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Prime Esperienze

Brasa scoerta - Seconda parte


di Honeymark
18.04.2017    |    8.814    |    3 9.9
"Il mercoledì pomeriggio della settimana dopo passai a prenderla a casa sua..."
Brasa scoerta
4.



Il mercoledì pomeriggio della settimana dopo passai a prenderla a casa sua. Il supermercato chiudeva quella mezza giornata e decidemmo che ne avremmo approfittato.
La portai da Paolo, il mio amico gay specializzato in epilazione artistica.
- Wow… Chi si rivede! – Esclamò guardandomi.
Poi mi baciò sulle guance.
- Ciao Paolo, sono felice anch’io di rivederti!
- E questa bella signorina chi è?
- Si chiama Lorenza.
I due si diedero la mano, perplessi.
- Ha bisogno del tuo aiuto. – Continuai.
Lorenza non era più tanto sicura, perché Paolo la guardava con occhio critico.
- Calma ragazzi. – Dissi, prima che rovinassero tutto. – Ho prenotato il tuo intervento e vorrei mostrarti cosa mi aspetto da te.
- Certo, ragazzi. – Seguitemi.
Ci fece strada in uno dei suoi lussuosi studi. Lorenza mi strinse il braccio e volle bisbigliarmi qualcosa.
- Glielo hai già messo nel culo?
- Lorenza… Cazzo!
Non aggiunse altro, ma evidentemente si sarebbe lasciata mettere nelle mani del mio amico.
- Ecco, – disse rivolgendosi a lei. – Se vuole andare dietro quel separé, può spogliarsi e indossare questo camice verde.
- Mi devo togliere tutto? – Domandò.
- No, solo dalla vita in giù. Quando è pronta, l’aspetto qui.
Le aveva indicato una specie di poltrona da visita ginecologica. Mentre lei andò a prepararsi, Paolo mi si avvicinò all’orecchio.
- L’hai già inculata? – Mi chiese.
- Paolo… Cristo!
Lorenza uscì e fu fatta sedere sulla poltroncina, quindi Paolo le mise le gambe sulle forcelle per tenergliele alte e allargate. Lei lo lasciò fare, ma non smetteva di guardarmi in faccia interrogativa. Le rivolsi uno sguardo rassicurante.
- Dunque, – disse Paolo, invitandomi a guardarle la figa insieme a lui. – Dimmi cosa vorresti.
- Anzitutto – risposi, – le devi lasciare del pelo permanente che parta appena sopra la vulva per salire in su.
- Ottima scelta, – commentò. – L’epilazione completa non sta bene alle donne.
- Perché, – ironizzai. – Agli uomini sì?
- Certo che sì! Se vuoi ti faccio vedere…
- No no per carità.
- Va bene, – rispose concentrandosi. – Dimmi cosa vuoi.
Mi sedetti sullo gabellino messo davanti all’apertura delle gambe. Appoggiai le mani alla base dei glutei in modo da poterli allargare. Lorenza non reagì.
- Tutto il pelo che c’è dall’ano agli inguini – dissi indicandoli, – va epilato. Non deve crescere più un solo pelo.
- Afferrato.
- Quanto al pelo della figa – dissi, sperando che la parola non suscitasse la sua sensibilità, – come ti ho detto devi lasciare il triangolo stretto e lungo. Da qui a qui e fin qui.
Paolo mi mise in mano una specie di lampostil.
- Indicalo con questo pennarello. – Mi suggerì.
Provai a tracciare il taglio come piaceva a me.
- Ecco, così. Che ne dici?
- Direi che le donerebbe. – Ammise. – Sembrerebbe una guida, un invito.
- Infatti.
- Senti, – disse Paolo. – Sarà un lavoro un po’ lungo, soprattutto per via dell’epilazione. Puoi tornare a prenderla tra un paio d’ore?
- Volevo vedere il taglio del pelo…
- Ti faccio una traccia, l’approvi, poi te ne vai. OK?
- Va bene.
Prese dei cerotti particolari, di forma ovale lunga e stretta. Ne scelse uno, tolse la protezione dell’adesivo e poi andò ad applicarlo alle grandi labbra della figa.
- Non è una questione morale o di pudore. – Mi spiegò. – Ma igienica.
- Lo apprezzo.
Prese una macchinetta da barbiere e si mise a lavorare sulla traccia che gli avevo mostrato.
- Va bene così? – Mi domandò dopo qualche secondo. – È un taglio grossolano ma se va bene poi lo sistemo.
- Sì, – risposi meravigliato per l’abilità. – Perfetto.
- Aspetta. – Aggiunse.
Allargò i distanziali in modo che le gambe di Lorenza si spalancassero. Paolo si mise a sedere dove prima mi ero messo io. Prese l’interno delle natiche e le allargò per mostrarmi meglio il buco del culo.
- Qui tutto il pelo va via, vero?
- Esatto.
- Bene, allora vattene perché ora ho da fare un lungo lavoro di fino.
- Le metti una candela nel culo per facilitarti il lavoro?
- No, non serve. Lo faccio solo con gli uomini. Vai adesso.
Baciai Lorenza sulla fronte stringendole la mano.
- Ti lascio in buone mani, – le dissi. – Vengo a prenderti dopo.

