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Grand Hotel - Triangolo di Aurora con due gay


di Honeymark
22.06.2014    |    11.684    |    4 9.7
"Mi aprì la porta e mi baciò la mano..."
GRAND HOTEL

Avevo 27 anni e lavoravo per una importante azienda di abbigliamento. Ero da poco la segretaria commerciale di una linea uomo, così come da poco ero tornata single. Purtroppo per la donna funziona così, o la carriera o la famiglia.
Un po’ perché promossa da poco, un po’ perché single, un po’ perché carina, il direttore commerciale dell’azienda mi aveva chiesto di andare a cena con due stilisti, giunti in città apposta per incontrare i dirigenti dell’azienda l’indomani. Ovviamente avevo accettato di buon grado e quella sera mi presentai al Grand Hotel alle 20.30 come concordato. Mi ero vestita in maniera semplice ma elegante, come aveva suggerito l’ufficio Stile e critica della ditta, i tacchi alti a metà sugli otto centimetri (sono già alta da sola), i capelli lunghi biondi sciolti e con i riccioli finali. Anche il trucco lo aveva fatto il nostro make-upper.
Insomma mi avevano preparato non tanto per sedurre i due, gay dichiarati, ma per dimostrare che l’azienda sapeva come vestire la gente in ogni occasione e che non avevano mandato a cena… l’ultima arrivata.
Il portiere dell’Hotel aprì la porta della mia Mini, quindi il valletto andò a posteggiarla. Io entrai e chiesi dei due ospiti. Il concièrge mi indicò il bar. Li riconobbi subito. Uno dei due era pelato, Fabrizio, l’altro era alto e portava un foulard al collo, Alberto. In tutta evidenza il primo era la femmina, il secondo il maschio.
Anche loro capirono al volo che ero io l’ospite che dovevano incontrare. Mi venne incontro, giustamente, Alberto, che mi baciò la mano.
- Un martini dry anche per te, Aurora? – Mi chiese.
Mi aveva dato del tu con un fascino che non mi aspettavo da un gay. Non avevo mai bevuto un martini dry
- Ho paura che sia un po’ forte per me, – risposi. – Comunque lo accetto.
Poi salutai Fabrizio, baciandolo sulle guance. Non so perché l’ho fatto, ma era quello che mi ispirava. Lui era la donna dei due.
Parlammo subito di mille cose, più o meno importanti. Niente politica, niente moda nel dialogo, mi avevano raccomandato. Anche loro evitarono con cura questi argomenti. Riuscii a trascinarli nella cultura, spiegando cosa esponeva il museo della città. Maurizio era molto preparato e il dialogo fu costruttivo. Poi parlai di storia per caso, non ricordo come ci eravamo infilati lì, ma Alberto sostenne il dialogo e io descrissi il passato della mia città con una scioltezza che a scuola non avevo mai provato.
Lo chef ci avvisò che il pranzo era pronto, cosa che mi meravigliò abbastanza perché pensavo di portarli a cena altrove e soprattutto perché al Grand Hotel non ti avvisano, ti siedi a tavola e lo chef viene a suggerirti il piatto migliore.
Ma ci fece strada in una saletta dove eravamo solo noi.
- Abbiamo pensato che si avrebbe chiacchierato meglio da soli. – Disse Alberto.
Aveva ragione. Da quando mi accomodarono sistemando la poltrona sotto di me, continuammo a parlare, dimostrando di avere una cultura raffinata. Loro erano più preparati sul presente, sul contemporaneo, io forse sul passato, sul consolidato. Ma fu una cena piacevole sia per la tavola che per l’atmosfera che vi ho respirato. Fabrizio era evidentemente il capo dei due e interveniva solo per precisare alcuni concetti ai quali noi due giravamo intorno per intuito più che per preparazione.
Dopo il dessert, quando vennero con il porto, che io non avevo mai assaggiato in vita mia, Fabrizio fece una proposta che mi lasciò fortemente in imbarazzo.
- Senti Aurora, – mi disse. – Noi abitiamo qua, nella suite migliore dell’hotel. Ti offendi se ti chiediamo di passare la notte con noi?
Rimasi senza parole. Era l’ultima cosa che mi aspettavo da una coppia notoriamente gay. Mi domandai se quelle fossero solo chiacchiere e cercai una risposta che potesse non offenderli.
- Se non ti va di fare l’amore con tutti due – continuò Fabrizio, – puoi farlo solo con Alberto. A me basta guardare.
