proprietario di questo profilo - ‘remigiuslp’ - ha gentilmente acconsentito a pubblicarli per offrire una visibilità al mio bisogno. Ha in seguito concesso la divulgazione di un ulteriore scritto di ALTRO autore che inizialmente ritenevo ridicolizzasse i miei. Dopo un breve confronto, costui mi ha presentato un importante ‘argomento’ per cui ho accettato e anzi lo ringrazio per avere ‘colmato’ il mio dubbio e risolto il mio dilemma.
Il documento è stato ritrovato nella biblioteca della mia famiglia, si compone di due manoscritti su altrettante pergamene e così diviso lo presento.
È fra i più antichi della raccolta, riporta un episodio accaduto probabilmente ad un mio avo e potrebbe spiegare l’origine del titolo ‘Insigne I.P.S.’, del quale da tempo immemore i discendenti maschi si fregiano.
Stiamo cercando di individuarne epoca esatta e autore, oltre a farli trascrivere in forma e linguaggio moderni.
Qui la versione originale, solo in alcuni punti modificata per renderla meglio intellegibile, visto l'italiano piuttosto arcaico; non appena disponibile pubblicheremo quella ‘aggiornata’ da un esperto, condensata e di più facile comprensione.
* * *
Cotesta historia narra de li grami tempi allorquando vassalli, valvassori et valvassini, da lor sudditi balzelli pretendean, per accumular ricchezze e satollar la panza. Ma tapini loro, ‘Servi della Gleba’, ancor appetiti ben diversi dovean talvolta saziare.
Vi era fra le terre del Principato una Baronia, con campi dorati di grano e altri di verdure e frutta, le più diverse e variopinte.
Mostravasi come idillio al cavaliere viandante che alla locanda del villaggio scese quel dì, per ristorarsi e riposar le membra dalle tante leghe percorse.
All’ora del crepuscolo poté deliziarsi ancor più, essendovi una festa per le nozze del primogenito dell’oste con graziosa pulzella, figlia di contadini, poveri ma puliti e certamente probi.
Le famiglie intere eran raccolte, vino speciale dalla botte, la migliore, riempita al battesimo del rampollo e invecchiata con premura per quasi quattro lustri. Amorevoli mani cibi squisiti avean preparati, musica e danze rallegravan gli sponsali.
Tutto parea in armonia e letizia finché, poco dopo il calar del sole, l’uscio con violento colpo dall’esterno venne spalancato: eran due guardie del Barone.
Era egli un reggente saggio e mite di quella plaga ma vi era ahimè sopra di lui un Principe il quale, fra le sue mascalzonate, coltivava l’usanza di esigere, quale ulteriore tributo dai propri sottoposti duchi, marchesi e pure baroni, qua e là, ogni qualche mese, fanciulla vergine o donna piacente reperita fra il volgo. Esse ben tornavano salve alla propria magione ma nulla o quasi raccontavano ad anima cristiana, serbandone segreto per il gran disonore.
Dunque, dopo il fragore, lo sbirro più anziano con occhi di brace l’intera congrega fulminò, alfine orizzontale un braccio sollevò e l’indice dal pugno spiegò, per segnare la vittima stabilita.
Ma non era - come più d’un lettore intende ritenere o prevedere - il bersaglio del dito teso a guisa di freccia la fresca sposina né l’attempata ma ancora desiderabile locandiera - per tacere delle altre presenti! Trattavasi del giovin testé maritato! Prelevato e su un destriero caricato, sparì sulla strada che menava al castello.
Non vi dico lo sgomento, i pianti, gli strepiti di parenti e presenti.
Calmatisi un poco e congedatisi i più, fra i familiari restati principiò rumorosa ridda di commenti, illazioni e supposizioni: voci e dicerie le quali - come ben si sa, allor come oggi - quasi bisce e serpenti fra il popolino ignorante volentieri strisciavan.