Un po’ prima delle 20 passai a prenderla. Era pronta.
- Fatto tutto? – Domandai a entrambi.
- Sì, certo – disse lui, con voce stanca. – È stato un lavoraccio. Vuoi vederla?
- No, grazie. La guarderò a casa.
- Mi farai conoscere il tuo parere.
- Ti ha fatto male? – Chiesi a lei, che invece era del tutto rilassata.
- No, – rispose. – Il tuo amico lavora bene.
- Allora, se te la senti, ti porto a cena.
- Me la sento di fare questo e altro!
- Beata lei, – aggiunse Paolo, sfinito. – Io non mi reggo più.
Diedi 200 euro a Paolo, il quale però me ne restituì 100.
- Agli amici faccio sempre lo sconto.
In verità non eravamo amici come voleva lui.
- Se un giorno hai tempo, preparo anche te.
Sorrisi, lo ringraziai ancora e ce ne andammo.

- Simpatico il tuo amico, – disse una volta passata l’ordinazione in un ristorante diverso dal solito. – Ha parlato benissimo di te, credo che ti ami.
- Dai, Lorenza…
- Beh, non ti piacerebbe che ti leccasse le palle mentre mi inculi?
- Lorenza, ma che linguaggio! Ti sto insegnando a diventare una signora…
- Quando sto con te, lasciami usare il linguaggio che mi pare, – sorrise.
- D’accordo. Però allora fai quello che ti ho detto. Tieni sul tavolo la mano sinistra anche se stai mangiando solo con la destra. E sorridi sempre con educazione.
- Quali sono le posate per l’antipasto?
- È facile da ricordare. Si comincia con le posate più piccole.
- Non voglio fare la figura di Pretty Women… he he
Sorrisi anch’io.
- Cos’è la storia delle candele? – Chiese poi. – Prima che te ne andassi avevi chiesto a Paolo se voleva mettermi una candela…
- Sì, – dissi provando un certo imbarazzo. – A volte serve per mettere in tensione la pelle vicina all’ano, così lavora meglio.
- Quando te ne sei andato ho chiesto anche a lui e mi ha detto che sei un maestro. Dice che una volta hai voluto organizzare anche un «valzer delle candele». Cosa sarebbe?
Mi sentii in pieno imbarazzo.
- Parlano troppo… – Dissi.
- Tranquillo, non ha fatto nomi e so che non sei tu a parlare.
Raccolsi un po’ le idee.
- A me piace… – confessai – Mi piace mettere una candela nel culo alle ragazze.
- Wow… Una «piccola perversione naturale»? Sono parole che mi hai insegnato tu.
- Una innocua piccola perversione naturale, – precisai.
- E il valzer delle candele?
Ora ero totalmente imbarazzato.
- Un giorno ho voluto vedere una mia coppia di schiavi che…
- Cosa intendi per «schiavi»?
- Nel apporto c’è chi ama dominare e chi ama essere dominato. – Le spiegai. – Chi domina viene chiamato «Padrone», chi è sottomesso viene chiamato «schiavo».
- E ci sono coppie con entrambi, diciamo, «schiavi»?
- Sì. Non ti sposi per la sintonia sessuale ma per l’affinità complessiva. – Le spiegai. – Anzi, di solito si scoprono anni dopo le… piccole perversioni naturali del partner.
- Spiegami il valzer delle candele.
Mi feci coraggio e cercai le parole.
- Li ho denudati, ho messo un cero nei loro culi, li ho accesi e gli ho fatto ballare il valzer delle candele. Ecco.
- Fantastico! – Rispose ammirata. – Ma come hai fatto a convincerli?
- Non li ho convinti. – Dissi. – Sarebbe presuntuoso pensare di essere in grado di far fare qualcosa a qualcuno senza che questo sia d’accordo.
