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Lui & Lei

ACCETTO, MA AD UNA CONDIZIONE. . .


di Honeymark
12.05.2012    |    60.403    |    4 9.7
"Il mio uccello voleva impalarla, voleva sentire il suo retto o la sua figa attorno a sé, ma non erano questi gli accordi..."
Si chiamava Roberta ed era diventata presto la mia assistente creativa. Anzi, il nostro feeling di lavoro si era rivelato avvero utile per l’azienda. Un giorno venne nel mio ufficio a chiedermi un favore personale.
- Sentiamo. - Risposi. Di solito concedo sempre quello che mi chiedono i dipendenti, compatibilmente con le necessità del lavoro.
- Vorrei cambiare orario di lavoro.
- Cioè?
- Vorrei fare orario continuato, dalle 9 alle 17.
- Mi crea qualche problema. - Risposi spiaciuto. - In non voglio fare orario continuato e ho bisogno di te.
- Insisto. - Replicò imbarazzata. - Io abito a più di un’ora di bus da casa e non voglio pranzare in paninoteca. Preferisco saltare del tutto la pausa e piuttosto smettere prima. Alle 17 il pomeriggio è ancora…
- Scusami Roberta, ma credo proprio di non poterlo fare. Neanche i tuoi colleghi vogliono saltare la pausa di mezzogiorno.
Ci guardammo in faccia entrambi imbarazzati.
- Ne ho bisogno davvero. Mi chieda quello che vuole in cambio, ma devo assolutamente...
- Non sei tenuta a dirmi il perché. - La fermai. - Piuttosto... Davvero sei disposta a darmi quello che voglio?
- Sì... - Disse dopo una studiata pausa di ripensamento.
- Bene. - Continuai allora. - Accetto, ma ad una condizione.
- Sentiamo...
- Da lunedì tu avrai il nuovo orario, però in compenso da lunedì devi darmi del tu.
- Accetto! - Si affrettò a dire. E se ne andò dall'ufficio contenta e beata.
Le guardai il culo mentre usciva, confermando la mia idea che doveva essere il più bel culo della città.

Il lunedì adeguò l'orario di lavoro.
Ma non mi diede affatto del tu.

Io non glielo perdonai e lei se ne accorse, ma non fece nulla per riparare alla parola mancata. Non volevo certo rompere il rapporto per una cazzata come questa, ma mi sentivo mortificato.
- Senti Roberta. - Buttai lì un giorno tra una cosa e l’altra. - Ma ti è davvero così faticoso darmi del tu?
Abbassò il capo arrossendo.
- E’… è più forte di me. Io… Lei è il capo, il titolare, ha 20 anni più di me… E io non riesco proprio a vincere…
- OK OK, come non detto. Io continuerò a darti del tu. - Sorrisi. - Non ne avrai male, spero!
Ma qualche giorno dopo tornò da me.
- Senta, - mi disse stando in piedi davanti a me imbarazzata. - Io sono sempre di parola, ma questa volta non sono riuscita a mantenerla. Mi sento una stonza!
- Roberta, com’è che ti senti? - Risi meravigliato.
- Mi scusi, io non… io…
- Ti capisco. - Le risposi. – Ti è più facile darti della stronza che darmi del tu… Ha ha!
Alla fin dei conti non era proprio un problema, ma volli lo stesso girare il dito nella piaga.
- La prossima volta ti chiederò qualcosa di meno impegnativo.
- Posso suggerirle un'alternativa?
- Prego.
- Se uno dei prossimi giorni, le facessi... vedere ... - Si guardò intorno e si fece coraggio. - … il culo?
Mi sentii arrossire.
Come ho detto, era una delle parti più belle di lei. Tutti, in ufficio, penso anche le sue college, avrebbero volentieri dato un'occhiata al suo sedere.
Avevo più volte espresso apprezzamenti sul suo fondoschiena, anche se nell'ambito della correttezza e della galanteria che si deve al Capo, e comunque mai avevo fatto delle avance che fossero andate più in là dei complimenti con sottintesi di classe.
Certo che l’avrei guardato volentieri, ma non potevo accettare. Guadagnai tempo.
- Roby... - Risposi alzandomi con un sorriso. - Mi stai dicendo che non te la senti di darmi del tu, ma che riusciresti a mostrarmi il culo?
- Esatto.
- Nudo?
- Cosa?
- Il culo, dico. O volevi farmelo vedere così, vestita? - Sorrisi. – Lo vedo già e sempre volentieri…
- Nudo. - Confermò.
- Prego. - Dissi, combattendomi tra una sorta di imbarazzo e una certa reazione involontaria al sesso. - Non chiederei di meglio.
E se ne andò.
- Embè?
Non avevo neanche fatto in tempo di guardarglielo vestito…