Uno, dichiaratosi più erudito degli altri, affermò esserci Legge - appellata in antico latino ‘ius primae noctis’ - per la quale fosse diritto dei signori approfittare dei favori di una sposa la prima notte di nozze in luogo del consorte. Fu prontamente deriso e smentito perché evidente non esser femmina il rapito!
Un altro, ben informato da un cugino dello zio di un paggio di corte, riportò esser nell’ambiente ben noto che sia Barone che Baronessa fra loro non praticavano se non per proseguir la schiatta mentre nel letto si divertian unicamente con proprio rispettivo sesso.
Come fare per chiarir la faccenda?
Ebbene: la penna che verga il presente racconto di altri non è se non del protagonista. Passati sono ormai tanti anni e intendo lasciar testimonianza di questa mia storia, per chi avesse clemenza di leggerla per intiero, anco perché essere origine diretta di successiva prebenda.
Or l’inverno è calato sul mio viso, a quel tempo vent’anni ancor non avevo, ben poco sapevo della vita e quasi solo le dottrine della religione mi guidavano.
Dunque, dopo breve galoppo fui introdotto negli appartamenti del Nobiluomo, dove un servitore liberommi delle vesti e in un tino di calda acqua profumante speziati aromi mi immerse per compiere accurate e approfondite abluzioni. Fra queste, di una particolare tener riserbo preferisco.
Poscia, così come madre mi avea generato, mi trovai prono sul maestoso talamo al centro della stanza con grande lenzuolo posato su me. Il cameriere si chetò poscia in un cantone.
Nonostante gentilezza del domestico, eleganza degli arredi, tepore delle fiaccole alle pareti e piacevolezza della biancheria, grande era la mia paura, anzi terrore!
L’attesa fu breve: la porta cigolò, passi pesanti si appropinquarono e subito poscia senza veli rimasi.
Voce maschile parole di apprezzamento borbottò ma ciò non ebbe l’effetto di lenire mia inquietudine: un tremore percorreva le intere mie membra.
Lentamente corpo di uomo mio sovrastò coprendomi, ignudo a sua volta: era senza fallo il Barone. Sfiorò inizialmente la mia pelle glabra con la sua assai villosa, indi calò l’intero suo peso su me. Dovetti riconoscere un certo sollievo, dappria dato dal suo calore, presto aumentato da umida sensazione sul lobo di un orecchio. Eran sue labbra e sua lingua che tosto presero a giocarvi mentre a tratti mi regalava parole di complimento e compiacimento.
Tutto ciò in me sedò parzialmente il subbuglio e mi lasciai ancora andare alle ampie, anche se un po’ rudi carezze di cui gratificò mie spalle, bracci e fianchi. Seguiron baci e leccate, umettate distribuite con perizia estrema, trasformando ben presto i miei palpiti in fremiti di una certa soddisfazione.
La ragione venne però a guastar questo mio pur parvo godimento: non eran lecite effusioni di tal sorta fra chi non fosse legato da vincolo sacro, né - ancor peggio e contro natura - fra individui di egual sesso! Cominciai a immaginare le vampe dell’Inferno che il nostro Curato la Domenica, qual punizione per atti e pensieri impuri, di descriver non mancava.
Mi accorsi poi come di un serpente, fra mie gambe e natiche strette, che strada si facea. Ma guai se testé mi fossi ribellato, guai! Lasciai dunque che egli esplorasse l’intera mia schiena, giungendo financo su cosce e poi caviglie. Ebbi però vieppiù sensazione essere delicatezze anche a me rivolte, quasi a cercare un piacer comune. Ne ebbi quasi certezza quando le sue dita, forti bensì delicate, giunsero alla parte di me solitamente più nascosta, dove il sole giammai batte.
Terminato qui è lo spazio ma già feci preparare altra pergamena, scelta fra le migliori per assicurar a questa considerevole vicenda giusta discendenza.
Luglio 2024
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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Commenti per (5,1) Secoli bui: 1 - Il Diritto del Barone :
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