- E allora come funziona?
- Devi solo scoprire quale sia il loro sesso ludico, quello nascosto, quello che non vuoi ammettere… Posso parlare senza mezzi termini?
- Direi proprio di sì.
- Quello che utilizzi solo per farti le seghe.
- Wow… Chiarissimo.
- Questo vale anche per le donne. – Aggiunsi.
- Ditalini?
- Per esempio…
- E come hai fatto a scoprire i loro lati oscuri?
- Gli psicologi li chiamano laidi retroscena…
- Non ho capito cosa vuol dire, ma ho inteso l’idea.
- E difatti gli psicologi non riescono mai a far emergere il sesso nascosto in ognuno di noi.
- E allora tu come fai?
- Parlando. L’unico modo è farli parlare.
- Bisogna saper parlare. Non è quello che fanno anche gli psicologi?
- Ne parli a letto, ovviamente, cosa che gli psicologi non possono fare.
- E tu sai parlare, – Ammise.
- Oppure bisogna saper scrivere.
- In che senso?
- Io scrivo romanzetti erotici e li faccio leggere agli amici. Poi vengono a dirmi cosa li ha eccitati, senza che sia io a chiederglielo.
- Incredibile…
- Pensa che delle amiche mie li fanno leggere ai loro mariti o partner per conoscere i loro laidi retroscena.
- Ecco, ho capito il concetto.
- Io non li considero tali. – Commentai. – Sono solo delle piccole perversioni naturali che albergano dentro ognuno di noi.
- E a loro piaceva?
- Cosa?
- Il cero nel culo.
- Agli schiavi, o almeno a quegli schiavi, piace fare qualsiasi cosa, purché sia umiliante per loro e faccia piacere al padrone. Frusta compresa.
Ci pensò un attimo.
- Hanno sporcato dappertutto?
- In che senso?
- Avranno sparso cera dappertutto, no?
- Ha ha! Brava! Hai fatto mente locale, eh?
- Mente locale?
- Sì, ti sei immaginata la scena.
- Sì. Ho fatto… come hai detto? Mente locale.
- Avevo ricoperto il pavimento con dei teli di nailon.
- Avevi fatto anche tu… «mente locale» preventiva.
- Impari in fretta… – Dissi ammirato.
Ci servirono la seconda portata.
- Metterai un cero in culo anche a me? – Domandò tra un boccone e l’altro.
- Non si parla con la bocca piena.
- Ho parlato mentre la bocca non era piena. – Protestò. – Rispondi?
Ci pensai.
- Credo di sì, – azzardai. – Mi sembra che il tuo sfintere abbia bisogno di una piccola preparazione. È stretto.
- Sfintere?
- Il buco del culo. – Precisai prima di fare un boccone.
- Ah, – rise. – Lo chiami sfintere?
- Ne abbiamo parecchi sfinteri. Il solo intestino ne ha più di uno, a ogni passaggio da una fase all’altra. L’ultimo è l’ano… Senti, stiamo mangiando, Possiamo cambiare discorso?
- Dopo mi chiavi?
- Certo!
- Finalmente! – Esclamò. – Sono due anni che non chiavo…!
- Mi avevi detto un anno…
- Un giorno mi metterai anche una candela nel culo?
- Puoi contarci.
- E mi frusterai pure?
- Ovvio.
- E se non volessi?
- Allora non lo farei.
Sembrò delusa.
- E perché?
- Perché non si va mai contro la volontà del partner. – Risposi. – È così che funziona.
- Con me i ragazzi non hanno mai fatto quello che volevo… Anzi hanno fatto sempre i loro porci comodi.
- Alla fine del mio addestramento saprai come dominarli. – La rassicurai. – Anche quando vuoi essere dominata sarai tu a controllare la situazione.