Non so che espressione feci, ma Alberto capì il mio imbarazzo.
- Naturalmente se non ti va, nessun problema, – disse. – Ma non ci capita spesso di incontrare una donna come te. Bella, giovane, colta, intelligente, simpatica, disponibile. Alberto comprende le mie aspettative, – continuò indicandolo. – Io e lui ci amiamo. Ma ci sono dei momenti in cui gradiremmo condividere la nostra felicità con altri.
- Io… Io… – Non seppi dire di più. Volevo svenire…
Mi alzai. E loro, da perfetti gentlemen, si alzarono prontamente. Fabrizio rimase lì e Alberto mi accompagnò fuori.
- Mi spiace se ti abbiamo messo in imbarazzo. – Si scusò. – Ma devi capire che ci piaci molto, cosa che ci capita di rado. Davvero.
Chiamò il portiere e fece portare la mia mini. Mi aprì la porta e mi baciò la mano.
- Perdonaci.
Salii in macchina e partii. Feci il giro dell’isolato e, meravigliandomi all’ennesima potenza, tornai al Grand Hotel. Fermai l’auto, ridiedi la chiave al valletto ed entrai in Hotel.
I due erano davanti all’ascensore, in attesa che arrivasse. Alberto mi vide, sorrise e andò a dire qualcosa al concièrge.
- Mi fa molto piacere rivederti. – Disse Fabrizio. Sembrava felice davvero.
Alberto ci raggiunse con un accappatoio dell’hotel. Entrammo in ascensore, salimmo senza dire nulla, andammo alla loro suite. Alberto aprì e ci fece entrare. Chiusa la porta, mi diede l’accappatoio e mi indicò la camera con bagno che si affacciava al salotto della suite. Io lo presi ed entrai. Chiusa la porta, mi accorsi di aver trattenuto il fiato da quando ero rientrata in albergo. Rimasi un po’ indecisa tra il vomito e l’ansia, ma poi mi calmai. Mi spogliai in un attimo e balzai dentro la doccia. Misi la cuffietta e aprii l’acqua bollente. Dopo cinque minuti ero tornata con la testa a posto e capii di aver fatto la cosa giusta. Indossai l’accappatoio e uscii.
Ad attendermi c’erano loro due, anche loro in accappatoio. La luce e la musica di sottofondo erano perfette come quelle di un film americano, dove tutto è a posto perché nulla è realtà.
Mi avvicinai a loro, che lasciarono aprire l’accappatoio. Quando fui abbastanza vicina, aprii il mio e lo lasciai cadere. Il pene di Alberto si rizzò subito, quello di Fabrizio diede un primo movimento. Forse lo eccitava vedere il suo uomo eccitarsi…
Istintivamente mi inginocchiai e mi portai ai due peni. A quel punto anche quello di Maurizio si indurì e io li strinsi sul mio viso. Poi li baciai, quindi provai a prenderli in bocca insieme. Non fu una cosa facile, ma Alberto mi fece alzare. Lasciarono cadere l’accappatoio, Maurizio andò a sdraiarsi sul letto, pancia in su, Alberto mi prese in braccio e mi portò a letto mentre io mi tenevo a lui. Mi mise di lato, in modo che Maurizio fosse in mezzo. Poi lui andò a baciarlo sulla bocca e capii che io dovevo prendergli in bocca il pene.
Sentii la sua voglia crescere, rendendomi conto che prendere in bocca un pene dà un grande potere sul partner passivo. Lo sentii gemere sotto le mie sollecitazioni. Non so quanto fossi esperta, dato che il mio moroso non aveva mai commentato i miei pompini, ma mi applicai molto. Feci scivolare il pene tra lingua e palato, ingoiandolo sempre più, proseguendo così finché lo stesso sbocchinando non mi fermò. Non voleva venire. O almeno non ancora.
Poi però mi invitò a continuare da sola con la bocca, piano, mentre Alberto si portava dietro di me. Mi sollevò alla pecorina e mi penetrò con dolcezza e determinazione, al punto che mi dimenticai dell’uccello dell’altro. Alberto se ne accorse e mi spinse la bocca al punto giusto in modo da riprendere a succhiarlo. Fantastico. Entrai in ritmo con Alberto, tanto che sembrava che a fare il pompino a Maurizio fosse lui sbattendomi con il pene dentro di me. Mi sentivo deliziosamente sconcia, fantasticamente immorale, creativamente attiva.
