Lui & Lei
La notte di Lady_CPB
di Ginocondor65
24.11.2024 |
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"Forse non sai il francese che neppure io conosco ma capisco, perché sono parole che sussurrano all’anima..."
Se questo fosse un gioco, tu saresti La Notte. Perché il tuo corpo, forse inconsapevolmente, ha assunto la posa di un’estasi che godette fama grazie anche a una quartina di Giovanni di Carlo Strozzi. Lui, come io più modestamente, ti invitò a svegliarti. E io ti inclino a prostarti.“La Notte che tu vedi in sì dolci atti
dormire, fu da un Angelo scolpita
in questo sasso e, perché dorme, ha vita:
destala, se nol credi, e parleratti”.
Cosa dici? Lo trovi ridicolo. Aspetta, ascolta la voce del cuore che palpita sotto la scorza del tuo corpo. Lasciati prendere per mano. La sua frase non deve spaventare. Certo, parlerò di sesso, scriverò ciò che i miei occhi vedono e i miei neuroni sognano, in attesa di incontrarti per poter spargere il mio seme su di te. Perché sono presuntuoso ed esigente e non ammetto che un corpo, per quanto florido, sia scevro d’intelletto. Anche quando scopi, la mente domina.
A quella quartina, Michelangelo, perché di lui stiamo parlando, rispose con alcuni versi, facendo rispondere in realtà la statua stessa, indicando come il sonno, alla luce dei disordini che disturbavano la sua Firenze, fosse l’unico motivo della serenità della Notte rispetto alle altre statue:
“Caro m'è 'l sonno, e più l'esser di sasso,
mentre che 'l danno e la vergogna dura;
non veder, non sentir m'è gran ventura;
però non mi destar, deh, parla basso”.
Tu sei la notte, perché hai un fisico scultoreo troppo perfetto per essere figlio della natura.
Riconosco la cicatrice sul seno e lì vorrei posare la mia lingua, per lenire la ferita creata dal bisturi.
Quella lama che ha inciso e scavato i capezzoli per gonfiare il seno, che serve a gonfiare la nerchia dell’uomo che guarda. Vorrei posare la mia lingua anche nell’altra ferita, inferta con la carne del pene turgido che ha spalancato il tuo corpo al piacere di lui, al piacere tuo, al piacere loro e già anelo vedere una femmina che ti bacia in mezzo alle cosce, mentre infilo la lingua nel suo umore e già è dura reggere l’urto del glande che reclama il dovuto.
Tu sei La Notte, materializzazione dell’icona femminile, semidistesa, nuda.
Sei forse Leda che carezza il collo del cigno, trasformandolo in un’asta che presto lubrificherai perché questa è la tua indole. Forse sei Arianna sognante, che immagina di essere al centro di una stanza, il buio ovunque, una flebile luce all’altezza del pube di questi uomini che desiderano solo poterti penetrare.
In effetti la posizione, sdraiata, la gamba piegata, la testa reclinata, ricorda proprio Leda nel disegno preparatorio che Michelangelo, lui, il sommo, vide in una modella strappata al popolo, lui che amava il sesso maschile, ma si prostrava davanti alla superiorità di quello femminile, nella sua purezza, nel suo candore, nel marmo duro che scolpiva perché vi aveva visto un angelo e voleva liberarlo. Così come io vorrei liberare il mio uccello per farlo tirare, per te, musa.
Il braccio piegato e quello che regge la testa, poggiandosi alla coscia. È una torsione che ruota il busto, irrorato di luce lunare, in favore dello spettatore. Perché tu sei felice di mostrarti, oggi come ieri, quando Michelangelo, scalpello in mano, piangeva la felicità di un capolavoro che poi era umano, che poi eri tu.