Dopocena andammo a casa sua.
- Mettiti comodo – disse, andando in bagno.
Poco dopo tornò, io ero ancora in piedi.
- Da dove cominciamo?
- Ti spoglio. – Dissi.
Lei alzò le mani e si lasciò spogliare. Con calma le tolsi tutto e guardai subito il lavoro fatto da Paolo. Si piegò in avanti per farsi guardare. Mi inginocchiai e la guardai con attenzione. La accarezzai godendomi la pelle liscia.
- Un lavoro perfetto. – Commentai alzandomi. – Vedrai come sarai alla fine.
Anche lei si era alzata e aveva portato le mani sopra la testa con le gambe leggermente divaricate. Era un invito a procedere.
Io andai dietro di lei e le presi in mano le tette. La palpai a lungo, facendo onore alla sua quarta misura e godendo come un matto. Smisi solo quando anche lei aveva cominciato a mugugnare.
- Fottimi. – Disse. – Lo aspetto da troppo tempo.
La portai in camera da letto, mi spogliai in un baleno e portai il viso al sesso per baciarglielo..
- Fottimi, – ripeté, accarezzandomi il viso. – Niente preliminari.
Prese in mano il cazzo e lo guidò alla figa. Io, non appena varcata la soglia delle grandi labbra, lo sbattei dentro fino in fondo. Lei sobbalzò e portò le gambe dietro la mia schiena.
- Fottimi! – Ripeté.
La montai con calma e determinazione, godendomi il calore del contatto con il suo corpo e la sua frenesia. Aveva proprio voglia di sesso.
Dopo averla sbattuta a lungo così in posizione classica, mi sfilai e la misi su un fianco. Le feci raccogliere una gamba e andai a sedermi sull’interno dell’altra. Da lì puntai il cazzo alla figa e la penetrai così comodamente, tenendo tra le mie cosce il suo culo. Ogni tanto le davo manate sulle tette, cosa che piaceva a entrambi.
Dopo una studiata serie di penetrate, la girai del tutto in modo da poterla prendere da dietro. A me piace sentire il contatto del culo della donna sul mio basso ventre e quello è il mio modo preferito di scopare. Mi tenni alle sue tette e la sbattei fino a farla venire. Il suo primo orgasmo fu qualcosa di incontrollabile per lei e probabilmente non lo avrebbe dimenticato in fretta. Urlava come se la stessero frustando.
Io feci fatica a non venire subito per farla godere più a lungo. E difatti, quando si sopì un poco, mi staccai e mi misi a pancia in su. Lei non perse l’occasione e venne a sedersi sopra infilandosi il cazzo. Le presi nuovamente le tette in mano e lei cominciò a sbattere il bacino finché non venne nuovamente saltandomi sul cazzo.
Infine venne una terza volta, insieme a me. L’avevo voltata e tirata su per prenderla alla pecorina. Poi, dopo una serie di sbattute istituzionali, l’avevo stesa per godermi le sue natiche che sbattevano sul mio basso ventre. Di solito mi piace venire tenendo ferma la donna con le mani dietro la schiena e una mano sulla nuca. Ma con le sue tette volli venire tenendomi a lei così.
Per questo venne una terza volta, facendo venire anche me con i suoi colpi incontrollati di bacino.


Brasa scoerta
5.



Quando passai dal suo supermercato non scambiammo parole che potessero dare adito a chiacchiere inutili. Già qualcosa si diceva sul mio conto, visto che Lorenza era riuscita a sapere troppo su di me. E devo dire che aveva seguito il mio suggerimento per cui alla cassa del suo negozio doveva sembrare fuori di ogni tentazione. Blue jeans che non mettevano in risalto il culo, scarpe del cazzo, telara blu e via così. In questo modo evitava che, con la trasformazione, si rivolgessero a lei tutti con battute stupide o volgari.
Non ci scambiammo neanche occhiate di complicità. Le bastava respirare più affannosamente mentre ero vicino a lei.
Il mercoledì successivo continuai l’opera di formazione. La portai da un’amica che organizza sfilate di moda e ha un’agenzia di modelle.