Maurizio venne dentro di me con una quantità di sperma infinita, o almeno questo è quanto ricordo.
Quando sopì la sua voglia, mi lasciò andare e anch’io mi limitai a baciare il pene di Maurizio, come se fosse l’orsacchiotto che avevo a letto da bambina.
Mi misi di lato e Maurizio si girò a mettersi a pancia sotto, culo in su.
- Se non ti va – mi disse Alberto, – non guardare. Girati di là.
Ma io restai a guardarli affascinata.
Alberto mise un cuscino sotto il ventre di Maurizio, gli appoggiò il pene all’ano, lo introdusse per un po’, attese di capire che era giunto il momento, poi cominciò a sodomizzarlo. Era appena venuto dentro di me, che già riusciva a penetrare anche lui. A incularlo. Li guardai come ipnotizzata. Alberto entrava e usciva con una ritmica elegante e possente. Il pene era molto lungo, ma entrava tutto. Maurizio cominciò a gemere, a saltellare, a godere e a chiedere di più. Alberto venne nuovamente, nel culo di Maurizio.
Poi girò il suo amante e cominciò a sbocchinarlo. Lo fece con un’eleganza tale, che io sentii il bisogno di andare leccare il buco del culo di Alberto. Lui gradì e si impegnò di più e Maurizio venne presto, tra mille urla, come non sanno impedirsi i maschi che vengono in una bocca.
Alberto ingoiò e io andai a leccare quanto era rimasto sul suo pene. Non mi ero chiesta il perché, avevo fatto solo quello che avevo sentito di voler fare lì per lì.
Ci rilassammo un po’ e io temetti di addormentarmi. Ma dopo un po’ Alberto mi rimise in gioco. Come se lui fosse il maschio e noi due le femmine, si mise pancia in su. Mi fece sedere sul pene, nuovamente eretto e me lo infilai. Maurizio si andò a sedere sul viso di Alberto, che iniziò a leccarlo. Godendo sulla lingua del partner, cominciò a palparmi le tette e lo fece con sapienza, come se lo facesse sempre. Stavolta venni io.
Maurizio si tolse dal viso di Alberto e si portò dietro di me. Mi toccò la fessura del culo, forzatamente allargata perché seduto sul pene dell’amico. Mi fece venire di nuovo, ma non gli bastò. Mi piegò in avanti fino a baciare Alberto. Così lui si mise dietro e appoggiò il suo pene al mio ano. Spinse un po’ e alloggiò il glande appena dentro lo sfintere forzato. Nessuno me l’aveva mai messo nel culo, ma ora lo desideravo al punto di implorarlo. Maurizio spinse di schiena e introdusse il suo cazzo nel mio culo. Con il cazzo di Alberto nella Figa, mi sentivo impalata, di loro proprietà. Temevo di uscirne lacerata, ma d’in tratto cominciai a venire per l’ennesima volta, sbattendo come una cagna un calore.
Li feci venire tutti due insieme, con la sottoscritta travolta da un orgasmo anale e uno vaginale.

Alle 6 di mattina mi alzai, mi vestii, passai da casa, feci una doccia, mi cambiai d’abito, ingoiai una pignatta di caffè, poi andai in ufficio. A ricevere i due.
Verso le 9 mi cercarono al cellulare. Era Maurizio.
- Ci abbiamo ripensato, – mi disse. – Non vogliamo collaborare con la tua ditta.
- Cosa? – Domandai, chiedendo se avessi sbagliato tutto.
- Vogliamo che ti collabori con noi, – continuò. – Ti affidiamo il commerciale.
Rimasi senza parole, domandandomi cosa rispondere.
- Abbiamo riconsiderato la situazione. Siamo noi a volere te.
Restai ancora zitta, cercando di capire.
- Naturalmente verrai a letto con noi solo se lo vorrai ancora. – Aggiunse. – E se vuoi, qualche bel modello maschio possiamo passarlo anche a te.
Restai zitta.
- Ci sei?
- Sì, – risposi.
- Sì ci sei, o sì accetti? Se accetti, facciamo il triangolo perfetto. Nella vita e nel lavoro.
Accettai. E andò tutto bene, come avevano detto loro.

Questa storia me l’ha raccontata mia moglie prima di sposarmi.
E mi ha chiesto se, sposandomi, doveva lasciare la coppia di amici.
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