Passarono due settimane, durante le quali avevo dimenticato la simpatica promessa. Ma non era una promessa da mantenere...
Certamente non avevo cambiato né atteggiamento né affetto, né desiderio per la mia venticinquenne e avvenente segretaria. Anzi, forse era professionalmente meglio che certe soglie non venissero superate tra me e lei. Forse era giusto anche che non mi desse affatto del tu.
Alle diciassette di un pomeriggio di un giorno da dio, entrò nel mio ufficio.
- E' pronto? - Mi chiese. - E' giunto il momento.
Non capii. Ma lei chiuse la porta, tirò la tenda e mi si mise davanti alla mia scrivania. Si girò di schiena, divaricò leggermente le gambe e piano piano sollevò le gonne fino a scoprire prima la fine delle autoreggenti, poi la parte superiore delle cosce, quindi la parte bassa del culo e infine lui. Il culo, il suo culo.
Difficilmente si può descrivere che cosa mi provocò una scena di questo genere. Io ho fatto di tutto col sesso, triangoli, quadrati, righe, banane, pesci rossi, gatti selvaggi, fruste, oggetti, legacci, pinze mollette, gemellate, pasti luculliani, divaricatori, candele... Persino clisteri, abbiate pazienza. Ma la scena della mia dolce Roberta che mi offriva la vista del suo culo in quella incredibile situazione, resterà sempre nella mia memoria come il momento maggiormente carico di erotismo, emozione e femminilità della mia vita.
Dopo non più di un minuto, aveva riabbassato la gonna ed era venuta da me soddisfatta come il gatto che si era mangiato il topo e come se si fosse tolta un gran peso dallo stomaco. Mi si era avvicinata per lasciarmi infilare una mano sotto la gonna ad accarezzarla (lo feci con discrezione, ma lo feci), poi si era seduta sulle mie ginocchia il tempo necessario per baciarmi il collo.
- Posso fare qualcosina... di più? – Le domandai.
- Certo, – rispose seducente. – Quello che vuoi.
Lo avevo capito, ma volevo conferma. Era troppo bello. E mi aveva dato del tu...
- C’è nessuno in ufficio? – Domandai.
- No, a quest’ora ci sono solo io. Lo sai...
- E io, – precisai.
- Esatto.
- Vieni qua – le dissi allora, – e piegati in avanti. Pancia sulla scrivania.
Si piegò a 90 gradi, chiuse gli occhi e sorrise maliziosa. Le sollevai con dedizione la gonna fino a scoprirle il culo. Lei divaricò le gambe per mettersi comoda. Prima di procedere mi sedetti e le guardai a lungo il culo, studiandolo nei minimi particolari. Questi sono i preliminari di un uomo. E si lasciò guardare con femminilità.
Mi abbassai i pantaloni, appoggiai il cazzo al solco del culo, lo presi in mano e lo piegai in avanti cercando di fargli imbocccare la figa. Lei mosse il bacino per aiutarmi e io lo spinsi dento. Vi scivolò come un coltello caldo nel burro.
La sbattei con crescente veemenza, godendomi il culo che si appoggiava al mio bassoventre, ritmato dal rumore dei tacchi che sbattevano sul pavimento.
Sentii presto che stavo per venire e le feci una domanda di prudenza.
- Come stai a fecondità? – Le chiesi. – Dove vuoi che venga?
- Nel culo!
-------- O --------

Io e Roberta diventammo amanti. Fu una delle più belle storie della mia vita. Non ebbe mai alcuna pretesa nei miei confronti perché sono sposato e io non portai mai a casa problemi di sorta. Fu una storia di amore e di sesso, e quelle volte in cui volevamo fare qualcosa di trasgressivo, mi dava del lei… Per quanto ridicolo possa sembrare, ci piaceva la parte dove io facevo il capo e lei la segretaria. Le ordinavo di mostrarmi il culo, di sedersi sulle ginocchia, di farmi un pompino stando in ginocchio. E lei faceva la parte della segretaria succube del capo, quando in realtà eravamo una coppia davvero affiatata anche sul lavoro.
E quando la montavo tenendola a 90 gradi sulla scrivania con le mani dietro la schiena, era felice di aver suscitato il desiderio del suo capo. E quando mi lasciava metterglielo in culo, sapeva di darmi il massimo e riusciva ad avere un orgasmo anale vero e proprio. E organizzavamo la messa in culo come un rito propiziatorio vero e proprio. Io, dissacratore come sempre, dicevo che l’osso sacro si chiamava così perché assisteva alla sua… messa in culo.