- Ciao Sonia, – dissi, sorridendo – Vederti mi rende felice.
- Wow…!
- Ti presento la mia amica Lorenza.
- Ciao!
- Ciao.
- Ci tengo molto a Lorenza, – cominciai. – Vorrei che le insegnassi il portamento.
- Vuoi che impari a fare la modella? È il mio lavoro.
- No, voglio solo che impari a camminare come se fosse una modella.
- Ha ha! E dopo vuoi tenertela tutta per te?
- Beh, immagino che si troverà il moroso giusto e…
Rimase perplessa. La stavo tirando su per qualcuno diverso da me?
- Capisco, – disse senza aver capito niente. – È bella e, se impara a presentarsi…
- Esatto. Non deve attirare, deve suscitare l’interesse degli uomini raffinati.
Lorenza mi guardò. Continuavo a meravigliarla.
- Vieni, – le disse allora a Lorenza. – Andiamo in passerella a fare due passi.
La portò sulle pedane dove faceva sfilare le sue ragazze, mi fece sedere e chiese a Lorenza di andare in fondo e tornare indietro.
- Hai un culo da sistemare – commentò poi, – Così tutti vorrebbero mordertelo, ma credo che una brava stilista sappia come valorizzartelo con eleganza.
- Infatti – risposi, – ho preso un appuntamento con Cristina, che me la vestirà da cima ai piedi.
- Ehi, vuoi farne proprio una «my fair lady»?
- Di più.
- Sei fortunata… – Disse, rivolgendosi a lei.
Lorenza non si mosse.
- Ci puoi lasciare per un paio d’ore? – Mi chiese. – Se torni prenderla alle 19, troverai già un cambiamento radicale.
- D’accordo, – risposi andandomene.
- Devi camminare come se tenessi dei libri sulla testa, – la sentii dire a Lorenza. – Poi, ricordati sempre di muovere prima l’anca della gamba…
Me ne andai sapendo di averla messa in buone mani.

La sera la portai a cena in un altro locale. Ormai il mercoledì sera, mia serata libera, era dedicata a lei.
- Perché fai tutto questo per me ? – Mi domandò sinceramente, mettendo a frutto tutto quello che le avevo insegnato in termini di educazione.
- Per chiavarti, – risposi, per smontare la sua emozione.
- Lo so, – disse smontandomi a sua volta. – Ma non è abbastanza. Puoi chiavarmi quando e come vuoi… Perché tieni così tanto a me?
- Mi piaci e mi piace l’idea di aiutarti.
- Lo fai con tutte?
- Eh certo! – Risposi ridendo.
- Dai…! Ha ha
- Scherzo.
- Sonia la inculi?
- Daiii.
- Lei lo ha chiesto a me.
- E tu cosa le hai risposto?
- Le ho detto di no. – Sorrise e mi prese la mano. – Spero che tu lo faccia stasera…
- Contaci, – sorrisi.
- Dopo la sodomia, cosa ci rimane da fare?
- Ehilà, vedo che cominci a imparare!
Arrossì. – Grazie.
- Naturalmente volendo c’è una vita di cose da fare. Ma restando nel nostro programma, dopo che ti ho sodomizzato ci manca solo il triangolo, il sesso a tre.

Dopocena andai a casa sua, ma facemmo tutte le cose con più calma. Andò in bagno, si spogliò e venne da me con un asciugamano attorno al corpo.
- Da dove vuoi cominciare?
Le sfilai l’asciugamani e la baciai un po’ dappertutto. Poi la condussi sul letto e mi spogliai in un baleno.
- Stavolta te lo metterò nel culo, – confermai.
Il linguaggio crudo mi eccita molto e lei l’aveva capito.
- Inculami allora. – Disse, girandosi pancia sotto.
