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Echi di Carne: Il Richiamo del Vicino - Cap 1


di matteol77
29.09.2024    |    3.537    |    4 8.7
"Non sono la vostra cazzo di bambinaia..."
# Capitolo Uno - La Casa in Affitto

Peter e Oliver si trovarono di fronte alla porta scrostata del numero 13 di Oak Street. L'edificio, una casa a schiera vittoriana di tre piani dal mattone rosso annerito e sgretolato, sembrava gemere sotto il peso degli anni e della trascuratezza.

"Eccoci qua," mormorò Peter, stringendo la mano di Oliver. "La nostra prima casa insieme."

Oliver annuì, un sorriso nervoso gli increspava le labbra. "Speriamo solo che il proprietario non sia peggio dell'aspetto del palazzo."

Come evocato dalle loro parole, la porta accanto si spalancò con un cigolio stridente. Ne emerse una figura tozza e robusta: il signor Brown, il padrone di casa.

L'uomo avanzò verso di loro con passo pesante, il respiro affannoso che usciva a sbuffi dal suo petto cavernoso. La sua camicia sbottonata, tesa sul ventre prominente e tondeggiante da bevitore incallito, rivelava ciuffi di peli grigi che spuntavano come erbacce tra i bottoni sforzati.

"Voi due siete i nuovi inquilini, eh?" grugnì, squadrandoli dalla testa ai piedi con occhi acquosi e sospettosi. Le sue mani enormi e callose si contrassero, come se stesse valutando se stringere loro la mano o cacciarli via a spintoni.

Peter deglutì, cercando di mantenere un tono cordiale. "Sì, signor Brown. Sono Peter, e lui è Oliver. Siamo qui per..."

"Lo so benissimo perché siete qui," lo interruppe bruscamente Brown. Sputò per terra, mancando per un pelo le scarpe di Oliver. "Non mi interessa che cazzo fate là dentro, basta che pagate l'affitto puntuale e non rompete i coglioni."

Frugò nelle tasche dei pantaloni unti, estraendo un mazzo di chiavi arrugginite. Le lanciò verso Peter, che le afferrò al volo.

"Primo piano, appartamento B," borbottò Brown. "Se qualcosa non funziona, arrangiatevi. Non sono la vostra cazzo di bambinaia."

Senza aggiungere altro, l'uomo si voltò e rientrò nel suo appartamento, sbattendo la porta con tale violenza da far tremare i vetri delle finestre.

Peter e Oliver si scambiarono uno sguardo.

"Beh," disse Oliver con un sorriso forzato, "almeno non dovremo preoccuparci di fare troppo rumore la notte."

Peter rise nervosamente, poi infilò la chiave nella serratura. La porta si aprì con un gemito, rivelando un appartamento buio e polveroso.

"Casa dolce casa," mormorò, guidando Oliver all'interno.

L'appartamento odorava di muffa e di qualcosa di indefinibile, forse il tanfo residuo di anni di trascuratezza e solitudine. Peter e Oliver passarono i primi due giorni a pulire, sfregare e disinfettare ogni superficie, cercando di rendere abitabile quel tugurio che ora chiamavano casa.

La sera del terzo giorno, esausti ma soddisfatti, si lasciarono cadere sul materasso logoro che avevano trascinato fin lì. I loro corpi sudati si intrecciarono quasi involontariamente, le mani che vagavano sulla pelle accaldata, le labbra che si cercavano con urgenza.

"Finalmente soli," mormorò Oliver, la voce roca di desiderio mentre le sue dita scivolavano sotto l'elastico dei boxer di Peter.

Peter rispose con un gemito soffocato, inarcando la schiena. Le molle del materasso cigolarono sonoramente sotto il loro peso, ma in quel momento non se ne curarono.

Nell'appartamento accanto, il signor Brown alzò lo sguardo dal suo piatto di fagioli in scatola, la forchetta sospesa a mezz'aria. Un suono familiare aveva attirato la sua attenzione: il ritmo accelerato di un letto che sbatteva contro il muro, accompagnato da gemiti e ansiti sempre più forti.

"Porca puttana," borbottò, lasciando cadere la forchetta nel piatto con un tintinnio. Si alzò pesantemente, le ginocchia che scricchiolavano per la protesta, e si avvicinò al muro divisorio.

I suoni dall'altro lato si facevano più intensi, più frenetici. Brown premette l'orecchio contro la parete scrostata, il respiro che si faceva più pesante ad ogni gemito che percepiva.

"Oh cazzo, Peter!" La voce di Oliver attraversò il sottile muro come se fosse stato di carta velina.

Brown sentì un brivido percorrergli la spina dorsale. Le sue grandi mani callose si strinsero a pugno, le nocche bianche per la tensione. Sentiva il sangue affluirgli alle orecchie... e non solo lì.

"Maledetti froci," sibilò tra i denti, ma non si allontanò dal muro. Rimase lì, immobile, ad ascoltare ogni suono, ogni respiro affannato, ogni gemito di piacere.

Quando finalmente il silenzio tornò a regnare, Brown si staccò dal muro, il volto paonazzo e madido di sudore. Si guardò intorno nella sua stanza buia e disordinata, sentendosi improvvisamente più solo che mai.

Si lasciò cadere pesantemente sulla poltrona consunta, afferrando la bottiglia di birra economica dal tavolino accanto. Ne bevve un lungo sorso direttamente dal collo, sentendo il liquido bruciargli la gola.

"Dannazione," mormorò nel silenzio della stanza, la voce roca e incrinata. "Dannazione a me."



Continua...
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