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La moglie del soldato


di Membro VIP di Annunci69.it Ginocondor65
20.12.2024    |    132    |    0 8.0
"Ma lei teneva l’asta del cazzo ben serrata nella mano..."
C’era una volta il servizio di leva, una jattura per i giovani che cercavano in tutti i modi di evitarlo. Un’esperienza di vita che ancora oggi farebbe bene alle nuove generazioni, per imparare il rispetto per la bandiera, il senso dello Stato, un po’ di disciplina. Ma questo è un altro discorso.

C’era dunque il servizio di leva e ti ritrovavi nudo, in una fila infinita di piselli mosci e chiappe al vento, in attesa della visita all’interno della caserma dove ti apprestavi a prestar servizio.

A me capitò una sorpresa. Tra noi, maschietti col testosterone a mille, c’era una persona che si differenziava per la chioma rosso fuoco, un seno pronunciato e un fondoschiena interessante. Era vestita, mentre noi eravamo nudi. E in cinque minuti venne congedata per evidenti motivi. Si trattava di un trans. Ricordo che arrossì mentre entrava lungo il corridoio della visita, ma all’uscita aveva qualcosa di magnetico. Il commilitone più vicino, un romagnolo effervescente naturale, le disse qualcosa. Dieci minuti dopo eravamo in una stanzuccia, al piano terra della caserma e lei ballava per noi.

Era la prima volta che vedevo un trans in azione. Ne avevo visti a decine lungo i viali della città, di notte. Per la prima volta però in quella stanza eravamo in cinque. Qualcuno iniziò a tirarlo fuori, prima di iniziare a segarsi. Lei stuzzicava con la gonnellina che nascondeva la mutandina bianca. Si inginocchiò e ci mise in fila, iniziando a sbocchinarne uno alla volta. Il più audace le fu dietro, afferrò i fianchi e lo infilò nel buco disponibile. Io rimasi in disparte. Mi bastava osservare. Il tutto durò pochi minuti, al termine dei quali lei con un fazzolettino di carta ripulì rapidamente il corpo dalle strisciate di liquidi seminali che grondavano sulle tette o lungo le labbra. Si fece una sega tanto era eccitata, ma nessuno volle darle una mano, letteralmente parlando.

Quell’immagine rimase ben impressa a tutti i presenti e quando arrivammo alle differenti destinazioni finì con l’ingigantire i racconti da stanzone, dove non di rado un giornaletto porno passava di mano in mano, mentre le reti metalliche dei letti a castello cigolavano senza sosta. C’era anche un maresciallo omosessuale che si faceva fare i servizietti da alcuni commilitoni, premiandoli con qualche permesso in più. Ma era la materia prima che mancava, la donna, la femmina, il profumo di fica.

Io mi ero portato il lavoro da casa. La fidanzatina, diligentemente, mi raggiungeva al sabato pomeriggio. Prendeva una camera d’albergo dove la raggiungevo. Il tempo di una doccia ed ero già sul pezzo, affamato di sesso. Lei, brava e generosa, modesta nelle forme ma non nella mente, mi appagava svuotandomi di tensioni e umori. Lo faceva da innamorata come forse non ero io che, egoisticamente, pensavo solo a una scopata, a un pompino o, più di rado, del culo anche se le faceva male perché era alle prime esperienze.

Imboscato in un ufficio, dopo alcuni mesi, ero finito nel mirino di un tenente colonnello antipatico, forse pure un po’ frustrato. Era un uomo distinto, in realtà, ma covava una rabbia che non sapevo decifrare. E aveva pure una bella mogliettina, anche se castigata e con il maglioncino di angora a collo alto, la gonna lunga e scarpe con un tacco basso. Eppure era femmina, lo sentivo. Aveva labbra tinte di rosso ed emanava un buon profumo, che per un giovane di leva equivaleva al paradiso perduto.

Accadde così che un giorno, mentre la sposa era in visita, lei si attardò nel bagno riservato agli ufficiali. Con fare guardingo mi avvicinai alla vetrata che sovrastava la porta e aveva una parte opaca e i bordi trasparenti. Non riuscivo a veder bene. Ma mi bastò notare le mutandine a metà stinco, per sentirlo duro. Mi ispirai a quell’immagine quando, la notte, mi coricai in branda.

Col passare delle settimane entrai un po’ in confidenza con la signora, sempre disponibile ad accompagnarla alla macchina se doveva portare un pacchetto o se aveva bisogno di qualcuno che confermasse alla guardia che poteva entrare. E il tenente colonnello apprezzava questa disponibilità. Finché un sabato mattina, mentre il grosso della truppa correva a cambiarsi per l’imminente uscita, lui mi chiese di passare dall’ufficio che avrebbe dovuto rimaner chiuso. Ero consegnato quel fine settimana perché avevo i capelli forse di mezzo millimetro più lunghi del dovuto.

Entrai in ufficio e lo trovai al computer. “Dobbiamo chiudere una pratica” mi disse, facendomi segno di accomodarmi. Nella penombra non mi accorsi di un indizio che avrebbe dovuto mettermi sull’attenti.
La porta del bagno infatti era socchiusa. E qualcuno tirò lo sciacquone.

Con mia sorpresa vidi la moglie uscire dal bagno. Pensai che fosse passata di lì per salutarlo. Invece lei sbloccò la cintura che sorreggeva la gonna e il tessuto scivolò, lentamente, lungo le calze di nylon.