Per gustarmi la scena continuai a guardarla mentre prendevo il tubetto di lubrificante da mettere sul dito. Poi mi avvicinai, allargai le natiche con la mano sinistra e poggiai il medio al buco del culo. Lei non reagì, avendo deciso di accettarmi. Il dito scivolò dentro con facilità e mi godetti la presa anale che stringeva, si rilassava, stringeva e rilassava. Mossi il dito per sentire se ci fossero imperfezioni, e lei ebbe qualche piacevole reazione condizionata. Quando l’ano mi parve abituato alla mia presenza, lo sfilai piano e mi portai sopra di lei.
Adagiai il cazzo tra le natiche per godermi la loro rotondità. Poi, aiutandomi con la mano, le poggiai il glande al buco del culo. Lei rimase immobile ma rilassata, in attesa degli eventi. In breve il glande venne accolto dall’ano che si abituò alla presenza della cappella. Poi, cercando di interpretare la sua disponibilità, spinsi dentro il pene con cura ma con determinazione. Sentii con piacere che mi lasciava scivolare dentro senza difficoltà e spinsi l’ultimo tratto per andare a sbattere a fine corsa, sul sigma. Pochi hanno il cazzo leggermente più lungo del retto, come me. Per questo ho un cazzo da culo, come dicono le mie amiche. Quando sbatto in fondo, sapendo che non faccio danni, godono come struzzi.
L’avevo inculata, lei era inculata. Io la possedevo, lei era mia. Lei mi possedeva.
Restammo un po’ fermi così, godendoci l’attimo storico della prima sodomia. Il mio cazzo alloggiava nel suo retto in tutta pienezza. Il suo culo aveva finalmente fatto il gran passo, indossando il mio cazzo. Era come se fossi entrato in tutto il suo corpo.
Quello che mi piace nella sodomia è sentire la presa solida, ma soprattutto la posizione del culo, che non poggia più al basso ventre ma attorno alle palle: ai lati del cazzo immerso nel retto e lo accarezzano guizzando di piacere.
In tutti i casi, è il mio vizietto. Il culo, quello femminile s’intende, mi piace. Quando mi trovo dentro il corpo di una donna entrando da dietro, sento di amarla. E il culo di Lorenza era diventato qualcosa di superbo. Prima insignificante, quasi appiattito sotto i jeans da lavoro, adesso era diventato qualcosa da penetrare, da sodomizzare. Mi sarebbe piaciuto essere filmato da vicino mentre la inculavo. Non per vanità, ma proprio perché mi piace vedere il buco del culo che si allarga per fare spazio a quello che gli faccio scivolare dentro.
Cominciai a pompare muovendo il bacino e le ginocchia, sfruttando il mio peso. Penetrarla era facile, sia perché lei mi voleva, sia perché l’evento l’aveva annichilita. Stava subendo la mia entrata con gioiosa passività.
Solo quando iniziò l’orgasmo anale, cominciò a muoversi. E allora le infilai le braccia sotto le ascelle e raccolsi le mani dietro la sua nuca. Così bloccata, ogni suo movimento si ripercuoteva sul bacino e quindi al culo che andava così a masturbare il cazzo che la inculava.
Il meccanismo divenne automatico e la reazione combinata delle nostre due forze divenne incontrollabile. Venimmo come un pozzo di petrolio.
Le riempii il retto di sperma come non mi capitava da anni.