Tu sei la fecondità della notte circondata da simboli: la civetta, un mazzo di fiori che forse sono papaveri, e una maschera che simboleggia, come sanno gli iniziati, il sogno notturno o quello eterno, di un corpo che aspetta la resurrezione. Perché tu fai resuscitare gli animi sopiti dalla routine familiare, apri il varco al desiderio di fuga di mille e mille e più uomini, doni linfa alle femmine in calore che non attendono altro che correre libere tra le tue zinne per poteri sentire a vita nuova resitutite.
Baudelaire si è ispirato a te, nei Fiori del male. Forse non lo sai, per la materialità che ti schiavizza. Forse non sai il francese che neppure io conosco ma capisco, perché sono parole che sussurrano all’anima.
«Ce qu'il faut à ce coeur profond comme un abîme (abisso),
c'est vous, Lady Macbeth, âme puissante au crime rêve d'Eschyle (anima potente nel delitto sogno d’Eschilo),
éclos au climat des autans (sbocciato col soffio del vento);
ou bien toi, grande Nuit, fille de Michel-Ange
qui tors paisiblement (con calma torci) dans une pose étrange tes appas façonnés
au bouches des Titans (le tue forme foggiate per bocca di Titani!».
Vedi, cara Lady, mentre interpreti l’amplesso devi ascoltare il canto delle sirene che stordirono pure Ulisse.
Perché noi tutti siamo creature divine, angeli caduti dal cielo per un tiro sbagliato di dadi.
Ci siamo adattati alla generosità di Madre natura e interpretiamo, con tutti i nostri limiti e con tutti i nostri difetti, uno spartito che ci è stato donato mentre planavamo sulla terra.
Non sta a noi giudicare, non io poi, ma elevare la preghiera del nostro corpo, della nostra indole. E anche nella perversione, soprattutto in essa, vive il nostro alito sacro.
Lo vedo nelle tue immagini. Lo immagino sul tuo corpo caldo.
Lo desidero questo tuo corpo che ha straniato Michelangelo, perché è andata davvero così, credimi. Io c'ero.
Nella vita oltre la vita che abitiamo, tramandandoci di generazioni in luoghi e ambienti sempre nuovi. Ti è mai capitato di ritrovarti in un paesaggio e pensare che lì sei già stata?
Certo mentre sollazzi i membri che ti galleggiano attorno non hai tempo che per loro. Per il tuo lui, che deve essere fiero di questa tua sovranità. Per il piacere che muove il creato. Per la tua fica umida che aspetta di essere onorata perché non è stata creata così dal divino per urinare e basta. Sei qui e nell’ovunque con la tua bocca che saprà bere il nettare degli dei, anche quando si presentano vestiti da caproni. Sei tu a decidere a chi donare il culo a chi lasciarlo prendere, anche con veemenza, perché nell’esaltare il suo piacere e sì, in fin dei conti anche nel tuo dolore, sai che sei nata per questo e non puoi farci niente. Niente che non sia sincopare le natiche, lasciare che l’orificio ceda e donarti anche a chi non ti meriterebbe.
Vorrei essere lì con Michelangelo che scolpisce, per dirgli quanta lava stai muovendo nei membri tesi che ti sono attorno. Vorrei dirgli che ha scelto bene, come ha fatto tuo marito, decidendo di sposare una donna di fantasie che non tradisce mai, perché resta fedele a lui anche dopo che le gambe tremano tanto irruenti sono stati i colpi dei cazzi anonimi e pure nerboruti.
Liberami dalla dannazione di poter solo ammirare il tuo corpo. Un giorno forse ci incontreremo. E sarà un amplesso cerebrale prima che fisico. Perché la fisicità poi è banale, se non la accompagni con il pensiero, con il desiderio morboso.
Se non la prendi per mano come fai col mio cazzo adesso, se non la scuoti come fai con la verga che prende pressione, se non la lecchi come ti hanno insegnato dieci uomini e più, se non la infili con le tue dita nella vagina per farti pompare, se non ti giri e mi dai il culo, perché sai cha hai due mele dure come il marmo e morbide come l’anima.
Ti amo di un amore eterno, non terreno. L’amore di Michelangelo che ha visto in te La Notte.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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