Non potei fare altro che osservare quella discesa. Quando ripercorsi, con lo sguardo, il tutto al contrario, verso l’inguine, mi bloccai. Quelli erano lacci di un reggicalze. E quella più in alto era biancheria intima in raso di seta, color cipria, che tratteneva un pube coperto di peli morbidi e profumati. Lei sollevò il maglione rimanendo con un reggiseno in pizzo, i seni morbidi di taglia seconda.
Guardai lui, che rimaneva impassibile e anzi si era acceso un sigaro toscano. Si alzò, raggiunse la porta e la chiuse a chiave. “Ti piace?” chiese, senza neppure guardarmi.

Balbettai qualcosa. Lui mi mise la mano sulla spalla e intimò: “Adesso devi scopartela qui davanti a me”.

Ero impacciato. Non avevo mai vissuto un momento come quello. Lui tornò a sedere e lei fece un passo verso di me.
Il calore del suo corpo, il desiderio di femmina, la bellezza di quella donna truccata delicatamente e profumata di saponi freschi, mi sbloccarono in un istante.
Il cazzo era bello in tiro. Lei mise la mano a coppa sopra il gonfiore del pantalone. Afferrò la zip e la lasciò scivolare con una naturalezza che non mi aspettavo. Iniziò a menarmelo con una certa grazia.

Impacciato volevo fare tutto nello stesso momento. Sganciai i ferretti del reggiseno con un secondo in più rispetto alle abitudini, tanto ero eccitato. Le tirai giù la mutandina trovandomi inginocchiato davanti alla vulva che profumava e affondai il naso nella soffice peluria. Le afferrai le chiappe e le strinsi a me iniziando a baciarla nell’intimità, sfiorando la sorca con la lingua e iniziando a umettarla con la saliva. Mi alzai per baciarle i capezzoli. Ma non ebbi molto tempo, perché già lei si era genuflessa e lo aveva circondato con le sue guance. Era un bacio delicato, dolce, non irruente.

Io guardavo lui che stava lì, impassibile, a vedere la moglie che si dedicava a un altro uomo. Per me era un’assoluta novità (non lo sarebbe stata negli anni a venire).
Dopo avermelo sbocchinato per qualche istante, dovetti alzarla di peso perché stavo già per venire.
La baciai profondamente, massaggiandole le tette, più per distrarmi che per passione. Sentii la lava che saliva lungo la nerchia, arretrare.

La piegai sulla scrivania sbattendola col suo volto proprio davanti a quello del marito. E affondai il cazzo in quella fessura che mi sembrava già bagnata. Non trattenni il colpo, iniziai a penetrarla senza pormi alcuna remora. E ogni colpo era una scoperta, perché vedevo negli occhi di lui la fierezza di scoprirla appagata. Non sapevo cosa fosse un cuckold, in quei tempi si diceva solo cornuto passivo, ma era e rimane una definizione volgare. Cuck fa figo, per chi ama esserlo (io no, a scanso equivoci).

Così facendo allargai lo spacco e divaricai leggermente le sue gambe, pompandola in maniera sempre più convinta.
Lei gemeva, ansimava. Lui la osservava silente. Io la inondai di sborra senza neppure chiederle il permesso di farlo. Il fiotto caldo la trovò preparata e la sborra iniziò a scendere, leggera, lungo l’interno delle cosce, arrivando a macchiare le calze. E quello era il godimento per me, sapere di sporcare quell’immagine.

Quando lei si alzò, le guance arrossate, il rossetto strappato dai denti, il reggiseno da rimettere a posto, notai che aveva lacrime che scendevano lungo le guance.

Mi intenerì quell’immagine. Mi sentii quasi in colpa, forse avevo sbagliato qualcosa. E invece no. Lei si prestava a quelle scene, mi rivelò in seguito, perché lui era così. Non lo era stato quando si erano conosciuti e fidanzati. Non lo era quando si erano sposati, anche se nella notte del matrimonio lei si era ritrovata in uno stanzino con lui e un testimone, ma avevano dato la colpa all’alcol bevuto in eccesso. Poi la situazione si era fatta chiara. Lui era quel che oggi si chiama cuck. Lei era una donna integra, non una troia di vocazione. Ma si era adeguata al ruolo, tirando fuori, timidamente la porcaggine. E nelle volte successive, mentre continuava a spogliarsi, indossando sempre biancheria osè e la mutandina stretta, il tacco più alto e persino una guepiere, iniziò a concedersi con gusto. Fino al giorno in cui mentre era piegata davanti al marito e io la stavo pompando, mi afferrò il membro e continuando a guardare il suo lui negli occhi, indirizzò la cappella verso il buco sacro del suo culo dolce. Io appoggiai le mani sulla scrivania, le fui sopra, e faticai a farlo entrare pur facendoci cascare un po’ di saliva. L’ingresso non fu facile, lo riconosco. Ma lei teneva l’asta del cazzo ben serrata nella mano. E dopo i primi quattro massaggi della parete anale, lo strofinamento divenne quasi naturale. Fu la più dolce sborrata della nostra storia che finì quando terminai il servizio di leva.

Non la cercai più, non li cercai più, perché altro aveva in serbo per me il destino.

Ma conserverò per sempre quello che lei mi disse all’orecchio. “Ho tenuto in serbo per te il culo. Non l’ho mai dato a nessuno prima di oggi, perché sei una persona dolce…anche quando sei duro”. Non ci ho mai creduto. Anche se confesso che mi ha fatto piacere sentirglielo dire, per un attimo appena, quanto dura la vera estasi.
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