- Voglio essere inculata solo da te – Mi disse più tardi, a bocce ferme, infilandomi la lingua nell’orecchio in cui mi stava bisbigliando.
- Ti ringrazio, – le risposi. – Ma spero proprio che tu troverai quello giusto.
- Sì, ma vorrei essere inculata solo da te.
Cosa potevo dirle? Avrebbe cambiato idea da sola.
- E vorrei – aggiunse sicura di sé – che mio marito ti leccasse le palle mentre mi inculi.
Amen.


Brasa scoerta
6.



Restava un’ultima operazione, tra quelle che l’avrebbero trasformata. Ovviamente ci sarebbero volute un sacco di altre cose per farla diventare quello che volevo io, ma presto sarebbe stata pronta per presentarsi sul palcoscenico del mondo e imparare da sola a seguire la strada giusta.
La portai dalla mia amica stilista con la preghiera di volerla vestire bene.
- Ciao Cristina, – le dissi presentandole l’amica. – Lei è Lorenza.
- Ciao Lorenza.
- Ciao Cristina!
- È bella la tua amica, – commentò Cristina in modo che la sentisse anche lei. – Cosa vuoi che le faccia?
- Scegli un paio di vestiti eleganti per lei, uno da mezza sera e una da sera.
- Ho quello che fa per te, – disse a Lorenza. – Vuoi essere così cortese da spogliarti e salire su questa pedana rotonda?
Lorenza sembrò un po’ imbarazzata.
- Vuoi che faccia uscire Marco? – Aggiunse allora Cristina.
- No no, scusate – rispose. – Voglio che rimanga. È per lui che sono qua. Cosa devo fare?
- Spogliati e Sali qui sopra.
- Tolgo tutto?
- No, tieni la biancheria,
Lei si spogliò, mise gli abiti ordinatamente su una sedia, e salì sulla pedana. Io e Cristina la guardammo con occhio critico.
- Quando indossa i miei capi – cominciò Cristina, – deve stare senza reggiseno e portare il tanga o almeno le culotte.
In effetti, Lorenza indossava le sue solite mutande che usava sul lavoro e un reggipetto con apertura sul davanti..
- Hai ragione, scusa. – Disse Lorenza. – Ma…
- Nessun problema, – la interruppe. – Ma i miei capi faranno sognare gli uomini d è bene che non vedano segni della biancheria sotto i vestiti. Togli anche la biancheria.
Lorenza obbedì e rimase nuda sulla pedana.
- Ehi, che ben curata! – Esclamò Cristina. – È stato Paolo?
- Sì, – risposi io per lei. – Che te ne pare?
- La sua firma è inconfondibile.
Lorenza, comprensibilmente imbarazzata, non sapeva come doveva comportarsi.
- Sei bellissima, – le dissi per tranquillizzarla.
- Direi di cominciare facendole indossare questo vestito di seta stile Pretty Woman.
- Senza mutandine? – Domandò Lorenza.
- Sì, – rispose. – Come Pretty Woman,
Non era molto convinta che Julia Roberts avesse recitato senza mutandine, tuttavia guardò ammirata il vestito color nocciola con i pois bianchi.
- Provalo, – disse Cristina. – Poi ti do il cappellino. Sarai una bomba…
Dopo un po’ andò a guardarsi allo specchio, rimanendo a bocca aperta.
- Sei bellissima! – Disse Cristina.
- Ti chiaverei. – Commentai io.
- Mi chiaverei anch’io, – aggiunse anche lei non più imbarazzata.
- Una signora non dice queste parole. – Protestai.
- La chiaverei anch’io. – Aggiunse Cristina per darmi torto.
- Questa è la mezza sera. – Dissi. – Per la sera cosa consigli?
- Un décolleté come questo. – Rispose, prendendo in mano l’altro capo e facendo segno a Lorenza di sfilarsi quello che aveva addosso.
Mi gustai la scena di una donna nuda che si infilava con una certa difficoltà un vestito da sera. Dopo varie mosse e aggiustamenti di Cristina, la guardammo stupefatti.
- Sembra Cenerentola… – Osservai.
- È Cenerentola, – precisò Cristina. – Solo che a mezzanotte il vestito non scompare.
- Peccato! Ha ha!
- Glielo puoi sempre sfilare… he he
Era un vestito lungo che lasciava scoperte le spalle e metteva in risalto il seno della quarta misura.
- Vedi come le sta su senza reggiseno? – Osservò Cristina indicandolo.
- Che bello! – Disse Lorenza commossa.
- Hai capito perché ha voluto vederti nuda? – Spiegai. – Ha trovato il vestito giusto per te.