Poi un giorno si innamorò del ragazzo giusto, e io dovetti lasciare la presa. Dato che le volevo bene, dovevo lasciarla andare. Anche lei pianse quando se ne andò, ma era giusto così. Il rapporto che aveva con me non era quello che si ha con un uomo col quale si vuol fare una famiglia.
Le feci un bellissimo regalo di nozze, andai al suo matrimonio, le augurai una vita felice e con tanti bambini.
Andò a vivere in un’altra città, lontano dalla mia.

Però restammo sempre in contatto internet e lei mi mise sempre al corrente della sua vita. Fu felice, ebbe un figlio, poi lui cominciò a stancarsi di farle le coccole. Me lo confidò, precisando che lo amava come sempre, ma lui aveva perso l’interesse passionale dei primi tempi.
Cosa potevo suggerirle? Non ne avevo idea… Forse mi ero comportato anche io così con mia moglie?
Ma dopo una quantità innumerevole di mail, arrivammo alla conclusione che le mancava quello che mancava a me, il nostro sesso. Quello d’un tempo, quello dove lei era la segretaria che mi mostrava il culo e io il capo che glielo toccava. Quello della segretaria che faceva il pompino al suo capo, quello del capo che glielo…
Un giorno decise il gran passo, ma a una condizione: mi avrebbe dato solo il culo.
Suo marito non la sodomizzava perché... Perché la rispettava. Come molti mariti, anche lui capiva poco di sua moglie.

Aveva tenuto il piéd-à-terre a Riva del Garda, la sua città e il cui lago non avrebbe smesso mai di desiderare. Anche i suoi genitori erano di là e una volta al mese veniva a trovarli passando un lungo fine settimana, dove il marito – che aveva sempre pochissimo tempo – la raggiungeva con la sua macchina solo la domenica.
Ci mettemmo d’accordo e nel pomeriggio di un sabato mi portai a Riva. Posteggiai la macchina e cominciai a fare due passi in città. Dopo una mezzora giunse l’SMS.
«Vieni, sta dormendo».
Eravamo d’accordo che sarei salito sa lei quando il bimbo si fosse addormentato. Nessuno l’avrebbe disturbata a quell’ora ed eravamo liberi per un po’ di tempo.
Mi fece entrare in casa e ci abbracciammo appassionatamente. Col massimo silenzio ci frugammo dappertutto, cercando quello che ci era mancato per tanto tempo. Poi, come d’accordo, andai sul divano a recitare la scena che avevamo concordato e finto di fare tante volte chattando.
Mi sedetti e lei si sdraiò con calma sulle mie ginocchia. Chiuse gli occhi con un sorriso sulle labbra e si lasciò andare in tutto relax. Iniziai ad accarezzarle le gambe, portando la mano destra sempre più in su, fino a sfiorarle i glutei. Sentivo le piegoline e le curve e l’avvallamento del suo incredibile culo. Mi spinsi sempre di più con progressivo crescendo, fino ad accarezzarle il culo in pieno, così come facevo una volta. Le sollevai la gonna per guardarlo bene e lo palpai con sempre maggiore passione.
Lei si era bagnata fin dalla prima carezza e io mi portai sempre più vicino alle sue intimità, passando con la mano all’inguine sinistro e poi in quello destro, in modo che il sesso restasse quasi intoccabile. Era il mio modo per farle crescere sempre di più il desiderio. Sapevo che dentro di sé implorava che la penetrassi, ma non erano questi gli accordi. Solo dopo un lungo ciclo di avvicinamenti, le presi la figa in mano, a mano aperta. Era piena e pregna, sembrava addirittura gonfia. Bagnata e calda, la sentivo pulsare. Non facevo niente, mi limitato a tenermela in mano. Ma quando cominciai a farmi sentire dal clitoride, seminascosto dalle grandi labbra ma turgido, lei cominciò ad avere qualche piccola reazione al bacino. Allora tolsi la mano e le accarezzai ancora il culo, controllando così l’eccitazione.
Sempre tenendole la mano sinistra aperta sul culo, in modo che il contatto restasse sempre vivo, allungai la mano destra sul divano per prendere quello che mi aveva fatto trovare in un sacchetto di carta. Frugai dentro e lei si accorse dal fruscio della carta che cosa stavo per fare. Sfilai un bellissimo dildo, un cazzo sintetico che lei stessa si era scelta e, verosimilmente, aveva anche provato.
Con la mano sinistra passai le dita nella fessura del culo, soffermandomi sul buco, poi sulle grandi labbra, intingendole nei suoi umori vaginali. Quindi avvicinai il dildo e le appoggiai la punta rotonda alla figa. Lei ebbe un piccolo sobbalzo, ma si trattenne, allargando però di più le gambe. Voleva essere penetrata di brutto. Spinsi piano la punta del pene artificiale, fino ad essere sicuro che fosse ben collocato, quindi spinsi piano ma con determinazione il dildo fino al… capolinea (come amava dire lei).
Lei gemette e iniziò a sbattere i glutei quasi senza controllo, spinta da un orgasmo che ormai sembrava sul punto di arrivare. Il dildo era decisamente più grosso di un cazzo normale, ma era liscio e aveva un motorino intermo. Come mi aveva detto, spingendolo a fine corsa, il motorino del dildo prendeva movimento grazie alla pressione della mia mano su un invisibile bottone. Il suo movimento era un misto di micro vibrazioni e di più visibili stantuffate. Si, stantuffate, come aveva scritto lei nell’ultima mail…
Era giunto il momento di stimolare il clitoride, così avrebbe avuto due orgasmi, quello vaginale e quello clitorideo. Col medio e l’anulare lo cercai, scoprendo che era in piena erezione, almeno 7 millimetri. Lo sfregai piano, trattandolo come se fosse un piccolo glande coperto da un altrettanto piccolo prepuzio.
A quel punto lei fu in preda al puro istinto e cominciò a sbattere i glutei sulla mano che le faceva pressione e attorno al dildo che la possedeva, mentre il bacino cominciò a dare qualche scatto incontrollato.
D’un tratto, come se avessi cliccato il pulsante giusto, cominciò il suo lungo, doppio, orgasmo. Sbatté, sbatté e sbatté, godendosi quell’interminabile momento della sua vita.
Io per lei non esistevo, facevo solo parte del dildo. In quel momento era lei e solo lei a godere. Quello era il ruolo deciso e io rimasi a godermi quella incredibile vista di un orgasmo che ero riuscito a liberare, con il più bel culo della città che si librava nelle mie mani.
Palpita, sale, si gonfia, s’incurva, s’allunga, propende. Il dorso ampio splende come cristallo. La capigliatura leggera s’arruffa, come criniera nivea di cavallo. Le mani impastano nel solco sonoro. Dalla figa s’alza un balzo di spuma, si perde come lo spruzzo di un’onda. Libera e bella, numerosa e folle, possente e molle… Creatura viva, che gode del momento fugace.