- L’hai inculata? – Mi domandò Lorenza mentre andavamo a casa sua.
I vestiti erano rimasti lì per gli aggiustamenti finali.
- Inculato chi?
- Cristina.
- Daiii!
- Ho capito. – Rispose. – L’hai inculata.
- Smettila.
- Cosa vuoi farmi stasera?
Si sentiva in debito con me.
- Ti frusterò.
- D’accordo, – disse solo per assecondarmi. – Ma sei sicuro che piaccia?
- A me di sicuro.
- Bastardo…! – Disse affettuosamente stringendomi il braccio destro.

- È giunto il momento, – dissi, dopo che ci eravamo messi in libertà in casa sua. – Ora ti darò dieci frustate. Spogliati.
Mi abbracciò, mi infilò la lingua in un’orecchia facendomi venire i brividi.
- Spogliati anche tu, – mi pregò. – Non farmi male.
Si alzò, si tolse tutto e restò in piedi davanti a me, girata di schiena in attesa di disposizioni. Le guardai il culo, la mia passione. Bello, a mia totale disposizione. Sapeva di eccitarmi almeno quanto si eccitava lei. Le diedi una sculacciata per sentirne l’elasticità. Era fantastico.
Mi spogliai e presi il gatto a nove code che mi ero portato in un contenitore a tubo di cartone per documenti.
Il gatto a nove code che avevo comperato in un sex shop per sadomaso non era molto diverso da un mocio vileda. Faceva una gran scena, così nero e minaccioso, ma in realtà non molto più doloroso di una sculacciata.
Ordinai a Lorenza di mettersi alla parete, appoggiando le mani in alto. La sistemai in modo che avesse le gambe leggermente divaricate, con il piede destro un po’ più avanzato di quello sinistro.
- È in questa posizione che a Singapore frustano le giovani ragazze condannate alla sferza.
Conoscevo la carica erotica delle mie parole, i preliminari verbali nel sadomaso sono fondamentali.
- Vengono bloccate così, alla parete per i polsi, mentre un pubblico selezionato di una ventina di persone se ne sta seduto tranquillamente a godersi la scena. Pagano il biglietto per assistere.
Le accarezzai le natiche e la fessura del culo. La sentii fremere.
- Poi entrano i tre carnefici. Anche questi pagano per poter frustare la condannata. Sono in tre perché alla fine possiedono la condannata insieme, ognuno glielo mette nel posto prescelto.
Le accarezzai la base del culo.
- Possono frustarle solo il culo.
Ebbe un altro fremito, era quasi pronta.
- Danno un minimo di 5 frustate a testa, alternandosi. Ogni volta devono palpare il culo prima di colpirlo.
Le toccai il buco del culo con il medio. Sentii che adesso era pronta.
- Io invece non ti legherò perché sei volontaria, – precisai. – Niente pubblico perché è una cosa tra me e te. Ti darò cinque frustate, poi ti palperò, pi altre cinque frustate. Per sospendere basta che ti giri. Se ne vuoi di più, basta che resti in quella posizione anche dopo averne prese cinque. Alla fine ti inculerò.
Abbassò la testa e attese trepidante.
Accesi lo stereo e avviai un pezzo dei Pink Floyd, «One of the next days».
Presi la frusta e mi portai a lei. Avvicinai il gatto alle natiche di Lorenza, in modo che sentisse strofinare le fettuccine di cuoio. Era un approccio doveroso per farla socializzare con la sferza. Non è una cosa da niente: è necessario sia se lo fai per punire che se lo fai per generare piacere. La frusta è il contatto tra il carnefice e la condannata, tra il sado e il maso, tra la passione e l’estasi.
Passai nuovamente il gatto tra le natiche e lei ebbe un brivido. Allontanai la mano, caricai il braccio e con tutta la forza la colpii dal basso all’alto, leggermente di traverso seguendo la fessura del culo. Non si sentì il rumore perché avevo atteso il momento giusto dei Pink Floyd.
Lei ebbe un sobbalzo fantastico, come se la avessi colpita con la frusta da bue. Le natiche avevano ballato sconciamente al passaggio delle code ed entrambi provammo un vergognoso senso di piacere malvagio.
Aveva tirato la testa in dietro di scatto, ma non si era lamentata.
Le diedi subito il secondo colpo e lei sobbalzò spalancando la bocca senza emettere urla. Le natiche, tremanti, parlavano per lei.
Il terzo colpo lo diedi con precisione professionale. Volevo che sentisse male e che per questo mi fosse grata. Non urlò. Sbatté la testa a destra e a sinistra, come per dire no, sbavando e lacrimando.
Al quarto colpo lei allargò le braccia e guardò in su, come per invocare l’Onnipotente, ma non si scostò. Le natiche sbattevano come se applaudissero ai colpi ricevuti.
Il quinto colpo glielo diedi a due mani, in modo da allargarle le natiche e vederle il buco del culo per una frazione di secondo.
Lei, per tutta reazione, si girò verso di me, braccia sopra la testa, gambe divaricate. Lo presi come un invito e le diedi un colpaccio di gatto agli inguini in modo che la figa si sentisse brutalizzata. Gridò di piacere e poi corse a mettersi in mezzo alla stanza e a quattro zampe sul tappeto. Poi allargò il più possibile le gambe.
Vedendola così, non resistetti e le diedi uno ulteriore stupefacente colpo di gatto impattando figa e culo, che fece impazzire entrambi. Poi buttai la frusta e mi gettai a lei. Mi aiutai con la mano e glielo infilai in figa di brutto, come entrambi volevamo. Poi proseguii con più calma per trarre il massimo piacere. Ci godevamo il pene che scivolava dentro e il contatto del mio basso ventre al suo culo bollente. Spingevo sempre più a fondo, finché lei non cominciò a dare colpi di bacino, come una cagna in calore. Rallentai il ritmo e, una volta sopiti i suoi colpi di bacino, sfilai l’uccello e glielo portai al buco del culo. Ebbe subito una reazione d’istinto, come se volesse venire di nuovo, ma si placò e riuscii a sodomizzarla piano ma con ineluttabile veemenza.
Reagiva come se continuassi a frustarla, perché era come se la stessi impalando. Il suo buco del culo non era stretto, ma stavolta il mio cazzo era al massimo dell’eccitazione e quindi con una dimensione che lei non aveva ancora conosciuto.
La cosa la faceva impazzire, credeva di essere sfondata. Sapevo di dover agire con delicatezza, anche se sodomizzare non conosce questa parola.
Giunto in fondo, aspettai che fosse lei a reagire.
E difatti, dopo un po’ cominciò a sbattere nuovamente il bacino come un mantice.
A qual punto venni anch’io, riempiendole il retto di sperma. La paga del carnefice.
Un volta sopiti ci buttammo a terra di schianto, tenendoci abbracciati.
- Ti amo, – dissi.
- Ti amo, – rispose.

(Continua)

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