Ci vollero diversi minuti prima che si placasse e che si rilassasse del tutto. Quando si mosse, le sfilai il dildo, esausto anche lui. Si portò su di me e si sedette a ginocchia divaricate come se volesse infilarsi il mio cazzo.
Mi baciò.
Le presi le natiche piene e sode, che ben conoscevo, le toccai il buco del culo e sognai di chiavarla. Il mio uccello voleva impalarla, voleva sentire il suo retto o la sua figa attorno a sé, ma non erano questi gli accordi.
Lei era venuta con me ma a una condizione: io non l’avrei chiavata.
«La prossima volta… – sussurrò leccandomi un orecchio – me lo metti nel culo…»
«Il dildo?»
«No, il cazzo.»
«Wow… – ribattei, sentendo ancora di più la spinta dell’uccello – Posso incularti anche adesso, se vuoi…»
«No, – rispose, indicando la porta della camera da letto dove riposava il bimbo. – Potremmo non avere tempo abbastanza…»

Rimase poco a godersi la presenza durissima del mio cazzo di sotto i pantaloni, poi scivolò giù dal divano. Si inginocchiò, mi tirò in fuori prendendomi per le gambe. Poi slacciò la cintura, aprì la zip mi abbassò del tutto pantaloni e mutande.
L’uccello era balzato fuori come una molla e lei lo prese immediatamente in bocca. Per quanto grande, ci stava tutto. Stantuffò a lungo e in profondità, muovendo lingua e palato con la sua memorabile abilità diauna segretaria che adorava il suo Capo. Portò la mano tra le mie natiche, fece pressione al perineo e… venni come un idrante.
Riuscii ad impedirmi di urlare, come faccio invece di solito quando vengo in bocca a una donna. Ma continuai a venire, mentre lei si nutriva del mio sperma. Non ne perse neppure una goccia, neppure quella volta.

Da allora, una volta ogni due mesi, compatibilmente con i nostri impegni, consumiamo quel rito liberatorio.
Io non l’ho più chiavata, cosa che spettava solo al marito, ma l’ho sempre fatta venire come un intercity, con mano e col dildo, cosa che suo marito neppure si sognava di pensare, di riuscire a fare.
Il suo culo, più del pompino finale, valeva da solo quella lunga e appassionante dedizione alla sua necessità di sbattere l’orgasmo in piena libertà. Per mano del suo adorato capo, il quale riusciva a farla godere con assoluta dedizione ché se per lei era un diritto venire, per lui era un dovere farla venire.
Metterglielo nel culo, una volta all’anno, divenne il momento del tormento e dell’estasi, con i tre orgasmi che io solo sapevo darle.
Da allora il suo sogno, il suo bisogno di volare, è stato sempre realizzato, e senza la paura di cadere anche se volava troppo vicino al sole.

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